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QUESTIONI VECCHIE E NUOVE RIGUARDO ALL’IMPLEMENTAZIONE ITALIANA DELLA DIRETTIVA COMUNITARIA SULLA MEDIAZIONE:

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QUESTIONI VECCHIE E NUOVE RIGUARDO ALL’IMPLEMENTAZIONE ITALIANA DELLA DIRETTIVA COMUNITARIA SULLA MEDIAZIONE:

COSTI E MANCATA PARTECIPAZIONE

P. Porreca

*

1. Il decreto legislativo n. 28 del 2010 (cui ho avuto la fortuna di lavorare) ha dato attuazione alla direttiva comunitaria n. 52 del 2008, e ha implementato, in Italia, il primo testo unico sulla composizione stragiudiziale delle controversie civili che abbiano per oggetto diritti disponibili.

Dal punto di vista dei rapporti con il processo, il decreto legislativo, analogamente a quanto fa la direttiva comunitaria, distingue tre tipi di mediazione: la mediazione obbligatoria, quella volontaria e quella demandata dal giudice.

La mediazione, rispetto ad alcune materie, si pone dunque come condizione di procedibilità per l’avvio o la prosecuzione del processo.

Le materie che rientrano nel raggio di azione dell’obbligatorietà sono: condominio, diritti reali, divisioni, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari.

* Magistrato dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione

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Per il condominio e la responsabilità da circolazione, l’obbligatorietà è stata differita di un anno, al 20 marzo 2012, al fine di assicurare al riguardo una certa gradualità.

In ogni altra materia la mediazione potrà essere avviata dalle parti su base volontaria, sia prima che durante il processo.

La mediazione sollecitata dal giudice – soggetta comunque al consenso delle parti – è prevista anche dalla direttiva comunitaria del 2008, e si affianca, senza sostituirla, all’attività conciliativa propriamente giudiziale.

Data l’ampiezza delle ipotesi di mediazione obbligatoria, questo è il tema che più si è posto al centro della discussione, sia professionale che culturale.

2. La previsione della condizione di procedibilità fa espressamente salva la possibilità di svolgere, senza alcun ritardo, i procedimenti speciali connotati da celerità, i procedimenti urgenti e quelli cautelari.

Nonostante questo, si riscontrano molte critiche sulla possibile lesione del diritto di libero e pieno accesso alla tutela giurisdizionale.

Sul punto ci sono state sinora pronunce giurisprudenziali discordi: i giudici amministrativi, davanti ai quali è stato impugnato il regolamento attuativo delle norme legislative, hanno sollevato una questione di costituzionalità per sospetta violazione del diritto di difesa.

Al contrario, i giudici (togati) ordinari che trattano le controversie oggetto della disciplina sulla mediazione, sinora hanno dichiarato manifestamente infondate tali questioni, rifiutando di rimetterle alla Corte costituzionale, per le ragioni che più avanti esamineremo, e in ogni caso incentrate sulla ragionevolezza della scelta legislativa di graduare – e non precludere – la possibilità di accedere alla giurisdizione.

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Va segnalato che, con una modifica legislativa approvata nello scorso agosto (art. 8 comma 5 del d.lgs. n. 28/10), è stato previsto che nei casi di mediazione obbligatoria (anche per clausola contrattuale che vincoli le parti in tal senso) o demandata dal giudice e poi accettata dalle parti, chi non partecipa alla mediazione senza giustificato motivo sarà condannato dal giudice, nel corso del successivo giudizio, al pagamento di una somma corrispondente al contributo fiscale relativo alla causa. Da questa condotta della parte, inoltre, il giudice potrà trarre argomenti di prova a carico.

Vi sono poi specifici sgravi tributari a sostegno della partecipazione al procedimento di mediazione, affidato a professionisti per lo più privati ma obbligatoriamente formati e vigilati dal Ministero della giustizia, le cui tariffe, derogabili dalle parti, sono limitate negli importi massimi.

Ciò nondimeno, la soluzione del decreto legislativo è stata contestata anche perché consente che il procedimento di mediazione sia, in alcuni casi, obbligatorio e oneroso insieme.

