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REPUBBLICA ITALIANA. in nome del popolo italiano LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SESTA SEZIONE PENALE SENTENZA

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27936 - 22

REPUBBLICA ITALIANA in nome del popolo italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SESTA SEZIONE PENALE

Composta da

Massimo Ricciarelli -Presidente- Sent. Sez. 946/2022 Emilia Anna Giordano - Relatore - U.P. 6/6/2022

Ercole Aprile R.G.N. 11862/2022

Antonio Costantini Paola Di Nicola Travaglini

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Foti Paolo, nato a Agira il 12/8/1949

avverso la sentenza del 24/9/2021 della Corte di appello di Napoli

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Emilia Anna Giordano;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Raffaele Gargiulo che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Napoli ha confermato la condanna di Paolo Foti alla pena di mesi quattro e giorni quindici di reclusione per il reato di cui agli artt. 81, comma 2, e 328 cod. pen., per avere omesso lavori di messa in sicurezza della locale Piazza Castello nella quale si era rilevato, durante la esecuzione di lavori pubblici, la insistenza di rifiuti che creavano un rischio sanitario ambientale a causa della presenza di sostanze (cadmio, piombo e arsenico) e del connesso pericolo di dilavamento e inquinamento della falda acquifera. L'imputato, sindaco del Comune

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di Avellino dal 13 giugno 2013, è stato ritenuto responsabile dei reati omissione di atti di ufficio secondo una duplice articolazione e, in particolare, perché, per una prima fase, ometteva, in violazione degli obblighi derivanti di cui all'art. 242, comma 1,2,e 3, e 250 d.lgs. 152/2006, di adottare le misure necessarie di prevenzione e messa in sicurezza dell'area nonostante le risultanze delle analisi eseguite il 4 giugno 2012 — che individuavano la presenza di cadmio superiori alla norma nel terreno prelevato sulla area - e i rilievi del consulente del Comune, ing.

Vincenzo Belgiorno, che individuavano i lavori di necessari per evitare contaminazioni derivanti da lisciviazione e, in una seconda fase, perché, essendo destinatario della notifica del sequestro di urgenza del dicembre 2014 e del provvedimento del 6 gennaio 2015 del giudice per le indagini preliminari non provvedeva ai lavori di messa in sicurezza della piazza, lavori che venivano eseguiti solo a seguito della sua ordinanza emessa il 27 luglio 2015 e che venivano effettivamente eseguiti solo il 14 agosto 2015.

2. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att.

cod. proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, il ricorrente denuncia:

2.1. erronea applicazione della fattispecie penale in carenza degli elementi costituivi del reato e, in particolare, di un quid pluris necessario ai fini della configurabilità della condotta materiale e dell'elemento psicologico del reato.

Quanto al primo segmento della condotta, in relazione alla omessa adozione dei lavori in relazione alla fattispecie prevista dall'art. 240 del d.lgs. 152 del 2016, il ricorrente evidenzia che gli interventi previsti consistono in ogni tipologia di intervento immediato o a breve termine atto a contenere la diffusione delle sorgenti primari,' di contaminazione; la norma non impone al responsabile una specifica tipologia di intervento né un termine e l'autorità comunale era tenuta ad osservare procedure di non semplice entità che trascendono dalla possibilità di individuare una figura responsabile e che, nel caso in esame, erano state intraprese ben prima dell'insediamento, nel giugno 2013, del sindaco Foti. Sulla scorta dei rilievi era stato deliberato di procedere ai lavori di bonifica del sito e, per prevenire il rischio di lisciviazione, era stato dato incarico, agli uffici tecnici comunali, di predisporre gli interventi più opportuni trascurati, per inerzia, dai competenti uffici senza che il sindaco potesse avvedersi, rispetto a un cantiere in corso, della tipologia dei lavori e della loro corrispondenza a quelli di messa in sicurezza o bonifica preventivati;

