CAPITOLO 2
Sistemi di iniezione nei motori GDI
2.1 Metodi per realizzare la stratificazione della carica
I sistemi di iniezione diretta progettati per realizzare la stratificazione della carica, come illustrato in figura 2.1, si dividono in tre categorie:
• wall-guided • air-guided • spray-guided
Fig. 2.1: metodi per realizzare la stratificazione della carica
E’ necessario però precisare che la distinzione tra queste soluzioni è puramente teorica, in quanto, in genere, nei sistemi reali la stratificazione della carica è ottenuta da una combinazione di questi tre metodi.
2.1.1 I sistemi wall-guided
Nella soluzione wall-guided lo spray viene guidato dalle superfici della camera di combustione, in particolare da quelle del pistone. Iniettando in fase di compressione, la benzina viene indirizzata verso le pareti dello stantuffo e convogliata da esso verso gli elettrodi della candela; questo metodo ammette quindi impingement. Per questo motivo è necessario ottimizzare la forma dello spray e quella della bowl ricavata nel pistone.
Per questi sistemi si utilizza in genere un iniettore swirl (vedi paragrafo 2.2.1), in quanto lo spray che si ottiene presenta caratteristiche che permettono di ottenere una stratificazione stabile; in particolare si cerca di sfruttare quella parte di benzina che esce per prima dall’iniettore e che, essendo rimasta intrappolata nella camera di swirl durante l’iniezione precedente e non possedendo quindi un moto rotatorio, entra in camera con la forma di un pennacchio. Bisogna però tenere presente che in un sistema di questo tipo è necessario ridurre al minimo il volume della benzina intrappolata alla fine di ogni iniezione, per evitare il più possibile la formazione di un film liquido sulle pareti della camera con conseguente formazione di HC e particolato. In questo modo, come risulta da test effettuati, se la punta dell’iniettore è posizionata ad una distanza sufficiente dalla superficie del pistone, solo una minima parte di liquido bagna le pareti. Alcune prove di iniezione effettuate in camere a pressione e temperatura ambiente e con l’asse dell’iniettore ortogonale alla superficie del pistone, hanno dimostrato che soltanto il 5% circa della benzina iniettata forma un film di liquido; iniettando invece in camere con pressioni e temperature analoghe a quelle che si hanno durante il funzionamento di un motore reale, la maggior parte delle gocce che hanno raggiunto la superficie dello stantuffo presenta un diametro inferiore ai 9 µm e, grazie alle loro piccole dimensioni, non urtano le pareti ma si muovono sospese guidate dai moti dell’aria.
Con questo metodo è inoltre necessario, per ottenere l’evaporazione di tutta la benzina, aumentare il più possibile la distanza tra la punta dell’iniettore e gli elettrodi della candela. Infatti quando si vuole ottenere la stratificazione della carica è necessario iniettare alla fine della fase di compressione e si corre il rischio di non avere tempo sufficiente per far vaporizzare tutta la benzina prima dell’accensione, soprattutto a motore freddo.
Per un motore a quattro valvole per cilindro con la candela posizionata centralmente, due possibili soluzioni per il posizionamento dell’iniettore sono rappresentate in figura 2.2.
Tra le due, la migliore è sicuramente la prima sia perché permette di migliorare il riempimento del motore quando si effettua l’iniezione anticipata (si ottiene infatti un migliore raffreddamento dell’aria entrante), sia perché la punta dell’iniettore si viene a trovare nella zona della camera più lontana dalle valvole di scarico, dove le temperature sarebbero più elevate.
Fig. 2.2
E’ noto che la geometria del pistone è uno dei parametri fondamentali per garantire il corretto funzionamento di un motore GDI wall-guided. L’ottimizzazione della forma della bowl, ovviamente legata alle caratteristiche dello spray, è una delle fasi più critiche nella progettazione del sistema. In particolare la sua profondità (e quindi il suo volume) influenza il rapporto di miscela che si ottiene in camera al variare delle condizioni operative. Infatti utilizzando una bowl piccola la miscela sarà troppo ricca ai bassi e medi carichi (quando cioè si utilizza la stratificazione della carica), mentre con una bowl profonda si può estendere il campo di funzionamento della stratificazione a scapito però di una maggiore perdita di calore attraverso le pareti a pieno carico (a causa del maggior rapporto superficie/volume della camera). Nelle figure 2.3 e 2.4 sono rappresentati due esempi di pistone utilizzati in motori GDI wall-guided attualmente in commercio.
