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LA TUTELA DEL BENE AMBIENTE IN COSTITUZIONE

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Academic year: 2022

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L L A A T T UT U T EL E LA A D DE EL L B BE E NE N E AM A M BI B IE E NT N T E E T TR RA A DI D IR RI I T T TO T O P P UB U B BL B L IC I CO O E E D DI IR RI IT TT TO O

DE D E LL L L ’U U N N IO I ON N E E E E UR U RO O PE P E A A

P P . . B B G G

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Indice

1 LA TUTELA DEL BENE AMBIENTE IN COSTITUZIONE --- 3 2 IL DIBATTITO DOTTRINALE --- 5 3 LA “MATERIA” AMBIENTE NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE --- 8

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1 La tutela del bene ambiente in Costituzione

In assenza di una base giuridica in Costituzione esplicitamente dedicata all'ambiente, gli articoli di riferimento ai quali sia la dottrina che la giurisprudenza si sono ispirate nel ritenere il bene “ambiente” meritevole di tutela sono i seguenti:

Art. 9 Cost.

“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Art. 2 Cost.

“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Art. 32.

“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

E' infatti solo con l’evolversi della concezione ecocentrica della tutela ambientale che il bene ambiente assurge ad oggetto immediato di tutela, prescindendo dalla protezione di altri valori, quali la proprietà e la salute.1 Nelle parole della Corte costituzionale “l’ambiente è protetto come elemento determinativo della qualità della vita. La sua protezione non persegue astratte finalità naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l’esigenza di un habitat naturale nel quale l’uomo vive ed agisce e che è necessario alla collettività e, per essa, ai cittadini secondo valori largamente sentiti; è

1 R. Miranda, Costituzione e rifiuti, in A. Lucarelli e A. Pierobon, Governo e gestione dei rifiuti. Idee, percorsi, proposte, Napoli, ESI; 2009, p. 54

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imposta innanzitutto da precetti costituzionali (art. 9 e 32 Cost.), per cui esso assurge a valore primario ed assoluto”.2

2 Sentenza della Corte costituzionale del 30 dicembre 1987, n. 641.

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2 Il dibattito dottrinale

Il termine ambiente, infatti, esprime un concetto di non facile definizione, spesso sfuggente e complicato da determinare e formulare in maniera esaustiva. Il dibattito dottrinale sulla ricostruzione di una nozione giuridica di ambiente è stato contrassegnato dal consolidarsi di due principali filoni interpretativi a seconda che ad esso sia stata riconosciuta o meno autonomia giuridica. I sostenitori delle teorie pluraliste ricostruiscono il concetto di ambiente in modo frazionato, basandosi il più delle volte sulle indicazioni provenienti dalla disciplina positiva, che quasi sempre ha affrontato le questioni ambientali in maniera settoriale. Un primo orientamento (Giannini), ormai risalente nel tempo, che nega rilievo giuridico autonomo alla nozione, si basa su una tripartizione di ambiente, che sarebbe costituito: dagli istituti concernenti le bellezze paesistiche e culturali; dagli istituti finalizzati alla lotta contro gli inquinamenti; e, infine, gli istituti concernenti il governo del territorio. Nel corso degli anni, tuttavia, le questioni ambientali hanno raggiunto una dimensione sempre più estesa sia in ambito internazionale che all’interno della Comunità europea.

