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2 Il particolato atmosferico 2.1 Cosa è il particolato atmosferico

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2 Il particolato atmosferico

2.1 Cosa è il particolato atmosferico

Con il termine polveri atmosferiche, o materiale particolato, si intende l’insieme di particelle solide e liquide, sospese in aria, le cui caratteristiche dimensionali, morfologiche e chimiche possono variare anche sensibilmente in funzione delle sorgenti e dei fenomeni di trasposto e trasformazione. 2.1.1 Definizioni

Le polveri atmosferiche sono definite con i vari termini, tra i quali i più usati sono: - PTS (Polveri Totali Sospese) o TSP (Total Suspended Particles)

- PM (Particulate Matter)

Le polveri totali sospese (PTS) sono un insieme molto eterogeneo di particelle solide e liquide che restano in sospensione nell’aria a causa delle ridotte dimensioni, le quali variano da pochi nanometri fino a decine di micrometri.

Esistono differenti metodi di classificazione del materiale particolato. Quello più usato prevede la suddivisione delle polveri in “classi” in funzione della dimensione delle particelle (misurata in mm) e la quantificazione della loro presenza in aria in termini di concentrazione (espressa in mg/m3, ovvero in microgrammi di particelle per metro cubo di aria ambiente).

Le numerosissime misure di concentrazione delle polveri, effettuate soprattutto in ambito urbano, sono state sintetizzate in relazioni “ideali” che, in funzione del diametro, esprimono

il numero delle particelle la loro area superficiale il loro volume (e dunque la loro massa).

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La Figura 2-1 mostra la distribuzione tipica di aerosol urbano, con le tre curve di distribuzione: numero-diametro, area-diametro, volume(massa)-diametro.

Essa mostra la frazione del numero di particelle in funzione del diametro delle stesse. La curva mostra un picco acuto (intorno a circa 0.015 mm) e uno, molto minore e più largo, verso dimensioni maggiori.

Negli ultimi anni l’interesse si è spostato in particolare su una frazione delle PTS, le PM10, ovvero quelle polveri che hanno diametro aerodinamico inferiore a 10 mm, e, in tempi recenti, su un sottogruppo costituito da particelle di dimensioni minori denominate PM2.5, aventi cioè diametro aerodinamico inferiore a 2.5 mm. Le PM10 sono definite più correttamente dalla normativa italiana come “la frazione di materiale particolato sospeso in aria ambiente che passa attraverso un sistema di separazione in grado di selezionare il materiale particolato di diametro aerodinamico di 10 μm con una efficienza di campionamento pari al 50%”, analogamente il PM2.5 [Min. Ambiente, 2002]. Nonostante che tra PM10 e PM2.5 vi sia una certa sovrapposizione dimensionale, le due classi sono generalmente ben distinte sia in termini di sorgenti di emissione e di processi di formazione, sia per quanto riguarda la composizione chimica e il comportamento in atmosfera. Per quanto riguarda le concentrazioni in atmosfera le polveri hanno dei livelli tipici, come media annua di PM10, di: 5 mg/m3 in zone remote oceaniche; 40 mg/m3 in aree rurali; 50 – 100 mg/m3 (talvolta sopra 200 mg/m3) in città [WHO, 2001]. Come emerge da questi dati i livelli urbani sono circa solamente il doppio di quelli rurali, e questi a loro volta sono circa solo otto volte quelli delle zone remote: ciò è dovuto al lungo tempo di residenza delle particelle in atmosfera e al fatto che le sorgenti naturali diano comunque un contributo importante alle emissioni di particolato.

2.2 Caratterizzazione chimico-fisica del PM

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2.2.1 Dimensione e altri parametri

La dimensione delle particelle è considerata il parametro più importante per caratterizzare, dal punto di vista fisico, le polveri atmosferiche. Altre importanti proprietà sono costituite da:

9 forma 9 densità 9 composizione chimica 9 pressione di vapore 9 igroscopicità 9 deliquescenza 9 indice di rifrazione

Le particelle (in particolare solfati e nitrati) rimangono asciutte, all’aumentare dell’umidità relativa, fino a quando non viene raggiunto il loro punto di deliquescenza (variabile con la loro composizione chimica), allorché si assiste ad un repentino aumento dell’ acqua in esse contenuta e al conseguente incremento delle loro dimensioni fino a valori per i quali l’efficienza nel diffondere la luce è molto elevata così da provocare notevole impatto sulla visibilità atmosferica.