2.1.2 I sistemi air-guided
La soluzione air-guided (fig. 2.5) nasce per risolvere i problemi del metodo precedente; infatti si cerca di interporre uno strato d’aria tra le pareti e lo spray in modo da evitarne il contatto diretto. Quindi, dato che lo spray verrà guidato dai moti dell’aria in camera di combustione, è necessario prevedere e controllare correttamente l’entità degli stessi in modo da garantire una stratificazione stabile; risulta infatti difficile riuscire a guidare lo spray con i moti dell’aria a basso numero di giri quando l’energia cinetica si riduce. Anche per questo motivo la soluzione air-guided è difficile da mettere in pratica ma, a differenza del sistema wall-guided, non ammette impingement.
Anche in questo caso, per favorire l’evaporazione della benzina, l’iniettore deve essere posizionato ad una certa distanza dalla candela; inoltre lo spray deve entrare in camera in controcorrente rispetto ai moti dell’aria.
Fig. 2.5: stratificazione della carica con il sistema Air-Guided
2.1.3 I sistemi spray-guided
Con il metodo spray-guided in teoria si dovrebbe ottenere un autoconfinamento da parte dello spray. L’iniettore, per realizzare questo tipo di stratificazione, dovrà necessariamente essere di tipo pintle o multiforo (vedi paragrafo 2.2) per generare uno spray stabile e insensibile ai moti dell’aria.
E’ necessario notare che, fino ad oggi, si è pensato di realizzare questo sistema utilizzando un pistone piatto, come nei motori PFI (fig. 2.6); va comunque detto che questa soluzione è opinabile [6] in quanto, anche se al momento dell’accensione si riesce ad ottenere la stratificazione della carica, una volta che la combustione parte, i primi gas combusti che si
formano si espandono e sparpagliano la nube di benzina che circonda la candela, dando luogo a quenching e quindi a idrocarburi incombusti allo scarico.
Fig. 2.6: iniezione spray-guided con iniettore pintle con azionamento piezoelettrico (SiemensVDO)
2.2 Iniettori per sistemi GDI
La scelta del tipo di iniettore da utilizzare è strettamente legata al disegno della camera di combustione, alla forma dei condotti di aspirazione e alla necessità o meno di realizzare la stratificazione della carica.
Gli iniettori utilizzati nei motori ad iniezione diretta si possono suddividere in tre categorie: • swirl.
• pintle. • multiforo.
2.2.1 Iniettore swirl
Attualmente, l’iniettore swirl (fig. 2.7) è quello più utilizzato nei sistemi GDI. In esso lo spillo è mosso, nelle fasi di apertura, verso l’interno dell’iniettore da un attuatore elettromagnetico a solenoide. Nella zona immediatamente precedente al foro di uscita (in questo tipo di iniettore è presente un solo foro), il fluido attraversa una camera di swirl dove delle piastrine opportunamente sagomate (fig. 2.10) imprimono alla benzina un moto rotatorio intorno all’asse
dell’iniettore, fondamentale per avere una buona polverizzazione in camera anche con pressioni di iniezione relativamente basse.
Fig. 2.7: iniettore swirl
In questo modo il fluido, nell’istante in cui entra in camera, genera uno spray la cui forma è schematicamente rappresentata in figura 2.9 [3]; esso si può considerare formato dal main spray e dal sac spray, i quali hanno caratteristiche molto diverse come valori dell’angolo di apertura, di SMD e di grado di penetrazione.
Fig: 2.9
La parte denominata sac presenta una maggiore penetrazione, una peggiore atomizzazione, un minore angolo d’apertura e, di solito, è costituito da una minima parte di benzina rispetto al
main spray; ovviamente questo discorso non vale nel caso in cui la quantità di benzina iniettata
sia piccola, come nel caso di un motore ai bassi carichi.
Il sac spray si genera in quanto, occupando la camera di “swirl” un certo volume, la benzina rimasta intrappolata nella camera alla fine dell’iniezione precedente ha ormai perso il moto rotatorio, quindi lo spray alla successiva riapertura tenderà ad uscire dall’ugello come un pennacchio; le particelle di liquido difatti, non ruotando, non saranno soggette alla forza centrifuga che è responsabile dell’apertura del cono.
Per quanto riguarda il main spray, l’apertura angolare del cono dipende fortemente dalla pressione presente in camera di combustione, con valori di apertura decrescenti all’aumentare della pressione; infatti, a seconda dei valori assunti da quest’ultima e delle caratteristiche geometriche della punta dell’iniettore, l’angolo esterno può variare tra 45° e 115° e quello del cono interno tra 20° e 65°.