La crescente attualità dei problemi ambientali ha, quindi, determinato un significativo fenomeno di proliferazione della produzione normativa, rendendo sempre più necessaria una più chiara ed equilibrata nozione di ambiente. In questo nuovo contesto le teorie pluraliste cominciano a risultare, in qualche modo anacronistiche, forse perché troppo legate, storicamente, ad una fase in cui il diritto dell’ambiente non aveva ancora raggiunto un sua più precisa fisionomia. Le impostazioni pluraliste vengono, quindi, progressivamente superate – anche se non del tutto abbandonate - per dare spazio a tentativi di ricostruzione unitaria del concetto di ambiente. Ciò avviene innanzitutto ad opera della giurisprudenza della Corte di Cassazione che, attraverso l’interpretazione sistematica degli artt. 2 e 32 Cost., individua il diritto alla salubrità dell’ambiente, inteso come diritto assoluto e perfetto, partendo dal presupposto che la protezione non debba limitarsi alla incolumità fisica dell’uomo, concepito in una condizione di chiusura o di isolamento, ma debba estendersi alla sua vita associata e, quindi, alla preservazione, nei luoghi in cui tale vita si svolge, delle condizioni indispensabili alla sua salute. L’art. 32, infatti, pone le premesse di una compiuta tutela della salute, sia da un punto di vista individuale che sociale; al disposto del comma I, infatti, possono essere ricondotte altre tematiche parallele alla tutela della salute, come il diritto alla qualità della vita e dell’ambiente, il diritto alla salubrità dell’ambiente di lavoro, la tutela dei consumatori, ecc. E’ stato giustamente sottolineato, quindi, che una visione sostanzialmente unitaria

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dell’ambiente è legata ad impostazioni essenzialmente soggettive, mentre quella pluralista è tipica di un approccio di natura oggettiva che finisce con il ricondurlo alla categoria dei diritti sociali.

L’orientamento della Cassazione è stato, poi, successivamente ripreso dalla Corte Costituzionale in alcune sentenze del 1987 (nn. 210 e 641), dalle quali emerge una concezione sostanzialmente unitaria dell’ambiente, anche se formato da diverse componenti, ciascuna delle quali può anche costituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e tutela. La Corte Costituzionale, in ogni caso, non ha definito sempre in modo univoco gli interessi ambientali anche se, nel corso del tempo, si è assistito ad una progressiva affermazione del rilievo costituzionale dell’ambiente fino alla sua espressa configurazione come valore. E’ pur vero, d’altro canto, che l’ambiente come valore costituzionale non trova nella nostra Costituzione una traduzione formale, come avviene invece per altri valori espressi in formulazioni giuridiche positive. Ciononostante, la Corte ha espressamente riconosciuto nell’esigenza di protezione dell’ambiente l’esistenza di un valore, da ritenersi sotteso alla nostra Costituzione. Riconoscere all’ambiente la dignità di valore costituzionale vuol dire, sostanzialmente, ritenerlo uno degli elementi fondamentali che caratterizzano una società in un determinato periodo storico, anche se ciò non implica che lo stesso non possa subire alcun tipo di interferenza. Le società moderne, infatti, sono fondate su una pluralità di valori che possono talvolta confliggere e, in tal caso, i conflitti tra valori equiordinati devono essere risolti attraverso un meccanismo di bilanciamento, individuando la soluzione che meglio risponde, in termini di adeguatezza, al caso concreto. Anche se il riconoscimento alla protezione dell’ambiente di valore costituzionale non dipende da una esplicita formulazione in tal senso, il perdurare di dubbi e incertezze di carattere interpretativo sia nella legislazione sia nella giurisprudenza rende, tuttora, attuale l’esigenza di introdurre nel testo della Costituzione una nozione di ambiente più chiara ed esaustiva. Le difficoltà relative alla definizione di ambiente sono riscontrabili d’altronde, anche nell’ambito del diritto positivo. La legge istitutiva del Ministero dell’ambiente, ad esempio, non ha offerto una nozione compiuta di ambiente, limitandosi, in alcuni casi, a delle espressioni generiche e, in altri, a ritenere la nozione semplicemente presupposta. Forse più utile, da un punto di vista definitorio, è la direttiva 85/337 concernente la valutazione di impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, in base alla quale la VIA individua, descrive e valuta gli effetti diretti e indiretti di un progetto in relazione ad una serie di elementi: l’uomo, la fauna e la flora; il suolo, l’acqua, l’aria, il clima e il paesaggio; l’interazione tra i fattori suddetti; i beni materiali e il patrimonio culturale. Questa previsione consente di individuare, sostanzialmente, due

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diverse nozioni di ambiente: una più generica e di tipo relazionale ed un’altra che si fonda, invece, sull’equilibrio ecologico, come si evince dal riferimento al dato climatico e, soprattutto, al fenomeno di interazione dei diversi fattori considerati.