2.2. contraddittorietà e illogicità della motivazione nella parte in cui ritiene configurabile il dolo e la carenza di buona fede dell'imputato. Rileva il difensore che sia il predecessore dell'imputato che i tecnici comunali erano stati imputati del

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medesimo reato e che in sostanza la sentenza (pag. 6) motiva in punto di colpevolezza del ricorrente sul rilievo che questi non potesse non sapere che gli interventi programmati non erano stati eseguiti. Con riguardo al primo segmento di condotta il sindaco aveva dato incarico al funzionario tecnico, ing. Manzo, che si era interfacciato con il consulente del Comune (il prof. Belgiorno), un comportamento attivo che non può essere sussunto nella fattispecie incriminatrice vieppiù in presenza delle dichiarazioni del comandante Arvonio secondo cui al sindaco non era stata resa nota la differenza degli interventi bonifica/messa in sicurezza. Anche con riferimento alla seconda fase non è ravvisabile alcuna colpevole inerzia del sindaco sia perché l'ordine del giudice era indirizzato anche al dirigente del settore ambiente, rafforzando così nell'imputato la convinzione che erano gli organi tecnici a dover agire, sia perché una volta accertata l'inerzia degli uffici preposti, il sindaco Foti era fattivamente intervenuto avanzando, fin dal 30 marzo 2015, la richiesta per procedere allo sfalcio delle erbe che occupavano il sito. La tempestività delle sue iniziative va ragguagliata anche alla proroga dei termini richiesti dalla società incaricata per eseguire i lavori, connesse problematiche per il cattivo tempo e che avevano rallentato la esecuzione dei lavori.

3.11 ricorso è stato trattato con procedura scritta, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. 137 del 28 ottobre 2020 convertito in legge n. 176 del 18 dicembre 2020 e i cui effetti sono stati prorogati fino al 31 dicembre 2022, per effetto dell'art. 16, comma 1, del d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla legge n. 15 del 25 febbraio 2022.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché proposto per motivi generici e manifestamente infondati.

2.La sentenza impugnata, che rinvia per relazione a quella di primo grado nella descrizione e analisi degli elementi di prova, ha ricostruito il fatto oggetto del procedimento evidenziando che la situazione dell'area di Piazza Castello era risalente nel tempo e che si trattava di una situazione "attenzionata" dall'ufficio di Procura fin dall'anno 2012 da quando, in occasione di lavori di sistemazione e scavo, era emersa la presenza di rifiuti interrati in strati non superficiali dell'area.

Fin dal luglio 2012, peraltro, la Procura aveva disposto la rimozione dei sigilli per consentire, dopo i necessari rilievi ed ispezioni, la esecuzione dei lavori di messa in sicurezza, ai sensi degli artt. 242, connmi 1, 2 e 250 del d.lgs. n. 152 del 2006

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E' stato accertato, con il riscontro dei dati documentali oltre che delle dichiarazioni acquisite in dibattimento, che i tecnici incaricati ( il consulente del Comune e il consulente tecnico nominato dalla Procura della Repubblica) già nel mese di luglio 2012, dopo una fase di indagini tecniche ed interlocuzioni, avevano depositato presso il Comune una prima relazione tecnica; che le indagini tecniche eseguite avevano attestato "il superamento del valore di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) limitatamente al parametro cadmio"e un rischio sanitario

ambientale non accettabile per i parametri di piombo e arsenico. A seguire, erano state avviate anche le procedure di caratterizzazione e di analisi del rischio (secondo le procedure specificate dall'art. 239 del d. Igs.vo n. 152) i cui risultati, contenuti in un report, erano stati comunicati al Comune nel giugno 2013.

Fondamentali nella ricostruzione dell'iter seguito, delle cadenze che avevano contrassegnato le attività tecnico-scientifiche del consulente del Comune di Avellino, risultano le dichiarazioni rese da questi, Vincenzo Belgiorno (cfr. sul punto pagg. 17 e ss. della sentenza di primo grado). Si è trattato, in effetti, di una procedura complessa seguita dal consulente che aveva svolto il ruolo di interfaccia sia con gli organi regionali (competenti all'approvazione del Piano di caratterizzazione, a monte dell'iniziativa rimessa al Comune) sia con gli uffici comunali nella fase che direttamente aveva interessato, quale proprietario del sito contaminato, il Comune di Avellino.

