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MINIERE E METALLURGIA ESTRATTIVA IN ETRURIA MERIDIONALE: PER UNA LETTURA CRITICA DI ALCUNI DATI ARCHEOLOGICI E MINERARI

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(1)

IN ETRURIA MERIDIONALE:

PER UNA LETTURA CRITICA

DI ALCUNI DATI ARCHEOLOGICI E MINERARI

(Con la tav. XLIII f.t.)

1. L’interesse per le coltivazioni minerarie e la metallurgia estrattiva nel- l’Etruria meridionale, in ambito cronologico preromano, è giustificato dall’esistenza di ampie zone mineralizzate, con giacimenti di natura metallifera e non metallifera, localizzati in particolare nei settori del viterbese e del grossetano. Questo lavoro intende mettere a fuoco, senza la pretesa di trattarli in maniera esaustiva, alcuni problemi archeologici e topografici attinenti a temi minerari e metallurgici, svilup- pati nel corso di ricerche appena avviate, con diretto riferimento alle fasi proto- storica ed etnisca *.

1 I dati qui discussi sono maturati nell’ambito di un progetto di ricerca archeometallurgica coordinato dai prof.ri G. Colonna e P. Spinedi, sostenuto da un contributo della E. Macnamara Memorial Scholarship per l’anno 1987-1988. Ai direttori della ricerca, alla dott.ssa E. Macnamara e ai membri della Fondazione, prof.ri C. Μ. Robertson, A. Μ. Snodgrass, J. Alexander e D. Ridgway sono grato per la fiducia ed il continuo interesse accordato al mio lavoro.

Alcune delle idee qui sviluppate sono nate nel seminario di Protostoria Europea presso la Scuola Nazionale di Archeologia di Roma (anno accademico 1987-1988), diretto dal prof. G. L.

Carancini, con il quale ho potuto confrontare cordialmente dati, ipotesi e opinioni.

Alla dott.ssa P. Pelagatti, già soprintendente archeologo per l’Etruria meridionale, devo l’affida- mento in studio dei reperti metallici illustrati nelle pagine seguenti; i funzionari e tecnici della stessa Soprintendenza, dott.ri I. Caruso, E. Foschi, G. Gazzetti ed, in particolare, P. Petitti, hanno agevolato in ogni modo la ricerca ed il prelievo di campioni nei magazzini dei musei.

Senza l’aiuto dei prof.ri V. Ferrini e S. Judson non sarebbe stato possibile mettere insieme varie parti dello scritto ed inserire i dati geologici e mineralogici nella corretta prospettiva di studio.

Desidero inoltre ricordare la prof.ssa Μ. Fenelli, gli amici archeologi e chimici E. Antonacci, A. Casagrande, L. Domanico, G. L. Garagnani, A. Guidi, sempre disponibili a fornire dati, suggerimenti, informazioni bibliografiche. I grafici di questo articolo sono stati realizzati da Μ. Lucchetti Remediani.

(2)

202

A. Zifjerero

I dati elaborati per l’occasione costituiscono i risultati di un programma che prevede ulteriori prove di laboratorio: il carattere preliminare di talune osserva- zioni è giustificato dallo stadio ancora relativamente avanzato delle indagini2.

II quadro regionale delle mineralizzazioni, così come è stato di recente dise- gnato, attraverso una visione selettiva dei giacimenti di interesse per la tecnologia preistorica, deve essere integrato con un approccio specifico ai minerali ferrosi uti- lizzabili dalla siderurgia, nell’ottica della coltivazione etrusca3. Tra i depositi di maggiore estensione e consistenza, sono da annoverare quelli del bacino tolfetano, rappresentati da cappellacci di alterazione delle sottostanti mineralizzazioni a sol- furi misti (figg. 1-2); anche il filone presso Ponte S. Pietro (Ischia di Castro, VT) e l’adiacente area dei Monti Romani nel grossetano, presentano forme di ossida- zione della pirite che hanno portato alla formazione di brucioni di limonite. Mo- desti giacimenti, dovuti al medesimo processo minerogenetico, sono stati localizzati

2 Per la documentazione e l’analisi chimico-mineralogica dei reperti qui menzionati si rimanda a Zif f e r e r o c.s.; gli aspetti eminentemente metallurgici di alcuni campioni tarquiniesi, tolfetani e canalesi sono trattati in Spin e d i et al. c.s. II lavoro di laboratorio è tuttora in corso presso le Università di Bologna (dir. P. Spinedi) e Princeton (dir. S. Swapp e S. Judson).

3 Cfr. Gia r d in o 1982 e, sopratutto, 1984.

Superficie—

Falda acquifera Ossidi supergenici — Calcocite supergenica—

Superficie irregolare

— Cappello di alterazione

— Zona lisciviata povera .-Mineralizzazione a ossidi

rMineralizz. arricchite a solfuri

Ipogenici

Calcopirite Pirite Quarzo

Proto-mineralizz.

fig. 1 - Rappresentazione schematica della stratigrafia di un giacimento a solfuri misti, con gli effetti dell’alterazione superficiale da agenti esogeni (rielab. da Pa r k, Ma c d ia r mid 1982).

(3)

fig. 2 - Distribuzione delle principali mineralizzazioni ferrifere in Etruria meridionale: 1. Isola del Giglio; 2. Ma- gliano in Toscana; 3. Poggio Mortaio (Orbetello); 4. Macchia Casella i.e. Poggio Fuoco (Manciano); 5. Μ. Bellino (Manciano); 6. Ponte S. Pietro (Ischia di Castro); 7. Tafone (Manciano); 8. Montauto (Manciano); 9. Solfatara-

Macchia Grande (Viterbo); 10. bacino metallifero tolfetano (Allumiere).

nell’isola del Giglio (GR), mentre al Poggio Mortaio, ca. 3 km a SSO di Orbe- tello (GR), è stata identificata e coltivata un’estesa massa mineralizzata a pirite e magnetite4.

4 Sulle mineralizzazioni tolfetane cfr. Fe r r in i 1975; per la dislocazione dei giacimenti è utile consultare Ca m po n e s c h i, No l a s c o 1978 a, p. 135 sg. e fig. 13; ulteriore bibliografia mineralogia è raccolta in Zif f e r e r o 1990 a. Per l’area dei Monti Romani, si rimanda a Sa b e l l a 1954, p. Ili; De s s a u et al. 1972, p. 241 sgg.; Ca m po n e s c h i, No l a s c o 1986, p. 293 sgg., figg. 8-9. Le mineralizzazioni del Giglio e del Μ. Argentario sono descritte in Ar is i Ro t a, Vig h i 1971, p. 397 sgg.

(4)

204

A. Zifferero

Ulteriori dati mineralogici derivano dalla presenza di mineralizzazioni a solfuri di ferro che, in misura ridotta e dipendente dalla quantità della pirite presente rispetto alla marcasite, potrebbero aver dato luogo a fenomeni di alterazione, con conseguente formazione di ossido idrato di ferro (limonite): sono presenti in par- ticolare nelle province di Roma e Viterbo, e sono state utilizzate nei secoli scorsi per la produzione del cosiddetto « vetriolo di Viterbo »5. La recente proposta di includere, tra i minerali di ferro potenzialmente coltivabili in epoca preromana anche quelli contenuti nelle sabbie del litorale tirrenico (alle quali aggiungerei le sabbie dei litorali lacustri), provenienti dal disfacimento dei depositi piroclastici della regione (apparati vulcanici vulsinio, cimino, sabatino), ad opera di agenti eso- geni, con successivo trasporto attraverso i corsi d’acqua, rappresenta un settore di ricerca denso di sviluppi6 (fig. 3).

5 Sa b e l l a 1954, p. 110 sgg.; Ca m po n e s c h i, No l a s c o 1978 b, p. 310 sg. e fig. 17; 1984, p. 458 sg. e fig. 19; 1986, p. 282 sgg. e fig. 8. I dati presentati in Gia r d in o 1984, in particolare inerenti la potenziale esistenza di depositi ferriferi presso Canale Monterano, dovranno essere considerati con cautela, dal momento che la letteratura mineralogica sottolinea soprattutto l’esistenza di marcasite, piuttosto che di pirite.