Forse una definizione in termini unitari di ambiente potrebbe essere possibile se i giuristi accettassero di attingere alle esperienze e alle nozioni di altre scienze. E’ questo l’orientamento espresso da una parte della dottrina (B. Caravita, M. Cecchetti), che in più occasioni ha sottolineato che in materia ambientale è spesso mancato uno specifico riferimento all’ecologia, che è la scienza che studia le condizioni di vita reali degli organismi e le interrelazioni degli organismi con l’ambiente. Per comprendere meglio il significato di certe nozioni (pensiamo, ad esempio, a quella di ecosistema introdotta dalla riforma) è, infatti, indispensabile approfondire il lessico di altre scienze. Per ambiente, infatti, deve anche intendersi l’insieme delle condizioni fisico-chimiche e biologiche che permette la vita degli esseri viventi. L’ecologia ci insegna che con il termine ecosistema si individua un insieme di fattori nel quale esiste uno stato di equilibrio, autonomo in rapporto agli altri ecosistemi e che la biosfera è lo spazio occupato dall’insieme degli esseri viventi del nostro pianeta, ed è quindi la combinazione di tutti gli ecosistemi. Già sulla base di queste semplici precisazioni è possibile rilevare che l’espressione “tutela dell’ecosistema” (introdotta dalla riforma del titolo V), ad esempio, è fuorviante perché non esiste un solo ecosistema ma tanti ecosistemi. In una prospettiva ecologica, dunque, per ambiente si può intendere l’equilibrio ecologico della biosfera o dei singoli ecosistemi di riferimento, sempre tenendo presente, però, che della biosfera e degli ecosistemi fa parte anche l’uomo, nonché gli ambienti costruiti e strutturati dall’uomo e dagli altri esseri viventi nel corso di secoli e millenni.

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3 La “materia” ambiente nella giurisprudenza della Corte costituzionale

Nella sentenza n. 407 del 2002 la Corte Costituzionale, investita di una questione di legittimità in riferimento all’art. 117 Cost., ritiene che non si possa identificare una materia in senso tecnico, qualificabile come tutela dell’ambiente, dal momento che “non sembra configurabile come sfera di competenza statale, rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia con altri interessi e competenze”. Il supremo collegio ribadisce essenzialmente quello stesso orientamento giurisprudenziale, consolidatosi anteriormente alla nuova formulazione del titolo V, che configura l’ambiente come valore costituzionalmente protetto, che in quanto tale, delinea una sorta di materia “trasversale”, in ordine alla quale si manifestano competenze diverse.

Le problematiche ambientali, oltre ad essere state oggetto di particolare interesse per aver fatto emergere con maggiore chiarezza i difficili rapporti tra stato e regioni nell’ambito del riparto di competenze, hanno costituito un importante terreno di indagine, sia per la dottrina che per la giurisprudenza, nel difficile tentativo di elaborare una nozione di ambiente che avesse un certo rilievo giuridico, vista l’assenza, nella nostra Costituzione, di una formulazione a riguardo.

