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III TUCIDIDE DIETRO LE SUE MASCHERE

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Academic year: 2021

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III TUCIDIDE DIETRO LE SUE MASCHERE

Con questo lavoro ci siamo proposti di dimostrare che Tucidide, consapevole del proprio nuovo sistema di ricerca, non si è limitato a fornire indicazioni di metodo nelle parti destinate a dichiarazioni di programma, ma ha voluto che anche i personaggi del suo racconto esprimessero, attraverso espressioni, concetti o anche soltanto termini-chiave, specifiche convinzioni del suo metodo. Abbiamo verificato che esiste una fitta trama di richiami e affinità che lega gli oratori delle storie a Tucidide autore delle storie. La presenza di rimandi, anche strettamente terminologici, prova che nel racconto di Tucidide vive una trama che stabilisce rapporti, crea nessi e intersezioni, suggerisce presenze o svela ombre in un sapiente gioco d’incastro e in una continua osmosi di ambiti concettuali e semantici. L’analisi di alcuni discorsi ha tenuto conto sia delle affinità di contenuto sia di quelle di forma. Pur consapevoli che Tucidide non può non aver considerato, nella composizione del racconto, l’importanza della

dispositio delle argomentazioni e, più ingenerale, delle te/xnai che nell’Atene del quinto secolo si andavano diffondendo e specializzando, riteniamo sia un corretto indirizzo di analisi non separare tale reticolo retorico dall’indagine sui contenuti e rimanere ancorati al testo che lui stesso ci ha consegnato, evitando di addentrarci nei meccanismi compositivi del testo e di scomporlo fino all’eccesso. La disposizione della argomentazioni, che in molti discorsi si ripete analoga e che non può essere dovuta al caso, non può pregiudicare la lettura dei discorsi e indirizzarla verso un’analisi meramente linguistica. Non ha senso, del resto, pretendere di entrare

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nei meccanismi compositivi e nelle relazioni di tipo intertestuale in modo meccanico, come hanno fatto Bodin, Moraux, Babut, allo scopo di individuare una responsione tematica spesso di necessità forzosa. Pur ammettendo che alcuni discorsi obbediscono ai criteri della retorica, si è verificato che l’elemento formale, anche nelle sue puntuali caratterizzazioni, non è qualcosa di sovrapposto al pensiero dei singoli oratori, ma si rivela importante strumento di comprensione. Abbiamo scelto un approccio, che ha i suoi massimi sostenitori in Gomme e in Hornblower, che mantiene salda l’aderenza alle argomentazioni degli oratori e che rende perspicuo il rapporto tra la ricostruzione della storia in Tucidide e la ricostruzione delle argomentazioni dei suoi personaggi, pur avendo individuato, nei discorsi di Tucidide, una indiscussa consapevolezza e una sicura padronanza degli strumenti offerti dalla retorica. Come ha opportunamente sottolineato Momigliano, non faremmo un torto a Tucidide se scegliessimo di non vedere una precisa e sistematica consapevolezza della novità del suo metodo; Tucidide ci è sembrato senza dubbio un innovatore, ma innovatore sempre nel solco di una tradizione letteraria dalla quale non riesce del tutto a svincolarsi, anche per la mancanza di una teoria storiografica precedente o coeva. Inoltre, come ha evidenziato sempre Momigliano, non è corretto attribuire a Tucidide una intenzione sistematica e cosciente che non può appartenere alla sua epoca. Tenendo ben presente questo scarto temporale, possiamo evitare le incongruenze derivanti dalla sovrapposizione del nostro crtierio di ‘vero storico’.

Nel primo capitolo della nostra indagine abbiamo ricostruito il metodo di Tucidide, analizzando le specifiche sezioni in cui compaiono dichiarazioni di programma e i termini con cui Tucidide

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sottolinea la novità della sua ricerca. Discorsi e fatti di guerra non hanno subito lo stesso trattamento, in virtù della loro diversa natura, non perché Tucidide abbia voluto applicare arbitrariamente i propri principi di metodo soltanto a un elemento dei praxqe/nta. Tucidide riconosce che i criteri seguiti nella documentazione sugli eventi di guerra, ta\ d’e)/rga tw=n praxqe/ntwn, criteri che poggiano sulla memoria personale o sul rigoroso lavoro di scelta delle fonti, non sono gli stessi utilizzati per le notizie sui lo/goi. Questa differenziazione ha generato opinioni diverse, tendenti perlopiù a evidenziare la contraddizione, nel pensiero di Tucidide, persino nell’uso dei termini e a trarre conclusioni, spesso insoddisfacenti, sull’obiettività del suo metodo. Crediamo che occorra usare una certa cautela nel valutare le contraddizioni presenti nell’opera. La nostra idea è maturata nel confronto con la tesi di studiosi convinti della labilità, in Tucidide, del confine tra elementi oggettivi ed elementi soggettivi: De Romilly, Hornblower, Mazzarino, Vattuone, Nicolai. Soggettività e oggettività nell’indagine di Tucidide, rapporto complesso tra premesse di metodo e prassi, presunta antitesi tra discorsi e azioni: concetti che perdono importanza se valutiamo l’opera di Tucidide liberandoci dall’abusato e scorretto confronto con il concetto moderno di ricerca storica, e considerando attentamente il contesto culturale in cui il suo racconto si è formato e l’importanza che lo storico antico attribuisce alla riuscita letteraria e all’efficacia didattica del suo lavoro. C’è, a ben vedere, un elemento unificante che riduce lo scarto tra e)/rga e lo/goi: la difficoltà del compito di ricerca dei dati che Tucidide non manca di sottolineare sia nell’indagine inerente agli e)/rga sia in quella relativa ai lo/goi. Egli spiega che per i discorsi xalepo\n th\n a)kri/beian au)th\n tw=n lexqe/ntwn diamnhmoneu=sai h)=n, ma anche per gli avvenimenti

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della guerra e)pipo/nwj de\ hu(ri/sketo perché si sono presentate difficoltà nella valutazione delle testimonianze, spesso inficiate da mancanza di memoria e da spirito di parte. In entrambi i casi, l’a)kri/beia è accompagnata da espressioni che sottolineano la difficoltà di procurarsi informazioni attendibili. Nonostante ciò, Tucidide non ha rinunciato ai suoi rigorosi principi di metodo: non ha ritenuto opportuno descrivere i fatti di guerra desumendoli dal primo venuto né secondo il proprio arbitrio, ma dando la precedenza a quelli cui ha preso parte e di cui ha avuto notizie da altri, esaminandoli, però, o(/son dunato\n a)kribei/# peri\ e(ka/stou. L’a)kri/beia non a caso compare ben due volte a breve distanza ed è, potremmo dire, la garanzia con cui lo storico propone il suo racconto al lettore e ‘chiede’ di essere accettato. Chiara e decisa è, dunque, l’impostazione di metodo relativa alla critica delle fonti; la conoscenza oculare è il primo presupposto per una corretta informazione. Secondariamente, il racconto dei testimoni, sebbene non sempre attendibile per le imprecisioni dovute alla memoria e per le deformazioni prodotte dallo spirito di parte. A dare forma e coerenza al tutto, l’arduo e elaborato lavoro dello storico.