2.2.2 Composizione Chimica

Il particolato, sebbene abbia una composizione molto eterogenea per quanto riguarda gli elementi in tracce, è costituito principalmente da alcune specie, di norma raccolte nelle tre classi seguenti [Lenschow, 2001]:

Gli ioni inorganici, prevalentemente provenienti da aerosol secondario fine e costituiti da NO3, NH3, SO4 ;

la componente carboniosa, composta da carbonio organico (Organic Carbon, OC) ed elementare (Elemental Carbon, EC o anche Black Carbon, BC);

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la parte restante, formata da elementi crostali (Crustal, Soil or Mineral Dust), aerosol marini (Sea Spray) da una parte indeterminata (Unknown), costituita quasi totalmente da acqua.

Le tre componenti si trovano in proporzioni diverse su particelle di dimensioni differenti: gli elementi crostali sono più concentrati nella frazione grossolana, mentre carbonio e il particolato di origine secondaria in quella fine. Come mostra la figura seguente gli ioni provenienti da particolato secondario come lo ione ammonio hanno picchi di concentrazione a 0.5 μm, molto più alti che a 2 μm, a differenza del sodio e del nitrato, caratterizzati da diametri di 2 μm più frequenti; notare inoltre la assenza totale di sodio nei diametri più piccoli di 0.5 μm.

Figura 2-2: Distribuzione della concentrazione rispetto al diametro equivalente [Seinfeld, 1999]

Esiste una quarta classe di particolato sospeso che differisce dalle precedenti in modo sostanziale, rappresentata dal materiale biologico come pollini, batteri, spore e minuscoli frammenti vegetali. La dimensione tipica di queste polveri è solitamente superiore al micrometro, quindi di piena appartenenza alla frazione grossolana.

2.2.2.1 Gli ioni inorganici secondari

L’ossidazione di ossidi di azoto NOx e di SO2 è la principale fonte di particolato secondario perché porta alla formazione di specie condensabili (acido solforico e acido nitrico) che tendono a reagire con composti basici come l’ammoniaca (NH3) producendo dei sali (come il nitrato e il solfato d’ammonio) [Seigneur, 2001]

In fase gas le trasformazioni avvengono per reazione di SO2 e NO2 con lo ione idrossido e con l’ozono, formando acido solforico (H2SO4 ) e acido nitrico (HNO3).

In fase acquosa le specie contenenti zolfo reagiscono con perossido d’idrogeno, ozono ed ossigeno a dare acido solforico; l’N2O5 con acqua e l’ NO3 formano acido nitrico. Quest’ultime due reazioni avvengono anche in fase eterogenea.

La ripartizione delle varie specie fra gas e particella è regolata da caratteristiche termodinamiche (es. costante Henry), dai parametri atmosferici (temperatura, umidità relativa, turbolenza) e dalla presenza di nuclei di condensazione preesistenti. L’acido solforico ha una bassa tensione di vapore e tende quindi a passare in fase liquida, con un tasso di conversione del 1-2% per ora in condizioni atmosferiche normali. In presenza di componenti basici, come ammoniaca e ossido di calcio, si ha una conversione molto più veloce per via della formazione di sali (solfato di ammonio e di calcio) e

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conseguente calo della concentrazione in fase liquida. L’acido nitrico, che ha un tasso di conversione circa 10 volte più piccolo, si ripartisce tra fase gas e particelle.

In condizioni di bassa umidità l’acqua delle goccioline che contengono sali può evaporare, formando così aerosol solido, con un diametro tipico inferiore ai 2.5 mm.

Questi processi, che possono essere di massa o di superficie, avvengono soprattutto nelle nuvole, nella nebbia, sulla superficie di particelle, in particolare su particelle igroscopiche presenti all’interno delle nubi. Si stima che i solfati rappresentino il 50% delle particelle con Dp<1 mm [Kerminen, 2000].