6 L’ipotesi è avanzata in Ta n e l l i 1985, p. 37, e sviluppata in 1989. L’estrazione del ferro dalle sabbie era praticata dai Calibi, popolo che abitava la costa sud-orientale dell’Eusino, secondo lo Ps. Aristotele (De Mirab. Auscult., 48); sull’utilizzazione della magnetite contenuta nelle sabbie cfr. anche Fo r b e s 1964 b, p. 200 sgg.

7 L’esistenza di sabbie ferrifere lungo il litorale tirrenico dette l’avvio, soprattutto negli anni del secondo conflitto mondiale, a stime quantitative che portarono, in qualche caso, ad attività di estrazione della frazione pesante ferrifera: l’ampia bibliografia è raccolta in Ca mpo- n e s c h i, No l a s c o 1986, p. 283 sg.; per il settore in esame si rimanda da ultimi a Br o n d i et al.

1971, p. 56 sgg. e fig. 8; An s e l mi et al. 1976, p. 325 sgg. e fig. 16.

8 Si tratta, in ambedue i casi, di depositi di rilevanza marginale, se confrontati con quelli del litorale tirrenico: Ab b o l it o 1941, p. 29; 1942.

Fenomeni di moto ondoso e l’azione eolica danno vita ad un processo di arric- chimento naturale della sabbia in minerale di ferro (principalmente magnetite, ma anche titanite ed ilmenite), con una selezione per gravità dei granuli a differente peso specifico (fig. 4). Mi pare sia da sottolineare, in questo caso, come la presenza e la concentrazione del minerale potessero essere apprezzate visivamente dall’antico prospettore: in ambito etrusco-meridionale, condizioni di particolare concentra- zione di minerali ferriferi si verificano lungo il litorale di Ladispoli, alla foce del Marta, nella fascia costiera compresa tra la foce del Fiora e la laguna di Burano 7 (fig- 5).

I litorali perilacustri offrono l’occasione per considerare il verificarsi dello

stesso fenomeno, anche se in scala ridotta: presenza di magnetite è stata registrata

nella riva occidentale del lago sabatino e, con particolare concentrazione, lungo il

litorale orientale del lago di Bolsena8.

(5)

Duna nera

fig. 3 - Ripartizione quantitativa della frazione pesante nelle sabbie del litorale tirrenico tosco- laziale (rielab. da Bu o n d ì et al. 1971).

(6)

fig. 4 - Schema di un tratto del litorale tirrenico laziale, con strati a minerali pesanti (rielab. da Br o n d i et. al. 1971).

Tarquinia Spiagge Alluvioni

presente

abbondante molto abbondante

fig. 5 - Distribuzione della magnetite lungo il litorale medio-tirrenico, trala foce delMignone ed il Μ. Argentario (rielab. da An s e l mi et al. 1976).

(7)

È interessante osservare - e rappresenta al tempo stesso un segnale indicativo per sottolineare l’importanza dell’indagine sulle vicende storiche dell’industria mi- neraria, intesa in senso diacronico, soprattutto a partire dalla fine del Medioevo - come oggi siano spesso tralasciate, nella considerazione e valutazione delle relazioni tra siti archeologici e giacimenti, mineralizzazioni che pure furono oggetto d’in- tensa coltivazione nel passato9. Per il Lazio, anche se esula dalla prospettiva regio- nale proposta, è il caso di ricordare i giacimenti di Guarcino (FR), sfruttati almeno dal 1570; in un quadro di maggiore respiro, bisogna richiamare l’attenzione sulle miniere ferrifere situate presso Monteleone di Spoleto (TR), attivate nel XVII se- colo, al centro di un’attività siderurgica di tipo preindustriale 10 11 .

9 È tuttora fondamentale, per le vicende dell’estrazione mineraria nel Lazio, Ba r b ie r i 1940;

cfr. anche De ma r c h i 1882, passim. Sui giacimenti limonitiferi nella valle del fiume Melfa e sulle imprese minerarie del governo borbonico, cfr. Gio r d a n o 1864, p. 328 sgg.

10 Descrizione di queste miniere e statistiche di produzione in Po n z i 1846 a e Ve s c o v a l i 1858; le fasi storiche dell’attività estrattiva sono commentate in Ba r b ie r i 1940, p. 72 sgg.;

per i giacimenti ferriferi nel Lazio meridionale cfr. anche Spa d o n i 1802, passim. Si osservi come i giacimenti di Guarcino, per il loro scarso interesse odierno o per il fatto di essere quasi completamente esauriti non vengono menzionati in Ca m po n e s c h i, No l a s c o 1980, p. 365 sgg.

né, di conseguenza, appaiono in Gia r d in o 1982 e 1984.

11 Cfr. da ultima Ne g r o n i Ca t a c c h io 1988, p. 33 sgg., per l’elenco dei siti e le carte di distribuzione, che aggiornano quelle contenute in Ne g r o n i Ca t a c c h io 1981, p. 77 sgg.

12 per gjj aspetti mineralogici e topografici delle miniere di mercurio dell’Amiata si rimanda alle descrizioni e alle piante estremamente dettagliate di De Ca s t r o 1914; il profilo storico dell’attività estrattiva, a partire dall’antichità, è ampiamente illustrato, soprattutto per l’epoca medievale, in Ro me i 1890. Ulteriori notizie sulla moderna attività estrattiva in Ar is i Ro t a et al.

1971; Cipr ia n i, Ta n e l l i 1983, p. 267 sgg.

2. Non è sempre facile individuare le fonti di approvvigionamento dei mine-

rali e, soprattutto, valutare l’incidenza del fenomeno minerario sulle comunità an-

tiche. Utili ed unici, per certi aspetti, termini di riferimento provengono dalle

recenti indagini sul popolamento di età protostorica nell’area gravitante sulla valle

del Fiora, interessata da mineralizzazioni consistenti, distribuite tra il sistema oro-

grafico del M. Amiata, i Monti Romani e la riva sinistra del fiume n. Le ipotesi

formulate sulla coltivazione di alcuni minerali a partire dall’eneolitico, trovano un

effettivo riscontro nella documentazione di utensili da minatore in pietra e corno,

contenuti nei detriti di riempimento delle miniere cinabrifere localizzate lungo il

versante sud-orientale dell’Amiata12 (fig. 6). Si tratta di mazzuoli e picconi in

pietra, caratterizzati da una scanalatura mediana, e di zappette in corno di cervo,

rinvenute in occasione della riapertura moderna delle miniere, a partire dal 1841

(fig. 7). C’è ragione di ritenere che si trattasse di un gruppo piuttosto numeroso

(8)

208

A. Zifferero

fig. 6 - Distribuzione delle principali mineralizzazioni cinabrifere in Etruria meridionale: 1. Cerreto Piano (Scan- sano); 2. Bagni S. Filippo (Castiglione d’Orcia); 3. Abbadia S. Salvatore; 4. Solforate Schwarzenberg (Castel- l’Azzara); 5. Solforate Rosselli (CasteE’Azzara); 6. Siele (Castell’Azzara); 7. Cortevecchia (Semproniano); 8. Mo- rone i.e. Seivena (Castell·Azzara); 9. Dainelli (Castell’Azzara); 10. Cornacchino (Castell’Azzara); 11. Poggiali (Ca- stelI’Azzara); 12. Reto (Sorano); 13. Podere 4° dell’Ebreo (Mandano); 14. Capita (Capalbio); 15. Pozza del Lino

(Capalbio); 16. bacino alunitifero tolfetano (Allumiere).

di reperti, in larga misura dispersi, come si deduce dalle fonti che li hanno spesso soltanto parzialmente documentati: elementi di raffronto oggi disponibili rendono estremamente probabile l’attribuzione di questi reperti all’eneolitico13.

13 Le poche notizie di cui disponiamo sono state in gran parte raccolte dall’ing. T. Haupt, che ha correttamente impostato ed anticipato, sulla base delle osservazioni condotte durante lo

(9)

fig. 7 - Piccone in quarzite con scanalatura mediana, proveniente dalla miniera del Cornacchino (ridis. da Mo c h i 1915).