Convivono in Tucidide, cosa inaccettabile per uno storico contemporaneo, un equilibrato compromesso tra l’indagine storica e la pura narrazione. Tucidide non può aver inventato i discorsi presenti nella sua opera. Possiamo parlare di rielaborazione, come lascia intendere affermando di essersi attenuto alla cu/mpasa gnw/mh, e non soltanto di rielaborazione a livello stilistico. Tucidide non ha tradito il senso generale di ciò che fu realmente detto, ha mantenuto le argomentazioni sostanziali dei singoli oratori, pur non rinunciando a selezionare, condensare, adattare e riassumere i singoli discorsi al fine

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di integrarli nel racconto storico. Un percorso di caratterizzazione letteraria che ha come presupposto una rielaborazione con un ampio margine di approssimazione, ma sempre nel rispetto della realtà, degli a)lhqw=j lexqe/nta. Accettare che Tucidide si sia ‘sostituito’ ai suoi personaggi non equivale a negare veridicità ai discorsi. Tucidide, in altre parole, si è mantenuto in una posizione di equidistanza dalla riproduzione pedissequa dei discorsi e dalla libera invenzione. Non possiamo ipotizzare una riproduzione verbatim, vi sono diversi elementi che spingono nella direzione contraria: l’uniformità dello stile e la mancanza di caratterizzazione dei personaggi attraverso il lessico, la presenza di analogie e collegamenti (in qualche caso, ben evidenziato dalla critica, si nota la ripetizione di identiche strutture sintattiche e l’uso della stessa terminologia), la prevalenza di considerazioni di carattere generale. Ciò non implica in alcun modo l’allontanamento dalla verità, ma lascia presupporre una presenza, evidente e incisiva, di Tucidide nella stesura dei discorsi, pur nel rispetto del nucleo autentico delle argomentazioni. Come lui stesso afferma nei capitoli sul metodo, la rielaborazione dei discorsi non è frutto di un’elaborazione arbitraria o addirittura di un’invenzione, ma si attiene, nel caso dei de/onta, alle diverse circostanze, peri\ tw=n ai)ei\ paro/ntwn, nel caso della cu/mpasa gnw/mh, alle parole realmente pronunciate, tw=n a)lhqw=j lexqe/ntwn. Non si può non tener conto delle due suddette espressioni relazionali che rendono peregrina, a ben vedere, l’idea di una totale invenzione dei discorsi da parte di Tucidide.

Nemmeno è accettabile la prospettiva di ricerca di una parte della moderna critica (Cole, Woodman, parzialmente Nicolai), che invece propende per l’idea, ad esempio, di un Tucidide che intende i

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discorsi come exempla destituiti di verità storica e destinati alla memorizzazione nelle scuole o in ristrette cerchie intellettuali. L’analisi delle matrici culturali del racconto di Tucidide, del suo evidente e acclarato debito con l’epos, con la poesia in genere, con le indagini storico-etnografiche precedenti e con la nascente medicina ippocratica, non può ritenersi l’unica prospettiva di ricerca, come ha evidenziato Momigliano. Tucidide innova, pur nel solco di una tradizione letteraria consolidata, e non si può non tener conto di tali innovazioni di metodo.

Analizzando le dichiarazioni di programma, abbiamo riscontrato che l’elemento che avvicina l’approccio di Tucidide nei confronti dei discorsi e delle azioni è la scrupolosità della ricerca: a)kri/beia nel reperire notizie sui discorsi, a)kri/beia nell’analisi degli avvenimenti di guerra. E’ un importante punto di contatto. Tucidide richiama, con uso puntuale di termini ben precisi, la difficoltà e il lungo lavoro di selezione delle fonti e rimarca la distanza dall’immaturità della ricerca storiografica che lo ha preceduto e dalla testimonianza dei poeti, accusati di restituire un’immagine falsata dei fatti e finalizzata al kosmei=n. Abbiamo enucleato alcuni elementi che dimostrano la serietà e il rigore della ricerca di Tucidide, tra i quali figura la scelta di narrare un evento contemporaneo, la guerra del Peloponneso. Tale scelta sarebbe motivata sia dalla più agevole reperibilità delle fonti sia dalla volontà di effettuare una ricerca fondata sulla conoscenza autoptica o, in alternativa, sul reperimento di testimonianze attendibili. La guerra del Peloponneso è dunque il solo campo di applicazione nel quale le esigenze di storico possono essere soddisfatte: è l’evento me/gaj e a)ciologw/tatoj, è un avvenimento contemporaneo che permette l’indagine diretta e la critica sistematica.

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Soltanto un evento vicino nel tempo, infatti, lascia intendere Tucidide nell’incipit del racconto, garantisce allo storico una corretta scoperta degli avvenimenti, il safw=j eu(rei=n.

Nei capitoli sul metodo, I 20, 1-22,4 e in altri passi esaminati della sua cuggrafh/, Tucidide ha esemplificato le linee essenziali del suo modo di intendere la ricerca storica. Le affermazioni programmatiche di Tucidide contengono precisi criteri di ricerca. Ne abbiamo analizzate alcune che poi si ritrovano, mutatis mutandis, nei discorsi dei personaggi: il vaglio critico delle fonti, l’esigenza di valutare safw=j i geno/mena, scartando opinioni non dimostrabili. Abbiamo riscontrato, nei capitoli sul metodo, una terminologia nuova e specifica della ricerca storica inerente al campo della conoscenza e al difficile percorso dell’eu(rei=n: un iter irto di difficoltà, sia per Tucidide sia per i suoi personaggi, il punto di arrivo della conoscenza storica. E’ un’esigenza che comporta uno sforzo notevole, un iter cognitivo che permette di arrivare all’eu(ri/skein, al ‘ritrovamento’ della notizia soltanto dopo lunghe e scrupolose ricerche. Tucidide ama rettificare, correggere, vagliare scrupolosamente. Tale ‘ritrovamento’ ha richiesto sforzo, e)pipo/nwj hu(ri/sketo, per gli eventi del passato non è garantito lo stesso risultato, safw=j eu(rei=n a)du/nata h)=n, poichè la distanza temporale, il xro/nou plh=qoj, altera la corretta interpretazione delle notizie. Nei capitoli sul metodo specifica che chi valuta gli avvenimenti del passato sulla base degli indizi più evidenti, h(ghsa/menoj e)k tw=n e)pifanesta/twn shmei/wn, scoprirà che sono stati analizzati in modo esaustivo, hu(rh=sqai ... a)poxrw/ntwj. Successivamente, fornisce indicazioni per rettificare abitudini erronee: soltanto chi esamina gli avvenimenti secondo le stagioni, skopei/tw de\ tij kata\ tou\j xro/nouj, scoprirà, eu(rh/sei, l’esatta durata della guerra.