Al fine di produrre la stratificazione, questo tipo di iniettori viene generalmente posto in posizione laterale ed è abbinato a particolari geometrie del cielo dello stantuffo e talvolta a condotti di aspirazione di forma non convenzionale.
2.2.2 Iniettore pintle
Gli iniettori di tipo pintle, a differenza degli swirl, si aprono verso l’esterno come una valvola a fungo e questo li rende particolarmente adatti ad un’attuazione di tipo piezoelettrica, perché richiedono un’alzata molto piccola, dell’ordine di qualche decina di micron, e forze di attuazione più elevate. La sezione di passaggio del fluido è troncoconica e l’efflusso nelle immediate vicinanze della zona di uscita è costituito da una sottilissima lamina liquida che genera un cono vuoto all’interno, molto più stabile degli iniettori di tipo swirl perché la forma dello spray che si produce è legata alla geometria della punta dell’iniettore (fig. 2.11).
Fig. 2.11: geometria della punta di un iniettore pinte
Proprio per questo motivo, se si vogliono ottenere una buona atomizzazione e una buona simmetria dello spray, è necessaria una lavorazione estremamente precisa della superficie della punta dell’iniettore lambita dal fluido; una finitura superficiale così elevata riduce la possibilità di formazione di depositi ma nel caso in cui questi si formino le caratteristiche dello spray risulterebbero fortemente alterate.
L’angolo di apertura (variabile tra 70 e 90 gradi), al contrario degli iniettori swirl, è costante lungo tutto lo sviluppo dello spray ed al variare delle condizioni operative, mentre la penetrazione è fortemente dipendente dalla pressione dell’ambiente in cui si inietta.
L’attuazione viene effettuata tramite strati di materiale piezoelettrico, disposti a formare una colonna che, se sottoposta a tensione, si allunga di pochi micron generando una spinta dell’ordine dei 2000N assorbendo, rispetto ad un solenoide, poca energia. I tempi di apertura dell’iniettore sono di almeno un ordine di grandezza inferiori rispetto ai sistemi a solenoide. Elevando la pressione di iniezione fino a 200 bar, si può ottenere una fine polverizzazione, anche iniettando in avanzata fase di compressione con una nuvola di benzina stabile; l’iniettore pintle con azionamento piezoelettrico è pertanto il più idoneo alla realizzazione della stratificazione della carica. L’utilizzo di attuatori piezoelettrici comporta però problemi causati dall’isteresi ed dalla dilatazione termica del materiale. Per risolverli occorre un complicato sistema idraulico di compenso (vedi fig. 2.12).
Questo tipo di iniettore è in fase avanzata di studio e non è stato applicato al momento alla produzione di serie di motori GDI, mentre l’attuazione piezoelettrica e stata impiegata con successo negli iniettori per i motori ad accensione spontanea.
Fig. 2.12: iniettore pintle
2.2.3 Iniettore multiforo
È dotato di un unico foro chiuso da un ago che fa capo ad un sac dotato di fenditure in numero variabile tra 3 e 5, ognuna delle quali produce uno spray conico molto chiuso in una certa direzione (fig. 2.13) [3].
La qualità della polverizzazione dipende dal numero e dal diametro dei fori, ma è comunque inferiore a quella degli iniettori precedentemente menzionati, anche se permette di ottenere una grande varietà nella forma dello spray in relazione al posizionamento e all’orientamento dei fori, permettendo di adattare abbastanza facilmente l’iniettore alla camera di combustione. La nota
dolente di questa tipologia è l’elevata sensibilità alla formazione di depositi carboniosi, che ne alterano il funzionamento tanto più quanto più il diametro dei fori è piccolo.
Fig. 2.13: immagine dello spray di un iniettore multiforo
2.3 Impianto GDI
In un impianto GDI sono presenti, oltre agli iniettori descritti in precedenza, altri importanti dispositivi che lo distinguono da un PFI, quali: l’elettrovalvola EGR, per la realizzazione del ricircolo dei gas combusti (molto frequente anche nei moderni motori PFI, ma indispensabile nei GDI), il catalizzatore NOx Storage Catalyst, la valvola a farfalla servo assistita, la pompa ad alta
pressione e la sonda lambda proporzionale (LSU) (vedi figura 2.14). Questi componenti verranno presi in esame nei prossimi paragrafi.