E, in relazione a questa fase, la ricostruzione dei giudici di merito è analitica nella disamina delle attività che si erano svolte prima dell'insediamento del Foti e di quelle conconnitanti e successive al giugno 2013, data della sua elezione. In particolare, il teste Belgiorno ha descritto la complessa procedura tecnica distinguendo le attività preliminari, approdate all'elaborato depositato nel luglio 2012 (un elaborato in sostanza interlocutorio che prospettava le indagini a farsi in presenza di un sito fortemente sospetto di essere contaminato e sulle cui risultanze non mette conto soffermarsi essendo pacificamente al di fuori della contestazione a carico del ricorrente) e i risultati analizzati e sviluppati nel report depositato nel giugno 2013, relazione questa che conteneva specificamente i dati di analisi del rischio e del piano di caratterizzazione e che imponevano - alla stregua delle precise regole di settore, redatte sulla base del rischio di contaminazione superiore ad un indice di rischio di insorgenza della malattia cancerogena - sia le operazioni di bonifica o messa in sicurezza del sito che un intervento per la impermeabilizzazione dell'area onde evitare contaminazioni delle falde acquifere.

Nella relazione (cfr. pag. 21 della sentenza di primo grado), accanto alla indicazione della necessità dell'intervento di "bonifica" del sito o, comunque, di un intervento, molto più economico, ma comunque adeguato, di "messa in sicurezza".

erano illustrate la necessità amministrativa e tecnica di intervenire per limitare il

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rischio di lisciviazione dei contaminanti essendo stati individuati sia i possibili percorsi delle acque che gli interventi tecnici per evitarli. Non si trattava, peraltro, di mere analisi o della individuazione di obiettivi finali perché nel report venivano individuati, rispetto ai percorsi delle acque, le concrete modalità operative degli interventi, quali la creazione di una barriera impermeabile superficiale e un drenaggio laterale, segnalando che si trattava di misure di intervento da mettere in atto immediatamente, in una situazione di pericolosità, per contenerne gli effetti. Si tratta di interventi di risultato ben diversi rispetto a quelli (intuibilmente più impegnativi) la cui realizzazione era rimessa al piano operativo che l'ufficio tecnico del Comune doveva predisporre e di interventi immediati, necessari e obbligati per evitare situazioni di pericolo per la salute pubblica connessi alla lisciviazione delle acque dal banco dei rifiuti e in presenza del risalente (ma perdurante) rischio connesso al superamento del valore di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) del parametro del cadmio, situazione dalla quale si era originato il procedimento di segnalazione della contaminazione ed il suo seguito.

Ma si tratta, all'evidenza, anche di interventi ben individuati che concretizzavano, per effetto della individuazione ad opera del consulente di parte, i generici e generali interventi indicati dall'art. 240 del d. Igs. n. 152 del 2016.

Sulla scorta di questi elementi la sentenza impugnata ha dunque ritenuto accertato che dal mese di giugno 2013 l'imputato, nella qualità, aveva conoscenza, sulla scorta del report redatto dal professor Belgiorno, della situazione di pericolo di contaminazione delle falde acquifere per effetto della lisciviazione prodotta dal banco dei rifiuti ed ha ritenuto sussistente l'elemento soggettivo del reato (integrato dal dolo). I giudici di appello, pur dando atto che era partita (anche) una fase di progettazione operativa dell'intervento, rimessa agli uffici tecnici comunali per l'approntamento del piano operativo, hanno ben evidenziato - confutando la tesi della buona fede dell'imputato e della sufficienza di quanto fatto - che non era stato posto in essere alcun intervento di messa in sicurezza e di contenimento del rischio connesso alla infiltrazione delle acque nel banco dei rifiuti, condotta questa integrante il rifiuto che costituisce l'elemento oggettivo della fattispecie incriminatrice e individuato sia nel segmento della condotta che va dal giugno 2013 al novembre 2014 che nella fase successiva quando ometteva di adempiere alle prescrizioni recate dal provvedimento notificatogli a gennaio 2015 a seguito del sequestro dell'area disposto dall'autorità giudiziaria competente quando, a seguito di un sopralluogo del Nipaf, si era rilevato che l'area era

