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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA Dipartimento di Ingegneria Industriale DII. Corso di Laurea in Ingegneria Energetica. Tesi di laurea magistrale

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Academic year: 2022

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA Dipartimento di Ingegneria Industriale DII

Corso di Laurea in Ingegneria Energetica

Tesi di laurea magistrale

Studio sull’utilizzo di pompe di calore per il recupero di energia di scarto di bassa qualità per alimentare una rete

di teleriscaldamento

Relatore:

Prof.ssa Anna Stoppato

Laureando: Paolo Belluzzo Nr. Matricola: 1176340

Anno accademico 2021/2022

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Sommario

INTRODUZIONE ... 3

PRINCIPALI TIPOLOGIE DI CALORE A BASSA TEMPERATURA ... 5

Industrial Waste Heat ... 5

Solare Termico ... 7

Geotermico ... 9

ACCUMULO TERMICO ... 11

Classificazione per intervallo di temperature ... 12

Classificazione per intervallo di tempo di accumulo ... 13

Classificazione per tipologia di scambio termico ... 14

Accumulo di calore sensibile SHTES (Sensibile Heat Thermal Energy Storage)... 16

Accumulo di calore latente LHTES (Latent Heat Thermal Energy Storage) ... 22

Accumulo termochimico ... 26

TELERISCALDAMENTO ... 27

I principali componenti dei sistemi di teleriscaldamento ... 29

Generazione di calore ... 30

Rete di distribuzione ... 31

Sottostazioni di utenza ... 34

Futuro del teleriscaldamento ... 34

POMPE DI CALORE ... 36

Ciclo inverso di Carnot ... 37

Classificazione delle pompe di calore ... 39

Ciclo a compressione meccanica di vapore ... 39

Ciclo ad assorbimento ... 40

COP (Coefficient Of Performance) ... 41

Tipologie di pompe di calore ... 44

Sorgente esterna ARIA ... 44

Sorgente esterna ACQUA ... 45

Sorgente esterna TERRENO ... 46

I FLUIDI FRIGORIGENI ... 48

RIUTILIZZO DEL CALORE RECUPERATO DA UN’ATTIVITÀ INDUSTRIALE PER SERVIRE UNA RETE DI TELERISCALDAMENTO ... 50

CASO STUDIO CEMENTIFICIO ... 51

Analisi del calore rigettato dal cementificio ... 52

Fabbisogno termico delle utenze collegate alla rete di teleriscaldamento ... 58

Primo caso studio ... 60

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2

Fornitura diretta del calore alla rete di teleriscaldamento ... 61

Impianto senza accumulo giornaliero ... 62

Impianto senza accumulo provvisto di caldaia ... 64

Impianto con accumulo ... 69

Impianto con accumulo e caldaia ... 71

CICLO ORC ... 74

Secondo caso studio ... 76

Fornitura di calore alla rete di teleriscaldamento attraverso la pompa di calore ... 77

Impianto senza accumulo giornaliero ... 78

Impianto senza accumulo provvisto di caldaia ... 80

Impianto con accumulo ... 85

Impianto con accumulo e caldaia ... 88

Conclusioni ... 92

Bibliografia ... 94

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3 INTRODUZIONE

Uno degli obiettivi prioritari della politica energetica europea riguarda, ormai da più di un decennio, l’incentivazione e lo sviluppo dei processi rivolti alla riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra.

In passato la ricerca verso l’innovazione tecnologica non contemplava la parte di sostenibilità ambientale e ciò ha portato a severe conseguenze all’ecosistema.

Le eccessive emissioni di CO2 hanno comportato l'aumento dell'effetto serra con un incremento della temperatura media terrestre con gravissimi danni per l’ambiente, come lo scioglimento dei ghiacciai e le catastrofi ambientali avvenute negli ultimi anni.

Nell’ultimo decennio la comunità mondiale ha compreso appieno i rischi derivanti dall’effetto serra e ha cominciato ad attuare contromisure che mirano a rallentare questi tragici cambiamenti climatici.

La sostenibilità ambientale è diventata vincolo imprescindibile per ogni nuova innovazione tecnologica; l’obiettivo è quello di arrivare il prima possibile ad uno sviluppo completamente sostenibile ed una produzione di energia completamente rinnovabile.

Nel settore industriale gran parte dell’energia utilizzata nei i vari processi produttivi, viene dissipata come calore di scarto nell’ambiente il che comporta uno spreco di energia.

È possibile il recupero di questa energia di scarto per utilizzarla in altri processi, con la conseguente riduzione di consumo di combustibili fossili.

Il riscaldamento domestico, secondo uno studio dell’ISPRA [1], è il principale responsabile dell’inquinamento atmosferico della pianura padana. Per rimediare a ciò è possibile utilizzare generatori di calore, quali le pompe di calore, che producono calore senza emissione diretta di inquinanti in ambiente.

La pompa di calore attraverso l’utilizzo di lavoro esterno può trasferire calore da una sorgente fredda ad una sorgente calda. Un interessante applicazione è quella di sfruttare l’energia di scarto dai processi industriali come sorgente fredda e produrre acqua a temperature maggiori per riscaldare le abitazioni.

L’utilizzo di una sorgente fredda a temperatura maggiore di quella dell’aria esterna comporta, infatti, un miglioramento del rendimento per la pompa di calore.

Nella prima parte dell’elaborato si illustreranno varie fonti di calore a bassa temperatura dalle quali è possibile recuperare calore di bassa qualità.

Nella seconda parte si analizzeranno le metodologie di stoccaggio termico perché la possibilità di immagazzinare energia è essenziale in tutte le applicazioni in cui non si ha contemporaneità tra produzione ed utilizzo come nel caso di produzione da fonti rinnovabili o nel recupero di calore di scarto.

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Nella terza parte verrà trattato il teleriscaldamento perché questa tecnologia può utilizzare fonti strategiche per la riduzione dell’impatto ambientale nell’ambito del riscaldamento urbano.

Nella quarta parte si descriverà in modo generico, ma completo, la pompa di calore che sarà la macchina che utilizzeremo nel caso studio per innalzare la qualità del calore recuperato per servire una rete di teleriscaldamento.

L’obiettivo del seguente elaborato è quello di analizzare l’utilizzo delle tecnologie sopra esposte per recuperare calore di scarto da un’attività industriale al fine di fornire una rete di utenze domestiche.

Verrà analizzato nel dettaglio il numero di utenze che potranno essere servite utilizzando una certa fonte di calore andando a massimizzare questo valore per ridurre il consumo di combustibili fossili e di conseguenza anche la produzione di gas ad effetto serra ed inquinanti.

Come dato di riferimento iniziale si considererà l’utilizzo del solo calore proveniente dall’attività industriale per servire la rete di utenze per poi andare ad introdurre singolarmente ogni tecnologia vista precedentemente per valutarne la convenienza.

Alla fine delle varie casistiche si osserveranno quali metodologie hanno un minore impatto ambientale e quali massimizzano il numero di utenze servite.

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PRINCIPALI TIPOLOGIE DI CALORE A BASSA TEMPERATURA

Nel passato il calore a bassa temperatura non veniva ritenuto sfruttabile ed in quasi tutti i processi industriali, che producevano come scarto questo tipo di calore, esso veniva scaricato in ambiente.

Attualmente questo calore viene studiato per poterlo utilizzare in altre applicazioni ed ottenere un risparmio energetico per la produzione di ulteriore calore ad alta temperatura o per la produzione di energia elettrica. Questo risparmio energetico si traduce in una riduzione del consumo di combustibili fossili e di conseguenza una riduzione dell’impatto ambientale.

In questo elaborato ci soffermeremo sulla produzione di calore a media-alta temperatura attraverso l’utilizzo di calore a bassa temperatura accoppiato ad una pompa di calore.

Di seguito saranno analizzate le varie tipologie di calore a bassa temperatura che si possono recuperare ed utilizzare.