2.3.1 Valvola EGR
Uno dei problemi fondamentali del motore ad iniezione diretta, come precedentemente detto, è l’elevata produzione di ossidi di azoto, perché l’eccesso d’aria che si ha operando con miscele povere non consente al normale catalizzatore trivalente di ridurli. E’ necessario sottolineare che un motore GDI emette meno NOx rispetto ad un motore PFI non catalizzato grazie al fatto che le
temperature in camera di combustione sono più basse rispetto ad un motore PFI.
Gli ossidi di azoto si formano in quanto, alle elevate temperature, l’azoto cessa di essere un gas inerte e partecipa alle reazioni di ossidazione. Questo effetto è amplificato dalle reazioni di dissociazione dei prodotti della combustione, che, sempre ad alta temperatura, mettono a disposizione un’elevata quantità di ossigeno libero. Finché il carico rimane basso e quindi anche le temperature sono basse, la produzione di ossidi di azoto è modesta; ma, superata una certa soglia, è necessario, per poter rispettare le normative, passare repentinamente alla modalità di funzionamento con titolo stechiometrico, in modo da permettere al catalizzatore trivalente di ridurre gli NOx.
Per poter estendere la regione di funzionamento in carica stratificata, si ricorre al ricircolo dei gas di scarico (EGR), che consente di ottenere due effetti positivi sinergici tra loro: in primo luogo i gas combusti sono inerti, per cui queste molecole, interponendosi tra quelle di combustibile e di comburente, rallentano la reazione di combustione localmente, diminuendo i picchi di temperatura; il secondo effetto positivo è legato alla riduzione della disponibilità di ossigeno libero proprio perché con l’EGR si sostituiscono parte dei gas freschi con i gas combusti.
Per immettere nel condotto di aspirazione la giusta quantità di gas di scarico da ricircolare, in relazione al carico, al regime di rotazione del motore e al titolo presente in camera di combustione, si rende necessario l’utilizzo della valvola EGR (vedi figura 2.15), che viene attuata da un motore elettrico passo-passo (stepper motor) sotto comando dell’unità di controllo elettronica (ECU).
In generale, in un motore GDI che opera con carica stratificata, l’utilizzo del ricircolo dei gas combusti, oltre a ridurre la formazione di NOx, porta anche ad una più rapida evaporazione della benzina a causa delle temperature più elevate in camera. Inoltre, essendo presente in questa modalità di funzionamento una miscela aria/benzina leggermente ricca in corrispondenza degli elettrodi della candela, si riesce ad ottenere una combustione stabile anche in presenza di grosse quantità di gas combusti in camera. Bisogna però tenere presente che un’eccessiva quantità di gas combusti porta ad un degrado della qualità della combustione, con il conseguente incremento dei consumi e di produzione di HC.
In figura 2.16 è rappresentato l’effetto del ricircolo sulla riduzione di NOx in un motore
Mitsubishi. Al contrario di un motore PFI che opera con miscela stechiometrica omogenea, la riduzione di NOx in un GDI può superare il 90% pur mantenendo un buon consumo specifico.
Per sottolineare l’effetto dell’EGR, nel caso del motore Mitsubishi il picco di temperatura che si ha durante la combustione si riduce di 200 K quando si utilizza una percentuale di EGR del 30%. Altro esempio è quello del motore Toyota; come rappresentato in figura 2.17, senza l’utilizzo del ricircolo le emissioni di NOx aumentano notevolmente quando il motore funziona con carica
stratificata (curva WOT, cioè con la farfalla totalmente aperta). Le emissioni si riducono man mano che la percentuale di EGR aumenta, fino ad arrivare però, per i motivi detti in precedenza, a combustioni instabili; comunque dal grafico si nota come si riescano ad ottenere combustioni stabili anche con valori di EGR nell’intorno del 40% con una corrispondente riduzione di NOx
del 90% circa.
Fig. 2.17
2.3.2 I catalizzatori De-NOx e NOx Storage Catalyst
L’utilizzo del solo EGR non consente di ridurre in tutto il campo di funzionamento del motore le emissioni di NOx in maniera tale da rispettare le normative sulle emissioni, per cui è necessario
trattare i gas combusti. Sono stati quindi sviluppati dei nuovi catalizzatori come i De-NOx (o Lean-NOx), ancora in fase di evoluzione, e gli NOx Storage Catalysts (o NOx Adsorbers) che
permettono la riduzione di questi inquinanti anche in ambiente ossidante, ovvero in presenza di ossigeno libero allo scarico. Infatti, durante il funzionamento con carica stratificata, essendo il rapporto aria/benzina molto più grande dello stechiometrico, un normale catalizzatore trivalente non riesce a funzionare correttamente; quindi in questi motori, come rappresentato in figura 2.18, ad esso viene aggiunto quello per l’abbattimento degli NOx.