In specie, il procedimento, anche a prescindere dai sostegni fiscali, sarà gratuito solo per i soggetti che nel processo avrebbero diritto al gratuito patrocinio a spese dello Stato.

I due punti critici appena sintetizzati (obbligatorietà ed esclusione di una generale gratuità) si sono così saldati.

Tanto più che con il correttivo regolamentare di luglio (d.m. n. 145 del 2001) si è specificato che anche in caso di mancata partecipazione il verbale negativo, nei casi di obbligatorietà, dev’essere redatto dal mediatore (e non dalle strutture amministrative dell’organismo), a garanzia della sua certezza ma anche a contrasto di facili pratiche elusive infatti già riscontrate nella prassi.

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3. Nel discorso sulla nuova mediazione civile italiana, pertanto, la questione dei costi di quella obbligatoria è la più ostica.

Lo affermano pure la Corte di giustizia Ue (caso Alassini, 2010) e la Corte costituzionale italiana (anche nel 2009: pronuncia n. 51), quando invitano il legislatore a evitare che uno strumento facilitativo della soluzione alternativa della controversia si risolva in un aggravio insopportabile per il cittadino.

Lo dimostrano, appunto, le reazioni del mondo professionale, che pone l’accento sugli oneri economici di accesso per denunciare la mediazione come forma di privatizzazione della giustizia civile.

Sembra, perciò, che questo sia uno dei punti di vista più interessanti da cui osservare il fenomeno.

Il problema della mediazione obbligatoria e della sua onerosità non deve però portare ad appiattire il dibattito su questo aspetto del decreto legislativo n. 28 del 2010, la cui maggiore novità consiste nell’aver introdotto una mediazione strutturata, distribuita sul territorio, capace di moltiplicare i luoghi di risoluzione delle controversie e le agenzie di produzione dei titoli esecutivi, almeno per coloro che decidono liberamente di farvi ricorso.

La mediazione obbligatoria è una parte importante della nuova disciplina ed esercita un effetto trainante sulla mediazione volontaria, ma non ne esaurisce le potenzialità.

Anzi, questa obbligatorietà, dopo aver esaurito la sua reale funzione di spinta alla diffusione della cultura della mediazione, verosimilmente potrà venir meno.

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Le accese discussioni sulla mediazione obbligatoria tolgono anzi argomenti ai detrattori della mediazione tout court, perché fanno risaltare l’importanza della libera scelta delle parti e dimostrano che, se pure la mediazione obbligatoria dovesse venir meno, il costume pre-processuale è definitivamente mutato.

Da questo punto di vista, la direttiva comunitaria n. 52 del 2008, spesso accusata di una genericità che sconfina nel soft law, avrà svolto la sua funzione.

3.1. Occorre poi leggere con spirito libero da preconcetti la giurisprudenza costituzionale e comunitaria.

La Corte Costituzionale italiana indica che gli oneri economici a carico di chi richiede una tutela giurisdizionale sono legittimi se razionalmente collegati alla pretesa dedotta in giudizio, allo scopo di assicurare al processo uno svolgimento meglio conforme alla sua funzione; non lo sono, invece, se correlati alla soddisfazione di interessi del tutto estranei a quelle finalità.

La Corte di Giustizia, dopo aver definito legittimi obiettivi di interesse generale una definizione più spedita e meno onerosa delle controversie nonché un decongestionamento dei tribunali, ha concluso che, rispetto a questi obiettivi, l’introduzione di una procedura di risoluzione extragiudiziale meramente facoltativa e non obbligatoria, non costituisce uno strumento altrettanto efficace quanto il secondo, per la realizzazione questi obiettivi.

Non si vede come possa definirsi estraneo al miglior andamento della giustizia un costo che ha la funzione di fornire al cittadino un servizio che s’inserisce nel percorso verso la soluzione della sua controversia, e persegue il pubblico interesse di restituire alla decisione giudiziale il suo carattere di soluzione subordinata rispetto a quella della composizione amichevole della lite.

