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LE POLITICHE PER LA FAMIGLIA IN LOMBARDIA

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Academic year: 2022

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1.1 1.2

Missione Valutativa n. 25/2020

LE POLITICHE PER LA FAMIGLIA IN L OMBARDIA

Missione valut a tiva promossa dal

Comitato Paritetico di Controllo e Valutazione e dalla Commissione Sanità e Politiche sociali

EXECUTIVE SUMMARY

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Le politiche per la famiglia in Lombardia

Executive summary

A partire dalle esigenze espresse dal Comitato Paritetico di Controllo e Valutazione, questa missione valutativa ha esaminato le politiche per la famiglia attive in Lombardia nel triennio 2018-20. Si tratta di un vasto gruppo di azioni volte a sostenere il benessere della famiglia nelle sue diverse dimensioni, rivolgendosi direttamente alla famiglia in senso stretto (politiche esplicite) o ai suoi componenti individuali (politiche implicite). In questa analisi le due tipologie di intervento sono entrambe rappresentate. In un ambito di policy così eterogeneo è stato operato un tentativo di sistematizzazione che guarda da una parte ai bisogni espressi dal territorio e dall’altra agli strumenti posti in essere per darvi risposta, sia ad opera di soggetti pubblici sia della filantropia istituzionale (le Fondazioni, bancarie in primis).

Un focus particolare è stato dedicato al Fattore Famiglia Lombardo, strumento integrativo per l’accesso alle misure pubbliche, che si configura come correzione dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE).

Il censimento realizzato sulle politiche per la famiglia ha condotto alla mappatura di 138

interventi, 103 realizzati da enti pubblici e 35 da privati, poi classificati per obiettivi e strumenti utilizzati. La lettura incrociata degli obiettivi e degli strumenti ha evidenziato il grado di concentrazione degli interventi per le categorie rappresentate. Le politiche per la salute (18%) e per la devianza e gestione dei conflitti (16%) appaiono tra le più numerose. Sul versante degli strumenti di intervento la facilitazione economica, con svariate forme di sostegno che vanno dai contributi ai bonus fiscali, è la più utilizzata (27%, che diventa 41% se si considerano solo i soggetti pubblici); ciò è in linea con le caratteristiche del welfare mediterraneo, segnalate da un’ampia letteratura, dove la spesa sociale dedicata alle famiglie e ai minori è prevalentemente impiegata in trasferimenti monetari e meno in servizi. La seconda forma di intervento più diffusa è quella dei servizi informativi e consulenziali (21%). In particolare, le politiche per la salute trovano frequente attuazione attraverso strumenti economici (39%) e infrastrutturali (27%), così come le politiche per il contrasto alla devianza e la gestione dei

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conflitti sono largamente attuate con servizi di consulenza, informazione e tutoraggio (43%).

Ancora, le politiche per la scuola mostrano frequente ricorso a strumenti economici (i bonus in primis) e formativi (corsi di aggiornamento e approfondimento); mentre le politiche abitative nella gran parte dei casi offrono infrastrutture residenziali e facilitazioni economiche. Meno frequenti sono le politiche per la mobilità e per il tempo libero (cultura e sport) e meno utilizzati gli strumenti di attivazione (tipici delle politiche attive per il lavoro) e l’erogazione di prestazioni (generalmente associati alle politiche sanitarie e socio-sanitarie).

Un confronto tra le politiche implementate da soggetti pubblici e soggetti privati evidenzia un differente grado di complessità: il privato tende a rivolgersi contemporaneamente a più obiettivi (nel 60% dei casi sono politiche multi-obiettivo, contro il 15% per i soggetti pubblici), utilizzando strumenti diversi (40% contro 17%), con un grado di complessità maggiore rispetto all’azione pubblica. Su questo aspetto il confronto con gli stakeholder ha evidenziato l’importanza di investire nel rafforzamento di una rete di protezione sociale che coinvolga soggetti di natura diversa (istituzioni pubbliche e private, gruppi organizzati), al fine di mettere in comune informazioni e strategie. Due sono gli elementi fondamentali in questo senso: una programmazione flessibile in grado di adattarsi all’evoluzione delle esigenze dei beneficiari e una presa in carico ad ampio spettro dell’utenza, con una visione più olistica dei bisogni dell’individuo e delle famiglie.

Un ulteriore tentativo di classificazione è basato sui requisiti di accesso, e distingue tra le politiche rivolte in via esclusiva a nuclei familiari (esplicite) e quelle rivolte anche ai singoli individui (implicite). Le prime sono 62 su un totale 138 (quasi la metà), e tra queste due su tre sono attuate da enti pubblici.