Fig. 2.18
I De-NOx utilizzano idrocarburi incombusti prodotti dal motore per ridurre le emissioni di NOx.
Come rappresentato in figura 2.19, questi catalizzatori mantengono una buona efficienza dopo molte ore di funzionamento anche utilizzando benzine ad elevato tenore di zolfo.
Fig. 2.19
Gli idrocarburi richiesti per la riduzione degli NOx possono essere generati dal motore durante il
suo normale funzionamento, oppure vengono prodotti grazie ad un’iniezione di benzina in fase di post combustione; nel caso in cui sia il motore a produrre gli idrocarburi necessari si parla di sistema passivo, mentre i sistemi attivi sono quelli in cui o si inietta durante la fase di espansione nel cilindro, oppure, in casi molto particolari, si inietta direttamente nel sistema di scarico. Ovviamente quest’ultima soluzione complica notevolmente il sistema a causa del maggior numero di componenti necessari, oltre a far aumentare il consumo di carburante. I sistemi attivi hanno trovato comunque applicazione nei motori AS grazie al basso livello di emissioni di HC generato da questi motori.
Durante il funzionamento, è necessario però un surplus di HC rispetto a quello strettamente necessario per abbattere gli NOx, in quanto essi si legano sia con l’ossigeno sia con gli NOx
stessi. Per questo motivo, se si utilizza il De-NOx, esso deve stare prima del catalizzatore
trivalente, in quanto altrimenti il rapporto HC/NOx all’interno del De-NOx risulterebbe
fortemente ridotto e di conseguenza l’efficienza di questo catalizzatore risulterebbe insufficiente. Inoltre montando il De-NOx molto vicino alle valvole di scarico, si raggiungerebbero
temperature tali da comprometterne il funzionamento. Per questi motivi esso deve essere posizionato prima del catalizzatore trivalente ma lontano dalle valvole di scarico (figura 2.18).
Le necessità contrastanti di ossidare gli HC durante le partenze a freddo, che rende necessario montare un catalizzatore trivalente nella parte iniziale del condotto di scarico, e quella di ridurre gli NOx durante il funzionamento con carica stratificata, che richiede una configurazione come in
figura 2.16, hanno penalizzato lo sviluppo di questo tipo di catalizzatore.
L’efficienza del De-NOx (fig. 2.20, catalyst A) è superiore al 65% in un campo di temperature
che va da 300 °C a 400 °C (per un sistema che utilizza platino). Essendo il valore massimo dell’efficienza abbastanza basso e per di più mantenuto in un ristretto campo di temperature, con questo catalizzatore si è costretti a restringere il campo di funzionamento del motore con carica stratificata.
Gli NOx Storage Catalysts, invece, come mostrato in figura 2.20 (catalyst B), sono caratterizzati
da valori di efficienza più alti e mantenuti in intervalli di temperatura più grandi rispetto ai
De-NOx .
Fig. 2.20
Sfortunatamente però, a differenza di questi ultimi, in essi vengono utilizzati materiali che presentano una forte tendenza a formare solfati (vedi figura 2.21).
Di conseguenza questi catalizzatori si danneggiano facilmente se si utilizzano benzine ad elevato tenore di zolfo. La concentrazione di zolfo massima ammissibile è di circa 30 ppm; questo limite viene rispettato dalle benzine commercializzate in Giappone, Svezia ed alcune in Germania,
mentre viene abbondantemente superato da quelle italiane (salvo alcune speciali).
Fig. 2.21
Non disponendo di tali benzine, i motori GDI funzionanti in paesi diversi da quelli sopra indicati non possono utilizzare questi catalizzatori e pertanto devono ridurre il campo di funzionamento nella modalità stratificata; si potranno adoperare miscele povere solo con rapporti aria/benzina superiori a 22 e bassi regimi di rotazione, dopodiché si deve necessariamente passare al funzionamento stechiometrico per permettere, come detto in precedenza, al catalizzatore trivalente di ridurre gli ossidi di azoto e quindi rispettare le normative.
