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Capitolo 3 Le microemulsioni come sistema di abbattimento del Cromo esavalente

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Capitolo 3

Le microemulsioni come

sistema di abbattimento

del Cromo esavalente

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3.1 Introduzione

Microemulsioni e soluzioni micellari sono sistemi molto affascinati, con proprietà chimico fisiche uniche nel loro genere. Sono impiegate, nell’industria alimentare, nella formulazione di carburanti ecologici [24],

per la formazione di sistemi farmaceutici, come nanoreattori per la fabbricazione di nanoparticelle e strutture polimeriche [25], per la

produzione di ammorbidenti, in alcune tecniche di restauro, per la misura dei coefficienti di attività delle specie ioniche in soluzione.

Negli ultimi anni sono stati condotti numerosi studi per l’impiego di questi sistemi nell’ambito del trattamento delle acque e delle tecniche di bonifica, specialmente rivolte all’eliminazione dei metalli pesanti [26].

In questo capitolo sono illustrate le proprietà dei tensioattivi, delle soluzioni micellari e delle microemulsioni, il loro impiego nelle tecniche di abbattimento delle sostanze inquinanti e le prerogative che hanno spinto allo studio condotto in questa tesi.

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3.2

Tensioattivi e soluzioni micellari

I tensioattivi sono prodotti che offrono numerose potenzialità applicative come detergenti, emulsificanti, agenti disperdenti, schiumeggianti, ecc., e sono alla base di moltissime applicazioni industriali: in agricoltura, edilizia, come adesivi, come additivi per il cemento, in liquidi per la pulizia a secco o detergenti per la casa (detersivi) e per l’industria, per la fluidificazione del carbone, come additivi per il rivestimento (coating), in prodotti farmaceutici e cosmetici o fotografici, per la polimerizzazione di emulsioni, nel trattamento di pelli e cuoio, nell’estrazione del greggio, negli inchiostri e nelle vernici [27].

Le proprietà di queste sostanze sono legate alla loro struttura chimica, infatti essi sono costituiti da una testa polare, che è solubile in acqua, ed una coda idrofoba, che è solubile in solventi organici come gli idrocarburi. I tensioattivi possono essere classificati in base a diversi criteri, ma quello che risulta essere più esaustivo e chiaro è senza dubbio quello che si riferisce alla struttura chimica. In dipendenza dalla struttura del gruppo idrofilo, un tensioattivo può essere classificato come [27]

• Non ionico

• Cationico

• Anionico

• Zwitterionico

Un tensioattivo può quindi essere costituito da un gruppo idrofilo non ionico (alcoli, poliossietileni, gliceridi, eteri, esteri, ammine, ammidi, tioli, tioeteri, ecc.); da un gruppo ionico sia cationico (ammonio quaternario) che

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anionico (carbossilati, solfati, solforati, fosfati, ecc.); o anche da un gruppo zwitterionico (fosfolipidi, lecitine, sulfobetaine) in cui si ha la contemporanea presenza di un gruppo anionico e cationico. Tipici aggregati di interesse biologico, costituiti da molecole di tipo zwitterionico, sono le membrane cellulari (Figura.3. 1), i cui principali componenti sono i fosfolipidi.

Figura.3. 1 Membrana cellulare [27].

Un altro tipo di classificazione dei tensioattivi è stato proposto sulla base di un parametro definito bilancio idrofilo/lipofilo (hydrophilic-lipophilic balance, HLB) [27]. Suggerito per la prima volta da Clayton si basa sul

rapporto tra dimensioni e forza della frazione idrofila e lipofila della molecola. E’ un parametro empirico assegnato ai tensioattivi sulla base di una ampia serie di esperimenti su emulsioni preparate utilizzando un consistente numero di tensioattivi. Il parametro HLB assume valori compresi tra 1 e 40. La scala è costruita assegnando arbitrariamente il valore 1 all’acido oleico (a cui è stato assegnato un carattere 100% lipofilo)

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e il valore di 20 all’oleato di sodio (prevalentemente idrofilo); i valori intermedi sono calcolati con la seguente relazione:

HLB = 1·W1 + 20·W2

Dove W1 rappresenta la frazione in peso di acido oleico e W2 quella di

oleato di sodio. Ciascuna miscela rappresenta caratteristiche di polarità diverse e dunque diverse proprietà emulsificanti. L’HLB è dunque un parametro adimensionale che si attribuisce a ciascun tensioattivo, sulla base della sua similarità di comportamento con miscele di acido oleico/oleato di sodio.

I valori più bassi di HLB si riferiscono a tensioattivi maggiormente solubili in olio, generalmente utilizzati come emulsionanti acqua in olio. Viceversa i valori più alti si riferiscono a tensioattivi a carattere maggiormente idrofilo, che in genere sono utilizzati come detergenti, agenti solubilizzanti e stabilizzanti delle emulsioni olio in acqua. Valori intermedi di HLB indicano tensioattivi utilizzati come bagnanti, schiumeggianti e stabilizzanti [28]. Una più dettagliata classificazione delle proprietà dei

tensioattivi secondo i valori di HLB è riportata in Tabella.3. 1, con riferimento al loro potere emulsificante e di dispersibilità.