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Fare affidamento sulle magistrature per datare gli avvenimenti non è esatto, ou) a)kribe/j. Soltanto valutando, a)riqmw=n, secondo l’avvicendarsi delle stagioni, si troverà, eu(rh/sei, l’esatta modalità di datazione. Poco più avanti fornisce un altro esempio relativo alla corretta conoscenza intesa come presupposto indispensabile per il raggiungimento della verità. La cu/mbasij del 421 a. C. non è un accordo di pace, poiché i patti non sono stati accettati. Si osservi, invita Tucidide, quanto differisce in concreto dalla pace, w(j di$/rhtai a)qrei/tw, e si scoprirà, eu(rh/sei, che non è corretto intenderlo come un periodo di pace. Relativamente alla guerra, se uno calcola secondo i tempi, logizo/menoj kata\ tou\j xro/nouj, scoprirà, eu(rh/sei, che è durata ben ventisette anni. Relativamente all’attacco ateniese in Sicilia, se uno avesse valutato, e)logi/sato, la spesa pubblica e quella privata, ne avrebbe scoperto, hu(re/qh, l’esatta entità. Eu(ri/skein, termine che prova l’adesione di Tucidide al lessico della medicina ippocratica, rappresenta la fase conclusiva di un’indagine, della zh/thsij, il ritrovamento di una verità sorretta da un’analisi meticolosa. La corretta conoscenza è il presupposto essenziale per il raggiungimento della verità. Il safe/j è il risultato finale di questo difficile percorso, è l’obiettivo finale di Tucidide (to\ safe\j skopei=n), impossibile da ottenere per l’analisi delle vicende del passato (ta\ ga\r pro\ au)tw=n kai\ ta\ e)///ti palai/tera safw=j me\n eu(rei=n dia\ xro/nou plh=qoj a)du/nata h)=n). “Ce ‘clair’ est le fruit d’une intelligence active et perspicace”, ha efficacemente sintetizzato la De Romilly. L’unico criterio che garantisce l’attendibilità di una notizia è dato da un rigoroso processo di acquisizione e di selezione di dati, al fine di enucleare il safe/j. To\ safe\j skopei=n è il fine ultimo, come indica Tucidide nella sezione finale dei capitoli sul metodo, di una ricerca

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condotta con criteri rigorosi, una ricerca che mira a fornire un prodotto utile. Eu(ri/skein è il momento finale, la fase conclusiva di un lungo e complesso lavoro di indagine: è la diretta conseguenza di zhtei=n, di skopei=n, di a)qrei=n, di logi/zesqai. E’ un binomio importante nel metodo di Tucidide: corretta conoscenza = ritrovamento della verità. Una conoscenza dettagliata ed esatta, sembra voler far capire Tucidide, è appannaggio di pochi, ma a loro e soltanto loro sarà concesso, come premio, il raggiungimento della verità. In più occasioni, infatti, Tucidide avverte l’esigenza di correggere credenze errate, specificando di essere a conoscenza della tesi più veritiera sebbene meno accreditata: corregge l’opinione errata che gli Ateniesi hanno sull’omicidio di Ipparco, rettifica numerose a)koai/ invalse tra i polloi/. Gli uomini, infatti, accettano a)basani/stwj le notizie apprese da altri, non si preoccupano di vagliarle né di selezionarle, la loro ricerca della verità è a)talai/pwroj. Tucidide si pone su livello più alto: la sua ricerca si basa su un lungo lavoro di collazione e di selezione delle testimonianze in cui l’a)kri/beia occupa un posto predominante. Nel corso del suo racconto corregge più volte le opinioni invalse: alcuni credono che i primi abitanti della Sicilia siano stati i Sicani, mentre, a suo dire, w(j de\ h( a)lh/qeia eu(ri/sketai, non sono autoctoni ma Iberi. Anche in questo contesto, la scoperta di una nozione esatta è associata a un processo che mira a ristabilire la verità ed è significativamente posta in contrapposizione alle credenze comuni, w(j me\n au)toi/ fasi: la massa indistinta ha un’opinione errata, a cui Tucidide oppone una nozione opposta e identificata con l’a)lh/qeia che a sua volta è associata al processo del ritrovamento dei dati, come testimonia la scelta di eu(ri/skein. Un percorso lungo e difficoltoso ma senza dubbio gratificante. Il materiale su cui Tucidide

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lavora è sottoposto, dunque, a un meticoloso processo di selezione, così che la ricerca sul passato diventa un’attività, se non ‘scientifica’ nell’accezione moderna del termine, comunque complessa e non accessibile a tutti, tanto più consapevole quanto più seria è la dedizione che richiede. La conoscenza chiara, evidente, è agevolata, lascia intendere Tucidide, dalla partecipazione diretta agli eventi. La testimonianza oculare è, dunque, la prima garanzia di un corretto modo di procedere nel processo di acquisizione e di selezione dei dati. Tucidide tranquillizza il lettore: è un testimone attendibile, ha vissuto per tutta la durata della guerra, e anche la sua condizione di esule non ha interrotto la sua attività, permettendogli, invece, di valutare i fatti kaq’h(suxi/an. Quando non ha potuto conoscere de visu gli avvenimenti della guerra, si è servito di testimoni, vagliando con la maggior esattezza possibile le loro informazioni. L’a)koh/ è, infatti, un criterio poco affidabile, dipendere dai racconti altrui può trarre in inganno lo storico poco accorto: eu)/noia e mnh/mh sono in agguato. L’unico criterio che garantisce l’attendibilità di una notizia è dato da un rigoroso processo di acquisizione e di selezione di dati, al fine di enucleare il safe/j. Non fa sconti Tucidide: guarda con scetticismo alle opinioni dei polloi/ che accettano a)basani/stwj le informazioni correnti: ou(/twj a)talai/pwroj toi=j polloi=j h( zh/thsij th=j a)lhqei/aj kai\ e)pi\ ta\ e(toi=ma ma=llon tre/pontai. I criteri con cui ha ricostruito la storia si ritrovano nei suoi personaggi. Gli Ateniesi, nell’incipit del discorso all’assemblea di Sparta, annunciano di voler sorvolare sui palaia/, poiché gli avvenimenti del passato dipendono dalle a)koai/, mentre è più opportuno soffermarsi sugli avvenimenti che l’assemblea conosce per esperienza personale: gli occhi sono ma/rturej più attendibili delle a)koai/. Essi si interrogano, come Tucidide, sull’utilità