Industrial Waste Heat

Il calore di scarto industriale (IWH) è la quota di energia termica generata nei processi industriali che non viene utilizzata e quindi viene sprecata scaricandola in ambiente.

Le fonti di calore di scarto sono principalmente le dispersioni termiche provenienti dai prodotti, apparecchiature e processi produttivi, nonché dai prodotti di scarico dei processi di combustione.

Il calore di scarto può essere distinto in base alla temperatura:

• Calore di scarto ad alta temperatura: t >400°C

• Calore di scarto a media temperatura: 100 °C <t< 400°C

• Calore di scarto a bassa temperatura: t <100°C

Il recupero del calore di scarto è più fattibile quando si trova nella fascia di temperature medio-alte.

Detto questo, ci sono varie opportunità per recuperare il calore di scarto a bassa temperatura poiché la maggior parte del calore di scarto industriale si trova in questa categoria.

La figura seguente aiuta ad indicare le percentuali delle categorie sopra indicate, considerando la media dei processi industriali. [2]

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Figura 1: quantità di calore di scarto nell’intervallo di temperatura

Il recupero del calore di scarto a bassa temperatura risulta però più impegnativo e la ragione di ciò è principalmente a causa dei problemi associati al metodo di raccolta del calore di scarto.

I metodi di recupero del calore residuo includono la cattura e il trasferimento del calore attraverso un gas o un liquido, che viene utilizzato come vettore di energia per un altro sistema.

Il calore disperso può essere recuperato a qualsiasi temperatura; però maggiore è la temperatura, maggiore è la qualità del calore recuperato e ciò permette l’utilizzo in un maggior campo di applicazioni.

Ci sono delle problematiche tecniche riguardo al recupero di calore a bassa temperatura; le quali sono l’utilizzo di materiali che devono avere buone caratteristiche di conduzione e resistenza alla corrosione, aree di scambio molto elevate a causa della bassa differenza di temperatura tra il fluido termovettore e la sorgente da recuperare.

Tuttavia, ci sono dei potenziali utilizzi di questo calore attraverso l’uso di una pompa di calore, per aumentare la temperatura e sfruttarlo per la produzione di acqua calda sanitaria, riscaldamento degli edifici ed altre applicazioni.

La selezione dei metodi e delle tecniche di recupero del calore dipende in gran parte da fattori chiave come la qualità, la quantità e la natura della fonte di calore da recuperare.

Secondo dati statistici, la quantità di calore di scarto dalle industrie aumenta notevolmente al diminuire della temperatura alla quale recuperiamo questo calore. Il calore ad alta temperatura presenta una vasta gamma di applicazioni e di conseguenza una domanda maggiore da parte degli utilizzatori; questa domanda invece diminuisce al diminuire della temperatura di fornitura del calore recuperato.

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La figura seguente mostra la domanda di calore rispetto alla temperatura di fornitura.

Figura 2: profilo semplificato di temperature T-carico e domanda dell'utenza Q di calore di scarto

La sovrapposizione tra il profilo della domanda e il profilo di temperature mostra la quantità di calore che è possibile recuperare per utilizzarlo in altre applicazioni. Si fa notare che con l’utilizzo di una pompa di calore è possibile traslare il profilo della sorgente di calore aumentando la potenzialità di recupero del calore di scarto.

Solare Termico

Il sole fornisce calore attraverso la radiazione solare, la quale può essere raccolta e convertita in energia termica tramite l’utilizzo di pannelli o collettori solari. [3]

Il collettore solare consiste in un particolare scambiatore di calore, capace di trasferire l’energia elettromagnetica, proveniente dal sole, ad un mezzo che fluisce al suo interno. Questo mezzo, definito fluido termovettore, è solitamente costituito da acqua o miscele di acqua e liquido antigelo.

Il funzionamento di un collettore solare è assorbire calore dalle radiazioni solari, trasferirle al fluido termovettore che circola al suo interno il quale trasporta questo calore verso un utilizzatore oppure verso un sistema di stoccaggio termico per un uso successivo.

Gli impianti solari termici possono essere classificati in base alle temperature di produzione del calore: impianti a bassa temperatura sono in grado di produrre acqua calda in un range compreso tra

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i 40°C ed i 120°C in funzione della tecnologia dei collettori e del tipo di impianto; quelli a media temperatura operano a temperature di 500°C, mentre quelli ad alte temperature arrivano a temperature di 1000°C.

Nelle applicazioni a bassa temperatura del solare termico, le principali tecnologie impiegate sono i collettori piani vetrati selettivi e non selettivi e i collettori sottovuoto.

La produzione di calore da questa tecnologia non è costante nel tempo e presenta notevoli variazioni causate dalla stagionalità o semplicemente dalla variazione della radiazione incidente per la presenza di nuvole.

L’utilizzo principale di questa tecnologia è la produzione di calore a bassa temperatura per la produzione di acqua calda sanitaria e il riscaldamento domestico.

Ovviamente la produzione maggiore di calore si avrà nella stagione estiva quando i carichi termici necessari sono solamente la fornitura di ACS, mentre nella stagione invernale quando i carichi termici sono massimi vi è il minimo di produttività. Questo aspetto implica una difficoltà nel dimensionamento degli impianti solari.

Un altro parametro da considerare per la produzione di calore, da questo tipo di impianto, è la sua posizione (angolo β) e la sua esposizione.

Di seguito un’immagine illustrativa della variazione di energia incidente rispetto alla variazione dell’angolo di inclinazione del pannello nell’anno.

Figura 3: variazione della radiazione solare giornaliera media incidente su superfici con differenti angoli di inclinazione, orientate a Sud

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9 Geotermico

L’energia geotermica è la forma d’energia dovuta al calore endogeno della terra. Tuttavia, oggigiorno si utilizza il termine geotermia per indicare quella parte di questo calore che può, o potrebbe, essere estratta e sfruttata dall’uomo. [4]

Tale calore si manifesta con l’aumento progressivo della temperatura delle rocce con la profondità, secondo un gradiente termico, in media, di 3°C ogni 100m di profondità. Alcune zone presentano gradienti più alti della media (9°-12°C ogni 100m), a causa di anomalie geologiche o vulcaniche.

L’energia termica della terra è immensa, ma soltanto una parte di essa può essere sfruttata. Sino ad oggi, l’utilizzazione di questa energia è stata limitata a quelle aree nelle quali le condizioni geologiche permettono ad un vettore (acqua o vapore) di trasportare il calore dalle formazioni calde profonde alla superficie formando quelle che si chiamano risorse geotermiche.

I sistemi geotermici possono formarsi in regioni con gradiente geotermico normale o poco più altro e, soprattutto, nelle regioni prossime ai margini delle zolle crostali, dove il valore del gradiente geotermico può essere anche notevolmente superiore a quello medio. Nel primo caso, questi sistemi hanno temperature basse, di solito non più di 100 °C a profondità economicamente utili, mentre nel secondo caso, si può avere una vasta gamma di temperature, da basse sino ad oltre 400°C.

Un sistema geotermico è formato da tre elementi: la sorgente di calore, il serbatoio ed il fluido, che è il mezzo che trasporta il calore dalla profondità calda alla superficie.

Il serbatoio è un complesso di rocce permeabili nel quale i fluidi possono circolare assorbendo il calore. Il fluido geotermico, nella maggioranza dei casi, è acqua in fase liquida o vapore in dipendenza della sua temperatura e pressione.

La sorgente di calore è l’unico dei tre elementi di un sistema geotermico che deve essere naturale. Gli altri due elementi, se esistono le condizioni adatte, possono essere artificiali.

Il più comune criterio di classificazione delle risorse geotermiche si basa sull’entalpia dei fluidi che trasferiscono il calore dalle rocce calde profonde alla superficie. L’entalpia, che può essere considerata più o meno proporzionale alla temperatura, è usata per esprimere il contenuto termico (energia termica) dei fluidi, e dà un’idea approssimativa del loro “valore”. Le risorse sono divise in risorse a bassa, media ed alta entalpia (o temperatura), secondo diversi criteri.