Tabella.3. 1 Caratteristiche in base all’HLB [27].

Potere emulsificante Dispersibilità

1-6 stabilizzante W/O 1-4 Nessuna dispersione in acqua 6-9 Agente bagnante 3-6 Scarsa dispersibilità

8-18 Stabilizzante O/W 6-8 Dispersione lattiginosa dopo forte agitazione 13-15 Detergente 8-10 Dispersione stabile lattiginosa 15-18 Solubilizzante 10-13 Dispersione dal traslucente al chiaro

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Nel caso dei tensioattivi ionici, si chiama controione lo ione di carica opposta che bilancia la carica della testa polare: ad esempio, nel caso del bromuro di didodecil dimetil ammonio (DDAB), il Br- è il controione del [[(H3C(CH2)11]2N(CH3)2]+, oppure nel caso del sodio dodecil solfato (SDS),

Na+ è il controione del H3C(CH2)11-O-SO3-.

La coda dei tensioattivi è costituita da una o più catene alchiliche lineari o ramificate, sature o insature, eventualmente sostituite con alogeni (soprattutto fluoro) oppure silicio. Di recente sintesi sono i cosiddetti bolanfifili, in cui una singola molecola è costituita da tue teste polari collegate da una o due catene idrocarburiche [27].

A causa della simultanea presenza di una regione idrofila e di un blocco idrofobo, ben distinti ma legati covalentemente fra loro, questi segmenti tenderanno a instaurare interazioni differenziate con un solvente selettivo, cioè con un solvente che sia sufficientemente affine ad uno dei due blocchi, e allo stesso tempo sufficientemente dissimile dall’altro. Così nel caso dell’acqua, che è il solvente più comune, le teste polari del tensioattivo verranno idratate e interagiranno tramite interazioni ione-dipolo, dipolo-dipolo ed eventualmente tramite legami a idrogeno, mentre le code idrofobiche subiranno una forte repulsione da parte delle molecole d’acqua. Qualora la concentrazione di tensioattivo lo permetta, tale discrepanza di interazioni porterà alla formazione di strutture supramolecolari (entità ad elevata organizzazione, derivanti dall’associazione di specie a coordinazione saturata), grazie alle quali vengono minimizzate le repulsioni e ottimizzate le interazioni attrattive fra il soluto ed il solvente [27].

La struttura molecolare dei tensioattivi li rende capaci di adsorbirsi (e strutturarsi) a livello delle interfasi liquido/gas, liquido/liquido, e liquido/solido, ossia di concentrarsi alle interfasi. Pertanto sono in grado di stabilire interazioni con ambedue le fasi massive a contatto. La struttura

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anfifilica li rende fortemente dissimmetrici e dotati di momento dipolare

[27].

Data la struttura molecolare è ragionevole chiedersi se le molecole di tensioattivo assumono orientamenti e distribuzioni diverse all’interfase rispetto alle fasi massive adiacenti. Ci sono ipotesi di natura termodinamica ed elettrostatica, sperimentalmente verificate, che indicano che le molecole nello strato di adsorbimento, cioè nelle interfasi, sono generalmente ordinate in maniera diversa dallo strato massivo delle due fasi adiacenti. Del resto, se consideriamo le molecole del tensioattivo come degli “oggetti” dissimmetrici (non sferici), è chiaro che essi assumeranno una posizione definita per minimizzare la loro energia potenziale [27].

Una proprietà importante delle sostanze tensioattive è la capacità di auto-associarsi. In funzione della struttura, delle caratteristiche chimiche, della concentrazione, della temperatura, della forza ionica del solvente e della presenza di altri eventuali soluti, via via che il numero di molecole di tensioattivo disciolte in soluzione aumenta, queste possono formare dapprima piccoli oligomeri (dimeri, trimeri, tetrametri ecc.) e in seguito degli aggregati con numero di aggregazione maggiore, in generale compreso tra 50 e 200. Il numero di aggregazione rappresenta il numero medio di molecole che costituisce l’aggregato. Esistono vari tipi di aggregati, di varie forme geometriche e dimensioni. Ma in tutti i casi le teste polari si trovano a diretto contatto con le molecole di acqua, costituendo un guscio (“shell”) idrofilo, mentre le catene alifatiche vengono segregate nel cosiddetto “core” idrocarburico, che presenta proprietà chimico fisiche (ad esempio densità, mobilità e costante dielettrica) molto simili a quelle degli idrocarburi liquidi. Risultato dell’auto aggregazione di più monomeri è il totale annullamento delle interazioni repulsive fra le molecole di solvente e le catene alifatiche, con formazione del core idrofobico in cui le code carboniose interagiscono

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tramite le cosiddette interazioni idrofobiche [27]. Si può pertanto concludere

che la formazione dello shell polare che instaura interazioni attrattive con il solvente, e del core interno in cui le catene idrofobiche sono segregate ed escluse dal contatto con il solvente, porta ad una notevole stabilizzazione termodinamica del sistema.