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di rievocare il passato, ammettono i limiti di un racconto mediato da altri, perchè tale racconto deve necessariamente basarsi sull’ingannevole a)koh/. Anche Archidamo, re dei Lacedemoni, vanta un’esperienza diretta nella guerra. Dichiara fin da subito di essere e)/mpeiroj. Tale esperienza, che dà autorevolezza alle sue parole, lo induce a non voler partecipare al conflitto, poiché soltanto chi è inesperto di guerra può desiderarla. L’e)mpeiri/a è una garanzia sufficiente che dà autorevolezza alle sue parole e lo distanzia dall’opinione dei polloi/ che, agendo a)peiri/#, si dimostrano favorevoli al conflitto e ignorano le conseguenze negative. Ricorre, anche in questo contesto, l’opposizione conoscenza e non conoscenza: la conoscenza de visu si pone in una posizione di superiorità. Chi ha una conoscenza sicura, derivata dall’esperienza, gode di una maggiore credibilità. Successivamente Archidamo invita l’assemblea a ragionare sull’entità della guerra: se uno ragionasse attentamente, ei) swfro/nwj tij au)to\n e)klogi/zoito, scoprirebbe, eu(ri/skein, i rischi che la guerra comporta. Il raggiungimento della conoscenza, nascosto nel verbo tecnico eu(ri/skein che anche Tucidide, come si è visto, utilizza nel senso di ‘ritrovamento successivo ad una ricerca’, si ottiene dopo un’analisi accurata e scrupolosa (swfro/nwj) della situazione. Anche Pericle, nel suo epitafio per i caduti, ha davanti a sé un uditorio diviso. Dovrà esprimersi in modo commisurato, metri/wj, alle attese dell’uditorio: chi è informato sui fatti è anche ben disposto ad ascoltare le parole dell’oratore perché consapevole del valore dimostrato dai caduti, mentre chi è privo di notizie sulle gesta dei caduti, vede nella celebrazione dei caduti un’esaltazione eccessiva, un pleona/zesqai. Ricorre nuovamente la distinzione tra ‘chi conosce’ ed è un ascoltatore benevolo (cuneidw/j … eu)/nouj ) e ‘chi non conosce’ e

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prova invidia nei confronti dei caduti (a/)peiroj … dia\ fqo/non). Ancora un problema di conoscenza. Poco prima Pericle ha esposto all’assemblea la sua volontà di prendere le distanze dai suoi predecessori, prospettando l’inadeguatezza del lo/goj rispetto all’importanza dell’argomento: la maggior parte degli oratori, i polloi/, sostiene l’opportunità di unire alla cerimonia di commemorazione un e)/painoj, mentre Pericle riterrebbe sufficiente, a)rkou=n a)\n e)do/kei, rendere onore con i fatti, a uomini che hanno dimostrato con i fatti il loro valore in guerra. Lo stratego è consapevole della difficoltà del compito che l’attende, sa che dovrà esprimersi metri/wj per la presenza di un pubblico suddiviso in ‘informati’ e ‘non informati’, pur non rinunciando a dire che riterrebbe sufficiente (a)rkou=n a)\n e)do/kei) tributare i dovuti onori in modo concreto. Anche Tucidide dimostra piena consapevolezza dell’atipicità del suo racconto nel momento in cui spiega che si riterrà soddisfatto, a)rkou/ntwj e(/cei, se la sua indagine potrà essere utile a quanti vorranno to\ safe\j skopei=n. Il confronto risulta più plausibile anche per la presenza di termini dello stesso campo semantico: a)rkou=n per Pericle, a)rkou/ntwj per Tucidide. E’ difficile, xalepo/n, per lo stratego commisurare le parole ai fatti; è difficile, xalepo/n, per lo storico restituire correttamente le notizie riferite dai testimoni. La dichiarazione di Pericle nasconde, senza dubbio, un malcelato desiderio di captatio benevolentiae, ben attestato, tra l’altro, nelle altre orazioni funebri pervenute. Pur essendo una espressione tipica della topica degli epitafi, non possiamo non notare la similarità con il metodo di Tucidide. La terminologia, pressochè identica, agevola il confronto tra lo storico e lo stratego. E’ altresì utile, cu/mforon, prosegue Pericle, che l’assemblea ascolti il suo e)(painoj, come per

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Tucidide l’utilità della sua indagine, w)fe/lima kri/nein, è l’obiettivo più importante. La difficoltà del compito, unita all’utilità della propria indagine, è dunque un punto di contatto significativo.

Anche nelle argomentazioni di altri protagonisti di discorsi abbiamo notato echi e parallelismi con il concetto dell’importanza attribuita da Tucidide al processo della conoscenza e alla conoscenza oculare. I Mitilenesi sottolineano, nel discorso di difesa ai Lacedemoni, di aver deciso di defezionare soltanto dopo aver conosciuto compiutamente, safw=j ei)de/nai, la situazione. Cleone, nel suo discorso inerente alla decisione da prendere sulla questione di Mitilene, accusa gli Ateniesi di non analizzare correttamente la situazione, li ritiene responsabili di decisioni poco avvedute perchè si lasciano affascinare da ciò che sentono. Non comprendono, invece, che la testimonianza più veritiera è fornita dalla vista e che gli occhi sono testimoni più attendibili dell’udito, ou) to\ drasqe\n pisto/teron o)/yei labo/ntej h)\ to\ a)kousqe/n. Anche nel discorso di Brasida abbiamo riscontrato proiezioni del metodo di Tucidide. Il comandante spartano struttura il suo discorso come una didaxh\ a(/ma t£$= parakeleu/sei, specificando, subito dopo, il carattere del suo discorso: sarà una didaxh\ a)lhqh/j. Brasida assume il ruolo di educatore che anche Tucidide rivendica nei capitoli sul metodo. Il generale deve offrire una spiegazione veritiera e utile ai suoi soldati, come lo storico deve fornire un racconto utile al suo pubblico. Il comandante spartano invita i suoi soldati ad apprendere, xrh\ maqei=n, che i barbari non sono temibili, anche se, per a)peiri/a, essi provano un’ingiustificata paura. Temono dunque i barbari non perché costoro sono realmente temibili, ma perché loro sono privi di una corretta

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conoscenza. La mancanza di informazione preventiva sulle reali potenzialità dei nemici, il mh\ proeide/nai, può alterare la percezione dei punti di forza e di debolezza del nemico. Analogamente Tucidide ha sottolineato, nei capitoli sul metodo e nelle sezioni del racconto in cui ha esplicitato il suo criterio di indagine e di raccolta dei dati, l’importanza di una corretta informazione e l’imprescindibilità del vaglio accurato e meticoloso delle notizie. Nello stesso discorso Brasida applica il metodo storico di Tucidide alla conoscenza dei barbari: prima la conoscenza diretta, poi l’ei)ka/zein, infine la conoscenza a)ko$= mediata dai racconti altrui. Una gradatio significativa che trova riscontro nei criteri che Tucidide dichiara di aver seguito nella sua ricostruzione della storia: la conoscenza oculare come esigenza prioritaria, seguita dalla ricerca delle testimonianze più attendibili, mentre l’a)koh/ comporta un considerevole margine di incertezza. Nella conclusione del discorso di Brasida abbiamo trovato un altro nucleo riconducibile al metodo di Tucidide: i suoi soldati devono safw=j o(ra=n, che la paura che incute il nemico è in realtà un’inezia, e)/rg% me\n braxu\ o)/n, un elemento che può disturbare soltanto la vista e l’udito, o)/yei de\ kai\ a)ko$= kataspe/rxon. Dopo la didaxh/ di Brasida, i soldati dovrebbero aver ben chiaro questo concetto. Safw=j … o(ra=te è in stretta relazione con to\ safe\j skopei=n dei capitoli sul metodo: sia per i destinatari di Tucidide sia per l’uditorio cui si rivolge Brasida, la conoscenza si rivela un obiettivo prioritario. Tutto il discorso di Brasida, come abbiamo visto, è imperniato su elementi inerenti al campo semantico della conoscenza. Lo stratego divide il suo uditorio tra chi è in grado di non lasciarsi spaventare dalla visione del nemico e chi invece non conosce la reale situazione perché non ha gli strumenti adatti a tale scopo. L’elemento