Le risorse geotermiche ad alta entalpia sono utilizzate quasi esclusivamente per la produzione di energia elettrica attraverso l’utilizzo di cicli convenzionali, mentre le risorse a media entalpia possono anch’esse essere utilizzate per la produzione di energia elettrica, ma in questo caso attraverso un ciclo Rankine organico (ORC).

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L’ultima categoria invece è utilizzata per il teleriscaldamento delle abitazioni oppure nell’ambito agricolo per la produzione in serre riscaldate di determinate colture.

È possibile l’utilizzo di energia geotermica ad un livello ancora più basso di temperatura per l’accoppiamento con una pompa di calore per il riscaldamento domestico attraverso diverse tecnologie di acquisizione del calore:

• Ground Water Heat Pump

• Surface Water Heat Pump

• Scambiatori a terreno a disposizione verticale

• Scambiatori a terreno a sonda verticale

Questi metodi sfruttano il principio che la temperatura del terreno, o dell’acqua, ad una determinata profondità assume un valore pressoché costante durante tutto l’anno, a differenza dell’aria esterna.

[5]

La seguente figura illustra il concetto espresso precedentemente.

Figura 4: fluttuazione della temperatura nell’arco di un anno al variare della profondità

È dunque possibile utilizzare questi pozzi caldi per assorbire calore dalla pompa di calore riducendo i consumi avendo una sorgente a temperatura maggiore rispetto all’aria esterna.

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11 ACCUMULO TERMICO

Tutte le fonti di calore a bassa temperatura viste precedentemente hanno l’inconveniente di non essere sempre disponibili (tranne il geotermico) e dunque è necessario stoccare il calore per poterlo utilizzare durante i periodi di richiesta termica.

L’accumulo energetico consiste nell’immagazzinare alcune forme di energia che possono essere recuperate in un secondo momento per venire utilizzate. Un dispositivo che immagazzina l’energia è solitamente definito accumulatore, mentre il sistema di accumulo termico viene definito TES (Thermal Energy Storage).

La possibilità di immagazzinare energia costituisce un fattore essenziale in tutte le applicazioni in cui si ha non contemporaneità tra produzione ed utilizzo; nel caso di produzione da fonti rinnovabili, fornisce valore aggiunto rendendo tale produzione quantitativamente prevedibile. [6]

Nei sistemi TES l’energia viene fornita ad un sistema di accumulo per essere utilizzata in un secondo momento, prevedendo tre fasi: carica, accumulo e scarica. Queste tre fasi creano un ciclo di accumulo.

Nella figura seguente evidenziamo le tre fasi del ciclo di accumulo.

Figura 5: fasi del processo di accumulo di uno stoccaggio termico

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12 I requisiti principali di un sistema TES sono:

• La densità o capacità di accumulo, cioè la quantità di energia stoccabile nell’unità di volume del materiale (kWh/m2)

• La durata dello stoccaggio, vale a dire il tempo durante il quale l’energia può essere conservata con perdite di calore accettabili.

• Stabilità meccanica e chimica del materiale di stoccaggio nel tempo

• Elevato numero di cicli di stoccaggio, ovvero la possibilità di caricare e scaricare innumerevoli volte il sistema di accumulo.

Un accumulo efficiente dovrebbe avere lunga durata ed elevata densità di accumulo; inoltre dovrebbe minimizzare le perdite termiche e consentire un elevato scambio termico tra la sorgente ed il materiale di accumulo.

Affinché la tecnologia TES sia allettante per il mercato, è necessario che il sistema di accumulo possa lavorare con stabilità in ampi range di temperatura e che il materiale utilizzato nell’accumulatore sia facilmente reperibile e poco costoso.

I vantaggi che si possono ottenere implementando l’accumulo in un sistema energetico sono:

• Migliore efficienza del sistema: si sfrutta in modo più efficiente l’energia producendo nei periodi di bassa domanda e accumulando per i periodi di elevata domanda

• Minor inquinamento dell’ambiente e minori emissioni di CO2 dati dalla riduzione dei consumi di combustibili fossili

• Migliori prestazioni e affidabilità del sistema Classificazione per intervallo di temperature

I sistemi TES possono essere suddivisi in 4 categorie in funzione dell’intervallo di temperatura: [7]

• HTTES (High Temperature Thermal Energy Storage): accumulo termico ad alta temperatura.

Utilizzato in impianti che operano a temperature superiori ai 300°C e gioca un ruolo vitale nelle tecnologie per le energie rinnovabili e nel recupero del calore di scarto da altri processi.

Esiste un’ampia gamma di applicazioni industriali in cui il calore di scarto può essere recuperato a queste temperature; come nella produzione di materiali da costruzione e nell’industria metallurgica. Oggi l’impiego più frequente di questa tecnologia riguarda le applicazioni associate al solare termico.

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• MTTES (Medium Temperature Thermal Energy Storage): in questa categoria rientrano i sistemi di accumulo che operano nell’intervallo di temperature tra i 150°C ed i 300°C. Sono interessanti nell’accoppiamento con impianti solari termici a concentrazione o con impianti ad assorbimento per la produzione di freddo.

• LTTES (Low Temperature Thermal Energy Storage): accumulo termico a bassa temperatura.

L’accumulo termico a bassa temperatura raggruppa tutti i sistemi che operano tra i 10°C ed i 150°C. Questa tipologia di accumulo si accoppia molto bene con impianti che hanno applicazioni nei sistemi ad energia rinnovabile.

• CTES (Cold Thermal Energy Storage): accumulo termico del freddo, con temperature inferiori a quella ambiente (t<20°C). Questo accumulo è accoppiato ai sistemi di raffreddamento già esistenti al fine di cogliere l’opportunità di migliorare l’efficienza energetica sfruttando la differenza tra le tariffe energetiche di punta e non di punta. CTES è una forma innovativa di accumulo dell’energia durante i periodi di fuori picco (ad esempio la notte) per il riutilizzo durante i periodi di fuori picco giornalieri (pomeriggio). Essi sono utilizzati come accumulo indiretto di energia elettrica. L’accumulo viene riempito durante i periodi di minor costo dell’energia elettrica e utilizzato quando questa aumenta di prezzo.

Questi sistemi vengono utilizzati in varie applicazioni nell’industria alimentare, dove sono spesso richiesti carichi termici freddi per la conservazione dei cibi.

Classificazione per intervallo di tempo di accumulo

Una delle caratteristiche primarie da cui dipende la scelta di un sistema di accumulo è il periodo di stoccaggio richiesto. Si parla di accumulo giornaliero se la carica e la scarica dell’accumulo avvengono con tempistiche brevi, o di accumulo stagionale se le due fasi (carica e scarica) avvengono a distanza di mesi.

➢ Accumulo termico a breve termine o giornaliero

La forma più tradizionale dell’accumulo termico prevede la possibilità di stoccare energia in quantità necessaria a soddisfare il fabbisogno energetico dell’utenza per alcuni giorni.

Solitamente l’energia termica in questi sistemi viene mantenuta a temperatura abbastanza alte da permettere uno scambio diretto con l’utilizzatore alla temperatura richiesta.

Un esempio è l’accumulo domestico di ACS collegato ad un collettore solare termico.

➢ Accumulo termico a lungo termine o stagionale

Nell’accumulo stagionale [8] si raggruppano i sistemi con capacità di stoccaggio maggiore di tre o quattro mesi. Sono progettati per contenere enormi quantità di energia, e di conseguenza anche le dimensioni sono elevate.

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I sistemi di accumulo termico di grande taglia sono generalmente più efficienti rispetto ai sistemi di piccola taglia con la stessa densità di energia, poiché i sistemi di grande taglia presentano un rapporto superficie/volume più basso, e quindi minori perdite termiche a parità di densità di energia termica accumulata.