Ad un certo livello di concentrazione del tensioattivo si formano strutture associate dette micelle (vedi Figura.3. 2).

Figura.3. 2 Struttura di una micella [27].

La concentrazione al di sopra della quale si ha la formazione di micelle è detta concentrazione critica micellare (c.m.c). Per concentrazioni superiori alla c.m.c si ha presenza di aggregati micellari di dimensioni e forma più o meno simili, in equilibrio dinamico fra di loro, mentre per concentrazioni al di sotto della c.m.c. le micelle si sfaldano liberando monomeri in soluzione. Un tensioattivo per formare micelle deve rispondere a due requisiti fondamentali [27]

• Deve possedere una catena idrocarburica sufficientemente lunga da ridurre notevolmente la solubilità in acqua (generalmente almeno otto atomi di carbonio).

• Deve possedere un gruppo polare tale da promuovere la solubilità della molecola.

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Non tutte le sostanze tensioattive possiedono queste due proprietà. La formazione di micelle è quindi legata ad un corretto bilancio tra la parte idrofoba e quella idrofila del tensioattivo.

Non è mai stato possibile isolare una micella, ma parecchie sono le grandezze chimico fisiche che permettono di rivelare la formazione di dispersioni micellari, quando sono misurate in funzione della concentrazione di tensioattivo. Fra esse la conduciblità, la pressione osmotica, la tensione superficiale, la torbidità, le quali permettono di determinare con una certa approssimazione il valore della c.m.c. [27].

Aumentando la concentrazione del tensioattivo, a concentrazioni superiori alla c.m.c., si ha un aumento nel numero delle micelle, mentre la quantità di monomero disciolto rimane praticamente indipendente dalla concentrazione del tensioattivo, e pari alla c.m.c. (Figura.3. 3).

Figura.3. 3 Concentrazione del monomero e degli aggregati in funzione della concentrazione totale di tensioattivo [27].

I principali fattori che influenzano i valori della c.m.c. sono legati sia alla struttura chimica del tensioattivo che alla natura del solvente e ad altri

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parametri come pressione, temperatura, forza ionica della soluzione, pH, ecc.. In generale si riscontra che [27]:

All’interno di una serie omologa, l’allungamento della catena idrocarburica diminuisce la c.m.c.

La presenza di doppi legami o ramificazioni laterali sulla catena idrocarburica provoca un aumento della c.m.c.

La soluzione del controione può modificare la c.m.c. poiché varia l’idratazione della testa polare. L’aggiunta di sali alla dispersione micellare induce una diminuzione della c.m.c.. La diminuzione è maggiormente sentita dai tensioattivi ionici quindi da quelli zwitterionici ed infine da quelli non ionici.

La variazione di temperatura ha effetti diversi a seconda del tipo di tensioattivo. L’affinità con l’acqua di un tensioattivo ionico aumenta proporzionalmente con la temperatura, perché aumenta la dissociazione della testa polare, perciò, nel caso di un tensioattivo ionico, esiste una temperatura, Kraft Point, oltre la quale si ha la formazione delle micelle. Per un tensioattivo non ionico al di sopra di una certa temperatura, il Cloud Point, il sistema si separa in due fasi: una contenente micelle, l’altra con tensioattivo in quantità prossima alla c.m.c..

L’effetto del pH è importante perché può variare la carica del gruppo polare, da ionico a non ionico, oppure da zwitterionico a ionico.

La forma degli aggregati non è necessariamente di tipo sferico. In Figura.3. 4 sono mostrate alcune tipiche forme di aggregati micellari: sferiche, discoidali, cilindriche, lamellari, vescicolari. Queste ultime addirittura vengono considerate degli aggregati sovramolecolari a sé stanti

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e sono dette, appunto, vescicole o liposomi se gli anfifili costituenti sono gli stessi delle membrane biologiche, cioè i fosfolipidi [27].

Figura.3. 4 Alcuni tipi di strutture micellari: (a) sferiche, (b) discoidali, (c) cilindriche, (d) lamellari, (e) sferiche vescicolari [27].

Per spiegare la possibilità di avere diverse forme di aggregati è necessario fare alcune considerazioni di carattere geometrico. Infatti le principali forze che governano l’aggregazione spontanea di anfifili, cioè la formazione di micelle, bistrati, vescicole, ecc., derivano dalle interazioni idrofobiche fra le catene idrocarburiche che inducono le molecole ad associarsi e dall’opposta natura dei gruppi idrofili che impongono alle molecole di rimanere in contatto con l’acqua. Questi due tipi di interazione sono fra loro competitivi ed agiscono come forze opposte soprattutto nella regione interfacciale; l’una, infatti, tende a diminuire e l’altra ad aumentare l’area del gruppo polare esposto alla fase acquosa [27].