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La promozione della mediazione contribuisce a evitare che ogni conflitto si trasformi necessariamente in una causa, in applicazione del principio di proporzionalità nell’utilizzo delle risorse giudiziarie, che a sua volta costituisce una ricaduta di quello costituzionale e sovranazionale alla ragionevole durata del processo.

Naturalmente, nella chiave illustrata la mediazione segna un passaggio verso il recupero di spazio all’autonomia privata nella gestione dei conflitti, rispetto al disegno dello Stato moderno di appropriarsi di questa funzione che ha determinato una decisa virata del diritto processuale nell’alveo di quello pubblico.

Uno spostamento registrato in Germania oltre un secolo fa, e recepito dal codice di procedura civile italiano del ’42, che ha contribuito a una visione del conflitto non come ostacolo al raggiungimento di beni della vita, quanto come momento per l’affermazione del diritto obiettivo.

Ma questo fenomeno è molto diverso da quello presentato con lo slogan della privatizzazione della giustizia civile, come mostrano le esperienze comparate.

Tra gli esempi più importanti c’è quello del Canada, in cui l’Ontario’s Mandatory Mediation Program ha un ambito applicativo molto ampio, essendo esteso a tutte le controversie civili di carattere non familiare, cioè, in sostanza, all’intera area dei diritti disponibili.

Quest’esperienza ha valore proprio perché preceduta da una verifica-pilota nelle città di Toronto e Ottawa, svolta tra il 1999 e il 2001. Con esiti così positivi da portare alla conferma in via permanente della civil procedure rule 24.1.

Non solo.

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L’esempio appare tanto più calzante in quanto si tratta di vera e propria mediazione e non altro e diverso tipo di ADR come avviene, specie in campo medico-legale, per le procedure di negoziazione paritetica a sostegno pubblico o assicurativo (obbligatorio) regolate in Francia e Germania.

3.2. Tutto questo, però, non esime ovviamente il legislatore dallo strutturare in termini di ragionevolezza non solo, come visto, i rapporti con forme speciali di tutela giurisdizionale urgente o speciale, ma anche, e soprattutto, l’onere economico relativo alla mediazione.

La Banca mondiale ha pubblicato alcune analisi riferite ai costi di risoluzione delle controversie, da cui emerge che l’Italia ha quelli tributari tra i più bassi a livello internazionale, nell’area dei Paesi maggiormente sviluppati; e costi legali tra i più alti.

I costi fiscali ammontano al 2,9% del valore della controversia, e quelli legali, di media, tenuto conto dei tre gradi di giudizio, al 21,8% del medesimo valore. Questi ultimi costituiscono il 72,9% dei costi complessivi, inclusi quelli di esecuzione, computati nel 5,2% del valore del bene conteso.

Nell’area europea, solo in Svezia i costi legali sono maggiori (28% del valore del conteso), e tutti gli altri sono almeno due punti percentuali in meno.

D’altra parte, solo Grecia e Lussemburgo hanno un numero di avvocati, ogni mille abitanti, superiore all’Italia, stando ai dati dell’Europa occidentale nel 2010.

Ma si tratta di Paesi in cui i costi legali, esecutivi e tributari, ammontano, rispettivamente, al 14,4% e al 9,7% del valore della lite, contro il 29,9% in Italia.

Tutto ciò, logicamente, ha forti effetti distorsivi sulla concorrenza, specie nelle ipotesi di controversie transfrontaliere.

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Al netto dei sostegni fiscali, il costo del servizio di mediazione, in Italia, è nullo per le controversie fino a un valore di 25.000 euro, e varia dallo 0,6% allo 0,12% (del valore del bene della vita in conflitto) nei restanti casi.

Di recente, nel luglio scorso, contemporaneamente a un lieve aumento dei costi fiscali delle cause, gli importi del servizio di mediazione sono stati ulteriormente ridotti: le controversie dal valore più alto hanno registrato un altro significativo contenimento delle tariffe massime spettanti agli organismi di mediazione.

Se di giustizia co-esistenziale si vuole parlare, come si fa quando si descrivono i rapporti tra mediazione e processo, questa dovrà essere anche la declinazione dei costi, a cominciare dall’equilibrio tra i loro componenti (oneri fiscali e oneri di mediazione).