2.2.2.2 La componente carboniosa

La componente carboniosa delle particelle è costituita da carbonio elementare, molecole organiche e carbonati. Questi composti sono presenti in grande quantità nelle polveri atmosferiche, specialmente in quelle di origine antropica; le percentuali possono variare dal 10% per quanto riguarda le località remote, fino a più del 40% in zone urbanizzate o vicino a punti di emissione [IAR, 2002].

I carbonati sono composti tipicamente di origine “crostale”, per cui le particelle generate da erosione o sospensione del terreno ne sono molto ricche; escluse queste la percentuale di presenza è di circa il 5%.

Il carbonio elementare (EC) si presenta in forma amorfa o come grafite: quest’ultima è il componente in grado di assorbire la radiazione solare che si trova più abbondantemente nel particolato. E’ emesso direttamente nell’atmosfera, prevalentemente da processi di combustione. Responsabile della notevole perdita di visibilità nei distretti industriali, il “black carbon” è stato uno dei primi inquinanti ad essere monitorato ed utilizzato come tracciante degli aerosol primari da combustione; attualmente è anche impiegato in studi specifici sul traffico veicolare [Zhu, 2002]. Il carbonio organico (OC) deriva soprattutto dall’ossidazione di prodotti di combustione, quali i VOCs (Volatile Organic Compounds, composti organici volatili), e dalla loro successiva condensazione, dissoluzione in fase acquosa, adsorbimento (soprattutto su particelle di EC) o absorbimento [Seigneur, 2001]. L’OC ritrovato su particolato emesso da traffico contiene più di 100 composti diversi, fra cui alcani, benzaldeidi e idrocarburi policiclici aromatici (IPA, PAH), particolarmente pericolosi per la salute umana [Rogge, 1993].

I composti organici di maggior interesse sanitario sono gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA; PAH): si formano da idrocarburi a bassa massa molecolare per pirosintesi a temperature superiori ai 500°C. Il risultato è la formazione di più anelli aromatici condensati in strutture molto stabili. In atmosfera per effetto della radiazione solare si possono trasformare producendo composti più pericolosi, come i nitro-IPA, per reazione con acido nitrico, e gli IPA ossidati derivanti dalla reazione con l’ozono. L’IPA più citato è il Benzo(a)pirene (BaP), che per attivazione metabolica diventa altamente cancerogeno. Alte concentrazioni di IPA sono presenti nella fuliggine generata dalla combustione di biomassa e carbone e dagli scarichi di mezzi diesel e a benzina.

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Figura 2-3: Formula strutturale del Benzo(a)Pirene.

2.2.2.3 Composizione elementare

Nel particolato si trovano anche una grande varietà di elementi, con una ripartizione percentuale molto diversa tra particelle di differente natura o provenienza, poiché i processi di genesi e di trasformazione che hanno subito influiscono molto sulla loro composizione. Infatti certi elementi sono considerati dei “traccianti” delle sorgenti da cui sono state emesse. Le fonti più probabili di alcuni elementi sono:

Al, Fe, Ca, Si, Ti: suolo, rocce (elementi crostali). Anche combustione carbone; Na, Cl, Mg: aerosol marino, cloruri da incenerimento rifiuti;

C: combustione incompleta di combustibili fossili; V: combustione bitume petrolio;

Pb: combustione di combustibili ricchi in piombo o rifiuti che lo contengono; Zn: combustione di legno, pneumatici.

Le concentrazioni tipiche di alcuni elementi sono riportate in Tabella 2-1.

Tabella 2-1: Concentrazioni e distribuzioni dimensionali di vari elementi trovati nelle particelle atmosferiche. [Seinfeld, 1999]

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Composti di sodio e magnesio sono presenti in consistente percentuale e si originano principalmente da aerosol marino (che può essere trasportato per lunghe distanze nell’entroterra dal vento) e sali utilizzati per lo scioglimento del ghiaccio stradale.

Composti di calcio e potassio si trovano nelle rocce e nel suolo, passano in atmosfera principalmente per fenomeni di risospensione di polveri dalla superficie terrestre. Altri composti di metalli sono di solito presenti in tracce.

I cloruri oltre ad essere associati al sodio, possono essere immessi in atmosfera sotto forma di cloruro di idrogeno dalla combustione di carbone e da processi di incenerimento.