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Alla fine degli anni ‘70 Ninham ed Israelachvili formularono il concetto di “parametro di impacchettamento del tensioattivo” espresso dal rapporto

v/al, dove

v = volume della catena idrofobica l = lunghezza della catena idrofobica

a = area del gruppo polare esposto alla fase acquosa.

Questo parametro è stato ampiamente impiegato per mettere in relazione l’ingombro sterico, e quindi la costituzione chimica dell’additivo, con la curvatura dell’interfase. Tuttavia, molto spesso, l’uso di questo approccio non è proficuo, poiché l’ingombro sterico dell’additivo all’interfase dipende da numerosi fattori non facilmente valutabili “a priori”, non ultima la repulsione tra le porzioni idrofile qualora queste siano cariche.

In linea generale si ha che tensioattivi per cui v/al < 1 danno preferenzialmente aggregati di curvatura positiva (si veda Tabella.3. 2). Viceversa per tensioattivi con v/al > 1.

Note le caratteristiche dei tensioattivi selezionati è spesso possibile conoscere il tipo di struttura originata. In Tabella.3. 2 Sono riportati di diversi tipi di strutture che si possono formare in dipendenza del parametro di impacchettamento.

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Tabella.3. 2 Parametro di impacchettamento [27]. Tensioattivo V/a0lc Forma dell’impacchettamento critico Forma della struttura Tensioattivi con singola catena idrocarburica con grande testa polare.

< 1/3

Tensioattivi con una catena idrocarburica con piccola testa polare.

1/3 – 1/2

Tensioattivi con doppia catena idrocarburica con grande testa polare. Catene fluide.

1/2 – 1

Tensioattivi anionici con doppia catena idrocarburica con piccola testa polare. Catene sature bloccate.

~ 1

Tensioattivi non ionici con doppia catena idrocarburica con piccola testa polare. Catene poli insature bloccate.

> 1

Tutti i sistemi sovramolecolari trattati hanno delle importantissime proprietà, che li rendono anche sistemi tecnologicamente molto importanti, oltre che sistemi modello altamente controllabili per la ricerca di base. Il ruolo delle micelle nei sistemi di interesse tecnologico deriva essenzialmente dalle loro capacità di solubilizzazione di diverse sostanze. In fase acquosa, ad esempio le micelle possono presentare un core idrocarburico (e quindi idrofobico) nel quale sono solubilizzate sostanze insolubili in acqua (si veda par. 3.4). Naturalmente il processo di solubilizzazione è strettamente legato alle caratteristiche idrofobiche o idrofiliche del substrato [27].

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3.3

Microemulsioni ed emulsioni

Le microemulsioni sono sistemi liquidi, omogenei, termodinamicamente stabili ed otticamente trasparenti costituiti da due liquidi immiscibili tra loro, ad esempio acqua e olio, l’uno disperso nell’altro. Le dimensioni caratteristiche della fase dispersa va da 50 a 1500 Ǻ. A seconda che la fase dispersa sia l’acqua oppure l’olio si hanno microemulsioni del tipo acqua in olio (W/O) od olio in acqua (O/W). Le microemulsioni sono stabilizzate da un tensioattivo che abbatte la tensione superficiale all’interfaccia olio – acqua, e permette al sistema l’emulsificazione spontanea di una fase nell’altra. Le due fasi sono stabilizzate da un monostrato di molecole anfifiliche di natura ionica o non ionica la cui azione è talvolta coadiuvata da quella di un cotensioattivo non ionico, solitamente un alcool o un’ammina, scelti in funzione del loro HLB. Al contrario, le macroemulsioni, generalmente dette emulsioni, sono sistemi eterogenei, termodinamicamente instabili e con dimensioni della fase dispersa maggiori (> 2000 Ǻ). Non danno emulsificazione spontanea, quindi necessitano di un lavoro meccanico per essere formate. Nelle microemulsioni le gocce sono costituite da un nucleo di fase dispersa, e da una corona interfasale di spessore non trascurabile rispetto alle dimensioni della goccia, in media intorno ai 20 – 50 Ǻ [27].

Le miscele ternarie di acqua – tensioattivo – olio e le miscele quaternarie in cui è presente un cotensioattivo possono manifestare fasi con caratteristiche sensiblilmente diverse, a seconda di fattori quali composizione, temperatura, pressione. Winsor ha descritto queste caratteristiche [29].

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Le miscele sopra citate possono essenzialmente ricadere in cinque categorie:

1) dispersioni di olio in acqua (O/W) in contatto essenzialmente con olio (Winsor I);

2) dispersioni di acqua in olio in contatto essenzialmente con acqua (Winsor II);

3) domini continui di acqua ed olio in contatto con acqua e olio (Winsor III);

4) singola fase omogenea di dispersioni O/W e W/O non in contatto con altre fasi (Winsor IV).

5) singola fase omogenea di domini continui di acqua ed olio non in contatto con altre fasi (Winsor V).

La quinta categoria è stata aggiunta in seguito alla catalogazione originale di Winsor riportata in Figura.3. 5.

Figura.3. 5 Catalogazione di Winsor [29].