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a)nece/legkton, che può ostacolare il processo della conoscenza, del safw=j o(ra=n, è spesso un’insidia: per Brasida è a)nece/legkton il coraggio del nemico, per Tucidide sono a)nece/legkta gli avvenimenti del passato. Ancora un problema di conoscenza. Anche i discorsi di Alcibiade e di Nicia pongono un problema di conoscenza. Entrambi dichiarano, nei loro discorsi relativi alla spedizione in Sicilia del 415, di conoscere la situazione di quella regione dall’a)koh/. La Sicilia è una realtà geografica lontana, non permette di esaminare de visu le condizioni delle singole città. Nicia e Alcibiade, come Brasida, fanno ricorso alle a)koai/ per trovare informazioni altrimenti inconoscibili: la Sicilia per Nicia e Alcibiade, i barbari per Brasida. In questi contesti l’a)koh/ si rivela l’unico strumento di conoscenza. L’importanza secondaria che Tucidide attribuisce a tale modalità di conoscenza non è smentita dalle considerazioni di Nicia e di Alcibiade, in quanto l’a)koh/ si rivela l’unico strumento di conoscenza in un contesto altrimenti sconosciuto per la distanza geografica. Sempre nei discorsi di Alcibiade e di Nicia abbiamo ritrovato alcuni punti di contatto con il metodo di Tucidide inerente all’importanza della conoscenza. Nel lo/goj ai Lacedemoni, Alcibiade compie un’appassionata autodifesa dalle diabolai/ di cui è stato oggetto all’indomani della partenza in Sicilia. Dichiara di essere a conoscenza della situazione della Sicilia in modo più dettagliato rispetto agli altri (ei)/ ti ple/on oi)=da), spiega all’uditorio di essere in possesso delle informazioni più precise e attendibili, para\ tou= ta\ a)kribe/stata ei)do/toj. Invita a fortificare Decelea per incutere timore agli Ateniesi, non prima, però, di aver ottenuto esatte informazioni, tau=ta safw=j punqano/menoj. Chi legge tale discorso di Alcibiade nota la sorprendente frequenza di termini relativi al campo della conoscenza e l’insistenza con cui lo stratego

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ateniese ostenta una conoscenza qualitativamente superiore. Analogamente Nicia, in un discorso di esortazione, invita i suoi soldati a non abbandonare il coraggio, in virtù della loro esperienza in guerra. Non devono accettare ciò che subiscono gli uomini più inesperti, ou)de\ pa/sxein o(/per oi( a)peiro/tatoi tw=n a)nqrw/pwn, che vivono sempre nel timore della sconfitta, ma recuperare il coraggio proprio perchè conoscono la situazione, pollw=n h)/dh pole/mwn e)/mpeiroi. La conoscenza è dunque garanzia di successo, come già Archidamo e Brasida hanno spiegato ai loro soldati. Chi è e)/mpeiroj e conosce safw=j le situazioni, è in grado di orientarsi più facilmente nelle diverse fasi di una guerra. Non è un caso, dunque, che numerosi discorsi di Tucidide siano affidati a personaggi dotati di una conoscenza più approfondita rispetto agli altri. Singolare, a questo proposito, il modo in cui Tucidide introduce il discorso del comandante siracusano Ermocrate. Egli è capace, secondo Tucidide, di safw=j ... ei)de/nai ta\ peri\ au)tw=n. Ermocrate stesso, nell’incipit del suo discorso di esortazione all’assemblea dei Siracusani, dichiara di essere in grado di fronteggiare la situazione di pericolo in cui si trova la Sicilia perchè dotato di conoscenze più precise, pei/qwn ... safe/stero/n ti e(te/rou ei)dw\j le/gein. Ermocrate, come Tucidide, si pone in una condizione di superiorità intellettuale, accusa gli altri di adeguarsi a ciò che sentono dire, pro\j ta\ lego/mena ... i(/stantai, come Tucidide accusa i polloi/ di superficialità perchè e)pi\ ta\ e(toi=ma ma=llon tre/pontai. Anche Gilippo, il generale spartano cui è affidata la difesa della Sicilia dall’offensiva ateniese, espone, nel suo discorso, le ragioni dell’opportunità di rivolgersi all’assemblea. Egli comunica fin da subito all’uditorio che le sue parole corrispondono alla verità, to\ d’a)lhqe/staton gnw=te e)c w(=n h(mei=j oi)o/meqa safw=j pepu/sqai.

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Dichiara, con consapevolezza, di essere in possesso della verità. Tale verità è basata su eventi ben noti, dai quali trae argomentazioni valide e utili per convincere l’uditorio.

Uno dei punti-chiave del metodo di Tucidide, presente anche nei discorsi di alcuni oratori, è il rapporto con la produzione letteraria precedente. Egli stesso, nei capitoli sul metodo, mostra piena consapevolezza della portata innovativa della sua indagine. Il suo racconto, per la mancanza delmuqw=dej, potrà risultare poco piacevole,

a)terpe/steron. Tucidide inserisce, nella categoria di coloro che mirano

almuqw=dej, i poeti e i logografi. I poeti sono criticati perchèu(mnh/kasi

... e)pi\ to\ mei=zon kosmou=ntej, gli scrittori in prosa perchècune/qesan e)pi\

to\ prosagwgo/teron t$= a)kroa/sei h)\ a)lhqe/steron. A tutto ciò

Tucidide, consapevole di voler evitare il principio del relata refero e incline a fornire sempre la propria versione dei fatti, sostituisce il suo prodotto che volontariamente si allontana dal muqw=dej, unokth=ma e)j

ai)ei\ ma=llon h)\ a)gw/nisma e)j to\ paraxrh=ma a)kou/ein che si augura possa essere di qualche utilità, w)fe/lima kri/nein, a quanti vorranno

conoscere approfonditamente, to\ safe\j skopei=n, la realtà degli

avvenimenti presenti e di quelli futuri. Tucidide polemizza dunque contro chi mira esclusivamente alla riuscita letteraria abdicando alla verità del racconto a favore di un prodotto stilisticamente elaborato ma ingannevole. Piacere e verità non possono convivere armonicamente, lascia intendere Tucidide nel momento in cui spiega che il suo racconto vuole essere uno kth=ma e)j ai)ei/, proiettato nel futuro dunque, e non una))gw/nisma e)j to\ paraxrh=ma a)kou/ein, un racconto destinato a

esaurirsi nell’ambito sfuggente ed effimero della comunicazione orale. Egli rifiuta la componente edonistica del racconto, soprattutto se ciò