2.2.2.4 Contenuto di acqua

Il rapporto dell’acqua con il particolato è duplice: da una parte le goccioline d’acqua, essendo “particelle” (nebbia e foschia), possono favorire la conversione di gas in particolato tramite assorbimento e successiva evaporazione dell’acqua; dall’altra le stesse particelle possono fungere da nuclei di condensazione per il vapore in condizioni di umidità elevata e quindi subire importanti trasformazioni tramite processi che avvengono in fase umida, primo tra tutti l’assorbimento di SOx e successivo attacco acido. Inoltre per effetto degli agenti ossidanti e della fotodissociazione si possono generare radicali ossidrilici HO· , indispensabili per l’inizio e la propagazione di molte catene di reazioni tipiche dell’atmosfera.

Per quanto riguarda direttamente le particelle, queste sono generalmente igroscopiche, di conseguenza il loro peso aumenta a causa dell’umidità che assorbono: ad esempio con un’umidità del 50% una particella di solfato d’ammonio contiene il 30% in massa di acqua; l’igroscopicità può diminuire per la presenza di sostanze idrofobiche, quali alcune sostanze organiche. La Figura 2-4 mostra i risultati pubblicati in letteratura che hanno rivelato la correlazione lineare fra umidità relativa dell’aria e contenuto percentuale di acqua nel particolato.

L’acqua ha effetto quindi sulla concentrazione in massa e sulla distribuzione dimensionale del particolato producendo grandi variazioni anche sull’effetto nocivo che può apportare: per esempio una nebbia acida ha una penetrabilità elevata nell’apparato respiratorio, maggiore di una pioggia acida; d’altra parte livelli elevati di umidità possono favorire localmente la rimozione umida di particelle.

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Preme sottolineare come ci sia una sostanziale differenza tra la composizione della frazione grossolana e la frazione fine del materiale particolato:

¾ per la grossolana c’è una massiccia presenza di materiale proveniente da risospensione, in forma di minerali insolubili;

¾ per quella fine c’è una netta prevalenza di materiale carbonioso e di solfato e nitrato secondario di ammonio.

Molti studi hanno dimostrato che gli elementi tossici si legano e tendono a concentrarsi sulla superficie delle particelle e che la loro concentrazione è inversamente proporzionale al diametro delle particelle: questo fenomeno è particolarmente pericoloso perché il particolato più fine, che è in grado di penetrare in profondità nell’apparato respiratorio, funge da vettore di sostanze nocive aumentandone la pericolosità dell’esposizione [WHO, 1999].

Molti degli elementi in tracce non sono volatili e si trovano “sequestrati” dalle particelle in modo da non poter partecipare a reazioni: in questo modo le loro proporzioni rimangono invariate e danno informazioni quantitative sul materiale di provenienza. Con delle tecniche di analisi dei risultati delle analisi chimiche, quali l’analisi fattoriale o il bilancio di massa (CMB) è possibile risalire al contributo delle varie tipologie di sorgenti.

2.2.3 Microfisica degli aerosol

2.2.3.1 Definizioni: fini e grossolane, primarie e secondarie, meccanismi di

accrescimento

Le particelle possono essere immesse direttamente nell'atmosfera (primarie) o generate dalle reazioni gas-solido all'interno dell’atmosfera (secondarie) e la loro dimensione può variare dai pochi nanometri alle decine di micrometri. Una volta in sospensione le particelle possono mutare la loro dimensione e la loro composizione tramite processi di condensazione di vapori o evaporazione, coagulazione con altre particelle, reazioni chimiche o attivazione, in presenza di vapore supersaturo, per divenire nubi o goccioline.

Le loro concentrazioni numeriche raggiungono valori, per le particelle più fini, da 10 a 10000 unità per cm3 e meno di 10 per cm3 per le grossolane. La suddivisione in queste due classi è tradizionale e distingue le prime definite "fine" (Diametro Dp < 1 mm) dalle seconde "coarse" cioè grossolane (Dp > 1 mm); queste ultime sono perlopiù di tipo primario, mentre le fini sono in gran parte generate da precursori gassosi e quindi di origine secondaria. Questa distinzione non è però valida a priori; d’altronde anche le particelle di grandi e medie dimensioni fungono da substrato per i gas che condensano e rappresentano per questo un tipo di particolato di origine secondaria, e parte della frazione fine è formata da particolato primario. Sicuramente le due classi si sovrappongono fortemente nell'intervallo dei diametri e che va dai circa 0,1 micrometri ad 1 micrometro.