4. La disciplina italiana della mediazione è stata inoltre l’occasione per rafforzare il contrasto alle forme di abuso del processo attraverso una rinnovata disciplina della responsabilità processuale.

Anche qui l’esperienza comparata aiuta.

La giurisprudenza inglese, ad esempio, in sede di regolazione delle spese processuali ha spesso “sanzionato” la parte che rifiuta senza giustificazione anche solo di aderire alla sollecitazione del giudice ad andare in mediazione, tanto più in quanto vi sia sproporzione tra le somme recuperabili e recuperate, e i costi di lite.

In questa cornice si colloca la regolazione delle conseguenze sulle spese processuali determinate dal rifiuto dell’offerta conciliativa.

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La CPR inglese 36.14 esplicitamente distingue il caso del defendant che ha visto rifiutarsi l’offerta poi equivalente alla decisione, che avrà diritto al pagamento delle spese dal momento di consolidamento dell’offerta ove non revocata, maggiorate di interessi; e il caso del claimant, che vedrà maggiorarsi le spese, fino a un ammontare predeterminato, a conferma della natura sanzionatoria e insieme risarcitoria che questa statuizione viene ad assumere.

Analoga disciplina dell’impatto sulle spese dell’offers to settle, è riscontrabile, ancora una volta, in Canada, Paese dove confluiscono tradizioni culturali non solamente anglosassoni, ma anche dell’Europa francese e dunque continentale.

Il decreto legislativo n. 28 del 2010, da una parte, come prima si è ricordato, ha introdotto analoghe sanzioni pecuniarie per la mancata partecipazione senza giustificato motivo alla mediazione quando obbligatoria o accettata, e dall’altra ha introdotto, sotto altro profilo, una disciplina fortemente avvicinabile a quella inglese appena vista, per l’ipotesi del rifiuto ingiustificato della proposta del mediatore.

La parte, in questo caso, sarà condannata al pagamento di una sanzione pecuniaria equivalente ai costi tributari della lite, e, anche se vittoriosa, sarà condannata al pagamento delle spese processuali della controparte successive al rifiuto della proposta.

Pure riguardo a questo profilo, la novità legislativa è stata criticata quale forma di compressione dei diritti di difesa.

Sembra sia necessario intendersi sul senso dei diritti di difesa, se intesi quale momento assoluto e individuale, o se intesi quale momento che deve restare rispettoso del

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principio di un appropriato della risorsa giudiziaria la quale non è né può essere illimitata.

5. Non si può concludere omettendo però un rilievo.

Fermo quanto sopra detto, sembrano invece fondate sembrano le osservazioni che pongono in risalto la criticità principale del sistema italiano della mediazione, che è costituita dalla formazione dei mediatori.

Sebbene il decreto legislativo n. 28 del 2010, e il relativo regolamento attuativo, ne abbiano dato una minima disciplina, ciò che allo stato pare dare segni di carenza è proprio l’effettività di questa formazione.

Nella modifica al regolamento attuativo approvato nel luglio 2011 sono stati rafforzati sia i profili di vigilanza amministrativa sugli organismi di mediazione e sugli enti di formazione dei mediatori; sia i profili attinenti al contenuto della formazione; sia i profili attinenti al necessario rapporto che ci deve essere tra le competenze professionali specifiche del mediatore e gli affari da lui trattati.

La specifica competenza del mediatore, peraltro, non va intesa nel senso che se ne presuppone una giuridica, posta l’autonomia delle tecniche di mediazione rispetto al loro oggetto, quanto nel senso che il possedere anche cognizioni giuridiche costituisce elemento preferenziale nella distribuzione degli affari.

Si tratta peraltro di profili propriamente afferenti alla corretta attuazione della riforma, e quindi alla vigilanza amministrativa.

Ma dato che nessuna riforma può avere successo forzato, starà alla matura consapevolezza del mondo professionale – anche in questo caso – determinarne le sorti assumendosene la responsabilità.

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