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La rivoluzione copernicana della Legge 38/2000.

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La rivoluzione copernicana della Legge 38/2000.

Prof. Ferdinando Antoniotti*

Il nono congresso medico-giuridico internazionale inizia i suoi lavori scientifici a Pisa, mentre il mondo forense e medico-legale viene ad essere coinvolto da due modifiche normative molto determinanti e coinvolgenti la nostra attività professionale. La prima riguarda il recente decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, recante “disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell’articolo 55, comma 1 della legge 17 maggio 1999, n. 144”, che determina una profonda trasformazione della tutela obbligatoriamente assicurata, presignando il sostanziale superamento del vigente Testo unico; le premesse di una tale

“rivoluzione copernicana” avevano trovato fondamento nelle continue modifiche ed innovazioni via via registrate negli ultimi anni dall’Istituto assicuratore, legate alla necessità di adeguamento delle sue funzioni all’evoluzione ed alle rinnovate esigenze della stessa liceità giuridica dell’esistenza dell’ente.

Preliminarmente e sinteticamente si sottolinea che al capo 1, art. del predetto decreto legislativo “a decorrere dal 1 gennaio 2000 …. nell’ambito della gestione industria di cui al titolo I del …. testo unico” sono individuate, ai fini tariffari, le seguenti quattro gestioni separate:

a) industria;

b) artigianato;

c) terziario;

d) altre attività per le attività non rientranti fra quelle di cui alle lettere a), b), e c)

A ciascuna delle quattro gestioni di cui al comma 1 sono riferite le attività protette di cui all’art.

1 del testo unico…..

È contemplata altresì l’estensione dell’obbligo assicurativo ai lavoratori dell’area dirigenziale (art 4), ai lavoratori parasubordinati (art. 5), agli sportivi professionisti (art 6) (restano da stabilire, nel caso specifico, le retribuzioni e i relativi riferimenti tariffari ai fini della determinazione del premio assicurativo), ai lavoratori italiani operanti nei paesi extracomunitari (art. 7).

L’art. 9 stabilisce che le prestazioni a qualunque titolo erogate dall’Istituto assicuratore possono essere rettificate in caso di errore di qualsiasi natura, fatti salvi i casi di dolo o colpa grave dell’interessato accertati giuridizialmente, in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione delle prestazioni.

Di notevole importanza medico-legale appare quanto disposto dall’art. 10 (malattie professionali), laddove recita che “è costituita una commissione scientifica per l’elaborazione e la revisione periodica dell’elenco delle malattie di cui all’art. 139 e delle tabelle di cui agli articoli 3 e 211 del testo unico, composta da non più di quindici componenti…. “in rappresentanza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, dell’Istituto Superiore di Sanità, del CNR, dell’ISPELS, dell’Istituto Italiano di Medicina Sociale, dell’INPS, dell’INAIL, dell’IPSEMA, delle ASL, nonché della collaborazione di enti ed istituti di ricerca.

Per il n. 4 del citato articolo “….sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l’origine professionale”; l’elenco delle malattie di cui all’articolo 39 del Testo unico conterrà anche liste

* Medico Legale, Emerito di medicina Legale all’Università di Roma – Presidente onorario dell’Associazione M. Gioia, Roma

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di probabile e possibile origine lavorativa, da tenere sotto osservazione ai fini della revisione delle tabelle delle malattie professionali di cui agli articoli 3 e 211 del Testo unico, con aggiornamenti dell’elenco da effettuare con cadenza annuale con decreto del Ministero del Lavoro e su proposta della commissione di cui al comma 1. Ai fini del presente articolo, è altresì istituito, presso la banca dati INAIL, il registro nazionale delle malattie causate dal lavoro, ovvero ad esso correlate. Resta intuibile come tale disposto, pur garantendo una sostanziale estensione di tutela costituzionalmente prevista della salute nei luoghi di lavoro (si pensi alle patologie emergenti, legate ai nuovi cicli produttivi, a inedite sostanze chimiche, ma anche a movimentazione cronica di carichi, alla patologia da videoterminali…..), per converso apra il fianco ad inevitabile contenzioso giudiziario, in virtù dei quesiti irrisolti in tema di nesso di causa etiologico, giacché la “possibile” natura professionale di eventuali malattie riscontrate, se malintesa, estende pericolosamente la previsione di tutela a patologie ubiquitarie.

Appare importante accennare all’art. 12, che precisa finalmente i termini ed i criteri di indennizzabilità dell’infortunio di itinere, a tutt’oggi rimasto affidato al discrezionale, prudente giudizio del magistrato di turno con dispositivi di sentenze antitetici, caso per caso.