A prescindere, in ogni caso, dai tentativi compiuti dalla dottrina e dalla giurisprudenza al fine di individuare una più esaustiva nozione di ambiente, è importante sottolineare che la riforma del titolo V, nel fissare i principi fondamentali relativi all’organizzazione degli interessi ambientali, soprattutto per quanto riguarda il riparto di competenze tra Stato e regioni, non ha contribuito a fornire alcun elemento di specificazione riguardo ai profili contenutistici di tutela dell’ambiente. La legge di revisione costituzionale, nell’elenco delle materie di competenza esclusiva dello Stato indica la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; individua invece come materie di competenza concorrente la tutela della salute e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali, facendo salva la residuale competenza delle regioni in riferimento ad ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. Effettivamente con la riforma del titolo V la parola ambiente entra a far parte della nostra Costituzione, ma è anche vero che sarebbe stato lecito aspettarsi, dopo tutti gli sforzi compiuti dalla giurisprudenza costituzionale, una operazione più efficace di razionalizzazione, che permettesse a chiunque di avere conoscenza di un valore fondamentale mediante la semplice lettura del testo costituzionale. Probabilmente con la riforma del titolo V, se

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da un lato si è persa una occasione per fare chiarezza sul concetto in questione, dall’altro, il riconoscimento della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, quale materia di competenza esclusiva dello stato, e l’attribuzione alle regioni di una competenza legislativa concorrente su tutta una serie di materie riconducibili all’ambiente costituiscono un importantissimo traguardo sotto il profilo della tutela. Tuttavia a complicare ulteriormente le questioni di carattere interpretativo, come si accennava all’inizio, è la constatazione che nell’ambito dell’organizzazione pubblica italiana la materia ambientale ha portato allo scoperto i difficili rapporti tra stato, regioni ed enti locali.

Prima della riforma del titolo V, l’art. 117 Cost. si limitava a menzionare materie che con l’ambiente avevano semplicemente punti di contatto, come l’urbanistica, i lavori pubblici, l’assistenza sanitaria, l’agricoltura, la caccia e la pesca, ecc.. Per tracciare l’ordine delle attribuzioni dei livelli di governo statale, regionale e locale si deve necessariamente far riferimento alla legislazione di attuazione dello stato regionale, nonché alla legislazione che progressivamente è intervenuta a disciplinare il settore ambientale. Il d.P.R. n. 616/77, che ha rappresentato il quadro di riferimento normativo vigente fino alla fine degli anni 90, ha decisamente ampliato le attribuzioni regionali, individuando quelle incidenti in materia ambientale nel quadro della più comprensiva materia urbanistica. Nel corso della XIII legislatura, per effetto della riforma dell’ordinamento delle attribuzioni statali, regionali e locali avviato dalla legge n. 59/97, è stato messo in atto un processo di conferimento di funzioni e compiti alle regioni e agli enti locali, sia con riguardo a materie rientranti nella competenza legislativa concorrente di cui all’art. 117 Cost., sia con riguardo a materie di competenza statale. In attuazione delle deleghe contenute nella legge n. 59/97, il governo ha emanato una serie di decreti delegati in diverse materie, tra i quali il d.lgs.

112/98 in relazione a tre importanti settori: sviluppo economico e attività produttive; territorio, ambiente e infrastrutture; servizi alla persona e alla comunità. Alla materia “territorio, ambiente e infrastrutture” il d.lgs dedica un apposito titolo, il III e nel definire l’oggetto delle disposizioni in esso contenute, stabilisce, all’art. 51, che esse attengono al conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti amministrativi in tema di: territorio e urbanistica; protezione della natura e dell’ambiente; tutela dell’ambiente dagli inquinamenti e gestione dei rifiuti; risorse idriche e difesa del suolo; opere pubbliche; viabilità e trasporti; protezione civile. Ulteriori competenze sono state attribuite alle regioni, nell’ambito dei conferimenti effettuati dal d.lgs. n. 112/98, in materia di tutela della salute. E’ importante tuttavia sottolineare che il d.lgs. 112/98 contiene cospicui elenchi di compiti di rilievo nazionale riguardanti la tutela dell’ambiente, a conferma del