Tipici sono gli impianti che accumulano il calore durante l’estate per ridistribuirlo nella stagione invernale e, viceversa, utilizzando il freddo invernale per il raffrescamento estivo.

Viene in questo modo bilanciata la discrepanza tra l’alto irraggiamento solare estivo e la maggiore richiesta di calore dell’inverno. Di solito si lavora con temperature medio-basse impiegando collettori solari e pompe di calore, mentre il sistema di stoccaggio si trova per lo più interrato o integrato con il sottosuolo.

L’utilizzo di un sistema di accumulo termico stagionale nei paesi caratterizzati da alte latitudini permette di sfruttare l’energia solare disponibile durante la stagione estiva caratterizzata in gran parte dalla presenza della radiazione solare, quando la domanda di energia termica è bassa, per il riscaldamento ambientale durante l’inverno.

Classificazione per tipologia di scambio termico

Nella figura seguente si illustrano i vari meccanismi per accumulare energia termica. [9]

Figura 6: classificazione degli stoccaggi termici in funzione della tipologia di scambio termico

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La classificazione maggiormente condivisa si basa sul tipo di scambio termico tra sorgente, accumulatore e utilizzatore. Vi sono tre metodi di accumulo di calore: il calore sensibile (riscaldamento e raffreddamento di un materiale), il calore latente (fusione e solidificazione, vaporizzazione e condensazione) e l’energia termochimica (rottura e formazione di legami molecolari).

La scelta della tipologia di accumulo dipende dalla natura del processo in analisi. Ad esempio, per il riscaldamento degli ambienti tramite terminali idronici è logico utilizzare l’accumulo di energia nell’acqua immagazzinata tramite calore sensibile.

Negli accumuli a cambiamento di fase, oltre all’utilizzo del calore sensibile si sfrutta anche il calore latente che è rilasciato/assorbito durante le trasformazioni di fase. Quest’ultimo meccanismo consente una maggiore variazione di entalpia del sistema a parità di dimensioni rispetto all’accumulo sensibile.

Inoltre, si verifica una minore differenza di temperatura tra accumulo carico e accumulo scarico.

L’accumulo termico a calore latente possiede un elevato potenziale poiché può essere utilizzato in maniera quasi isoterma, ed utilizzando volumi di materia di accumulo molto più bassi rispetto all’accumulo termico a calore sensibile, a parità di energia termica immagazzinata.

Se vengono utilizzati processi fotovoltaici o fotochimici si propende per l’utilizzo di stoccaggio termochimico.

Il potenziale dei sistemi di accumulo chimico è ancora più alto rispetto a quello a calore latente.

Questi presentano una densità di energia termica accumulata molto elevata, e perdite termiche molto basse rispetto ai sistemi di accumulo termico a calore sensibile e a calore latente. Nel lungo periodo, l’accumulo chimico rappresenta senza alcun dubbio la metodologia di accumulo termico più promettente.

Figura 7: metodi di stoccaggio termico; (a) calore sensibile (b) calore latente (c) reazioni termo-chimiche

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Accumulo di calore sensibile SHTES (Sensibile Heat Thermal Energy Storage)

L’energia viene accumulata mediante la variazione della temperatura di un mezzo liquido (acqua, olio) o solido (roccia, mattoni, sabbia, terreno) senza alcun cambiamento di fase nell’intervallo di temperature del processo. Ciò che varia è quindi l’energia interna del mezzo accumulatore.

Il mezzo di accumulo di calore più diffuso e commerciale è l’acqua, che ha svariate applicazioni residenziali e industriali.

La quantità di energia accumulata è proporzionale alla differenza tra la temperatura finale e quella iniziale, alla massa ed al calore specifico del mezzo e viene calcolata dalla seguente equazione:

𝑄 = 𝑚 ∫ 𝑐𝑝

𝑇𝑓 𝑇𝑖

𝑑𝑇 = 𝑚𝑐̅ (𝑇𝑝 𝑓− 𝑇𝑖) Dove:

Q [J] è la quantità di energia immagazzinata m [kg] è la massa del materiale di stoccaggio

cp [J/kg K] è il calore specifico del materiale di stoccaggio

I requisiti fondamentali per i sistemi di accumulo termico sono che il materiale di accumulo sia caratterizzato da un’alta densità di energia termica, sia economico e reperibile in grandi quantità. La capacità di accumulare energia per un materiale considerato dipende dalla capacità termica o meglio dal valore del prodotto ρcp.

L’acqua sembra essere il migliore liquido disponibile perché è poco costoso e ha un elevato calore specifico. Tuttavia, a temperature superiori a 100°C, vengono usati oli, sali fusi e metalli liquidi.

Se si opera a temperature molto elevate si passa ai materiali solidi tipo rocce e minerali, elementi di costruzione e metalli che possono arrivare a temperature fino ai 1000°C.

I fattori che condizionano maggiormente la progettazione di un sistema di accumulo termico a calore sensibile sono:

• La densità di energia termica per unità di volume o per unità di massa del materiale di accumulo

• Il range di temperatura a cui si opera

• Le proprietà del fluido termovettore

• La stratificazione all’interno del materiale di accumulo

• I carichi termici

• Il serbatoio, o comunque il sistema che contiene il materiale di accumulo termico

• L’isolamento termico

• Il costo

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Questa tipologia di accumulo è costituita dal materiale di accumulo, un contenitore, un eventuale fluido termovettore diverso dall’accumulatore e dai dispositivi di ingresso e uscita. Il contenitore deve contemporaneamente contenere il materiale di accumulo e prevenire le perdite di energia termica.

In generale, i materiali di accumulo termico liquidi permettono di trasferire calore alle utenze termiche in maniera più agevole, mentre i materiali solidi sono più semplici da contenere e permettono una migliore stratificazione. Relativamente alla stratificazione della temperatura nel materiale di accumulo termico, migliore è la stratificazione e più alta è la qualità dell’energia accumulata e implica una più alta temperatura massima del materiale di accumulo termico.

Nel caso di utilizzo di mezzi solidi, il materiale è solitamente in forma porosa, oppure impaccato e stratificato in un fondo dove il calore viene accumulato o estratto tramite il flusso di un liquido o di un gas.

Nei sistemi di accumulo stagionali vengono tipicamente utilizzati materiali di accumulo termico di basso costo, o di costo nullo, come ad esempio l’acqua, la ghiaia e il terreno.

L’acqua è il materiale di accumulo termico a calore sensibile per eccellenza nel range di temperature che va dai 40°C agli 80°C, considerata la sua alta capacità termica, la stabilità chimica, e il basso costo. Inoltre, l’acqua non è tossica né infiammabile, e può essere utilizzata sia come fluido termovettore che come materiale di accumulo, eliminando in tal modo il costo e le perdite termiche relative allo scambiatore di calore altrimenti necessario.

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Di seguito sono elencate alcune tipologie di accumuli SHTES

➢ SERBATOI CON ACQUA

I sistemi di accumulo termico stagionali a serbatoio d’acqua sono realizzati in acciaio o in calcestruzzo con uno strato di isolante termico applicato sulle superfici del serbatoio. Tipicamente, vengono utilizzati serbatoi con capacità superiore a 500 m3, caratterizzati da un basso rapporto superficie/volume, e quindi basse perdite termiche per unità di energia termica accumulata.

In molte installazioni questi serbatoi sono interrati o parzialmente interrati, come mostrato schematicamente nella figura seguente.

Figura 8: serbatoio interrato / serbatoio parzialmente interrato

In queste due tipologie di installazione, l’isolante termico è rappresentato in tutto o in parte dal terreno.

In questi sistemi, la potenza termica viene trasferita iniettando o estraendo acqua direttamente dal sistema di accumulo, oppure attraverso scambiatori di calore che possono essere sia interni che esterni rispetto al sistema di accumulo termico.

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➢ FALDE ACQUIFERE

I sistemi di accumulo termico basati sull’utilizzo di falde acquifere sono importanti per i vantaggi che si possono ottenere dal punto di vista economico.