Informazioni più puntuali si

rintracciano

nella

bibliografia

mineralogica:

nel

giacimento

della

Quercetta,

presso la miniera

Cortevecchia (S. Fiora,

GR), l

’affio-

ramento

cinabrifero sarebbe

stato

coltivato

in

epoca preistorica per una lunghezza di circa 100

m;

seguendo le vene mineralizzate, sarebbe

stato

praticato lo scavo di

gallerie

fino a

40 m

di profondità, come

indicava

la posizione

dei

reperti in pietra e corno

contenuti nel

detrito di riempimento14 (fig. 8). Quest’attività

estrat

- tiva,

ricollegabile,

a livello di insediamenti

gravitanti

sulle miniere, alle presenze identificate presso

l

’alto corso

del

Fiora, diviene più

intensa

nell’età

del bronzo

an- tico

e

appare uno degli

elementi connotanti

i gruppi stanziati

nel

settore mediano dello stesso bacino idrografico 15.

scavo delle nuove gallerie, molti dei principi dell’odierna archeologia mineraria: Ha u pt 1889, pp. 76 sgg., 86. Registrazione dei ritrovamenti in Mo c h i 1915; Bia n c h i Ba n d in e l l i 1925, col. 429 sg. (con riferimento ad altre fonti d’informazione); Min t o 1938, p. 29 sg.; utile con- sultare anche St r a ppa 1977, p. 257 sg.

Il piccone di quarzite con scanalatura mediana dalla miniera del Cornacchino (Castell’Azzara, GR) (Mo c h i 1915, p. 6), è pertinente ad un tipo di utensile minerario utilizzato in ambito mediterraneo tra neolitico ed eneolitico: We is g e r b e r 1982, p. 26, fig. 1 e tav. 4,2. Nel distretto minerario di Huelva, in Spagna, si tende ad interpretate utensili di questo tipo come fossili- guida delle attività estrattive eneolitiche: Bl a n c o Fr e ije ir o, Ro t h e n b e r g 1981, p. 165 sg.

14 Sa v o ia 1919, p. 239 sgg.: ulteriori tracce di lavorazione presumibilmente preistorica

furono osservate nelle altre miniere dello stesso versante amiatino: Solforate Schwarzenberg, Solforate Rosselli, Morone.

15 Ne g r o n i Ca t a c c h io 1981, p. 96 sgg.; 1983 (con ipotesi sull’approvvigionamento di metalli in Etruria da parte dei centri artigianali alto-adriatici); Ma g g ia n i, Pe l l e g r in i 1985, passim.

(10)

e Sezione Poggiali

scala 1:12500 /bado ;

con/ine

MINIERA CORNÂCCHINO

Ricerca Poggio Felcioso

Direzione

Fbzzo Spirai'·^

Casa cn/onica

G. d'dna

-

G. /n/errr/eJii u. Giuliana

'r

l avori de//» Ricerca...

Poggio Fe/ciosori

Magazzino

G. Cas/e/iorè' · · -

Sezione CDF Gall. Meridiana Giuliana Nord

Scala 1:10000 a ·> N*W

Poeto confine

Gall. Giuncaie G. Marta Λ

C»parità Papalini

fig. S - Pianta della miniera del Cornacchino, con indicazione delle gallerie d’estrazione (epoca protosto- rica?), preesistenti agli impianti moderni (fonte: De Ca s t r o 1914).

(11)

È stata recentemente messa in rilievo la possibilità che i minerali antimoniferi, i cui giacimenti sono distribuiti prevalentemente nel grossetano, nella zona grosso modo compresa tra Capalbio, Manciano e la Roccaccia di Montauto, fossero colti- vati per la confezione specifica di oggetti d’ornamento e divenissero anche, allo stato grezzo, materia di scambio 16 (fig. 9).

16 Ne g r o n i Ca t a c c h io 1981, p. 96 sgg., tav. 18; sulle caratteristiche chimiche degli orna- menti di antimonio dalle tombe di Ponte S. Pietro cfr. Ca mb i 1959. Le mineralizzazioni ad antimonio della provincia di Grosseto sono illustrate in St e a 1971, p. 422 sgg.

fig. 9 - Distribuzione delle principali mineralizzazioni antimonifere in Etruria meridionale: 1. Pereta (Scansano);

2. Morone i.e. Selvena (Castell’Azzara); 3. Fosso la Fuliggine (Semproniano); 4. S. Martino sul Fiora (Mancia- nò); 5. La Stellata (Manciano); 6. Macchia Casella i.e. Poggio Fuoco (Manciano); 7. Podere 4° dell’Ebreo (Man- ciano); 8. Tafone (Manciano); 9. Montauto (Manciano); 10. Capita (Capalbio); 11. Pozza del Lino (Capalbio).

(12)

212

A. Zifferero

Le tracce di una metallotecnica del rame scoperte nel sito della Scarceta (Man- ciano, GR), insieme alle testimonianze di una lavorazione del ferro, a quanto sem- bra in un contesto del bronzo finale iniziale, rappresentano un ulteriore elemento per rapportare l’evidenza archeologica, costituita sino ad oggi in prevalenza da oggetti di ripostiglio e rinvenimenti di carattere funerario, alle risorse minerarie locali17.

17 Si rimanda a Po g g ia n i Ke l l e r 1988 (con bibliografia precedente).

Mi pare significativo rilevare come proprio in questo distretto, tra la miniera del Tafone (limonite e ossidi di antimonio da alterazione superficiale di depositi a

fig. 10 - Distribuzione delle principali mineralizzazioni a solfuri misti (piombo-argentiferi e cupriferi) in Etruria meridionale: 1. Fosso dei Mulini Acquastrini - Isola Rossa (Orbetello); 2. Poggio Mandrioli (Orbetello); 3. Scer-

pena (Manciano); 4. Ponte S. Pietro (Ischia di Castro); 5. bacino metallifero tolfetano (Allumiere).

(13)

solfuri), presso il castello di Scerpena, tra la Capriola e la Campigliola (filoncelli a ganga quarzosa, mineralizzati a blenda, galena e solfuri cupriferi), nell’area cir- costante il Μ. Bellino (baritina accompagnata da limonite, derivata dall’ossidazione della pirite), presso il già citato filone a solfuri misti di Ponte S. Pietro (limonite e calcopirite, con blenda e galena accessorie), esistano le condizioni per favorire la coltivazione e lo sviluppo della metallurgia estrattiva di minerali metalliferi, senza considerare anche la presenza del cinabro, nel giacimento di Capita ed in altre loca- lità, sia pure come termine accessorio (figg. 2, 6, 9, 10). L’interesse per queste risorse è testimoniato dalle antiche tracce di estrazione, purtroppo non associate ad elementi datanti, che dimostrano tuttavia, per il caratteristico modo di captare in superficie i filoni mineralizzati, un impianto di lavorazione piuttosto primitivo 18.

3. Per ciò che concerne il Lazio settentrionale, la possibilità di uno sfrutta- mento delle risorse minerarie tolfetane, a partire con verosimiglianza dall’età del bronzo recente, è stata da poco formulata sulla base delle relazioni spaziali tra inse- diamenti ed aree mineralizzate, nell’attuale scarsezza di tracce documentanti atti- vità minerarie o, più semplicemente, di tracce ricollegabili ad episodi di metal- lurgia estrattiva 19.

Utili termini di confronto e presupposti per una discussione, dei quali non si deve sottovalutare l’importanza, provengono dall’analisi della dimensione topografica del popolamento locale, in relazione alla distribuzione delle risorse minerarie (fig- il).

L’eventualità di uno sfruttamento dei minerali metalliferi e non metalliferi (aiu- nite, cinabro), a partire dalla tarda età del bronzo, è stata ipotizzata anche sulla base del contatto tra insediamenti ed aree mineralizzate; il fenomeno acquista in-

18 L’analisi più accurata del settore in esame è quella di De s s a u et al. 1972, p. 241 sgg., che aggiorna precedenti studi dello stesso G. Dessau. Sulle tecniche di lavorazione preistorica dei filoni superficiali cfr. Sh e ph e r d 1980, p. 170 sgg., con relativa documentazione sui giaci- menti europei.