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fatto che nel tradizionale scontro tra l’anima centralistica e quella localistica in materia ambientale sia largamente prevalsa la prima. Tracciare quindi un quadro definitivo delle competenze regionali in materia di tutela dell’ambiente è piuttosto difficile, anche perché il criterio dell’interesse nazionale ha legittimato per lungo tempo il legislatore statale a sottrarre alle regioni e, di conseguenza, ad attribuire allo stato potestà normative e amministrative in materia di protezione dell’ambiente. La tendenza statalista si è progressivamente mitigata solo sul finire degli anni 80 allorquando la Corte costituzionale ha iniziato a fissare i limiti di legittimità costituzionale, ai quali il parlamento avrebbe dovuto attenersi nel ricorrere al criterio dell’interesse nazionale in materia di tutela dell’ambiente. Inoltre l’affermarsi della tendenza a considerare le esigenze di protezione dell’ambiente un valore costituzionale trasversale ha contribuito al venir meno della prospettiva del regionalismo garantista, improntata ad una rigida separazione tra lo stato e le autonomie regionali, e all’affermarsi di una prospettiva di regionalismo cooperativo, che tende invece a favorire l’integrazione tra i diversi livelli di governo territoriale, secondo il principio di leale collaborazione.

a)

La normativa di diritto dell’Unione europea

La tutela dell’ambiente rappresenta uno degli innumerevoli settori che nell’ordinamento comunitario si sono rafforzati su impulso della giurisprudenza comunitaria. Di fatto, data l’assenza di relative basi giuridiche nel Trattato di Roma (1957) istitutivo della Comunità economica europea (CEE), la Corte di giustizia delle Comunità europee ha spesso consentito che le istituzioni comunitarie adottassero decisioni nel campo della protezione ambientale basandosi sull’art. 308 TCE (ex art.

235 TCEE), secondo cui “quando un’azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunità, senza che il presente trattato abbia previsto i poteri d’azione a tal uopo richiesti, il Consiglio … prende le disposizioni del caso”. Inoltre, nel 1985, la Corte di giustizia dichiarò nel caso Adbhu (C-240/1983) che la tutela dell’ambiente “costituisce uno degli scopi essenziali della Comunità” (paragrafo 13), anticipando così, ed in un certo senso sollecitando, l’inserimento di una base giuridica specifica dedicata alla protezione dell’ambiente nei Trattati istitutivi. La tutela dell’ambiente, dunque, grazie

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alla proverbiale attività di policy making svolta dalla Corte, rappresenta uno dei casi esemplificativi di quella che Alec Stone Sweet definisce the judicial construction of Europe. Solo nel 1986 avverrà un recepimento da parte del diritto positivo dei principi sanciti dalla giurisprudenza comunitaria, e sarà infatti attribuita alla CEE un’esplicita competenza in materia di ambiente grazie agli articoli 130 R, 130 S e 130 T dell’Atto Unico Europeo.

In realtà, una sensibilità politica comune era già emersa durante il vertice europeo di Parigi del 1972 tra i capi di stato e di governo, quando alcuni paesi della Comunità invitarono a considerare l’obiettivo della crescita economica in modo strettamente connesso all’obiettivo altrettanto importante del miglioramento della qualità della vita, ponendo dunque l’attenzione sulla necessarietà di un adeguato livello di tutela dell’ambiente che accompagnasse il progresso tecnologico. Non è un caso, infatti, che nel 1973 si costituì sia la Commissione per l’Ambiente in seno al Parlamento europeo, sia un Servizio per l’Ambiente e la Protezione del Consumatore all’interno della Direzione generale della Commissione responsabile per la politica industriale (DG III). Il proliferare dei Programmi d’Azione Comunitari per l’Ambiente a partire proprio dal 1973, del resto, dimostra quanto fosse già consolidata tra gli Stati membri l’intenzione di implementare una politica comunitaria comune in materia di ambiente che potesse prescindere dal metodo della mera cooperazione intergovernativa nel perseguimento di obiettivi comuni.