Un approfondimento è stato riservato ai bisogni emersi durante il periodo pandemico e alle relative risposte di policy. La pandemia sembra acuire criticità già esistenti e in alcuni casi latenti; pochi i bisogni nuovi, tra tutti quello di digitalizzazione. Dal punto di vista economico le categorie più colpite sono quelle rimaste scoperte (o solo parzialmente tutelate) dalle misure nazionali: in particolare il lavoro sommerso e la contrattualità stagionale.

Accanto alla dimensione economica, desta preoccupazione la dimensione sociale, con l’acuirsi della solitudine e lo sfilacciamento dei rapporti di comunità. L’isolamento forzato incide inoltre sulle condizioni sanitarie e psicologiche:

da un lato si osserva una riduzione della prevenzione e dei controlli, con rischi di diagnosi tardive e carenza nelle cure, dall’altro si accentua il rischio di sindromi depressive.

Tuttavia, se la pandemia e le misure di distanziamento sociale hanno sovraccaricato e ostacolato i servizi causando un indebolimento del sistema, la pressione dell’emergenza ha dato il via a processi adattivi nella modalità di erogazione dei servizi e stimolato l’attivazione di risorse informali, in primis il volontariato. La capitalizzazione di queste risorse può rappresentare un canale prezioso per l’accoglienza in fase iniziale, orientando il beneficiario verso la successiva presa in carico

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mirata da parte dei servizi. In generale la maggiore criticità percepita dagli stakeholder coinvolti è la difficoltà di intercettare, in chiave preventiva, i bisogni non esplicitati. Il sistema dei servizi pubblici sembra non essere votato alla ricerca dei bisogni inespressi, trovandosi già in difficoltà nel fronteggiare quelli manifesti.

Su questo aspetto emerge la necessità di una azione di rafforzamento da parte del sistema.

Per quanto riguarda il FFL, dopo aver ricostruito la logica alla base della sua introduzione (la selezione all’ingresso delle famiglie utilizzando criteri di calcolo più sofisticati) e i benefici auspicati (in primis maggiore equità a favore delle famiglie), l’attenzione si è concentrata sui rischi e le distorsioni ad esso collegati:

l’aggravio amministrativo a carico degli attuatori, la più difficile previsione delle risorse da assegnare, e l’eventuale modifica delle graduatorie di accesso. La riflessione si è sviluppata a partire da casi concreti di applicazione del FFL a politiche regionali e di applicazione di strumenti simili in altri contesti territoriali. Si tratta nel primo caso delle misure Bonus assistenti familiari, Dote infanzia e Pacchetto famiglia, attuate dalla Giunta regionale lombarda, e nel secondo del Quoziente di Parma e di un Fattore Famiglia applicato nel comune di Lerici (La Spezia) alle mense scolastiche. Si delineano due scenari.

Nel primo caso, adottato dalla Regione Lombardia, il fattore di correzione non incide sull’identificazione dei beneficiari perché introduce criteri di addizionalità a fronte di risorse aggiuntive contingentate. Nel secondo caso, i fattori di correzione possono incidere sia sull’identificazione dei beneficiari che sull’entità

di tariffazioni ed esenzioni. In entrambi i casi l’effettiva capacità di “fare la differenza” rispetto all’ISEE può essere analizzata soltanto con analisi ad hoc, a partire da dati amministrativi di dettaglio che prendano in esame sia le domande e le concessioni, sia (soprattutto) le diverse tipologie di beneficiari.

Il presente lavoro fornisce un primo quadro sullo stato dell’arte delle politiche realizzate sul territorio lombardo, rispondendo alla domanda:

cosa esiste? Nell’ottica di fornire evidenza a supporto della programmazione, un secondo interrogativo a cui sarebbe opportuno dare risposta è: cosa funziona? La risposta a questa domanda passa per una rigorosa valutazione degli effetti (c.d. valutazione controfattuale) di specifiche misure per verificare se, e in che misura, le condizioni delle famiglie siano state migliorate. L’efficacia delle politiche riguarda infatti la stima del cambiamento occorso "a causa" e non soltanto "dopo" l’attuazione di una certa politica, e può essere analizzata su base quantitativa, con disegni di valutazione che sfruttano (non sempre, ma spesso) il confronto con un gruppo di controllo. In Italia l'uso rigoroso e pragmatico di questo tipo di valutazione è ancora limitato, così come il ricorso alle stime degli effetti prodotti per la programmazione. Si nota tuttavia una attenzione crescente all’evidenza empirica sull’efficacia degli interventi: in Lombardia un caso di rilievo è l’iniziativa del Consiglio regionale che, nell’ambito del Progetto Capire, ha promosso la valutazione sperimentale di una campagna informativa per il trattamento degli ictus.

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Riferimenti

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Non occorre, forse, neppure evidenziare che le nuove politiche di concertazione rimandano alle capacità di un insieme di soggetti – pubblici e privati – di dare impulso allo