Le origini delle particelle primarie, come visto precedentemente, derivano, dall’azione naturale del vento sul suolo, sul mare e sul materiale biologico e queste hanno solitamente grosse dimensioni, superiori al micrometro; in ogni modo la distribuzione in numero ha il suo picco intorno a 0,1÷1 micrometri. Ciò vuol dire che la massa è concentrata nelle particelle di diametro maggiore, mentre sono più numerose le piccole.

Per questi meccanismi di emissione la distribuzione numerica aumenta non linearmente con l'aumentare della velocità del vento [O’Dowd e Smith,1993; Schulz e al.,1998].

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Figura 2-5: distribuzione numerica al variare di quantità, area superficiale e massa

A causa della loro bassa concentrazione (meno di dieci per cm3) e delle dimensioni elevate, le particelle primarie non coagulano in genere, ma possono mescolarsi con altre specie tramite scambi di materia in fase gas.

2.2.3.2 Fuliggine

Un’importante tipologia di particelle primarie è rappresentata dagli aerosol prodotti dalla combustione: la fuliggine o "soot particles". Essi sono generati ad alte concentrazioni nei processi di combustione ed hanno inizialmente dimensioni molto piccole, dell'ordine di 10 nanometri, e rapidamente coagulano tra loro per formare aggregati con forme tipicamente frattali; questi collassano a loro volta a causa delle forze capillari dei vapori condensati e formano strutture più compatte delle dimensioni di varie decine di nanometri.

La forma di queste strutture è facilmente distinguibile da quella delle altre particelle primarie, anche di dimensioni simili, ed è una caratteristica tipica delle particelle prodotte da combustione.

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Coagulazione Collassamento

Particella con struttura frattale da scansione al microscopio elettronico

Figura 2-6: vita di una particella di fuliggine

2.2.3.3 Formazione del particolato secondario, condensazione e coagulazione

Il particolato atmosferico di tipo secondario è formato dai passaggi di fase (da gas a liquido) dei composti gassosi presenti in atmosfera, emessi sia da sorgenti naturali che antropiche, che si trovano in condizioni favorevoli alla trasformazione. Questo accade nel caso di concentrazioni della specie gassosa che superano le pressioni di vapore all'equilibrio nello strato adiacente alla superficie dell'aerosol e viene definito condensazione. Nell'atmosfera vi sono vari processi che portano ad una tale supersaturazione del vapore:

¾ Reazioni chimiche nella fase gas che accrescono la concentrazione del composto che, avendo la tensione di vapore più bassa, andrà poi a condensarsi sull'aerosol. Ad esempio:

4 2 2

2

OH

H

SO

SO

+

3 2

OH

HNO

NO

+

pinico

acido

3

+

pinene

O

α

¾ Un abbassamento della temperatura ambiente, che porterà ad un abbassamento della pressione di vapore di equilibrio e quindi supersaturazione nel contorno degli aerosol; ¾ La formazione degli aerosol multicomponente; la tensione di vapore dei singoli componenti

e abbassata dalla presenza delle altre specie, e avviene la condensazione sull'aerosol stesso (effetto Raoult).

Attorno ad un superficie sferica la tensione di vapore cresce al crescere della curvatura (effetto Kelvin), così le particelle formate da agglomerati di poche molecole evaporano facilmente poiché la tensione di vapore attorno ad esse è elevata, mentre il vapore condensa rapidamente su superfici piane, o su particelle già presenti.