Il Primo Programma di Azione Comunitario (1973/1976), per quanto enfatizzasse l’importanza dei problemi ambientali nella moderna società industriale europea, subordinava tuttavia il tema dell’ambiente al perseguimento dell’obiettivo primario del mercato comune, sottolineando quanto una dissimmetria tra le legislazioni nazionali in materia di ambiente potesse essere d’ostacolo al libero mercato. Il Secondo Programma d’Azione (1977/1981) invocava, invece, la realizzazione di azioni generali a favore della protezione dell’ambiente indipendentemente dal valore aggiunto che tali azioni comuni avrebbero apportato al mercato comune, promuovendo la ricerca scientifica nel settore ambientale, il rispetto di principi fondamentali per una politica ecologica comunitaria, l’azione preventiva e

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la salvaguardia delle risorse naturali. Il Terzo Programma di Azione (1982/1987), faceva per la prima volta riferimento ad una strategia ambientale globale, inquadrando la politica ambientale tra i fondamenti dello sviluppo economico e sociale. Il Quarto Programma d’Azione (1987/1992), infine, invitava ad una gestione razionale ed attenta del patrimonio naturale, inseriva la possibilità dell’utilizzo di meccanismi economico-finanziari di disincentivazione dell’inquinamento e si proponeva di intervenire anche su in inquinamento atmosferico, biotecnologie e sicurezza nucleare.

Parallelamente ai suddetti Programmi di Azione, quadri generali di riferimento dell’azione comunitaria, seppur senza efficacia giuridica vincolante, anche un’analisi del diritto secondario mostra che la tutela dall’ambiente rappresenta ormai un sensitive issue nell’agenda delle istituzioni comunitarie. Risalgono agli anni ottanta, infatti, sia la direttiva 82/501/CEE relativa ai rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali (la cosiddetta “Seveso”, dal nome della località italiana colpita da un incidente ad un’industria chimica), sia la direttiva 85/337/CEE concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, secondo la quale, a norma dell’articolo 3, «la valutazione dell'impatto ambientale individua, descrive e valuta, in modo appropriato, per ciascun caso particolare…gli effetti diretti e indiretti di un progetto sui seguenti fattori: l'uomo, la fauna e la flora; il suolo, l'acqua, l'aria, il clima e il paesaggio; …i beni materiali ed il patrimonio culturale».

Per quanto riguarda il diritto primario comunitario, se già l’Atto Unico Europeo conferiva un fondamento giuridico all’azione comunitaria in materia di ambiente, è solo con il Trattato di Maastricht (1992) che la politica ambientale assurge a rango di politica propriamente comunitaria. Il Trattato di Maastricht ha permesso di integrare le esigenze in materia di tutela ambientale nella definizione e nell’attuazione delle altre politiche comunitarie, di adottare decisioni a maggioranza qualificata in questi settori e di introdurre l’obiettivo dello sviluppo sostenibile, definito a livello internazionale dal Rapporto della Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo Our Common Future (Rapporto Brundtland) del 1987 ed avallato dalla Conferenza Mondiale di Rio de Janeiro del 1992.

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E’ proprio lo sviluppo sostenibile il cuore del Quinto Programma d’Azione Comunitario per l’Ambiente (1999/2001), ispirato al Libro bianco della Commissione del 1993, che, seppur intitolato Crescita, competitività e occupazione, qualificava quali elementi imprescindibili della crescita economica la riduzione dei consumi energetici e la protezione dell’ambiente. Il Quinto Programma d’Azione, che adotta una nuova strategia integrata di intervento in cui la tutela dell’ambiente diventa una priorità trasversale alle singole politiche di settore, promuove un efficace sistema di sorveglianza e di controllo, la compartecipazione e la condivisione di responsabilità tra Unione, Stati membri ed attori economici e sociali coinvolti nella definizione e nell’attuazione delle politiche comunitarie e la complementarietà degli strumenti finanziari e delle misure normative.