Durante il funzionamento del motore con miscele molto magre, arrivati alla saturazione, questi catalizzatori devono essere rigenerati facendo funzionare il motore periodicamente per alcuni cicli con miscele ricche, in quanto i nitrati sono termicamente instabili alle temperature che si hanno durante il funzionamento con questi rapporti di miscela. Più precisamente, come mostrato in figura 2.22, poichè il catalizzatore contiene platino, palladio, rame e un composto a base di bario, quando il motore è alimentato con miscela magra e quindi in eccesso di ossigeno, il monossido di azoto che si forma viene ossidato in biossido di azoto (NO2) sul platino e,
successivamente, è trattenuto sotto forma di nitrato di bario. In conseguenza di ciò il catalizzatore si satura e quindi per tre secondi ogni minuto la centralina elettronica arricchisce la miscela facendo aumentare le emissioni di CO ed HC che fungono da riduttori; questi si ossidano prelevando ossigeno dall’NO2, lasciando come sottoprodotto azoto (N2).
2.3.3 Valvola a farfalla servo assistita
L'utilizzo del catalizzatore NOx Storage Catalyst ed i frequenti passaggi dallo stratificato
all’omogeneo rendono necessario l'utilizzo del controllo servo assistito della valvola a farfalla. Infatti gestire in maniera ciclica e del tutto inavvertibile per l'utilizzatore la "pulizia" del de-NOx è piuttosto complicato.
Per arricchire la miscela non si può iniettare una quantità maggiore di benzina, altrimenti si avrebbe una brusca accelerazione al veicolo, ma si deve ridurre la quantità di aria immessa parzializzandola mediante la valvola a farfalla.
Inoltre nel funzionamento in cui si effettua una regolazione per qualità, la valvola a farfalla sarà totalmente aperta, per cui non vi è una corrispondenza tra la posizione del pedale dell’acceleratore e la posizione del corpo farfallato, che dovranno quindi essere fisicamente scollegati.
Il movimento dell’acceleratore dovrà quindi essere rilevato tramite un trasduttore potenziometrico a doppia traccia (drive by wire), mentre la valvola a farfalla dovrà essere attuata da un motore elettrico controllato dall’unita di controllo elettronica (ECU).
2.3.4 Pompa ad alta pressione
A causa dei ristretti tempi disponibili alla formazione della carica, il getto di combustibile all'uscita dell'iniettore deve essere finemente polverizzato; questo, unito alla necessità di permettere allo spray un'elevata penetrazione, porta inevitabilmente alla necessità di elevate pressioni di iniezione.
Come già detto in precedenza, la viscosità della benzina è nettamente inferiore a quella del gasolio. Ciò non consente l'utilizzo delle pompe progettate per i sistemi di iniezione diretta diesel e comporta maggiori problemi costruttivi e realizzativi. Pertanto la pompa, che realizza pressioni dell'ordine dei 50-200 Bar (diversamente dai 3-5 Bar dei sistemi PFI), diventa un elemento critico e costoso per l'impianto. Solitamente essa viene calettata direttamente sull’albero a camme, come in figura 2.23.
2.3.5 Sonda lambda proporzionale
Nei motori a carica stratificata non è sufficiente l’informazione on-off data dalla sonda lambda normale potenziometrica (nella figura 2.14 Bosch LSF), ma è necessario conoscere con precisione il titolo tramite una sonda lambda proporzionale (nella figura 2.14 Bosch LSU). Infatti conoscere questo parametro è indispensabile per capire quando si deve passare dal funzionamento con miscele povere a quello con miscele stechiometriche e per decidere in relazione alle condizioni di funzionamento se fare una o due iniettate nello stesso ciclo. Inoltre, sempre in relazione al titolo, dovrà essere decisa dalla ECU la quantità di benzina da iniettare e l’anticipo di iniezione e di accensione.
2.4 Motori GDI
Vengono adesso analizzate le soluzioni costruttive più importanti dei motori ad iniezione diretta più diffusi sul mercato mondiale; in particolare saranno illustrate e discusse le metodologie per la realizzazione della stratificazione della carica.
2.4.1 Mitsubishi GDI
Escludendo i tentativi compiuti negli anni cinquanta, il motore GDI Mitsubishi è stato il primo motore ad iniezione diretta prodotto in serie (fig. 2.24-2.25).
In questo motore il metodo di stratificazione è di tipo wall-air-guided, ovvero in fase di compressione la carica viene guidata sia dalle superfici dello stantuffo sia dal campo di moto presente in camera di combustione. Il pistone ha infatti una particolare geometria con una protrusione e una bowl di forma sferica che interferisce con il getto di benzina generato da un iniettore swirl ad alta pressione.
La particolare geometria dei condotti di aspirazione permette di creare un moto di tumble che ruota in senso inverso rispetto a quello generato avvalendosi di condotti tradizionali (figura 2.27). Questo campo di moto tende a portare la benzina verso la candela permettendo di realizzare la stratificazione della carica.