Ciò vuol dire che, a seconda del diametro critico, le particelle più piccole tendono ad evaporare, mentre le più grandi crescono. Questo processo è detto nucleazione, e nelle condizioni di atmosfera pulita (background troposphere continental) occorrono decine di giorni perché avvenga spontaneamente, con processi elencati sopra in condizioni estreme, e crescono comunque, molto lentamente e non oltre i 60-100 nm, poiché come le particelle raggiungono diametro dell'ordine del cammino libero medio delle molecole che condensano, la diffusione diventa stadio lento del processo e rallenta la crescita fino a richiedere un tempo di giorni-settimane in condizioni troposferiche di background per oltrepassare il diametro di 100 nm.

La coagulazione è l’altro processo secondo cui due particelle collidendo si fondono insieme, originandone una terza di dimensioni maggiori: questa è favorita da un’alta probabilità di urti tra

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particelle (ha una cinetica del secondo ordine rispetto alla concentrazione) alla loro concentrazione numerica. Le particelle primarie provenienti dalla combustione, come la già nota fuliggine, hanno inizialmente un diametro di 5-20nm e alta concentrazione numerica nei gas effluenti; invece quelle primarie naturali (crostali, marine e biologiche) hanno diametri caratteristici superiori a 1mm e sono presenti in atmosfera in concentrazioni basse. Per le prime la probabilità di urti fra particelle è elevato e quindi tendono a coagulare velocemente tra loro formando strutture di decine di nanometri;

Anche la coagulazione tra queste particelle però si disattiva non appena la concentrazione numerica scende. Ma allora come si spiegano le concentrazioni elevate di particelle secondarie anche di dimensioni maggiori nelle rilevazioni urbane?

In effetti nelle condizioni tipiche dell'ambiente urbano la crescita delle particelle secondarie ha un periodo di circa un giorno, drasticamente inferiore rispetto a quelli appena descritti. (Raes et al. 1995).

Nell’aria inquinata delle città vi è la presenza di catalizzatori del processo di condensazione rappresentati dalle superficie delle particelle primarie emesse in un range di dimensioni tra 0,1 e 1 micrometro, che avendo già una modesta curvatura si prestano ad accrescere la loro massa divenendo particolato secondario.

2.2.3.4 Reazioni chimiche

Un altro tipo di accrescimento riguarda le particelle di che subiscono modificazioni tramite reazioni chimiche in fase acquosa all'interno delle nubi in assenza di precipitazioni atmosferiche (Mason 1971; Friedlander 1977; Hoppel et al. 1986 1994)

Questo processo comincia con l'attivazione delle particelle in condizioni di supersaturazione che deve superare un valore critico legato alla dimensione e soprattutto alla composizione delle particelle stesse. Per la teoria di Kohler il valore di supersaturazione critica dipende fortemente dall'igroscopicità della particella e dalla solubilità dei suoi componenti. Le particelle più piccole hanno bisogno di un valore più elevato di supersaturazione, mentre per le grandi (> 0.1 mm) è sufficiente un valore modesto; in genere tale valore non supera in atmosfera il 2% (valore di umidità relativa – 100%) perché l'umidità, raggiunto questo livello, condensa rapidamente sulle particelle già attivate e tende a formare gocce sempre più grandi. L'attivazione è così limitata solo ad una parte delle particelle aerodisperse chiamate "cloud condensation nuclei" (CCN). Per esempio nel particolato di solfato ammonico, in condizioni di supersaturazione con valori massimi di 0.2 %, tipiche dell'ambiente marino, solo la frazione con diametro maggiore di 60 nanometri viene attivata e crea delle gocce, il resto rimane secco in sospensione. Una volta che la goccia è cresciuta attorno al “nucleo attivo” rimane in atmosfera; durante questo periodo il soluto all'interno della fase acquosa può subire reazioni chimiche di ossidazione come per esempio le seguenti:

O

H

VI

S

O

H

IV

S

O

VI

S

O

IV

S

2 2 2 2 3

)

(

)

(

)

(

)

(

+

+

+

+

Queste reazioni in genere aumentano la massa del soluto, quindi nel caso in cui la goccia non si trasformi in pioggia, ma evapori, rimarranno in sospensione delle particelle con composizione diverse dalle CCN originali e dimensioni più elevate. Le particelle non attivate possono anche loro reagire con agenti esterni, ed i prodotti di tale reazione possono sia rimanere sulle superfici delle particelle che liberarsi come gas; in ogni caso essi sono sfavorite rispetto a quelle in fase acquosa a causa delle forze ioniche più elevate.