19 Gia r d in o 1982; 1984; le conclusioni di questi lavori devono essere integrate con i nuovi dati provenienti dall’abitato dell’Elceto (Allumiere, RM), pubblicati in forma preliminare, senza essere stati sottoposti ad analisi chimico-mineralogiche, e quindi da accogliere col beneficio del dubbio. Negli strati contenenti ceramica protovillanoviana sono stati trovati pezzi di minerale ferroso (forse limonite?), scorie di fusione (o di estrazione?) di rame, cristalli di quarzo lavorati (To t i 1986, pp. 42 sgg., 67, fig. 90). Ulteriori specificazioni su giacimenti tolfetani e popola- mento protostorico in Gia r d in o 1988; Fu g a z z o l a De l pin o 1988. Per il rame grezzo del ripo- stiglio di Μ. Rovello (Allumiere), cfr. Spe r l 1981, p. 31. Il ritrovamento di crogioli a Luni sul Mignone (Blera, VT), è passato inosservato nella letteratura archeologica (Os t e n b e r g 1967, p. 125, figg. 22 e 28): contenitori di questo genere, in epoca preistorica, potevano essere utilizzati anche per ridurre solfuri cupriferi (cfr. Zw ic k e r et al. 1985). Sulla necessità di valutare con cautela i tentativi di identificare resti di lavorazioni minerarie preistoriche mi sono espresso in Zif f e r e r o 1988; 1990 a, c.s.

*

(14)

ÌnarÌLnJbacino toHetano:1. cappellaccioferruginoso con sottostantilocali ammassi quarzosi a mosche di solfuri; 2.vulcanitialunitiche e5"comnìe^e^iriìTde'in fTflS1C‘,ldte' dett°« Piombino »,metasomatizzatoconaree (*) mineralizzate; 4. calcare fanerocristallinocon aree (*) mineralizzate;5. complesso sicilide m facies di flysch tipo« alberese»;6. complessosicilideinfacies di flyschtipo«palombino»;7.ipoabissaliti filoniane o massive;8. filoni mineralizzati(fonte: Ferrini1975).

(15)

tensità

nel

bronzo finale, periodo per il

quale

si dispone

di

dati sufficienti per definire i

contorni

di un sistema20.

20 Gia r d in o 1984; 1988; per la coltivazione dell’alunite in particolare si rimanda a Ne n c i 1982 (con bibliografia precedente): cfr. al proposito le perplessità avanzate in Cr is t o-

pa n i 1981. Le caratteristiche del popolamento nell’età del bronzo finale sono analizzate in

d i Ge n n a r o 1986, con aggiornamento 1988.

21 Oltre ai citati lavori di F. di Gennaro, si rimanda alle considerazioni di ampio respiro in Pe r o n i 1988, p. 12 sgg.

22 Materiali e circostanze del ritrovamento sono documentati in Zif f e r e r o c.s. In que- sta sede è opportuno elencare brevemente i reperti: ematite in piccola pezzatura, su ganga quarzosa (dimensioni 3,0 x 3,2 x 2,4 cm ca.); presunta scoria siderurgica; 2 pezzi di aes rude in rame, di forma irregolare (del peso, rispettivamente, di 96,70 e 102,15 g), con inclusioni a noduli contenenti arsenico nella matrice; agglomerato concrezionato di natura metallica, molto ossidato (bronzo?), inglobante al proprio interno piccoli vaghi discoidali bianchi, probabilmente in osso (diam. 0,45 cm), e pochi resti di pasta vitrea blu. Le analisi chimiche e mineralogiche (compresa la diffrattometria a raggi X per l’ematite) sono state effettuate nei laboratori di Bologna e Princeton: l’analisi sulla presunta scoria è in corso, mentre l’ultimo oggetto non è stato sottoposto a prelievo.

23 Elementi per una cronologia di massima possono derivare dai vaghi discoidali, che per foggia e dimensioni sono riferibili ad un tipo molto frequente nell’età del ferro, attestato, tuttavia, anche in numerosi contesti italiani della fine dell’età del bronzo (An z id e i, Bie t t i Se s t ie r i 1979, p. 57, con diffusione: si tratta di parti costitutive di ornamenti, p. es. di collane o, come accade nel villanoviano tarquiniese, di fibule ad arco rivestito: dati raccolti in Zif-

f e r e r o c.s.). Dando validità all’associazione con l’ematite e l’impasto non tornito, appare

probabile una datazione cautelativa nell’età del ferro: si osservi come il luogo del ritrovamento graviti nell’area della Castellina della Civita, dove sono attestati frammenti ceramici del bronzo medio e finale, e si trovi a poca distanza dal sito di Pian di Civita, dove è stata segnalata la presenza in superficie di frammenti ceramici protovillanoviani e villanoviani (cfr. d i Ge n n a r o 1988, p. 79 sg., con bibliografia precedente e analisi critica dell’area in esame).

L’

ottica del

problema subisce una

variazione

nell’età

del

ferro, quando· si pre-

suppone

che, al venire meno

dei

meccanismi dominanti nelle strategie

insediative

dell’età

del

bronzo, si sia innescato

un

processo

di

concentrazione

della

popolazione su pianori dalla superficie più

estesa,

con conseguente

formazione

di entità

terri

-

toriali

molto

vaste, controllate

dalle nuove comunità21. Un recente ritrovamento di superficie avvenuto a Tarquinia

(VT),

lungo i terrazzi

del

versante ENE

del

Pian di

Civita,

arricchisce il

quadro

di

nuovi

elementi: Tassociazione

di

ematite cruda con materiale

metallico semi-lavorato

e

frammenti

d’impasto non tornito, non altrimenti

identificabili,

potrebbe

far pensare

all’

esistenza,

in questa parte peri- ferica

del plateau

tarquiniese,

di

un impianto artigianale, connotato in senso

metal

- lurgico, come sembrerebbe indicare la presenza dell’ematite22 (/tg.

12,3). È vero

- simile che

la

natura

dei reperti, in

assenza di

altri

indizi, possa

far inquadrare

il complesso nell’

ambito

dell’età

del ferro

23.

Con le

precauzioni imposte

dalle

circostanze

del

ritrovamento, è significativo

sottolineare

la

compresenza

dell’ematite cruda con il rame

semi-lavorato: formu

-

lare

un

’ipotesi sulla provenienza di questi minerali significa interrogarsi, in primo

(16)

216

A. Zifferero

luogo, sulla possibilità che siano stati estratti dai giacimenti tolfetani24. I tentativi di restituzione dei territori nell’età del ferro assegnerebbero, in linea teorica, l’area del bacino metallifero all’influenza tarquiniese; tale congettura sarebbe corroborata dal differente ruolo ricoperto dagli oggetti metallici nei corredi funerari del villa- noviano tarquiniese, a confronto con quelli del villanoviano cerite 25.

24 II minerale crudo è stato visionato dal prof. V. Ferrini, il quale, con il beneficio del dubbio, sarebbe propenso a non attribuirgli un’origine tolfetana. Occorre, tuttavia, su suggeri- mento dello stesso Ferrini, osservare come sia difficoltoso identificare la provenienza di minerale estratto nell’antichità, partendo dal suo aspetto massivo.

25 Per la determinazione dei territori dei centri villanoviani etrusco-meridionali si rimanda, da ultimo, a d i Ge n n a r o 1988, p. 76 sgg. Considerazioni sulla scarsezza degli oggetti in metallo nei corredi ceriti (ma limitate alla necropoli del Sorbo) in Zu f f a 1976, p. 289 sgg.; Fu g a z z o l a De l pin o 1984, p. 171 sgg.; con particolare riferimento agli oggetti in ferro, cfr. Ha r t ma n n

1982, p. 88 sgg.

26 Si rimanda a Na s o et al. 1989, p. 548, fig. 5, per la distribuzione delle presenze relative all’età del ferro tra i Monti della Tolfa e la media valle del Mignone.

27 Cfr., a questo proposito, l’esposizione delle condizioni ritenute necessarie per lo sviluppo di attività minerarie e metallurgico-estrattive in We is g e r b e r 1982, passim. Per l’idea di un controllo a largo raggio dei territori, da parte dei centri villanoviani, si rimanda a d i Ge n n a r o

1982, p. 108 sgg.

28 I dati della tab. 1 sono ricavati da Spe r l 1988 e da un lavoro specifico sull’impiego del combustibile vegetale nella metallurgia antica: Ho r n e 1982. I termini del problema sono discussi anche in Fo r b e s 1964 a, p. 103 sgg.