Come si evince dalla fig. 2.28, la regione in cui si effettua la stratificazione con miscele povere è molto ampia grazie all’utilizzo di EGR e de-NOx, ma questa viene molto limitata per i modelli
venduti in Europa, a causa della presenza dello zolfo nella benzina che impedisce l’adozione del catalizzatore NOx Storage Catalyst.
Fig. 2.24: vista laterale del motore GDI Fig. 2.25: vista frontale del motore GDI Mitsubishi Mitsubishi
Fig. 2.26: pistone del motore Mitsubishi GDI Fig. 2.27: testata e condotti del motore GDI Mitsubishi, si noti motore GDI Mitsubishi, si noti
la geometria del condotto di
aspirazione
Fig. 2.28: condizioni di funzionamento del motore GDI Mitsubishi
2.4.2 GDI Gruppo PSA
Il motore GDI del gruppo PSA utilizza, come si nota dalla fig. 2.29, le stesse soluzioni tecniche già discusse nel paragrafo precedente del motore Mitsubishi.
Fig. 2.29: Motore GDI del gruppo PSA
2.4.3 GDI Renault
Il motore GDI Renault è stato il primo motore ad iniezione diretta ad essere prodotto da una casa europea. A causa della presenza dello zolfo nelle benzine europee, la casa francese ha preferito rinunciare alla combustione con miscele povere, potendo così utilizzare il solo normale catalizzatore trivalente per risolvere il problema delle emissioni di ossido di azoto.
Fig. 2.30: motore GDI Renault
In questo motore si realizza una carica semistratificata, con miscela complessivamente stechiometrica. Per far ciò l’iniettore è stato montato centralmente, a differenza di tutti i motori GDI presenti attualmente in commercio, e si trova, con la candela, in una nicchia ricavata nella testata (fig.2.30-2.31).
Fig. 2.31: testata del motore Renault Fig. 2.32: pistone del motore Renault
Il pistone (fig.2.32) è stato conformato in modo da confinare la carica vicino alla candela, infatti è dotato di una bowl centrale, verso cui si dirige lo spray di benzina, e di due protrusioni laterali che impediscono alla carica di sparpagliarsi nel resto della camera. I condotti hanno geometrie tradizionali e non ci sono dei moti organizzati che tendono a favorire la stratificazione, per cui questo sistema può essere classificato come wall-guided.
2.4.4 Alfa Romeo JTS
Il motore Alfa Romeo è un esempio di come si possa interpretare la soluzione GDI nell’ottica di un incremento delle prestazioni. Al momento risulta infatti uno dei motori aspirati ad iniezione diretta con la più alta potenza specifica volumetrica presente sul mercato, con i suoi due litri di cilindrata e una potenza di ben 166 cavalli (fig. 2.33).
Questo motore prevede il funzionamento anche con miscele povere, ma in un ristretto campo di funzionamento, come si evince dalla figura 2.34; in particolare si nota l’utilizzo di una miscela povera solo al di sotto dei 1500 giri/min e quindi non si ottengono vantaggi sensibili per quanto riguarda i consumi di carburante, salvo che durante il funzionamento al minimo.
La geometria dei condotti e della camera di combustione rimane simile alla soluzione ad iniezione indiretta, a parte le modifiche necessarie per accogliere l’iniettore (fig. 2.35). Gli unici accorgimenti per realizzare un po’ di stratificazione sono stati introdotti nella superficie superiore del pistone, che presenta una piccola bowl ed un piccolo deflettore dalla parte opposta alla posizione dell’iniettore (fig. 2.35).
Fig. 2.34: condizioni di funzionamento nel campo delle miscele povere e in condizioni stechiometriche in relazione alla coppia trasmessa
Fig. 2.35: stantuffo e testata del JTS Fig. 2.36: vista dall’alto del pistone del JTS
2.4.5 Toyota GDI
Il motore Toyota si avvale di una soluzione essenzialmente di tipo air-guided (fig. 2.37). Per realizzare la stratificazione, invece del moto di tumble, si ricorre al moto di swirl, che viene realizzato sfruttando due accorgimenti tecnici che agiscono sinergicamente(fig. 2.38); la valvola SCV e un condotto di aspirazione elicoidale. SCV è un acronimo che sta per Swirl Control Valve, ovvero una valvola di controllo del moto di swirl che chiude uno dei condotti di
aspirazione, nel campo di funzionamento in stratificato. Dovendo passare solo in un condotto, l’aria entra con una componente tangenziale, che crea un moto rotatorio con direzione parallela all’asse del cilindro. Questo effetto è amplificato dal fatto che, dimezzando la sezione di passaggio del fluido, le velocità nel condotto aperto raddoppiano; inoltre la particolare geometria elicoidale di questo incrementa notevolmente le componenti di velocità che hanno direzione circonferenziale rispetto al cilindro (fig.2.39).