Un esempio di reazione su superficie è la conversione eterogenea della NOx in HONO sulle particelle di fuliggine appena emesse, oppure il rilascio di gas alogeni dalle particelle di aerosol marino. (Ammann et al. 1998; Vogt et al 1996)

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2.2.3.5 Rimozione

Gli aerosol possono essere successivamente rimossi dall’atmosfera tramite precipitazioni atmosferiche o deposizione secca. Per quest'ultima, detta anche fall-out, la dimensione influisce sul meccanismo, che può essere di tipo diffusivo (Dp < 1 mm) o di tipo gravitazionale (sedimentazione) (Dp > 1 mm); la sedimentazione avviene in condizioni ambientali tipicamente viscose:

con Re<<0.1 (regime di Stokes) e particelle sferiche vale la seguente equazione che descrive la forza di attrito agente su una particella (formula di Stokes):

u D FD =3πη p

dove è la forza di attrito, η la viscosità dell’aria, Dp il diametro aerodinamico della particella

(detto anche diametro di Stokes), u la velocità della particella rispetto al mezzo.

La velocità di sedimentazione, ricavata come la velocità di caduta libera è quindi data dal bilancio delle forze agenti sulla particella (gravità, spinta di Archimede e attrito):

(

)

η ρ ρ 18 2 a p p gD u= −

dove g è l’accelerazione di gravità, rp e ra rispettivamente la densità della particella e dell’aria.

Dall’ultima relazione emerge che la velocità di deposizione cresce con la seconda potenza del diametro, quindi determina tempi di residenza in atmosfera molto lunghi per particelle più piccole. Egualmente la deposizione per via diffusiva ha velocità di deposizione crescenti al diminuire delle dimensioni, per cui è facile intuire che nell'intervallo tra 0.1 e 1 micrometro si ha una deposizione molto lenta (Figura 2-7);

Figura 2-7: (Sx) Velocità di deposizione secca delle particelle in funzione del loro diametro. (Dx) Efficienza del coefficiente di rimozione umida di gocce di diametro diverso in funzione del raggio della particella intercettata [Seinfeld, 1999].

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Oltretutto come si è detto in precedenza, i processi di crescita e formazione tendono ad accumulare gli aerosol proprio in quell’intervallo, e questi possono essere rimossi solo tramite attivazione (se ha le giuste caratteristiche igroscopiche), crescita in gocce e successiva precipitazione umida.

2.2.3.6 “Modi” di formazione

Attualmente è stato appurato, dalla teoria e da misure sperimentali, che possiamo rappresentare la distribuzione delle particelle aerodisperse tramite un numero di curve log-normali sovrapposte definite sia in base ai processi di formazione che alle dimensioni delle particelle che fanno parte di ogni classe. Queste classi sono chiamate:

¾ “Nucleation mode particles” per Dp< 0.01 mm ; ¾ “Aitken mode particles” per 0.01 mm < Dp < 0.1 mm; ¾ “Accumulation mode particles” per 0.1 mm < Dp < 1 mm; ¾ “Coarse mode particles” per Dp > 1 mm;

Figura 2-8: Per ogni classe vengono descritti i processi che trasformano e accrescono le particelle. Notare come le interazioni tra le particelle di diverso tipo e gli inquinanti possono essere complesse e legate tra loro [F. Raes e al.,2000].

Dalla Figura 2-8 si nota facilmente che le caratteristiche che differenziano ogni classe non sono solo le dimensioni; le reazioni eterogenee che provocano condensazione sulle particelle interessano tutte le particelle con dimensioni maggiori di circa 0.01 mm, così come le emissioni dirette, ma questi processi difficilmente avvengono nella zona del nucleation mode. La deposizione secca invece è il meccanismo di rimozione principale per le particelle ultrafini che fanno parte del nucleation mode, mentre è assente, come abbiamo sottolineato, nella zona dell’accumulation mode e del coarse mode, dove è la deposizione umida ad entrare in gioco. I meccanismi di accrescimento sono la

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coagulazione e la condensazione fino a dimensioni di 0.1 mm, successivamente la crescita avviene tramite attivazione e formazione di gocce. Infine è bene evidenziare come le particelle siano importanti protagoniste dei processi chimici che avvengono in atmosfera, attraverso reazioni omogenee, eterogenee e in fase umida.