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comporta perdere di vista l’a)lh/qeia: inevitabilmente un racconto

piacevole non può essere veritiero, così come una narrazione che non indulge sugli aspetti favolosi e mitici sembra essere l’unica garanzia per giungere alla verità. Chi pone come fine ultimo una narrazione avvincente e stilisticamente curata, si allontana, dunque, dalla verità: un aspetto pare inevitabilmente escludere l’altro. Per Tucidide la ricerca della verità storica contrasta inevitabilmente con l’aspetto piacevole della cuggrafh//, come dimostra il sistema di associazioni e

di opposizioni semantiche che caratterizzano non solo i capitoli programmatici ma anche alcuni discorsi che abbiamo analizzato. Il prosagwgo/teron è in opposizione all’a)lhqe/steron, come l’e)j to\ paraxrh=ma a)kou/ein contrasta con uno kth=ma e)j ai)ei/. Il piacere allontana dunque dalla verità, produce una falsa conoscenza, ed è spesso associato, in Tucidide come nei suoi personaggi, alla breve durata.

La volontà di contrapporsi alla storiografia precedente emerge in più passi nel testo. Erodoto non è mai citato direttamente, ma più volte Tucidide riporta e corregge notizie che troviamo nel racconto del suo predecessore. In un caso, c’è un polemico riferimento ad

personam in cui Tucidide sottolinea l’imprecisione e la superficialità

della ricerca di Ellanico. Nei confronti della produzione in versi, la critica non è meno incisiva. Tucidide, come abbiamo visto, si serve della testimonianza di Omero per la ricostruzione di alcuni avvenimenti, tutti compresi nella categoria deipalaia/. Segue Omero

nella ricerca di testimonianze per alcuni nuclei dell’Archeologia, in alcuni casi si accontenta dei dati forniti da lui o da generici poihtai/ senza fornire una sua versione. A ben vedere, però, la ripresa di

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Omero è seguita, in alcuni casi, da espressioni di dubbio e di riserva, ei)/

t% i(kano\j tekmhriw=sai, ei)/ ti xrh\ ka)ntau=qa pisteu/ein, ei)ko\j e)pi\ to\

mei=zon me\n poihth\n o)/nta kosmh=sai. Tali espressioni di prudenza celano l’invito al lettore ad accoglierle con cautela proprio per il loro potere diau)/chsije diko/smoj. Abbiamo notato, infatti, nei passaggi in

cui si affida alla testimonianza di Omero, un prudente tono di sfiducia, pur citando la fonte come unico sostegno utilizzabile. Con Omero il racconto trapassa nel mito e non è più in grado di trasmettere la verità. Tucidide si serve della testimonianza di Omero soltanto per notizie relative a periodi remoti o ad alcuni excursus. Tucidide sembra dunque rifiutare le modalità di ricerca dei poeti e dei logografi e non li cita mai come fonte di notizie per gli avvenimenti della guerra del Peloponneso; rifiuta un racconto piacevole e stilisticamente curato a vantaggio di un racconto vero e utile. Anche questo aspetto del metodo di Tucidide trova riscontri e parallelismi nelle argomentazioni dei suoi personaggi. Archidamo, nel suo discorso del primo libro ai Lacedemoni, elenca le virtù del suo popolo, tra cui annovera la capacità di non lasciarsi irretire dall’h(donh/ dei discorsi con cui gli Ateniesi sono soliti affascinare il nemico e l’abilità di dimostrare concretamente ciò che dicono nei discorsi. Nell’epitafio di Pericle il rifiuto della componente edonistica dello/gojemerge in più occasioni, pur inserita in un discorso appartenente a un genere letterario che fa dell’elogio e del bel discorso un elemento fondante. E’ proprio in questo contesto che la presenza del metodo di Tucidide acquista ancora più incisività.L’e)/painoj pronunciato da Pericle è una lode sui

generis, una lode che perde valore e importanza se non è testimoniata

da shmei=a. E’ una convalida della teoria tucididea che cerca per la narrazione storica il supporto delle prove e delle testimonianze. I

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discorsi si rivelano inutili per Pericle, rischiano di essere soltanto un lo/gwn ko/mpoj, lo sfoggio di parole non ha importanza se non trova

riscontro nell’e)/rgwn a)lh/qeia. Pericle, come Tucidide, polemizza

contro i poeti, colpevoli di kosmei=n. Omero non è un testimone

affidabile. Tucidide in più occasioni esprime riserve sulla sua attendibilità nella ricostruzione della storia, così come Pericle si allontana dalla modalità di trasmissione delle notizie dei poeti e dei logografi. In questocontesto la sovrapposizione di pensiero è evidente: Tucidide rifiuta chiunque, poeta o scrittore in prosa, alteri la verità dei fatti e anteponga l’aspetto edonistico,e)pi\ to\ mei=zon kosmou=ntejper i poeti, e)pi\ to\ prosagwgo/teron tv= a)kroa/seiper gli scrittori in prosa, alla verità, a)lhqe/steron. Analogamente Pericle rifiuta il sostegno

(Omh/rou e)paine/tou ou)/te o(/stij e)/pesi me\n to\ au)ti/ka te/ryei, tw=n d’e)/rgwn th\n u(po/noian h( a)lh/qeia bla/yei. In entrambi la funzione

assunta dalla poesia si rivela sviante: per Tucidide ha come scopo più il diletto dell’udito che la verità (w(j poihtai\ u(mnh/kasi peri\ au)tw=n

e)pi\ to\ mei=zon kosmou=ntej ma=llon pisteu/wn), per Pericle la poesia

può dilettare sul momento, to\ au)ti/ka te/ryei, ma è poi infirmata dalla

verità. Abbiamo notato ancora una costante preoccupazione, da parte di Pericle, di dare un fondamento concreto a un discorso che, senza l’insostituibile apporto dell’e)/rgwn a)lh/qeia sarebbe, al pari della

produzione in versi a cui si oppone, unlo/gwn ko/mpoj e)n t%= paro/nti. Si addensano espressioni del lessico giudiziario: Atene affronta la prova in modo superiore alla sua fama, a)koh=j krei/sswn e)j pei=ran e)(rxetai, gli Ateniesi offrono un riscontro concreto alla lode, meta\

mega/lwn de\ shmei/wn kai\ ou) dh/ toi a)ma/rturon. La distanza fralo/goj e e)/rgon è cancellatadalladu/namijche la città ha saputo realizzare: è il

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permette di notare, dietro le parole di Pericle, la presenza, evidente e incisiva, di Tucidide. Il lo/goj di Pericle, infatti, aderisce perfettamente agli e)/rga, rientra a pieno titolo nella tipologia di discorso che Tucidide accetta e incoraggia, perchè non comporta una sfasatura, un eccedere di un piano sull’altro. La distanza apparentemente incommensurabile fra lo/goj e e)/rgon, che avrebbe permesso di cogliere Tucidide in contraddizione con quanto dichiarato nei capitoli sul metodo, è colmata dalla grandezza dei caduti di Atene e dalle sue gesta del passato. Attraverso testimonianze concrete, la lode della città cancella tale distanza. Emerge, nel discorso, la consapevolezza che Atene e i suoi cittadini hanno realizzato una

adaequatio della loro fama ai fatti. Infatti, alla fine del discorso,

l’equilibrio tra parole e azioni è pienamente raggiunto: le a)retai/ degli uomini hanno abbellito, e)ko/smhsan, la città, i Greci hanno ottenuto un elogio pari ai fatti, i)so/rropoj. Il difficile equilibrio fra parole e azioni è mirabilmente raggiunto. L’inno di Pericle rientra, dunque, a pieno titolo, nei criteri di metodo di Tucidide.