Lo stoccaggio acquifero è correlato allo stoccaggio del terreno, tranne per il fatto che il mezzo di stoccaggio primario è l'acqua, che scorre a bassa velocità attraverso il terreno.

Le falde acquifere non possono essere isolate e quindi possono essere utilizzate solo falde acquifere che hanno basse portate naturali attraverso il campo di stoccaggio.

Per questi sistemi, l’acqua viene prelevata e iniettata attraverso dei pozzi realizzati nel terreno. Questi sistemi sono molto attraenti dal punto di vista economico, poiché non includono il costo del serbatoio né quello degli scavi tra i costi di investimento, e la quantità di calore che può essere accumulata dipende dal range di temperatura che è possibile sfruttare, dalla conducibilità termica e dai meccanismi di convezione naturale che si generano all’interno della falda.

Figura 9: sistema di accumulo di energia termica a falda acquifera

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➢ STAGNI SOLARI

Gli stagni solari sono stagni o laghi che possono essere utilizzati per assorbire ed accumulare energia solare e consistono in laghi artificiali o naturali il cui fondo viene spesso coperto da teli neri per attirare maggiormente la luce solare. Il materiale di accumulo è rappresentato da una soluzione salina.

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L’idea alla base prevede di sfruttare gradienti di densità che si creano in risposta a gradienti di salinità e fanno sì che l’acqua calda stazioni sul fondo del serbatoio a cielo aperto.

Il gradiente di salinità è tale da inibire i meccanismi di convezione naturale che porterebbero l’acqua calda a risalire verso il pelo libero dello stagno, in questo modo la dissipazione del calore verso l’atmosfera è impedita da un isolante superficiale di acqua più fredda.

Figura 10: stagno solare (solar pond)

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➢ STOCCAGGIO A LETTO IMBALLATO

Il letto imballato è costituito da un letto di materiale roccioso (ciottoli) non compresso attraverso il quale può fluire il fluido che trasporta il calore.

Nei sistemi di accumulo termico con materiale solido, tipicamente rocce o ghiaia, il fluido termovettore utilizzato per scambiare calore col materiale di accumulo è solitamente acqua o aria.

Nei casi in cui viene utilizzata l’aria come fluido termovettore, questo non contribuisce all’accumulo di energia termica, e il sistema di accumulo rientra nella categoria dei sistemi passivi. Invece, nei casi in cui viene utilizzata l’acqua come fluido termovettore, questa contribuisce all’accumulo di energia termica, ed il sistema di accumulo viene detto ibrido.

Durante il funzionamento, il flusso del fluido termovettore viene mantenuto in una direzione costante attraverso il letto per l'aggiunta di calore, e nella direzione opposta durante la rimozione del calore.

L'energia immagazzinata in un sistema di stoccaggio a letto impaccato dipende, oltre alle proprietà termofisiche del materiale, da diversi parametri, tra cui dimensione e forma della roccia, densità di impaccamento, fluido termovettore ecc.

Il principale svantaggio di questi sistemi è rappresentato dalla relativamente bassa capacità termica (se confrontata con quella dell’acqua) che caratterizza il materiale di accumulo solido, mentre il principale vantaggio di tali sistemi, nel caso in cui viene utilizzata l’aria come fluido termovettore, è rappresentato dal fatto che questi possono essere caricati a temperature ben più elevate rispetto al limite massimo relativo all’accumulo con acqua.

Questi sistemi richiedono volumi ben più grandi rispetto agli accumuli ad acqua e le maggiori dimensioni incidono sui costi di scavo e sui costi dell’isolamento termico, e sulle perdite termiche che possono essere eccessivamente alte.

Figura 11: accumulo termico a letto fisso con materiale roccioso

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Accumulo di calore latente LHTES (Latent Heat Thermal Energy Storage)

L’impiego dei materiali a cambiamento di fase (Phase Change Material, PCM) negli accumuli di energia termica permette di sfruttare il calore latente del cambiamento di fase, a differenza dei normali accumuli sensibili in cui l’accumulo di energia è dovuto alla variazione di temperatura.

L'accumulo di calore latente è una tecnica particolarmente interessante, poiché fornisce un'elevata densità di accumulo di energia e ha la capacità di immagazzinare il calore a una temperatura costante corrispondente alla temperatura di passaggio di fase dei materiali.

L’utilizzo del calore latente, rispetto all’utilizzo del calore sensibile, consente una maggiore variazione di entalpia del sistema a parità di dimensioni, e contemporaneamente minori differenze di temperatura tra accumulo carico e scarico.

Nel caso più generale, in cui lo scambio termico avvenga non completamente in corrispondenza del solo passaggio di stato a temperatura costante, la capacità di accumulo del sistema può essere espressa mediante la seguente equazione (valida per un solido che fonde) [11]:

𝑄 = ∫ 𝑐𝑝𝑠

𝑇𝑚 𝑇𝑖

∗ 𝑚 ∗ 𝑑𝑇 + 𝑚 ∗ 𝜆𝑠−𝑙 + ∫ 𝑐𝑝𝑙

𝑇𝑓 𝑇𝑚

∗ 𝑚 ∗ 𝑑𝑇 Dove:

Q [J] è l’energia immagazzinata

λs-l [J/kg] è il calore latente di fusione solido-liquido m [kg] è la massa del mezzo di accumulo

cps [J/kg K] è il calore specifico del mezzo solido cpl [J/kg K] è il calore specifico del mezzo liquido Tm [°C] è la temperatura di fusione (melting)

Ti eTf [°C] sono le temperature di inizio e fine processo (diverse da Tm)

Inizialmente i PCM si comportano come materiali di stoccaggio convenzionali e la loro temperatura aumenta quando assorbono calore, ma raggiunta la temperatura di fusione (nel caso di passaggio solido-liquido), a differenza dei materiali convenzionali, i PCM assorbono energia a temperatura all’incirca costante.

È fondamentale che la temperatura di fusione del materiale risulti prossima alla temperatura alla quale deve essere mantenuto l’accumulo altrimenti il vantaggio energetico tende a ridursi notevolmente via via che la temperatura di esercizio si discosta dalla temperatura di fusione del materiale. Ciò dipende dal fatto che i calori specifici allo stato solido e allo stato liquido del mezzo di stoccaggio sono inferiori a quello dell’acqua e quindi il loro utilizzo in queste condizioni non sarebbe giustificato.

L’elevata densità di accumulo dei PCM e la ridotta variazione di temperatura rendono questa tipologia di stoccaggio molto promettente.

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Si consideri che i sistemi a LHTES, a parità di energia termica immagazzinata, hanno dimensioni decisamente inferiori ad un sistema a SHTES, sebbene questi ultimi presentino minori difficoltà di progettazione per quanto concerne la trasmissione del calore e la scelta dei materiali.

Figura 12: confronto teorico tra differenti sistemi di accumulo di energia termica

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➢ CLASSIFICAZIONE PCM

I meccanismi di transizione di fase sono la prima sottocategoria con cui si classificano i PCM:

• Solido-gas e liquido-gas: normalmente non vengono utilizzati, nonostante l’elevato calore latente, poiché i significativi cambiamenti di volume rendono il sistema complesso ed ingombrante.

• Solido-solido: calore latente di passaggio da una struttura cristallina ad un’altra è relativamente basso se paragonato alla trasformazione liquido-solido

• Solido-liquido: presentano la maggior densità di accumulo e le minori variazioni volumetriche e per questo motivo sono la metodologia più studiata ed utilizzata.