Comparata con quella della tarda età del bronzo, la situazione presenta però una variazione a livello topografico, nel controllo dei mezzi di produzione: si tratta, infatti, di un fenomeno difficile da documentare, in base alla scarsezza dei dati disponibili26. È problematico fare luce su una componente così determinante per l’economia di scambio, come l’approvvigionamento e la lavorazione dei metalli, in assenza di tracce d’impianti dediti all’estrazione e alla riduzione dei minerali. È, d’altra parte, difficile ritenere che un controllo del territorio di tipo estensivo, eser- citato dai centri villanoviani costieri, avrebbe potuto favorire la crescita di attività minerarie e metallurgiche27.

Un dato di fatto mi pare rappresentato dalla condizione del minerale di ferro ritrovato: l’ematite (ammesso che si sia trattato di materia prima da utilizzare per la siderurgia, e non di scorificante per la metallurgia del rame), è cruda.

Questa circostanza è significativa perché dimostra come il minerale, da qualsiasi fonte esso provenisse, non fosse stato sottoposto ad alcuna operazione preliminare (arrostimento) o avanzata (riduzione definitiva), all’atto dell’estrazione.

Il fatto acquista rilevanza in ragione del consumo di combustibile: si consideri,

infatti, come l’antica siderurgia avesse bisogno di quantità di carbone vegetale cal-

colate e schematizzate nella tabella 1: i dati sono posti a confronto con i valori

relativi alla metallurgia del rame e vi sono specificati i rapporti quantitativi tra

legna e carbone28.

(17)

T

a b e l l a 1. - Consumi di combustibile per la metallurgia estrattiva a. metallurgia del rame*

metallo carbone legna

1 20 140

b. siderurgia**

minerale carbone legna

1 2-3 14-21

metallo

1 10-15 70-105

Nota: le quantità devono

* fonte: Ho r n e 1982.

** fonte: Spe r l 1988.

intendersi espresse in kilogrammi.

29 Per la storia dell’industria mineraria locale, con riferimento ad impianti metallurgici e consumi di combustibile, cfr. soprattutto Mo n a c o 1917; Rin a l d i 1978, p. 86 sgg.; Di Ca r l o et al. 1984, p. 83 sgg.

30 Nei giacimenti tolfetani si è coltivato, su scala industriale, un minerale di ferro costituito da limonite (termine comprensivo indicante un insieme di componenti mineralogiche: cfr. Vig h i 1950, con cenni sull’estrazione della limonite nell’antichità classica e Pe n t a 1952, p. 248, per la definizione di queste componenti), formatosi in seguito a processi di ossidazione dei sotto- stanti depositi a solfuri. Nel ’700, lo scarso tenore in metallo del minerale tolfetano gli valse la denominazione di «ferro imperfetto» da parte dei minatori (Ce r m e l l i 1782, p. 30); le

È lecito chiedersi, ammesso che il minerale provenisse dai giacimenti tolfe- tani, se anche fabbricazione e trasporto del combustibile non dovessero assorbire una fetta consistente delle energie della comunità tarquiniese. In realtà, l’assetto geomorfologico del bacino metallifero e la storia dello sfruttamento minerario dei giacimenti tolfetani mettono in luce una tendenza costante, traducibile nell’utiliz- zazione in loco, per fini metallurgici, del patrimonio arboreo, proprio per il fatto di avere avuto a disposizione una quantità eccezionalmente rilevante di combusti- bile vegetale29.

Le caratteristiche minerarie del ritrovamento non sono in grado di fornire indi-

cazioni di provenienza: l’ematite è presente nei giacimenti tolfetani in piccole quan-

tità, costituendo, comunque, un termine accessorio della limonite; per quel che con-

cerne il rame con inclusioni di natura arsenicale, è prematuro formulare delle con-

clusioni, allo stato attuale della ricerca 30.

(18)

218

A. ZìiIererο

4. Simili interrogativi sollevano le presunte scorie siderurgiche rinvenute alla Castellina del Marangone (S. Marinella, RM), in condizioni di giacitura non deter- minate a sufficienza dallo scavo: si è postulata, infatti, una provenienza del mine- rale grezzo dai giacimenti tolfetani dei quali, effettivamente, questo abitato situato a ridosso del litorale tirrenico rappresenta il naturale polo terminale costiero31 (fig- 12,6).

caratteristiche del minerale estratto nel secolo scorso sono annotate in Po n z i 1846 b. Nell’alto- forno costruito dalla « Società Romana delle Miniere di ferro e sue lavorazioni » presso il con- vento di Cibona (Tolfa), si mescolava ematite elbana al minerale tolfetano, per arricchire il tenore metallico della ghisa: Gio r d a n o 1864, p. 328. Sulla topografia dei giacimenti ferriferi e sulle caratteristiche mineralogiche locali, cfr. Zif f e r e r o, 1990 a. Per il problema del rame arsenicale e delle leghe si faccia riferimento, tra i contributi più recenti, a Fr a n g ipa n e 1985.

31 Edizione degli scavi in To t i 1967 a; la ceramica appartiene ad un arco cronologico piuttosto esteso, compreso grosso modo tra la seconda metà dell’VIII ed il IV secolo (senza contareimaterialiresidui).Le scoriesarebbero associate a tagli conrepertidiVili eVII secolo:

bisogna dire, tuttavia, non essendo possibile cogliere le relazioni fisiche tra strutture murarie e strati di terra, che il margine accettabile per costruire ipotesi sensate è molto ridotto. Le scorie sono ritenute da minerale di ferro in Ton 1984, p. 73. Scorie di fusione (?) erano già state segnalate nell’area esterna alle mura, durante precedenti ricerche effettuate nel sito:

Ba s t ia n e l l i 1941, p. 290. Per le fasi più antiche dell’insediamento, si rimanda a d i Ge n n a r o

1986, pp. 113 sg., 140. Campioni delle scorie recuperate negli scavi Toti (Museo Nazionale di Civitavecchia), sono attualmente in corso di analisi nel laboratorio dell’Università di Princeton.

32 Cr is t o f a n i 1983; 1987; ipotesi avanzata anche in To t i 1984. Per la presenza alla Castellina del Marangone di frammenti vascolari vicini al repertorio figurativo tardo-geometrico, forse di produzione vulcente, cfr. La Ro c c a 1978, p. 496 sgg.

33 Si rimanda almio contributoinNa s o etal. 1989,p. 547 sgg.: la tombaad incinerazione recuperata nel 1957 inlocalità Fontanadel Papa(Tolfa), che è dariferire ad un orizzonte molto avanzato dell’età delferro (riproduzionefotografica in St e f a n in i 1965,p. 10),rimane, peril mo- mento,isolata: non sembra,infatti, ci siacontinuitàd’insediamento nel sito. Letraccedocumentate nella media valle del Mignone sono da riferire, a mio parere, all’attivazione di poli dislocati lungo un asse strategico di penetrazione verso l’Etruria interna e la valle del Tevere.

Nel tentativo di restituire una cornice storica a tali reperti, è significativo rile- vare l’eventualità, avanzata da Cristofani, di un avvicendamento nei giacimenti che rifornivano di minerale di ferro gli euboici di Pithekoussai: ciò in base all’attuale, effettiva, impossibilità di trovare un appiglio cronologico precedente la seconda metà del VI secolo per la siderurgia utilizzante ematite elbana, rinvenuta nello sca- rico Gosetti di Ischia. Le più antiche fonti di approvvigionamento dei greci sareb- bero state con probabilità quelle tolfetane, in relazione alla presenza euboica docu- mentata, a livello commerciale e culturale, nel medio Tirreno32.

A questa ipotesi si potrebbe contrapporre l’estrema scarsezza delle attestazioni

archeologiche pertinenti alla seconda metà dell’VIII, estensibile alla prima metà

del VII secolo, non solo nell’area circostante i giacimenti ma, con poche eccezioni,

anche nella media valle del Mignone 33.

(19)

fig. 12 - Distribuzione delle tracce relative ad attività di metallurgia estrattiva di epoca preromana in Etruria me- ridionale: 1. Magliano in Toscana; 2. Doganella; 3. Pian di Civita (Tarquinia); 4. Acquarossa-M, Piombone; 5. Lu-

ni sul Mignone; 6. Castellina del Marangone.