Anche nei discorsi dei Mitilenesi, di Cleone e di Diodoto abbiamo riscontrato la polemica contro il ‘bel discorso’ che non produce utilità né vantaggi. Discorsi belli e ingannevoli: i Mitilenesi accusano gli Ateniesi di essere stati ingannati dall’eu)pre/peia lo/gou con cui Atene impone gli alleati la sua a)rxh/. Cleone critica l’uso sofistico dell’eloquenza che seduce il popolo e lo porta a decisioni dannose. Nelle sue parole emerge, nitido, il rifiuto di una concezione del dibattito politico come gara di competenza oratoria. Nel discorso all’assemblea ateniese emerge con evidenza un’affinità di vedute con il metodo di Tucidide. Lo stratego ateniese accusa Diodoto di indurre

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l’assemblea a mutare la sua decisione sulla sorte della ribelle Mitilene attraverso l’eu)prepe\j tou= lo/gou. L’uditorio non è esente da colpe: non analizza in modo critico gli eventi, ma preferisce farsi incantare dall’originalità dell’eloquenza, meta\ kaino/thtoj me\n lo/gou a)pata=sqai, e dalle capacità oratorie di chi presenta resoconti stilisticamente elaborati. Evidente è la polemica contro i sofistai/ e contro gli Ateniesi stessi, sedotti dal piacere del discorso, a)koh=j h(don$= h(ssw/menoi, incapaci di discernere il giusto, inconsapevoli che l’h(donh\ lo/gwn, unitamente alla compassione e alla clemenza, è uno dei tre mali peggiori per un impero. Nella requisitoria di Cleone gli Ateniesi sono classificati come spettatori dei discorsi e ascoltatori dei fatti, incapaci di esaminare opportunamente, i(kanw=j, la situazione presente. A loro, in quanto vittime dell’abilità retorica degli altri, è preclusa la conoscenza della verità. Il desiderio di procurare diletto con le parole non può, dunque, convivere con la decisione di esporre contenuti veri. Nel pensiero di Cleone è evidente il pericolo insito nell’eu)= ei)pei=n. Si affaccia, dunque, anche in questo discorso, l’idea che un discorso elegantemente strutturato non può veicolare contenuti veritieri e utili ai destinatari. Mai, nelle parole di Cleone, il piacere suscitato dall’ascolto dei discorsi degli oratori ha in sé qualcosa di positivo e utile, sia per la città sia per gli Ateniesi. La vicinanza con Tucidide è, in questo caso, ancora più plausibile: Cleone è un politico notoriamente inviso a Tucidide, ma esprime considerazioni in linea con il metodo dello storico. La critica non ha passato sotto silenzio la singolarità delle sue argomentazioni, ben lontane dall’immagine del politico aggressivo e poco diplomatico che la tradizione letteraria antica ci ha consegnato. Si è pensato, per giustificare l’incomprensibilità dell’attacco di Cleone all’eloquenza forbita, a un

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latente intento ironico di Tucidide. La sua ‘tirata’ contro l’uso sofistico dell’eloquenza e contro il piacere provocato dai discorsi dei r(h/torej si spiega più facilmente se la consideriamo una proiezione del pensiero di Tucidide che, anche quando lascia parlare i suoi personali avversari politici e uomini dell’altra fazione, non abbandona la sua tendenza a trasferire il suo metodo nelle loro argomentazioni. Ipotizzare la presenza di Tucidide anche in questo discorso dirimerebbe pacificamente la questione. Analogamente, il discorso di replica affidato a Diodoto, contiene una polemica contro chi parla pro\j xa/rin e riprende il pensiero di Tucidide secondo cui il te/rpein, capace di sedurre l’orecchio producendo un piacere di breve durata, non è parimenti capace di suggerire la verità dei geno/mena. I discorsi sono validi, specifica Diodoto, soltanto se si rivelano dida/skaloi tw=n pragma/twn. Anche per Diodoto l’eu)prepe\j tou= lo/gou non può convivere con il xrh=simon. A ben vedere, dunque, Diodoto esprime una posizione analoga a quella del suo avversario Cleone, in quanto non riabilita completamente il discorso, ma esclude, dalla categoria dei lo/goi utili alla città, quello finalizzato esclusivamente a compiacere l’uditorio per raggiungere i propri scopi. Entrambi sottolineano i pericoli dei discorsi strutturati secondo il criterio della eleganza. Il buon cittadino, spiega Diodoto, non deve badare a impressionare, ma apparire migliore oratore a parità di condizioni con gli avversari, a)po\ tou= i)/sou fai/nesqai a)/meinon. Il discorso di Diodoto rigetta, dunque, l’accusa di Cleone e occupa una posizione di parità in quanto si propone come fine l’utile, il xrh=simon. E’ dunque, l’accusa all’eu)prepe\j tou= lo/gou, un punto di contatto importante che accomuna, tramite la stessa terminologia, i Mitilenesi, Cleone e Diodoto. Anche Tucidide, nella sua amara considerazione nel terzo

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libro sugli effetti devastanti della sta/sij che ha determinato la vittoria della fazione democratica filo-ateniese, spiega che il sovvertimento dei valori determinato dalla guerra civile faceva sì che godessero di fama maggiore coloro che, con discorsi elegantemente strutturati, eu)prepei/£# lo/gou, conseguivano risultati in modo odioso, e)pifqo/nwj. Anche i Tebani, che prendono la parola davanti ai giudici spartani per discutere sulla punizione da infliggere alla filo-ateniese Platea, si pronunciano contro il kosmei=n. Invitano i giudici a dare ai Greci un para/deigma che il dibattito non verterà sulle parole, bensì sui fatti, dal momento che, se si discute di cose oneste, basta un breve annuncio e non c’è bisogno di lunghi discorsi, se invece si tratta di situazioni disoneste, allora i discorsi adorni di belle parole, lo/goi e)/pesi kosmhqe/ntej, servono per dissimularli, prokalu/mmata gi/gnontai. I Tebani riprendono, dunque, la nota polemica di Tucidide contro la narrazione che tende al diletto e dimentica di mirare alla verità dei geno/mena. Cleone aveva accusato gli Ateniesi di essere vittime del gusto dell’eloquenza e di comportarsi come spettatori oziosi seduti ad assistere a un’esibizione di sofisti più che come uomini intenti a deliberare per il bene della città. Allo stesso modo i Tebani chiudono il loro appello ai giudici polemizzando contro chi, per mascherare le proprie iniquità, si fregia di belle parole come prokalu/mmata. La consapevolezza del potere del ‘bel discorso’ è evidenziata anche da Alcibiade. Lo stratego spiega, nel lo/goj di risposta a Nicia, che per attirarsi la benevolenza delle città della Sicilia, è opportuno parlare secondo il loro gradimento, kaq’h(donh/n. L’inutilità del discorso elaborato è messa in luce anche da Nicia. Lo stratego parla ai propri soldati spiegando l’inutilità, in una circostanza delicata, di lunghi discorsi. I preparativi per la guerra, prosegue Nicia,