Aggiustando le proporzioni dei costituenti si può ottenere la conversione di un tipo nell’altro.

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L’esperienza scientifica ha rivelato che l’estensione delle fasi e la loro struttura interna è influenzata da fattori intrinseci ed estrinseci come la natura del mezzo polare (acqua, glicol, glicerolo ecc.), il tipo di olio, il tipo di tensioattivo, la presenza di additivi (specialmente di elettroliti), la temperatura, la pressione [30].

L’evoluzione della struttura della microemulsione può essere varia e complessa, possono tuttavia essere individuati alcuni punti chiave. A bassi valori di concentrazione acquosa è necessaria una piccola quantità di tensioattivo per favorire la dispersione. In genere, in questi casi, si forma una dispersione sferica di nanogocce di acqua circondate di tensioattivo in un mezzo continuo d’olio (fasi tipo Winsor II). Al contrario, per composizioni a bassa percentuale d’olio ed alta percentuale d’acqua è plausibile la formazione di una dispersione sferica di nanogocce di olio in mezzo ad un continuo d’acqua (fasi tipo Winsor I). Aumentando la concentrazione del tensioattivo si ha un incremento della dimensione delle gocce, unita alla distorsione della forma sferica [31]; a quantità paragonabili

di acqua ed olio può formarsi una coesistenza simultanea di dispersioni. Questo stato è chiamato “bicontinuo” e può essere considerato come un network casuale di domini di olio ed acqua intrecciati, separati dal tensioattivo (si veda par. 3.5); una struttura simile ad una spugna (fasi tipo Winsor III) [32]. In Figura.3. 6 è riportato un esempio schematico di

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Figura.3. 6 Diagrammi di fase ternario mostrante le probabili microstrutture.

(a) microemulsione O/W; (b) microemulsione W/O; (c) sistema bicontinuo; (d) dispersione isolata di tensioattivo in acqua (micelle, lamelle); (e) dispersione isolata o aggregata di tensioattivo in olio micelle inverse, lamelle) [33].

Oltre una soglia di concentrazione del tensioattivo, dispersioni sferiche isolate possono dare vita ad aggregazione o conglomerazione; lo stesso fenomeno può essere osservato variando la temperatura. Possono formarsi conglomerati regolari (fasi cubiche) o irregolari (fasi lamellari). Introducendo quantità considerevoli di tensioattivo il sistema può diventare anisotropico e liquido cristallino generando strutture globulari o tubolari

[34]. La Figura.3. 7 mostra alcuni esempi di diagrammi di fase di alcuni

sistemi ternari.

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L’elucidazione della effettiva struttura di una microemulsione può essere assai complessa e necessita di sofisticate tecniche fisiche [33]. Le tecniche

più utilizzate sono “small angle X-ray scattering” (SAXS), “small angle neutron scattering” (SANS), “laser light scattering” (LLS), “quasi elastic light scattering” (QELS), “trasmission electron microscopy” (TEM), “nuclear magnetic resonance” (NMR), “time resolved fluorence quenching” (TRFQ). Altri metodi misurano alcune proprietà chimico fisiche delle microemulsioni per risalire alla microstruttura. Le proprietà misurate sono conducibilità elettrica, viscosità, interferometria ultrasonica, conducibilità termica.

Le microemulsioni, così come le soluzioni micellari, a causa delle piccole dimensioni degli aggregati, danno effetto Tyndall, cioè diffondono le radiazioni luminose in tutte le direzioni dello spazio. Questo fenomeno è sfruttato per lo studio della loro microstruttura attraverso i metodi di scattering. Questi metodi riescono ad interpretare, attraverso complessi modelli matematici, i diversi cammini delle onde luminose diffuse, risalendo così ad una plausibile microstruttura. L’analisi dei dati ottenuti con il metodo SANS forniscono informazioni sulla polidispersione, la dimensione e la forma delle gocce di una microemulsione [35]. Il metodo

FT-NMR (fourirer tranformed NMR) permette di misurare i coefficienti di autodiffusione dei componenti della microemulsione. Questi sono direttamente correlati con le caratteristiche microstrutturali.

Un sistema W/O è caratterizzato da Dacqua << Dolio e Dtens ≈ Dacqua ≈ Dgocce.

Un sistema O/W è caratterizzato da Dolio << Dacqua e Dtens ≈ Dolio ≈ Dgocce.

Un sistema bicontinuo è caratterizzato da Dacqua e Dolio ambedue molto alti

ma Dtens basso a causa dell’esistenza di un forte stato di aggregazione.

In Figura.3. 8 è riportato un esempio della determinazione della microstruttura attraverso il metodo della misurazione dei coefficienti di autodiffusione per un sistema SDS – soluzione salina – butanolo – toluene.

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Figura.3. 8 Misura dei coefficienti di diffusione per il sistema SDS – soluzione salina – butanolo – toluene [33].