Il pistone ha una bowl molto voluminosa in cui viene indirizzato lo spray, permettendo così di concentrare attorno alla candela la benzina senza che venga dispersa nel resto della camera. Il moto di swirl tende a degradarsi meno facilmente in camera di combustione rispetto a quello di tumble essendo coerente con la geometria del cilindro e quindi consente di conservare fino alla combustione un adeguato livello di turbolenza, ma tende a portare per effetto centrifugo il combustibile verso la periferia piuttosto che verso la candela. Un altro svantaggio è legato all’utilizzo della valvola SCV, che fa aumentare le perdite di carico nel condotto e quindi il lavoro di pompaggio.
Fig. 2.37: motore GDI Toyota Fig. 2.38: stratificazione
Fig. 2.39: stratificazione mediante il moto Fig. 2.40: stantuffo del motore Toyota di swirl (2) GDI
2.4.6 Volkswagen-Audi FSI
Viene per ultimo preso in analisi uno degli ultimi motori ad iniezione diretta, immesso con successo nel mercato: il motore FSI del gruppo Audi-Volkswagen (fig. 2.41).
La stratificazione viene realizzata per la prima volta con un puro sistema air guided. L’iniettore, per poter realizzare questo scopo, è posizionato con una forte inclinazione rispetto all’asse verticale (77,5°), in modo da far interferire lo spray con la corrente di aria che sta entrando nel cilindro attraverso le valvole. Il moto prevalente che viene sfruttato per produrre la stratificazione della carica è il tumble, che però ruota dalla parte opposta di quanto avviene nel motore della Mitsubishi (fig. 2.25), perché i condotti hanno una geometria tradizionale.
Fig. 2.42: viste dello stantuffo del motore FSI
Per realizzare la stratificazione è stata scavata sul pistone una bowl (figura 2.42) dalla parte opposta rispetto all’iniettore e conformata in modo da sostenere il moto di tumble, indirizzando l’aria verso l’alto, dove si trova la candela. In questo modo il getto di benzina che viene immesso in camera dall’iniettore non va a toccare lo stantuffo, ma viene mantenuto in alto vicino alla testata e alla candela, come mostrato nella figura 2.43.
Fig. 2.43: stratificazione della carica con il sistema Air-Guided
Per la corretta realizzazione del concetto di stratificazione air-guided, l’interazione dello spray di combustibile con il moto di tumble guidato dalla geometria del pistone è di fondamentale importanza. Le condizioni operative risultano però ottimali solo in un ristretto campo di funzionamento, perché la velocità dell’aria varia proporzionalmente alla velocità angolare del
motore. Per rimediare a questo problema viene variata la pressione di iniezione e l’intensità del moto di tumble in modo da estendere le condizioni ottimali ad un ampio range di velocità di rotazione e condizioni di carico.
Fig. 2.44: deflettore per il controllo dell’ intensità del moto di tumble
La variazione di intensità del moto di tumble viene generata con l’aiuto di un flap (fig. 2.44), posizionato di fronte alla testata all’interno del condotto di aspirazione. La posizione del flap viene controllata e gestita continuamente dalla centralina elettronica in relazione alle condizioni operative del motore. Variando l’angolo di inclinazione del flap, varia la distribuzione di flusso che passa sopra e sotto di esso; ad esempio posizionandolo come in figura 2.44, il fluido passerà soltanto sopra. Operando in questo senso, si tende a privilegiare il passaggio dell’aria nella metà dell’area di cortina più vicina alla candela e diminuire l’efflusso nell’altra metà, incrementando così il moto di tumble. Infatti le componenti di velocità che alimentano il moto rotatorio voluto saranno amplificate, mentre verranno ridotte quelle che tendono a generare un moto in direzione opposta alla precedente e quindi ad estinguerlo. Aumentando l’intensità del tumble aumenta anche la forza con cui il getto di aria spinge la benzina verso l’alto e la velocità relativa tra la benzina e l’aria, favorendo il mescolamento (fig. 2.45).
Nel funzionamento con carica omogenea (fig.2.46), invece, il deflettore viene mantenuto in posizione parallela all’asse del condotto, in modo ridurre al minimo le perdite di carico e massimizzare il riempimento del motore.
Fig. 2.45: funzionamento Fig. 2.46: funzionamento in stratificazione con carica omogenea