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sono più adatti alla circostanza rispetto a discorsi ben articolati, kalw=j lexqe/ntej lo/goi, uniti a un esercito debole. I fatti dunque si rivelano più utili dei bei discorsi. In un altro discorso di Nicia, strutturato come una lettera mandata dallo stratego ai suoi soldati tramite un messaggero, abbiamo enucleato una considerazione riconducibile al metodo di Tucidide. Nicia decide di inviare una lettera, veicolo di informazione più sicuro, temendo che gli inviati, o per incapacità di parlare, h)\ kata\ tou= le/gein a)dunasi/an, o per dimenticanza, h)\ kai\ mnh/mhj e)llipei=j gigno/menoi, o per dire cose che avrebbero fatto piacere alla folla, h)\ t%= o)/xl% pro\j xa/rin ti le/gontej, non avrebbero riferito il vero, ou) ta\ o)/nta a)pagge/llwsin. Il piacere provocato dalle parole allontana dunque dalla verità, può diventare uno strumento per alterare i fatti o per condizionare l’uditorio. All’inizio del suo discorso, Nicia annuncia infatti la sua decisione: fa sapere, attraverso l’inviato, che avrebbe voluto comunicare notizie più piacevoli, h(di/w, ma certamente non sarebbero state più utili, ou) me/ntoi xrhsimw/tera, dal momento che la situazione difficoltosa esige che gli uomini decidano dopo aver conosciuto con esattezza la situazione, safw=j. Nicia conosce l’indole dei cittadini e sa che vogliono ascoltare ta\ h(/dista, ma poi sono pronti a lanciare accuse se i risultati non sono conformi alle notizie rivelate. Decide dunque che è più sicuro, a)sfale/steron, dire la verità, to\ a)lhqe\j dhlw=sai. Emerge qui il contrasto tra ciò che è piacevole ma non veritiero e ciò che invece ‘non accarezza l’orecchio’ ma trasmette la verità: h(di/w è in opposizione a xrhsimw/tera, ta\ h(/dista a)kou/ein, aspettativa dell’uditorio, è in opposizione alla scelta di Nicia di to\ a)lhqe\j dhlw=sai. Tucidide, attraverso Nicia, sottolinea nuovamente il potere

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negativo della parola. Tanto più il discorso procura piacere, tanto più allontana dalla verità. Non è possibile che il piacere del discorso conviva con la sua utilità. Longo ha opportunamente notato che nelle motivazioni con cui Nicia critica la modalità della trasmissione orale e sceglie di inviare una lettera, (difetto di memoria, ricerca del piacere dell’uditorio), troviamo due dei principali argomenti utilizzati da Tucidide nella sua polemica contro i modi della trasmissione orale delle a)koai/, mnh/mh kai\ eu)/noia. Anche per Tucidide un prodotto letterario che si rivela prosagwgo/teron t$= a)kroa/sei non può avere contenuti veritieri, è in opposizione alla verità. Uno kth=ma e)j ai)ei/ è in opposizione irriducibile all’a)gw/nisma e)j to\ paraxrh=ma a)kou/ein. Il prosagwgo/teron non può convivere con l’a)terpe/steron. Tucidide e i suoi personaggi rifuggono dunque da ciò che è effimero poichè, pur provocando diletto sul momento, si rivela poi inconsistente alla prova del tempo. Le critiche che Nicia muove alla trasmissione orale coincidono, dunque, con gli argomenti utilizzati da Tucidide nella sua polemica contro i modi e gli scopi della trasmissione orale. Anche il comandante siracusano Ermocrate diventa, all’occasione, maschera di Tucidide. Nel suo discorso davanti ai cittadini di Camarina, spiega in che modo fronteggiare il pericolo ateniese. Non dovranno lasciarsi sedurre dai sofi/smata né dai discorsi eleganti degli invasori. Gli Ateniesi sono capaci di fare discorsi seducenti, ti proshne\j le/gontej, per ottenere i loro scopi. Ancora un altro esempio del potere negativo del discorso piacevole e della sua enorme capacità di persuasione. Ancora una volta il discorso finalizzato a procurare diletto all’uditorio conduce in una direzione pericolosa. Anche nel discorso dell’ambasciatore ateniese Eufemo abbiamo riscontrato un analogo rifiuto. Eufemo replica alle accuse rivolte poco prima da Ermocrate.

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Dichiara di voler evitare il bel discorso (ou) kalliepou/meqa) perchè le testimonianze concrete sono il miglior sostegno alle sue parole. Il ‘bel discorso’ non solo dunque non fornisce nessun aiuto, ma si rivela anche pericoloso perché può contenere notizie false. Eufemo ripropone, nello stesso lo/goj ai Camarinesi, l’associazione tra il piacere procurato dal discorso e la sua brevità. Gli uomini, spiega all’assemblea, si lasciano convincere dal momentaneo piacere procurato dalle parole, lo/gou me\n h(don$= to\ parauti/ka terpo/menoi, ma poi all’atto pratico si rivolgono a ciò che si rivela più utile. Il piacere si esaurisce nell’immediato e conduce spesso in una direzione che allontana dalla corretta comprensione dei geno/mena. La presenza, nei discorsi, di nuclei riconducibili al metodo di Tucidide testimonia il legame, saldo e ben visibile, che lo storico stabilisce con i suoi personaggi, indipendentemente dalle affinità o dalle differenze sociali e politiche. Tucidide si cela dietro le sue maschere, presta il suo metodo a quello degli oratori, anche se tali personaggi sono lontani dalla sua visione politica o, addirittura, sono stati suoi avversari durante il periodo della strategia. Tali rimandi conferiscono coerenza e organicità all’intera cuggrafh/. E’ ben possibile scorgere Tucidide e il suo metodo dietro questa ingegnosa e sapiente opera di regia: una presenza dominante ma mai ingombrante, ferma nel suo intento di preservare l’autenticità dei discorsi pur scegliendo la caratterizzazione letteraria al posto della inerte fedeltà documentaria.

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