In realtà la vera rivoluzione copernicana dell’INAIL è contenuta all’art. 13 del citato Decreto legislativo, ammettendo ed assumendo gli oneri di indennizzabilità del danno biologico definito come la lesione dell’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico- legale, della persona in tema di infortunio e di malattia professionale.

Aspetti positivi e punti di crisi del decreto appaiono i seguenti:

- centralità del danno biologico, destinato a divenire criterio unificatore di valutazione di infermità e menomazioni in qualsivoglia ambito giuridico;

- necessità di adeguamento della criteriologia indennitaria a quella risarcitoria, fermo restando il precipuo carattere “sociale”, di sostegno, della tutela INAIL, in riferimento ad esistenti criteri

“civilistici” di quantificazione del danno, con rischio di accendere ulteriore contenzioso;

- utilità e limiti della tabella delle menomazioni (troppe voci, perplessità sull’applicabilità del “fino a”) fermo restando in realtà che la valutazione del danno biologico deve ogni volta restare ancorata al prudente, competente giudizio del medico legale;

- franchigia del 5%;

- indennizzo in capitale dal 6% al 15%;

- indennizzo in rendita dal 16% in poi; francamente complessa appare l’attribuzione di coefficienti correttivi in tema di valutazione di danno specifico;

- tabella di indennizzo del danno biologico sostanzialmente collegata ed in linea con i parametri civilistici (escluso il vigente Decreto legge, fino al 29 maggio 2000);

- revisione dell’indennizzo in capitale per aggravamento della menomazione sopravvenuto nei termini di cui sopra: può avvenire una sola volta;

- sostanziale sovrapponibilità metodologica di valutazione, già correttamente applicata in ambito INAIL per menomazioni correnti extralavorative, ovvero derivanti da infortuni lavorativi o da malattie professionali verificatisi o denunciati prima dell’entrata in vigore del presente decreto e non indennizzati in rendita;

- liquidazione dell’indennizzo in via provvisoria, per danni presumibilmente rientranti nei limiti dell’indennizzo in capitale (attenzione!): in ogni caso l’indennizzo definitivo non può essere inferiore a quello provvisoriamente liquidato.

La seconda normativa, invero del tutto rivoluzionaria, è costituita dal decreto legge 28 maggio 2000 n. 70, che ora decaduto ha destato discussioni e avversità molto accese in quanto escludeva il principio della classica personalizzazione del danno biologico e stabiliva, invece, il principio della uniformità pecuniaria di base applicabile in tutti i casi, contrariamente a quanto sinora ribadito dalla

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Corte di Cassazione e dalla Corte Costituzionale, secondo la quale ogni singolo è peculiare rispetto all’effettiva incidenza della menomazione biologica sulla vita della vittima per stabilire il giusto valore all’aspetto dinamico del danno biologico.

Va sottolineato che anche recenti sentenze della giurisprudenza sostengono che la valutazione del danno biologico non può limitarsi all’elemento anatomo-funzionale statico, ma va esteso alle ripercussioni sull’integrità psicofisica e quindi sulle abitudini di vita, sulle attività familiari e sociali, che ne rappresentano l’elemento dinamico. La valutazione non può essere rigida, ma elastica e flessibile, per adeguare la liquidazione del caso di specie all’effettiva incidenza della menomazione sulle attività della vita quotidiana attraverso le quali, in concreto, si manifesta l’efficienza psicofisica del soggetto danneggiato.

A questo punto va segnalato che soprattutto il mondo culturale giuridico ha individuato, nell’art.

3 del decreto legge in questione, illegittimità con gli articoli 2, 3, 32 e 77 della nostra Costituzione, anche per quanto concerne un unico valore monetario per ciascun punto di invalidità permanente fra l’uno e il cinque percento e fra il sei e il nove percento, non considerando la differenza di incidenza della menomazione funzionale fra il minimo e il massimo di tali valori e non tenendo conto dell’età, del sesso, del tipo di lesione menomativi, del maggior malessere individuale fra dette percentuali.

Sotto il profilo medico-legale, al punto 2 dell’art. 3 si definisce danno biologico “la lesione dell’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale”, la risarcibilità

“indipendentemente dalla sua incidenza di produzione di reddito del danneggiato”.

La definizione ora ricordata appare quanto mai vaga, generica e non applicabile, mentre appare opportuna e idonea la definizione di invalidità permanente di ispirazione geriniana, cioè di esiti permanenti di lesioni dell’integrità psichica o fisica che riducono l’efficienza a svolgere qualsiasi attività lavorativa ed extra-lavorativa.

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