Il nocciolo del problema risiede, evidentemente, nella definizione del rapporto con i mezzi di produzione, le miniere, del quale si può dire ben poco, almeno per il momento.

Utili parametri di raffronto provengono, in questo senso, dagli episodi di me-

tallurgia estrattiva recentemente documentati ad Acquarossa (VT) (fig. 12,4): sco-

rie siderurgiche, pezzi lavorati o semi-lavorati in ferro, resti di crogioli, insieme a

pezzi informi o semi-lavorati in bronzo (?), indicano che nella zona K, tra la se-

conda metà dell’VIII ed il VII secolo si praticasse un’attività siderurgica; altre

tracce simili sono state segnalate presso il sito protostorico di Μ. Piombone, a

(20)

220

A. Zifferero

nord-est del centro etrusco34. La possibilità che il minerale di partenza fosse un ossido o un ossido idrato di ferro, ridotto in loco, trova una conferma nella pre- senza di mineralizzazioni ad ossidi di formazione sedimentaria; i giacimenti locali sono, tuttavia, costituiti in prevalenza da solfuri di ferro (pirite e marcasite), che impregnano tufi subacquei e sedimenti lacustri, di origine successiva ai tufi trachi- tici (peperino) del quaternario. Si sono localizzati, però, anche strati di materiale compatto, formati in gran parte da solfuri di ferro (fig. 13).

34 Os t e n b e r g 1983, p. 86 sg.; per Μ. Piombone, cfr. le notizie preliminari in We t t e r 1969, p. 112; Br u n e t t i Na r d i 1972, p. 106. Un riferimento all’attività metallurgica nell’eco- nomia della zona in Ry s t e d t 1986, p. 30 sg.

35 Come sembrerebbe confermato dai ritrovamenti di minerale effettuati presso Ferento, in giacitura secondaria: Ju d s o n 1983, p. 102. Per le mineralizzazioni della zona cfr. Vig h i 1956.

36 Bu s a t t i 1943, p. 430 sg., fig. 1; inquadramento archeologico dell’area in Cr is t o f a n i 1977, p. 248 sg.; Mic h e l u c c i 1984. Uno sfruttamento delle risorse locali era già stato formulato in Min t o 1935, p. 13 sg. Per l’evidenza metallurgica alla Doganella, cfr. Wa l k e r 1985.

37 In località Polinaro (Bagnoregio, VT), sarebbero state identificate tracce di estrazione di minerali di ferro: Ca g ia n o d e Az e v e d o 1965; Ca g ia n o d e Az e v e d o, Sc h m ie d t 1974, pp. 24,

Esisterebbero, quindi, le condizioni per favorire l’alterazione dello strato su- perficiale, dovuta a processi di ossidazione, con conseguente formazione di ossido idrato di ferro. È verosimile che il minerale lavorato ad Acquarossa fosse un ferro limonitico, ricavato dalla crosta superficiale dei depositi35.

In ogni caso, avremmo i giacimenti situati entro un raggio massimo di 3,3 km (miniera della Solfatara) e 2,7 km ca. (miniera di Macchia Grande) dal centro del- l’abitato; considerando la distanza, tali risorse ebbero certamente un ruolo deter- minante nella formazione del centro di Acquarossa. Più difficoltoso è quantificare l’entità del fenomeno, visto attraverso una prospettiva protostorica e, successiva- mente, etrusca.

Un caso di notevole interesse, ai limiti del territorio vulcente, è quello di Magliano (GR): la particolare situazione topografica di questa zona, che ha sugge- rito di ricondurre le necropoli identificate ad un sistema di piccoli pagi, può essere anche dipesa dalle locali mineralizzazioni a limonite (fig. 2). Presso di esse sono state identificate tracce di estrazione e lavorazione del minerale, di cronologia dub- bia, ma probabilmente da ricondurre al periodo etrusco e romano. Lo1 sviluppo di quest’area sarebbe documentato approssimativamente tra l’inoltrata seconda metà del VII e l’ultimo quarto del VI secolo a.C.: potrebbe essere un’ipotesi di lavoro mettere in relazione i giacimenti di Magliano con i residui di metallurgia (o metallo- tecnica?) del ferro e del rame raccolti in superficie nell’abitato della Doganella, nella bassa valle dell’Albegna 36 (fig. 12,1-2).

Esistono segnalazioni di altri lavori minerari, nel territorio volsiniese: l’evi-

denza documentata appare però insufficiente per attribuire questi resti al periodo

etrusco e romano37.

(21)

fig. 13 - Riproduzione dei profili dei centri di 1. Acquarossa; 2. Ferento; 3. Μ. Piombone, su base cartografica semplificata, indicante la localizzazione dei principali depositi a solfuri di ferro.

54 (cfr. anche per l’area di Paiaiola, Br u n e t t i Na r d i 1981, p. 16 sg.). È un ritrovamento di natura dubbia, perché sappiamo con certezza che nella zona furono eseguite intense ricerche per minerali di manganese negli anni dell’ultimo conflitto mondiale, con scavo di piccoli pozzi e tratti di gallerie (Sa b e l l a 1954, p. 52 sgg.). Non esiste traccia di reperti archeologici nelle gallerie; nel vicino insediamento di S. Lucia sono stati rinvenuti resti collegabili alla metal- lurgia del rame e alla siderurgia (?), purtroppo inediti, ma si tratta di un sito multifase, carat- terizzato anche da un’occupazione alto-medievale.

*

(22)

222

A. Zifferero

Per ciò che riguarda strettamente il periodo etrusco, si dispone oggi di un quadro dettagliato delle presenze gravitanti intorno al bacino minerario tolfetano:

la difficoltà di localizzare tracce d’estrazione o semplicemente d’insediamento a contatto con le aree mineralizzate è stata messa a fuoco con il progredire delle ricognizioni sistematiche38 (fig. 14).

38 Fif f e r e r o 1986, fig. 1; 1990 a.

39 Zif f e r e r o 1990 b.

40 A tale proposito non ritengo che la presenza di oggetti metallici nei corredi delle tombe scavate nel territorio allumierasco (Colle di Mezzo, Bandita Grande, Valle Cardosa), possa costituire una prova dello sfruttamento delle locali risorse minerarie: così invece Ton 1984; 1986, pp. 42 sgg., 81 sgg. Le scorie di fusione presenti nei corredi, alle quali fa riferimento l’autore, dovrebbero essere, perlomeno a mia conoscenza, i pezzi di aes rude e resti di utensili in ferro ossidati e mineralizzati.

41 Si rimanda allo scritto « Saggio di scavo in località Macchia di Freddara (Allumiere) 8/8 - 4/9/1988. Relazione preliminare di attività», a cura di A. Zifferero (con la collaborazione di S. Nardi), dell’1/1 1/1988, conservato presso l’archivio SAEM.

L’abitato è situato in vocabolo « le Cannucce »: la prima campagna di ricerca, diretta da G. Gazzetti, ha interessato un’area di 100 mq, e ha portato all’individuazione di uno strato di crollo, formato da pietre calcaree e quarzolatitiche, adiacente e coprente un allineamento di blocchi di origine sedimentaria e vulcanica, rozzamente squadrati, che dovrebbero costituire la cresta di un muro. Esso doveva far parte, verosimilmente, di un edificio costruito su un ripiano terrazzato, la cui fisionomia si spera di definire quanto prima. Lo strato di terra sovrastante il crollo conte- neva numerosi frammenti di tegole d’impasto, classificabili in senso lato nella produzione di 1* fase. I frammenti vascolari (impasto, bucchero nero) consentono di stabilire una cronologia nell’ambito del VI secolo a.C.

Per le notizie preliminari sullo scavo e la planimetria di un insediamento rustico romano (II sec. a.C.-I see. d.C.), portato in luce a breve distanza dall’abitato arcaico, cfr. Ca m il l i, Vit a l i Ro s a t i 1988.