Altro metodo interessante per l’analisi della microstruttura è la misura della conducibilità elettrica. Questa è vicina al valore di conducibilità dell’acqua in caso di microemulsione O/W e molto bassa in caso di microemulsione W/O. La misure di conducibilità elettrica è un mezzo potente per individuare lo stato bicontinuo [35]. Monitorando la

conducibilità elettrica al variare della composizione del sistema si può verificare un andamento sigmoidale nel passaggio da dispersioni di olio in acqua a dispersioni di acqua in olio. In corrispondenza della brusca variazione di conducibilità si ha l’evidenza dell’inversione di fase. E’ noto che il passaggio da dispersioni acqua in olio ad olio in acqua avviene attraverso la formazione di uno stato bicontinuo. Perciò le composizioni che si trovano sulla soglia di variazione della conducibilità danno origine a queste microstrutture.

La viscosità è un indice del tipo di struttura che la microemulsione presenta. Microstrutture ad alto grado di aggregazione (cubiche, lamellari) presentano alte viscosità; dispersioni O/W e W/O hanno viscosità paragonabili a quelle dei mezzi continui che ospitano la dispersione [36].

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3.4

Sistemi di abbattimento basati sull’utilizzo

di tensioattivi, soluzioni micellari e

microemulsioni

Soluzioni micellari e microemulsioni esibiscono ottime capacità di scambio di materia all’interfaccia [33], proprietà che le rende

potenzialmente applicabili in processi di estrazione di sostanze sia organiche che inorganiche. Queste vengono estratte dalla fase di bulk, in cui sono contenute, e concentrate nella fase estraente che può essere la microemulsione o la soluzione micellare, oppure una fase di strippaggio, utilizzata come mezzo rigenerante. La natura chimica del tensioattivo, è una delle caratteristiche principali che determinano l’efficienza dell’estrazione: alcuni tensioattivi mostrano affinità selettiva verso ioni metallici in soluzione altri solubilizzano specie organiche, altri ancora hanno proprietà chelanti.

Molti sistemi, basati sull’applicazione di tensioattivi, soluzioni micellari e microemulsioni come metodi di abbattimento di specie inquinanti sono oggetto di studio. Di seguito l’attenzione è stata rivolta a sistemi dedicati principalmente alla rimozione di ioni metallici, ma, in letteratura scientifica, si trovano studi volti all’abbattimento di altre specie chimiche.

Membrane liquide

Microemulsioni acqua in olio ed olio in acqua sono adoperate come “membrane liquide” interposte tra due fasi con cui sono immiscibili. In Figura.3. 9 è riportato lo schema applicativo di questo metodo.

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Figura.3. 9 Processi di estrazione a membrana liquida [33].

Nella configurazione (A) una microemulsione W/O, immiscibile con ambedue le fasi di alimentazione e di strippaggio, fa da ponte tra le due. Le nanogocce di acqua, contenute nella fase organica continua della microemulsione e circondate da un monostrato di tensioattivo, sbattono contro l’interfaccia della fase di alimentazione ed inglobano gli ioni nel

core acquoso della goccia. In seguito diffondono verso l’interfaccia della

fase di strippaggio e qui rilasciano gli ioni. Il risultato è il trasferimento dell’inquinante alla fase di strippaggio. Nella configurazione (C) la microemulsione è impregnata in una struttura solida porosa che può essere costituita da un setto poroso, o da un sistema a fibre cave. Nella configurazione (D) la microemulsione è tenuta separata mediante dei setti. Con questo ultimo metodo sono stati condotti studi per l’abbattimento ed il recupero di Cu+ e Cr3+ da acque di scarico di processi di concia al cromo

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Un’applicazione diretta della configurazione (B) è stata studiata per l’estrazione di Cr(VI) da soluzioni acide. Il sistema a membrana liquida è realizzato preparando un emulsione tra la fase di strippaggio e la microemulsione e miscelando l’emulsione nella fase di alimentazione. La risultante emulsione è del tipo W/O/W. La fase costituente la membrana liquida è quella che separa le gocce incapsulate nell’emulsione dalla fase continua esterna. Il Cr(VI) viene estratto dalla fase esterna e concentrato in quella interna [38],[39].

Microemulsioni O/W possono solubilizzare selettivamente composti organici presenti in un solvente idrocarburico immiscibile in acqua. La specie organica viene inglobata nel core idrocarburico della micella o viene solubilizzata nella fase olio all’interno della nanogoccia di microemulsione.

Estrazione con solvente

Oltre a quella delle membrane liquide, sono state proposte tecniche basate sull’estrazione con solvente, potenziata da tensioattivi. Venkateswaran ed al. [40], in uno studio condotto utilizzando tetrabutil

ammonio bromuro disciolto in diclorometano, per l’estrazione di cromati da soluzioni acquose, riportano una capacità massima del sistema pari a 7,25 grami di Cromo per chilo di estraente. Gli esperimenti sono condotti disciogliendo il tensioattivo nel solvente e miscelando la fase organica con la soluzione da trattare. Il meccanismo proposto è la formazione di un complesso tra il dicromato ed il tensioattivo. In questo studio le capacità sono fortemente influenzate dal pH delle soluzioni che deve rimanere nell’intorno di 1. E’ riportata una diminuzione dell’efficienza di rimozione del cromo all’aumentare della concentrazione iniziale, ma l’autore non fornisce spiegazioni al riguardo. Le miscele estraenti possono essere rigenerate fino al 70% trattandole con soluzioni concentrate di NaOH.