2.3 Le Sorgenti del PM

10

e la loro caratterizzazione

2.3.1 Primarie e secondarie

La maggior parte degli inquinanti dell’aria sono detti primari, cioè vengono emessi direttamente dalle fonti; altri, come l’ozono, si formano in aria a partire da precursori e vengono detti perciò secondari. Il particolato atmosferico è un inquinante che ha origine sia primaria che secondaria: nel primo caso deriva da emissioni, nel secondo da precursori gassosi che, dopo aver subito delle reazioni in atmosfera, passano in fase solida (es. sali) o liquida (es. per condensazione) andando a formare le particelle.

2.3.2 Naturali e antropiche

Le sorgenti naturali primarie sono: aerosol marino, erosione del suolo e delle rocce (particolato “crostale”), incendi, incendi boschivi, attività vulcanica, materiale vegetale (frammenti di tessuti di piante, polline, spore), virus, batteri. In più sono immessi naturalmente nell’atmosfera dei precursori di particolato secondario, quali l’SO2, l’acido solfidrico (H2S), gli ossidi di azoto, l’ammoniaca (NH3) e alcuni idrocarburi come i Terpeni.

Le più importanti fonti antropiche sono: traffico veicolare, emissioni prodotte da altri macchinari e veicoli (attrezzature edili, agricole, aeroplani, treni, navi..), combustione di combustibili fossili (centrali termoelettriche, riscaldamento civile), legno, rifiuti, processi industriali (cementifici, fonderie, miniere), combustione di residui agricoli, risospensione di polvere da strade, erosione eolica di campi coltivati, cantieri edili (demolizioni, movimento terra), cave e miniere a cielo aperto.

Il traffico veicolare è una fonte molteplice, in quanto emette direttamente dagli scarichi del motore (exhaust) e dall’usura dei pneumatici, dei freni, della frizione e indirettamente attraverso la turbolenza generata dal moto del veicolo che provoca la risospensione di polveri. Precursori di particolato secondario possono anche derivare da processi di combustione (SO2 , NOx, idrocarburi), da allevamenti e processi anaerobici (H2S, NH3).

La Tabella 2-2 mostra quanto appena descritto, suddividendo le sorgenti secondo le dimensioni di particolato. Da notare come il particolato grossolano sia tutto primario.

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Primario Secondario Primario Secondario Uso di combustibili

fossili Ossidazione di SO2 Spray marino

Ossidazione di SO2 e

H2S emessi da incendi

e vulcani Emissioni di autoveicoli Ossidazione di NOx Erosione di rocce

Ossidazione di NOx prodotto da suolo e luce Polveri volatili Emissione di NH3 da agricoltura e allevamento

Incendi boschivi Emissione di NH3 da

animali selvatici Usura di pneumatici e

freni

Ossidazione di idrocarburi emessi dagli autoveicoli

Ossidazione di idrocarburi emessi dalla vegetazione (terpeni) Polveri volatili da

agricoltura --- Erosione rocce

---Spargimento di sale Spray marino

Usura asfalto Frammenti di piante ed

insetti

Tipo di

Particolato Sorgenti antropiche Sorgenti naturali

Fine

Grossolano

Tabella 2-2: Le sorgenti di particolato [IAR, 2002].

Andando ad analizzare le emissioni emerge che le maggiori fonti naturali sono l’erosione del suolo, i sali marini e i solfati da biogas, con una granulometria prevalentemente grossolana; le maggiori fonti antropiche sono i solfati generati dalla SO2 e le polveri da processi industriali.

Figura

Figura 2-1: Distribuzione in numero superficie e volume del particolato urbano tipico
Figura 2-2: Distribuzione della concentrazione rispetto al diametro equivalente [Seinfeld, 1999]
Tabella 2-1: Concentrazioni e distribuzioni dimensionali di vari elementi trovati nelle particelle atmosferiche
Figura 2-4: contenuto d'acqua del particolato in funzione dell'umidità relativa dell'aria [EPA, 2002]
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Riferimenti

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