Come si è visto dalla classificazione precedente i PMC che possono essere utilizzati sono quelli a cambiamento di fase solido-liquido e questa categoria è a sua volta suddivisa in funzione dei materiali utilizzati: organici, inorganici ed eutettici

Nella figura seguente vengono illustrate le varie tipologie di materiali utilizzabili:

Figura 13: classificazione dei Phase Change Material (PMC)

I phase change material con cambiamento di fase solido-liquido si distinguono in funzione del tipo di materiale utilizzato per lo stoccaggio:

• PMC organici: I componenti paraffinici sono disponibili con ampio range di temperature di fusione e ciò permette un ottimo accoppiamento con le temperature delle applicazioni. Hanno trovato una grande diffusione grazie al loro elevato calore latente di fusione (varia tra 120 e 250 kJ/kg). Le paraffine sono sicure, affidabili, poco costose e non corrosive. Sono chimicamente inerti e stabili sotto i 500°C, hanno una bassa tensione di vapore e minimi

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cambiamenti di volume durante la fusione. Per queste proprietà le paraffine hanno un ciclo di condensazione-fusione molto lungo. Il principale svantaggio delle paraffine è la bassa conduttività termica, oltre all’incompatibilità con i contenitori di plastica.

Le sostanze organiche non paraffiniche sono il gruppo di materiali a cambiamento di fase più numeroso, che presenta quindi proprietà variabili in un ampio intervallo di valori.

Sono materiali infiammabili e non devono essere esposti a temperature eccessivamente alte, fiamme o agenti ossidanti. Alcune caratteristiche di questi materiali organici sono: elevato calore di fusione, infiammabilità, bassa conducibilità termica, livello di tossicità variabile ed instabilità alle alte temperature. Il loro principale problema è tuttavia il costo, che è tipicamente da 2 a 2.5 volte maggiore di quello delle paraffine commerciali.

• PMC inorganici: I Sali idrati sono miscele di sale inorganico ed acqua che formano una struttura cristallina solida. Sono caratterizzati da un elevato calore latente, elevata conduttività termica, bassa tossicità e basso costo. Nella maggior parte dei casi i sali idrati hanno anche scarse proprietà di nucleazione, il che comporta un sottoraffreddamento del liquido prima che vi sia cristallizzazione. Un aspetto negativo di questi materiali è la segregazione di fase: a causa della diversa densità, il sale solidificato precipita sul fondo, riducendo di fatto la quantità di PCM disponibile per il successivo ciclo di idratazione, così che all’aumentare del numero di cicli si verifica una perdita di calore latente.

I PCM metallici comprendono i metalli basso-fondenti e i metalli eutettici. I metalli possiedono un basso calore latente per unità di peso, ma vista l’elevata densità possiedono un elevato calore latente per unità di volume, trovano facile applicazione nel caso di stringenti vincoli volumetrici. Alcune delle caratteristiche di questi metalli sono le seguenti: basso calore di fusione per unità di peso, elevato calore di fusione per unità di volume, alta conducibilità termica, basso calore specifico e tensione di vapore relativamente bassa. Una delle differenze più importanti tra i metalli e gli altri PCM è l’elevata conducibilità termica.

• PMC eutettici:Un eutettico è una miscela con un punto di fusione di minima, costituito da due o più componenti ciascuno dei quali fonde e condensa contemporaneamente formando una miscela di cristalli. I materiali eutettici sono una combinazione di due o più materiali con punti di fusione e congelamento simili (congruenti); gli eutettici quasi sempre si sciolgono e si congelano senza segregazione e hanno conducibilità e densità termica elevata. Le caratteristiche di questo tipo di materiale dipendono fortemente dai suoi componenti.

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26 Accumulo termochimico

I sistemi termochimici si basano sull’energia assorbita e rilasciata durante la rottura e la formazione dei legami molecolari all’interno di una reazione endotermica/esotermica completamente reversibile.

Durante il processo di caricamento, il calore viene applicato al materiale A, creando una separazione del materiale in due parti B + C. I prodotti di reazione risultanti possono essere facilmente separati e conservati fino a quando non è richiesto il processo di scarica. Quindi, nel momento di scarica, le due parti B + C vengono miscelate a condizioni di pressione e temperatura adeguate e l'energia viene rilasciata. I prodotti B e C possono essere immagazzinati separatamente e le perdite termiche delle unità di accumulo sono limitate agli effetti di calore sensibile, generalmente piccoli rispetto a quelli del calore di reazione. In questo caso il calore accumulato dipende dalla quantità di materiale (massa), dal calore di reazione e dal grado di reazione (frazione di reagenti convertita):

𝑄 = 𝑎𝑟 𝑚 ∆ℎ𝑟 dove:

Q [J] = energia termica accumulata;

ar = frazione convertita;

∆hr [J/kg] = calore endotermico di reazione;

m [kg] = ρV = massa dei reagenti.

La densità di accumulo, nelle reazioni termochimiche, risulta ancora più elevata che nei sistemi a calore latente. Inoltre, in molti casi, i reagenti chimici possono essere accumulati e conservati in condizioni ambientali standard per tempi anche indefiniti, consentendo un facile trasporto e riducendo buona parte delle perdite termiche. Per questo motivo sono privilegiate le reazioni reversibili con reagenti e prodotti facilmente accumulabili in forma liquida o solida.

I sistemi di accumulo chimico sono principalmente basati sull’idrogeno e sul gas naturale sintetico (“Synthetic Natural Gas”, SNG).

Un tipico sistema di accumulo dell’idrogeno è formato da un elettrolizzatore, un contenitore e una cella a combustibile. L’elettrolizzatore è un convertitore elettrochimico in grado, mediante l’uso di energia elettrica, di scindere l’acqua in idrogeno e ossigeno. L’idrogeno così ottenuto viene immagazzinato, sotto pressione, in appositi contenitori per un tempo teoricamente illimitato.

Come già detto, la seconda strada per provvedere a uno stoccaggio di tipo chimico è quella della sintesi del metano (SNG). Oltre al processo di elettrolisi dell’acqua, questa tecnologia prevede un ulteriore step, ovvero la reazione dell’idrogeno con l’anidride carbonica per la produzione di metano, che può poi essere immagazzinato con le stesse modalità dell’idrogeno o inviato direttamente nei gasdotti.

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27 TELERISCALDAMENTO

Il Decreto legislativo 102/2014, di recepimento della Direttiva EED, fornisce la seguente definizione di rete di teleriscaldamento e teleraffrescamento [12]: Il teleriscaldamento è una qualsiasi infrastruttura di trasporto dell'energia termica da una o più fonti di produzione verso una pluralità di edifici o siti di utilizzazione, realizzata prevalentemente su suolo pubblico, finalizzata a consentire a chiunque interessato di collegarsi alla medesima per l'approvvigionamento di energia termica per il riscaldamento o il raffreddamento di spazi, per processi di lavorazione e per la copertura del fabbisogno di acqua calda sanitaria.

Quindi il teleriscaldamento porta direttamente a casa degli utenti il calore, recuperato da fonti di calore esistenti sul territorio, coprendo la domanda di riscaldamento e di acqua calda sanitaria. Il calore viene trasportato da un fluido vettore che raggiunge le utenze grazie a una rete di tubazioni dedicate e interrate sotto il manto stradale.

Il fluido vettore distribuisce il calore agli utenti mediante le tubature di “mandata”, e ritorna alla centrale, ormai raffreddato, attraverso le tubature di “ritorno”.

La caratteristica peculiare del teleriscaldamento è la capacità di sfruttare una molteplicità di risorse di calore, anche contemporaneamente, alcune delle quali non utilizzabili da altre tecnologie di riscaldamento individuali, garantendo una maggiore flessibilità e sicurezza energetica.

Il teleriscaldamento può dunque essere definito come una infrastruttura energetica che permette di distribuire efficientemente calore agli edifici distribuiti sul territorio; in molti casi, ciò rende possibile recuperare fonti di calore che altrimenti sarebbero difficilmente utilizzabili, prime fra tutte il calore di scarto e rinnovabile.

L'affidabilità del servizio è elevatissima ed è possibile applicare il sistema ad intere aree urbane, rendendolo un vero e proprio servizio pubblico, come l'acquedotto o la rete elettrica cittadina.