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Analoghi risultati sono stati ottenuti con Aliquat 336 in miscele Kerosene Xilene [41].

Questi metodi, benché efficienti, comportano che le soluzioni da depurare vengono a trovarsi a contatto con solventi organici i quali, in minima parte, possono solubilizzarsi.

Adsorbimento

Una serie di tecnologie basate sull’adsorbimento sono state proposte per sfruttare le proprietà di alcuni tensioattivi di legarsi selettivamente a specie chimiche inquinanti. Krishna ed al. [44] riportano una capacità massima di

adsorbimento pari a 20,8 grammi di Cromo per chilo di adsorbente, in uno studio condotto utilizzando un tipo di materiale argilloso (bentonite) modificato con esadecil trimetil ammonio bromuro (HDTMA). Il meccanismo proposto è uno scambio ionico tra il tensioattivo e gli ioni in soluzione. L’argilla viene trattata col tensioattivo che si adsorbe sulla superficie delle particelle e forma dei siti attivi per lo scambio ionico. Gli esperimenti sono condotti miscelando l’argilla trattata, con soluzioni contenenti cromato di potassio e lasciando equilibrare il sistema per un ora. I risultati sperimentali mostrano che la capacità, in questo sistema, è fortemente influenzata dal pH delle soluzioni e diviene trascurabile per valori di pH inferiori ad 8 a causa della competizione degli ioni ossidrili con gli ioni cromato.

Ghiaci ed al. [45] riportano una capacità massima di 11,14 grammi di

Cromo per chilogrammo di adsorbente, in uno studio condotto utilizzando zeoliti naturali modificate con cetil trimetil ammonio bromuro. Le zeoliti vengono trattate i soluzione acquosa di CTAB per 24h. Il tensioattivo si adsorbe sulla superficie dei minerali, potenziandone la capacità di scambio ionico.

(24)

Saha ed al. [26] riportano una capacità massima di 19,76 grammi di

Cromo per chilo di adsorbente in uno studio condotto utilizzando una resina sintetica (Amberlite XAD-7) modificata con Aliqat 336. La resina viene trattata per immersione ed equilibrazione in una soluzione di tensioattivo in acetone e successivamente essiccata sotto vuoto. Gli esperimenti di adsorbimento vengono condotti immergendo la resina, in granuli, nelle soluzioni contenenti cromato di potassio a pH 6.

Ultrafiltrazione di soluzioni micellari

Nelle soluzioni micellari alcuni ioni metallici tendono ad adsorbirsi sulla superficie delle micelle, legandosi alle teste polari del tensioattivo. Su questo meccanismo si basano le tecniche di “micellar-enhanced ultrafiltration”. Questo metodo è stato applicato direttamente all’abbattimento di Cr(VI) per aumentare l’efficienza dei ben noti processi di depurazione basati su ultra e nanofiltrazione. In pratica si aggiunge un tensioattivo cationico (generalmente un sale di ammonio quaternario) alla corrente da trattare, in modo da indurre la formazione di micelle. Le micelle si legano agli anioni cromato con un certo grado di selettività, impedendone il passaggio attraverso la membrana filtrante. Sono stati condotti molti studi su sistemi di abbattimento con ultrafiltrazione potenziata da tensioattivi ottenendo risultati soddisfacenti [42].

(25)

Figura.3. 10 Metodo di ultrafiltrazione potenziata da tensioattivi [42].

In Figura.3. 10 è riportato un metodo di depurazione dell’acqua contaminata da cromati e nitrati mediante la tecnica di ultrafiltrazione potenziata da tensioattivi [42]. Il tensioattivo utilizzato è il Cetil piridinio

cloruro (CPC), ma sono riportati casi di studio che fanno utilizzato di Cetil trimetil ammonio bromuro, e l’acetato di ottadecil ammina (ODA) [43]. I

rendimenti e le percentuali di ritenzione del Cr(VI) sono anche maggiori del 99%, benché siano fortemente influenzati dalla presenza di altre specie ioniche e dall’efficienza della membrana. I rendimenti massimi del sistema si hanno per rapporti molari tensioattivo Cromo di 5:1 (ODA, CPC) e 8:1 (CTAB). Il problema principale di questi metodi è l’elevata pressione che bisogna mantenere a monte della membrana e l’inevitabile presenza di parte del tensioattivo nella soluzione trattata.

(26)

3.5 Abbattimento

con

microemulsioni

bicontinue

L’idea, proposta e studiata in questa tesi, dell’utilizzo di microemulsioni bicontinue come sistema di abbattimento, trova i suoi fondamenti nelle peculiari caratteristiche che contraddistinguono queste fasi da ogni altro sistema attualmente studiato.