Le caratteristiche topografiche e geomorfologiche di questi abitati, prevalen- temente distribuiti nella fascia pedemontana a sud del bacino minerario, hanno consentito di mettere a fuoco, attraverso la registrazione delle superfici di disper- sione dei frammenti ceramici e l’analisi dei rapporti spaziali con le necropoli, un sistema d’insediamento capillare, abbastanza articolato, che si fonda su una scala progressiva di valori areali, connotanti, evidentemente, il diverso rango di ciascun sito39. Mentre è possibile avanzare delle ipotesi sulla pratica di attività agricole, desunte dalla posizione degli abitati nei confronti dell’ambiente circostante e, so- prattutto, dal ritrovamento in superficie di piccole macine in pietra vulcanica e frammenti di dolii, la ricerca non è ancora riuscita a porre in risalto resti di metal- lurgia estrattiva (cioè minerale crudo o materiale semi-lavorato) da collegare ai gia- cimenti del bacino metallifero40.

A questo scopo si è selezionato un abitato campione, con determinate caratte- ristiche tipologiche e geomorfologiche, per indagarlo attraverso lo scavo41 (fig. 14,15;

tav. XLIII a, b}.

Esistono poi altri aspetti del problema che vanno considerati nella giusta pro-

(23)

- Carta di distribuzione del popolamentoetrusco traOrientalizzante recente edetàarcaica nell’area campionatadallericerche: 1.abitati dipianoroedaree documentatedidispersionedei fram-ceramici; 2. presenze diabitato(estensione nonaccertabile); 3. luoghi di culto;4.tombaa camera costruita o tombaa camera isolata; 5. nucleo sepolcrale connumeroditombeidentificatevaria- 2a 5 uni; 6.nucleo sepolcraleconnumeroditombevariabile da 6 a10 uni; 7. nucleo sepolcrale con numero ditombe superiorealle10uni; 8.localiinteressatadaunpiccolo nucleo le; 9.localiinteressatadaunnucleo sepolcrale; 10.principale viabili di costa e di crinale (la viabili di fondovalle è stata sottintesa: sifacciariferimento all’andamento dei principali corsid’acqua);11.estensioneapprossimativadel bacinoa minerali metalliferi, con lemineralizzazionipiù rilevanti (fonte: Zifferero 1990 b). Per l’elenco dei siti numerati, cfr. l’appendice.

(24)
(25)

spettiva: in altra sede ho tentato di individuare alcuni punti fermi per risalire alla definizione di un sistema di popolamento, con l’analisi dei poli funzionali di questo territorio: accogliendo e sviluppando l’ipotesi di base, del resto già da più parti formulata, che lo spazio geografico di cui si tratta fosse controllato da Cerve- teri in epoca orientalizzante ed arcaica, si potrebbe disegnare e marcare una fascia di confine tra i territori cerite e tarquiniese proprio in prossimità dello spartiacque montuoso tolfetano 42.

42 Zif f e r e r o 1990 b; tuttora valido nell’impostazione per la zona in esame, To r e l l i 1971;

per considerazioni di carattere generale sull’argomento cfr. Cr is t o f a n i 1986, p. 88 sgg. Sul- l’estensione del territorio cerite cfr. Co l o n n a 1967; per la definizione del confine tra Caere e Tarquinia, limitatamente ai territori civitavecchiese, allumierasco e tolfetano esiste una biblio- grafia piuttosto estesa, che si può condensare, tuttavia, nei lavori di Me n g a r e l l i 1941, p. 344 sgg.

e tav. 1; Ba s t ia n e l l i 1942, p. 257; Bia n c o f io r e, To t i 1973, p. 70 sg. L’ipotesi che i territori tolfetano e allumierasco fossero controllati da Caere è formulata anche in Zif f e r e r o 1990 b.

43 Elenco dei corredi recuperati in To t i 1967 b, p. 27 sgg.; inquadramento culturale e cronologico in To t i 1969, con l’aggiunta delle tombe 18-20; la cronologia dei ritrovamenti è ulteriormente commentata in Co l o n n a 1963, p. 161. Devo Tinformazione sulle datazioni ripor- tate nel testo alla cortesia e alla disponibilità di C. V. Petrizzi, che sta conducendo un riesame dei corredi funerari della zona, conservati e parzialmente esposti nel Museo Civico di Allumiere.

Nei confronti dei termini proposti, elementi a favore di una certa anteriorità andrebbero rico- nosciuti, a mio parere, in un calice d’impasto bruno dalla tomba 16 (vasca profonda e pareti a profilo concavo) e nell’olletta carenata dalla tomba 20 (To t i 1969, p. 575 sgg. e tav. 213);

in attesa di un’edizione definitiva dei corredi, segnalo per queste tombe il lavoro di Pe t r iz z i 1990.

44 Si tratta dei primi dati provenienti dal programma di ricerca in corso presso l’Università di Bologna, presentati in modo analitico in Zif f e r e r o c.s.; per l’aspetto metallurgico e minera- logico si faccia riferimento a Spin e d i et al. c.s. I campioni metallici, sottoposti ad analisi chimiche ed esami in microscopia ottica e/o scansione, con l’impiego combinato di microsonda per analisi localizzata, sono stati prelevati dai seguenti oggetti: d) armilla bronzea, del tipo a serpente, dal corredo della tomba P(ian) C(onserva) 27 (Tolfa, RM), inedita; la costruzione della tomba sarebbe avvenuta, in base ad analisi preliminare del corredo, nella fase iniziale dell’Orientaliz- zante medio (secondo quarto del VII see. a.C.). Su cortese informazione di A. Naso, sarebbe possibile ascrivere l’armilla alla prima deposizione del corredo, b) Pane circolare di rame, fram- mentario, raccolto in superficie presso l’abitato della Piana di Stigliano (Canale Monterano, RM):

Il bacino minerario verrebbe in tal modo a risultare una zona marginale; è in- teressante osservare come i termini cronologici del popolamento di quest’area, nella sua fase di massimo sviluppo, spesso interpretato in funzione di uno sfruttamento delle miniere, siano compresi tra l’ultimo quarto del VII e l’ultimo quarto del VI secolo a.C. (periodo1 corrispondente all’arco di frequentazione delle necropoli dislocate nella fascia pedemontana dell’odierno territorio allumierasco)43.

Qualche nuovo dato viene invece a far luce sugli aspetti della metallurgia

estrattiva etrusca, con riferimento all’area in esame: le analisi di laboratorio-hanno

fornito i primi indizi, relativi all’utilizzazione di minerali cupriferi solforati, vero-

similmente calcopirite, per la fabbricazione di oggetti in bronzo-rame, provenienti

da necropoli e abitati situati nella media valle del Mignone, e databili al VII-

VI secolo a.C.44.

(26)

224

A. Zifferero

La particolare natura dei reperti non stabilisce, tuttavia, un collegamento automatico con le risorse minerarie locali: in mancanza di scorie d’estrazione, si può osservare come la riscontrata presenza di termini cupriferi accessori nelle mi- neralizzazioni a solfuri tolfetane abbia determinato, sia pure in modo subordinato rispetto alla galena argentifera, una loro coltivazione tra XVI e XVIII secolo45.

5. È utile concludere questa rassegna con alcuni dati, rintracciati per mezzo delle ricerche di superfìcie di cui supra·, si tratta di minerale crudo di ematite, associato, in qualche caso, a scorie siderurgiche. Due episodi sono bene inseribili in una cornice storica: si tratta di ematite associata a presunte scorie (analisi in corso), raccolte nel centro medievale di Centocelle (Tarquinia, VT) e di scorie siderurgiche identificate presso lolla nova, odierno Μ. la Tolfaccia (Allumiere, RM)46 (^. 15,1-2).

Sono ritrovamenti significativi, perché consentono di individuare la presenza

VI secolo a.C.? Il metallo dell’armilla è bronzo, con presenza di inclusioni a solfuri nella matrice;

il pane è formato da rame contenente scarse impurezze: accertata la presenza di inclusioni costi- tuite da noduli di solfuri di rame, largamente prevalenti sui solfuri di ferro. Analisi tuttora in corso su reperti in bronzo provenienti da recuperi effettuati presso le tombe del Largo della Bandita (Canale Montetano; per la cronologia e la topografia della necropoli cfr. Ga s pe r in i 1963, p. 32 sgg.), hanno consentito di rintracciarvi la presenza delle suddette inclusioni a noduli di solfuri.