Il teleriscaldamento, in Italia, è ormai una realtà consolidata con oltre 300 reti in esercizio, per un’estensione complessiva di 4.800 km e 9,3 GW di potenza termica installata; i comuni serviti da almeno una rete sono oltre 250, in gran parte concentrati nelle regioni settentrionali del Paese.

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Figura 14: volumetria riscaldata per settore nel 2018

Le utenze residenziali rappresentano il 63% della volumetria complessivamente riscaldata in Italia da reti di teleriscaldamento; seguono il settore terziario (35%) e le utenze industriali (3%).

Le reti di teleriscaldamento sono particolarmente diffuse in contesti di elevata urbanizzazione, laddove cioè la concentrazione territoriale di famiglie e imprese rende tecnicamente più agevole soddisfarne i fabbisogni termici: il 64% circa della potenza termica installata in Italia è infatti concentrata nei territori dei comuni con grado di urbanizzazione alto.

Il ruolo di primo piano dei sistemi di teleriscaldamento e teleraffrescamento in Italia è peraltro confermato dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), presentato alla Commissione europea nel gennaio 2020, che assegna a tali sistemi un ruolo di rilievo nel perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile e risparmio energetico, prevedendo in particolare un’estensione aggiuntiva delle reti ed enfatizzando la diffusione di sistemi efficienti.

Il concetto di sistema di teleriscaldamento efficiente, introdotto dalla Direttiva 2012/27/CE, assume ulteriore rilevanza nel cosiddetto Clean Energy for all Europeans Package, che definisce le politiche europee in materia di energia e clima fino al 2030. La definizione che fornisce i requisiti quantitativi per classificare un sistema di teleriscaldamento come efficiente (D.lgs 102/2014, art 2) è: sistema di teleriscaldamento o teleraffreddamento che usa, in alternativa, almeno:

a) il 50 per cento di energia derivante da fonti rinnovabili;

b) il 50 per cento di calore di scarto;

c) il 75 per cento di calore cogenerato;

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d) il 50 per cento di una combinazione delle precedenti.

In Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e nella provincia di Bolzano sono immesse nelle reti di teleriscaldamento quantità di energia termica significativamente maggiori rispetto alle altre regioni;

tali sistemi sono prevalentemente alimentati da gas naturale.

Il 64% dell’energia immessa in rete proviene da gas naturale;

segue, molto distanziata, la biomassa solida (13%).

I principali componenti dei sistemi di teleriscaldamento

Caratteristica importante di questa infrastruttura è la distanza esistente tra i punti di produzione e i punti di utilizzo del calore. Da qui nasce dunque il concetto fondante del teleriscaldamento ovvero di poter usufruire di una fonte di calore che altrimenti verrebbe dispersa e quindi sprecata [13].

Le parti che costituiscono l’infrastruttura sono le fonti di generazione di calore, la rete di distribuzione vera e propria costituita da tubi sotterranei e le sottostazioni presso le utenze (il cui componente principale è lo scambiatore di calore), che permettono di realizzare lo scambio termico tra il fluido termovettore della rete di teleriscaldamento e il circuito dell’impianto di distribuzione interna del riscaldamento dell’utenza.

Le sottostazioni sono la sede in cui avviene lo scambio termico tra il fluido termovettore della rete di teleriscaldamento (circuito primario) e il circuito degli impianti di distribuzione del riscaldamento dell’utenza (circuito secondario); lo scambiatore della sottostazione è il componente del teleriscaldamento che va a sostituire il generatore in una utenza che viene allacciata alla rete.

Talvolta la rete include anche dei serbatoi di acqua calda (accumulatori di calore) utilizzati per far fronte ai picchi di domanda e per assicurare un funzionamento più regolare degli impianti di generazione.

Una rete di teleriscaldamento idraulica permette delle distanze limitate fra utenza e luogo di produzione del calore, dovute alle perdite di pressione e dispersioni termiche imputabili alla rete di distribuzione.

Figura 15: energia termica immessa nelle reti di teleriscaldamento in Italia per fonte

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Le perdite di distribuzione delle reti di teleriscaldamento italiane nel 2018 sono pari al 17%

dell’energia immessa.

Generazione di calore

La rete può essere alimentata da una o più centrali di produzione di energia o da fonti rese disponibili sul territorio sia rinnovabili che di recupero industriale. Il dimensionamento, la tipologia e il numero delle centrali di generazione dipendono, oltre che dalla domanda complessiva, dall’estensione della rete e dalla densità della domanda.

Le centrali di produzione di energia possono essere:

• Centrali termoelettriche cogenerative

• Impianti di cogenerazione

• Recupero di calore da impianti industriali

• Fonti di energia rinnovabile

• Altri impianti di recupero termico

Queste fonti di calore locali, quali recupero di calore in eccesso e rinnovabili, sono considerate strategiche per la sostenibilità ambientale ed economica dei sistemi di teleriscaldamento poiché riducono l’uso di fonti fossili. A queste fonti di calore sostenibili e rinnovabili si aggiungono sempre caldaie di soccorso e riserva per garantire la continuità del servizio e per coprire i picchi di domanda.

La percentuale di fornitura di calore da combustibili fossili è molto alta nell'Unione Europea (70%), poiché i combustibili fossili sono ancora la principale fonte di energia sia per la cogenerazione che per le caldaie.

La produzione è di tipo centralizzato e può essere realizzata con le migliori tecnologie e massimo rendimento; per trarre il massimo vantaggio dal punto di vista energetico, il calore immesso nella rete, se fosse prodotto da fonte fossile, dovrebbe essere generato da un sistema cogenerativo. I sistemi di teleriscaldamento che utilizzano centrali a cogenerazione consentono infatti il raggiungimento di una maggior efficienza energetica globale.

Con questa tecnologia la centrale è in grado di produrre energia elettrica e recuperare contemporaneamente l’energia termica che si sprigiona durante il processo termodinamico che nelle centrali elettriche convenzionali viene disperso in atmosfera come “scarto”. Pertanto, a parità di energia utile prodotta, la produzione combinata di energia elettrica e termica consente un minor consumo di combustibile, massimizzando lo sfruttamento delle risorse immesse.

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A titolo di esempio, nelle immagini sottostanti viene evidenziata la differenza tra produzione di un sistema cogenerativo e produzione di un sistema tradizionale

Il mix di fonti di energia primaria utilizzato nei sistemi di riscaldamento urbano in Italia nel 2019 è visibile in Figura 19.

Figura 18: fonti dell'energia immessa in rete nel 2019

Il 78% del calore prodotto dai sistemi di generazione proviene da cogenerazione e da fonti rinnovabili.

Il contributo maggiore per quanto riguarda le fonti rinnovabili è sicuramente dato dalla cogenerazione rinnovabile, nella quale si considerano sia le bioenergie tradizionali (biomassa e biogas) che la frazione biodegradabile dei rifiuti urbani.

Rete di distribuzione

La rete di distribuzione, che connette le fonti presenti sul territorio alle utenze, è formata da tubi coibentati, in genere posti nel sottosuolo, che costituiscono la rete di mandata e la rete di ritorno.

Dall’unità in cui il calore viene generato/recuperato, il fluido termovettore giunge alle sottostazioni d’utenza attraverso la tubazione di mandata. Negli scambiatori di calore, che vanno generalmente a

Figura 17: efficienza energetica di un sistema convenzionale Figura 16: efficienza energetica di un sistema cogenerativo

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sostituire le tradizionali caldaie degli impianti centralizzati o delle abitazioni monofamiliari, il fluido termovettore cede il proprio contenuto energetico al circuito secondario, e poi viene di nuovo trasportato verso la fonte di calore attraverso le tubazioni di ritorno.

Le configurazioni delle reti di distribuzione del calore nel teleriscaldamento sono essenzialmente di due tipi: dirette e indirette.

La rete diretta, diffusa soprattutto in Germania e paesi dell’Est, è costituita da un unico circuito idraulico dalla caldaia al corpo scaldante. I vantaggi sono i minori costi di installazione e le ridotte perdite di calore, tuttavia ciò comporta notevoli complicazioni di esercizio, soprattutto per ciò che concerne la regolazione delle portate e i calcoli delle perdite di carico.