La crucialità del tema dello sviluppo sostenibile viene confermata dal Consiglio europeo di Goteborg, che nel giugno 2001 approva la Strategia europea per lo sviluppo sostenibile, inserendo così la dimensione ambientale, accanto a quelle economica e sociale nella Strategia di Lisbona, lanciata dal Consiglio europeo nel 2000 e volta a far divenire l’UE «l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica al mondo». In sintonia con gli obiettivi enucleati dalla Strategia di Goteborg, il sesto Programma d’Azione Comunitario per l’Ambiente (2001-2010), denominato Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta, individua quattro principali aree di intervento: la salute e la qualità della vita, la protezione della natura e della biodiversità, la gestione delle risorse naturali e dei rifiuti ed il cambiamento climatico.

Quanto al quadro normativo antecedente al Trattato di Lisbona, previsto dal Trattato di Nizza ma sostanzialmente introdotto ad Amsterdam, rilevano l’art. 2, l’art.

6 ed il titolo XIX TCE. L’art. 2 TCE annovera tra gli obiettivi della Comunità “uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche”, ed “un elevato livello di protezione dell’ambiente ed il miglioramento della qualità di quest’ultimo”. L’art. 6 TCE, nell’esigere che “le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche comunitarie…in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo

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sostenibile”, rappresenta una sorta di clausola trasversale che impone il rispetto dell’ambiente nell’implementazione delle singole politiche di settore. Il titolo XIX (artt. 174- 176) è interamente dedicato all’ambiente. L’ art. 174 TCE definisce gli obiettivi della politica della Comunità in materia di ambiente (salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente; protezione della salute umana;

utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali; promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale) e stabilisce che nel predisporre suddetta politica la Comunità tiene conto dei dati scientifici e tecnici disponibili, dei vantaggi e degli oneri che possono derivare dall’azione e dello sviluppo socio-economico della Comunità nel suo insieme e dello sviluppo equilibrato delle sue singole regioni. L’art. 175 TCE definisce la procedure decisionali da adottare, generalizzando la procedura di co-decisione, ma consentendo la deliberazione all’unanimità sia per disposizioni aventi principalmente natura fiscale che per le misure aventi incidenza sull’assetto territoriale, sulla gestione quantitativa delle risorse idriche e sulla destinazione dei suoli. L’art 176 TCE, infine, riserva agli Stati la facoltà di prevedere standards di tutela dell’ambiente più elevati di quelli predisposti a livello comunitario, purché compatibili con le disposizioni del Trattato (tale facoltà era già prevista dell’art. 95 del trattato di Amsterdam). Anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, solennemente proclamata a Nizza nel 2000, oltre a richiamare lo sviluppo “equilibrato e sostenibile” nel preambolo, sancisce, nell’articolo 37 (all’interno del capo IV “solidarietà”), che “un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile”.

Venendo all'attuale quadro normativo, introdotto dal Trattato di Lisbona (entrato in v igore nel 2009) vanno segnalati i seguenti articoli:

L’art. 3 paragrafo 3 del Trattato sull’Unione europea (di seguito TUE), prevede, tra gli obiettivi che l’Unione persegue, lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato anche su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente.

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Occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 11 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (di seguito TFUE), le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche e azioni dell’Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile.

La politica ambientale dell’UE è poi fondata su quattro principi, enunciati nell’art. 191 paragrafo 2 del TFUE: il principio di precauzione, che consente di adottare misure immediate in caso di minaccia di danno grave e irreparabile all’ambiente; il principio dell’azione preventiva, che raccomanda di impedire, sin dall’inizio, inquinamenti o altri inconvenienti ambientali; il principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente; il principio della responsabilità dell’inquinatore, espresso con la formula «chi inquina paga». Esso impone a chi fa correre un rischio di inquinamento o a chi provoca un inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione.

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