45 Una miniera di rame fu scoperta e, presumibilmente, coltivata nel 1510, al « pozo de la stella», da Ottaviano da Castro (Ba r b ie r i 1940, p. 56 sgg. e nota 19). La presenza di minerali cupriferi fu registrata nella seconda metà del XVIII secolo, nelle miniere tra Poggio Ombricolo e l’Edificio del Piombo: in quella di S. Pio, scavata dai minatori sassoni, si estraeva una

« pirite di rame », che veniva lavorata per ottenere probabilmente il solfato di rame (Ce r m e l l i 1782, p. 30 sg.; Br o c c h i 1818, p. 178 sgg.). Sul problema dei minerali di rame nei giacimenti tolfetani si rimanda a Zif f e r e r o 1990 a.

46 Zif f e r e r o c.s. Nell’abitato medievale di Centocelle i reperti sono stati raccolti all’in- terno della cinta muraria (1987). Fondata, secondo la tradizione, da Leone IV nel IX secolo, la città insiste su un precedente insediamento etrusco e romano (Zif f e r e r o 1990 b) e già nel 1416 è ricordata tra le « terre destructe et inhabitate » del Patrimonio di S. Pietro. Fu sempre sotto il controllo diretto della Chiesa romana, ma agli inizi del XIV secolo fece atto di sotto- missione a Corneto (per i dati storici ed archeologici sul centro cfr. To t i 1988; vedi anche Co n t i 1980, p. 103 sgg.). Le fonti tacciono sull’attività siderurgica di Centocelle. Le scorie di estrazione da Tulfa nova provengono da minerale di ferro, perché costituite da wiistite e fayalite. È interessante osservare come la presenza di scorie metallurgiche era stata già osservata nel sito: questo farebbe presagire che la siderurgia fosse un’importante voce nell’economia del centro. I frammenti ceramici raccolti in superficie indicano una frequentazione dell’abitato precedente ΓΧΙ secolo, mentre esiste una certa concordanza tra dati archeologici e fonti docu- mentarie per circoscrivere l’abbandono di Tulfa nova all’incirca tra il 1460 ed il 1471 (Ce c- c a r e l l i et al. 1972; Co n t i 1980, p. 150 sg.; Co l a 1984; Co c c ia et al. 1985, p. 528 sgg.).

È opinione comune che il centro, nel basso Medioevo, fosse più potente e popolato di Tolfa (dai registri della tassazione sul sale si può calcolare un numero di abitanti quasi doppio rispetto a Tolfa vecchia).

(27)

fig. 15 - Distribuzione del minerale di ferro elbano identificato nel Lazio (cerchio pieno), e centri metallurgici di epoca medievale (cerchio vuoto): 1. Centocelle (Tarquinia); 2. Tulfa nova (Allumiere); 3. La Sconfitta-Valle

ä Ascetta e Pontone di Natale (Tolfa); 4. S. Severa (S. Marinella); 5. Porrazzeta (Cerveteri).

di forni fusori collegati all’estrazione e al commercio del ferro in epoca medie- vale e forse di anticipare, come del resto è già stato fatto, lo sfruttamento delle miniere tolfetane ad una fase precedente la storica scoperta dei giacimenti d’alu- nite, avvenuta tra 1461 e 1462; bisogna dire, tuttavia, che al momento attuale non è possibile risalire aH’origine di questo minerale di ferro47 (tav. XLIII c, a).

47 Sull’ipotesi di coltivazioni minerarie già attive prima di questa data si rimanda a Br u-

n o r i 1984; 1986 e 1988: l’ultimo contributo è da consultare con molta cautela. Cfr. anche

quanto ho scritto in Zif f e r e r o 1990 a, sulla necessità di valutare in modo critico tali dati. È ovvioche il problema dellaprovenienzadelferro si ripropone nuovamente nel caso di Centocelle

(28)

226

A. Zifferero

Una sicura attestazione di ematite elbana è stata riscontrata, invece, in 2 lo- calità situate a sud della media valle del Mignone, nel territorio comunale di Tolfa:

il particolare posizionamento in superficie di questo minerale, crudo e in piccola pezzatura, in qualche caso caratterizzato da uno spiccato aspetto cristallino, rac- colto su aree a substrato geologico di formazione sedimentaria, ha permesso di escludere Tipotesi di una giacitura primaria (Ferrini, in verbis) (fig. 15,3).

La presenza di ematite micacea, secondo V. Ferrini, che ha visionato i cam- pioni, costituisce un indizio certo per confermare la provenienza elbana. Il mine- rale, in entrambi i casi, non era associato ad alcun deposito archeologico: a breve distanza dai punti di ritrovamento sono stati localizzati insediamenti etruschi e romani, i quali, comunque, non sembrerebbero essere in relazione con l’ematite 48.

La soluzione va ricercata, ed era già stata avanzata alla fine deH’800, nella documentata utilizzazione del ferro elbano, tra XVI e XVII secolo, da parte dei forni della zona, compresa per larga parte nel Ducato di Bracciano: un ritrova- mento del genere è stato effettuato di recente anche a Cerveteri ed è molto signi-

e Tulfa nova. Nell’eventualità (tutta da dimostrate: il prof. V. Ferrini, che ha esaminato l’ematite da Centocelle, non si è pronunciato circa l’origine del minerale), che tali impianti lavorassero ferro estratto dai giacimenti tolfetani, si tratterebbe di dati di considerevole impor- tanza. Le prime notizie sull’esistenza di un furnum venae ferri in ruinis Sanctae Severellae, costruito su licenza pontificia dai discendenti di G. da Castro, risale al 1497 ed è contenuta nel settecentesco manoscritto Buttaoni (ma lo storico Μ. Polidori (1609-1683) anticipa il fatto al 1463: Po l id o r i 1977, p. 259 sgg.; entrambi gli excerpta in Mo r r a 1979, p. 59 sgg.), al quale attinse Br e is l a k 1786, p. 44 sg. e forse anche Mo r o z z o 1791, p. 51 sgg.; quest’ultimo rappresenta la fonte storico-naturalistica più dettagliata sulle imprese minerarie tolfetane. La chiesa di S. Severella era situata presso l’odierno borgo della Farnesiana (Allumiere, RM), non lontano da Centocelle (sul problema dell’identificazione, cfr. Co r t e s e l l i, Pa r d i 1983, p. 138 sgg.).

Gli eredi di G. da Castro, scopritore dei giacimenti alunitiferi tolfetani, conservarono per alcune generazioni i diritti di partecipazione agli appalti minerari. Un documento del 1510 notifica come essi già avessero attivato miniere di ferro, insieme alle cave di aiunite (Ba r b ie r i 1940, p. 55). Credo, quindi, che non possa sussistere dubbio sull’origine tolfetana della vena di ferro fusa a S. Severella.

I dati di Centocelle dovranno essere necessariamente inseriti in una prospettiva cronologica anteriore: dalle restrizioni imposte da Pisa a Corneto nel 1173 circa il commercio della vena di ferro, si può intuire che il minerale elbano arrivasse via mare sulle coste laziali già nel XII secolo (Mu r a t o r i, Antiquitäten, IV, 401; Wü s t e n f e l d 1883, p. 536). Il Comune pisano detenne il monopolio sul ferro elbano fino al 1399 (Il v a 1938, p. 35; Ro d o l ic o 1984, p. 284 sgg.).

Altra vena di ferro sottoposta a dazio (e perciò di verosimile provenienza esterna) è ricordata a Corneto nel 1311 (Wü s t e n f e l d 1883, p. 584 sg. = Su pin o 1969, p. 299).

48 Di questo minerale, la cui esistenza è, del resto, nota da tempo (To t i 1984, p. 73;

Br u n o r i 1988), ho dato notizia preliminare esprimendo un dubbio sulla presenza di mineraliz-

zazioni ferrifere nel settore, in Zif f e r e r o 1990 a. I nuovi dati sono presentati in modo analitico

in Zif f e r e r o c.s. I siti archeologici identificati sono prevalentemente di carattere rurale:

aree poco estese di frammenti indiziano l’esistenza dei cosiddetti « siti aperti » etruschi, riferibili a piccoli nuclei di tombe a camera costruita (Zif f e r e r o 1990 b). Per la posizione e la cronologia degli insediamenti rustici romani si rimanda a Co c c ia et al. 1985, p. 525 sgg.

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