La rete di distribuzione di tipo indiretto, più utilizzata in Italia, è costituita da due circuiti distinti tra cui è interposto uno scambiatore in prossimità dell’utenza. I costi di investimento e le perdite sono maggiori, ma ciò consente l’utilizzo di componenti a bassa pressione per il circuito dell’utente, semplifica la manutenzione, rende più facile la localizzazione delle perdite e l’energia viene regolata e contabilizzata in modo più efficiente.

All’interno della rete di distribuzione si individuano tre componenti principali: la rete di trasporto L3, distribuzione L2 e allacciamento L1, come da Figura 19.

Figura 19: rete di teleriscaldamento e relative lunghezze

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In base a come le tubazioni sono disposte, e la forma che il sistema assume, si hanno tre tipologie principali di reti:

o La rete ad anello è costituita da un circuito chiuso in cui è presente un’unica tubazione sia per la mandata che per il ritorno; quindi la tubazione parte dalla centrale, arriva all’utenza e ritorna all’impianto. Il sistema è flessibile e facilmente ampliabile.

o La rete ramificata invece consta di una direttrice principale in corrispondenza delle grandi utenze, da questa si ramificano le tubazioni di diametro inferiore verso le utenze secondarie.

o La rete a maglie è formata da una serie di circuiti chiusi collegati tra loro. Presenta maggiori vantaggi rispetto alle reti ad anello e ramificate per quanto riguarda la regolazione e la distribuzione del calore, tuttavia è poco diffusa dati gli alti costi di installazione.

I sistemi di teleriscaldamento vengono classificati in generazioni per specificare le caratteristiche, come il livello di temperatura del fluido termovettore e la tecnologia utilizzata per la rete di distribuzione.

La prima generazione utilizza il vapore come vettore termico mentre i sistemi di seconda generazione utilizzano acqua calda pressurizzata a più di 100°C e sono nati principalmente per recuperare il calore dagli impianti di cogenerazione. A partire dagli anni '70 il livello di temperatura è stato ridotto al di sotto dei 100°C definendo il teleriscaldamento di terza generazione.

La tendenza è stata quella di ridurre il livello di temperatura e seguendo questo trend la tecnologia di quarta generazione prevede una drastica riduzione della temperatura di fornitura a 60-55°C per ampliare la possibilità di integrazione delle fonti di energia rinnovabile e di recupero del calore di scarto sul territorio.

Se da un lato il vantaggio dei sistemi di teleriscaldamento è quello di recuperare il calore residuo, dall’altro la distribuzione è accompagnata da un fenomeno fisiologico di perdite, sia in termini di calore che di perdite di pressione. A causa di questo fenomeno, la fornitura totale di calore coperta dall'impianto di generazione è la somma della domanda dell'utente e delle perdite di calore per coprirla. Di conseguenza, è essenziale dimensionare e gestire le reti di distribuzione per ridurre sia le perdite di temperatura che quelle di pressione.

La rete di teleriscaldamento deve essere equilibrata e presentare la stessa resistenza idraulica per ogni tratto a partire dalla centrale fino ad ogni sottocentrale di utenza. Le stazioni di pompaggio servono pertanto a compensare automaticamente le perdite di pressione della rete. I principali componenti sono le elettropompe di circolazione, i filtri, il vaso di espansione, il sistema di controllo automatico e il serbatoio di riserva. La pressione di esercizio della rete di distribuzione dipende dai dislivelli, mentre le perdite di pressione che le pompe dovranno compensare dipendono dallo sviluppo della rete, dalle sue diramazioni e dalle velocità del fluido.

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34 Sottostazioni di utenza

La sottostazione di utenza ha il compito di svolgere fisicamente il ruolo della caldaia domestica.

Essenzialmente è costituita da uno scambiatore di calore che separa il circuito della rete di teleriscaldamento dal circuito dell’utenza. Altri componenti importanti sono la valvola di regolazione, il regolatore elettronico della temperatura di mandata ed un contabilizzatore di energia termica.

Le utenze delle reti di teleriscaldamento sono edifici residenziali, terziari e qualche industria. La sottocentrale installata presso ciascuna utenza è in grado di fornire il calore per il riscaldamento degli ambienti, produrre acqua calda per usi igienico-sanitari, garantire la separazione fisica del circuito di rete dai circuiti interni degli utenti. Inoltre, le sottocentrali per le utenze residenziali sono dotate di meccanismi che permettono di regolarne il funzionamento nei mesi invernali (acqua calda sanitaria e riscaldamento) e nei mesi estivi (solo produzione di acqua calda sanitaria). La domanda di riscaldamento degli ambienti è definita da una temperatura variabile a seconda dei terminali di impianto (radiatori o pavimento radiante) e il profilo termico sia durante l'anno che durante il giorno è altamente variabile.

Con l’utilizzo di un sistema di accumulo è possibile ridurre il picco di domanda termica delle utenze, di conseguenza non è più necessario l’utilizzo di caldaie ausiliarie, per i picchi di domanda, riducendo in questo modo il consumo di energia primaria.

Futuro del teleriscaldamento

In un quadro di progressivo aggiornamento delle strategie energetiche, diversi progetti di ricerca hanno iniziato a contribuire al riconoscimento del teleriscaldamento come sistema strategico per l’efficienza energetica urbana grazie al recupero del calore in eccesso e lo sfruttamento su larga scala di rinnovabili locali. Esso ha guadagnato più interesse e importanza nella lotta al cambiamento climatico e in particolare nell’ambizione europea di decarbonizzazione; perché questa tecnologia può utilizzare fonti strategiche per la riduzione dell’impatto ambientale come: calore in eccesso da cogenerazione; calore da incenerimento dei rifiuti; calore in eccesso proveniente da processi industriali; combustibili difficili da gestire in piccole caldaie (biomassa, rifiuti di legno); energie rinnovabili naturali (geotermia, calore solare ecc.).

Inoltre, emerge che la tecnologia che può portare all’adempimento di questi ambiziosi punti esiste ed è il teleriscaldamento a bassa temperatura, detto anche teleriscaldamento di quarta generazione.

Questa tecnologia, che è caratterizzata da basse temperature di distribuzione, da tubi in plastica più leggeri ed economici dei tradizionali tubi in acciaio, permette infatti ampio sfruttamento delle risorse rinnovabili.

Tuttavia, le fonti precedentemente elencate non sono sempre disponibili anche se l’ambiente urbano offre diverse altre opzioni di recupero di calore, anche se a temperature più basse.

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In mancanza di fonti di calore a media-bassa temperatura è più efficiente considerare una rete a temperatura “neutra”, cioè a temperature di esercizio intorno a 20-25 °C, collegata a pompe di calore acqua/acqua decentralizzate installate presso le utenze. [14]In questo modo le perdite termiche di rete possono essere minimizzate. Inoltre, utilizzando pompe di calore invertibili, tale sistema offre la possibilità di fornire simultaneamente un servizio di teleriscaldamento e di teleraffrescamento, risultando così vantaggioso l’installazione di una rete termica in climi dove la sola domanda di riscaldamento non giustificherebbe l’investimento.

Accanto ai vantaggi citati, tali reti presentano alcune criticità, tra cui in particolare i costi legati alle pompe di calore, in termini sia di investimento che di consumi elettrici. È quindi indispensabile tenere conto dell’efficienza di tali macchine.

Nella figura seguente viene illustrata una schematizzazione dell’impianto a rete neutra con pompe di calore dislocate.

Figura 20: rappresentazione concettuale di una rete a temperatura neutra con pompe di calore dislocate

Le fonti di calore di scarto a bassa temperatura disponibili nel contesto urbano sono piuttosto varie e diversificate: ad esempio, supermercati e centri commerciali, industrie, attività artigianali, ospedali.

Riferimenti

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