La struttura bicontinua può essere immaginata come un groviglio casuale di cammini continui di acqua, intrecciati con cammini continui di olio, separati, all’interfase, da un monostrato di tensioattivo [49]. Il modello in

Figura.3. 11 fornisce un’idea di tale struttura.

Figura.3. 11 Modello matematico di microstruttura bicontinua [47].

Data la natura microscopica dei domini delle due fasi disperse, risulta che questa microstruttura offre una altissima superficie interfasale per unità di volume. Tutta l’interfase è virtualmente una superficie attiva per l’adsorbimento. Nel caso di microemulsioni preparate con tensioattivi

(27)

ionici, le teste polari del tensioattivo costituiscono “siti attivi” per l’adsorbimento all’interfaccia di specie ioniche che diffondono nella fase acquosa. Tuttavia, scegliendo opportunamente il tensioattivo, la microemulsione bicontinua può essere utilizzata per l’adsorbimento selettivo di qualsiasi specie chimica.

Nello studio condotto in questo lavoro, è stata posta l’attenzione sull’applicazione delle microemulsioni bicontinue all’abbattimento dei metalli pesanti.

Studi sperimentali mostrano che i sali di ammonio quaternario hanno una apprezzabile capacità nel legare anioni metallici [43],[44],[45],[46],[48]. Il

meccanismo di adsorbimento di ioni cromato dell’Aliquat 336 è riportato in Figura.3. 12 [26].

Figura.3. 12 Meccanismi di adsorbimento di ioni cromato da parte di sali organici di ammonio quaternario [33].

Per la preparazione della microemulsione utilizzata in questo studio, è stato scelto il didodecil dimetil ammonio bromuro come additivo in una microemulsione acqua / Tetradecano, volendo disporre di un tensioattivo avente come gruppo idrofilo un ammonio quaternario e nel contempo di un sistema caratterizzato dall’esistenza di una fase liquida omogenea con

(28)

microstruttura bicontinua. Il diagramma di fase di questo sistema ternario è descritto nel capitolo 4.

Il sistema proposto ha buone probabilità di successo in quanto:

la struttura bicontinua offre un’elevata superficie di scambio per unità di volume grazie all’ampia superficie attiva costituita dalle teste polari del tensioattivo affacciate sui canalicoli acquosi.

Il tensioattivo ha caratteristiche chimico fisiche che rendono favorevole il legame con anioni metallici.

Una volta caratterizzata la microemulsione in termini di capacità effettiva e selettività verso particolari specie ioniche (scopo di questo lavoro di tesi), le possibilità applicative sono di immediata concezione e di facile sviluppo. La microemulsione si presenta come una fase liquida omogenea e termodinamicamente stabile. Il fluido estraente può, perciò, essere utilizzato in un processo di depurazione in continuo, o in un processo a stadi.

Un possibile schema di processo potrebbe essere il seguente: la corrente da depurare, inviata ad un’apparecchiatura di contatto appositamente realizzata, rilascia le sue impurità alla corrente della microemulsione. Queste si concentrano nella fase acquosa della dispersione, legandosi alle teste polari del tensioattivo. La microemulsione esaurita viene rigenerata per trattamento con soluzione rigenerante, oppure viene periodicamente sostituita.

Rispetto ai trattamenti convenzionali il sistema proposto presenta diversi vantaggi: rispetto ai processi di riduzione e precipitazione non comporta il consumo di reagenti (come nel processo al bisolfito) o di energia elettrica (come nell’elettroflocculazione e nella riduzione elettrochimica). Rispetto

(29)

ai processi a resine a scambio ionico può operare facilmente in continuo ed ha costi d’impianto decisamente inferiori.

A livello microscopico, il meccanismo di adsorbimento proposto, prevede che gli ioni cromato diffondano all’interno dei canalicoli acquosi e si adsorbano sulla superficie interfasale costituita dalle teste del tensioattivo (Figura.3.12). Due molecole di tensioattivo scambiano i controioni bromuro con uno ione cromato in modo da garantire l’elettroneutralità; in seguito gli ioni bromuro diffondono dalla microemulsione alla soluzione.

Figura.3. 13 Meccanismo di funzionamento dell’adsorbimento.

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Cap III – Le microemulsioni come sistema di abbattimento del Cromo

[24] http://mec-system.com.

[25] Burban, Mengtao He, Cussler; AIChE Journal, vol. 41 (1995), n°4, p.p. 907-914. [26] Saha, Gill et al.; Reactive & Functional Polymers, vol. 60 (2004), p.p. 223-224.

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[44] Krishna, Murty, Jai Prakash; Applied Clay Science vol.20 (2001) p.p.65–71.

[45] Ghiaci, Kia, Abbaspur, Seyedyn-Azad; Separation and Purification Tech. vo.40 (2004) p.p.285-295. [46] Dantas, Neto, ed. al.; Wat. Res. Vol. 35, n° 9 (2001) pp. 2219–2224.

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