"completamente abbandonata". E' destinata all'irrilevanza, pertanto, la giustificazione dell'imputato sulla sua impossibilità di verificare lo stato dei lavori che, di fatto, non erano mai stati iniziati.

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Rileva il Collegio che del tutto generiche, a fronte della concreta dinamica della condotta omissiva e della sua reiterazione nel tempo, risultano le difese dell'imputato allegate con riferimento agli eventi meteorici che avrebbero ritardato i lavori a seguito del nuovo sequestro dell'area.

Allo stesso rilievo, e a quello di aspecificità, si espongono le censure svolte nel ricorso in merito all'analisi dei dati di prova. Il ricorrente richiama la deposizione del teste Arvonio e le dichiarazioni del teste Manzo, incentrando la propria critica della sentenza di condanna sulla confusione alla quale si prestavano le indicazioni dei tecnici sulla necessità di eseguire lavori di bonifica o di messa in sicurezza della zona e sostenendo che non è provato il dolo dal momento che l'imputato, nella qualità, aveva affidato la procedura di progettazione operativa dell'intervento alla struttura tecnica del Comune.

Si tratta, come evincibileial confronto con le argomentazioni svolte finora, di censure che propongono una rilettura parziale delle risultanze processuali e che, soprattutto, non colgono nel segno perché non si confrontano con gli elementi posti a fondamento del giudizio di colpevolezza e derivanti dal contenuto tecnico del report del giugno 2013 che conteneva una precisa e dettagliata analisi del rischio e che individuava le necessarie iniziative che, sulla base di una scelta dell'ente, avrebbero dovuto essere realizzate con immediatezza per evitare il rischio di contaminazione delle falde acquifere. Vale la pena di ribadire che si trattava di un'attività, correlata ai lavori di impermeabilizzazione dell'area, per contenere il rischio di lisciviazione, precisamente indicata nel report depositato dal consulente dell'ente e che erano di competenza non solo degli uffici tecnici delegati ma anche del sindaco Foti che, in presenza di un conclamata situazione di rischio di contaminazione (anche questo attestato nel report di giugno 2013) imponevano interventi immediati che non sono stati intrapresi né dopo giugno 2013 né dopo luglio 2014 (cioè dopo il deposito del piano operativo) ed affatto coincidenti (o esauriti) con la progettazione, rimessa agli uffici tecnici, di redazione del peno operativo.

2.Manifestamente infondato, sulla scorta di questi elementi ricostruttivi, si rivela, alfine, il primo motivo di ricorso.

La sentenza impugnata ha incentrato il giudizio di colpevolezza del ricorrente per il reato onnissivo individuando, a presupposto della condotta omessa, una ragione di urgenza sostanziale connessa al pericolo di lisciviazione cagionato dal banco dei rifiuti per effetto della infiltrazione delle acque e per il concreto pericolo di contaminazione delle falde acquifere, correlato alla tipologia di rifiuti, ed ha fatto, sulla base delle descritte risultanze processuali, corretta applicazione dei principi di questa corte, enucleando gli elementi che rinviavano alla conoscenza,

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Il Consigér relatore Emilia Mna4iordano

da parte dell'imputato, della situazione di fatto e, quindi, al dolo (affatto ricostruito sul non poteva non sapere) nonché delle coordinate normative di settore che regolano la materia e che imponevano all'ente proprietario dell'area di intraprendere le necessarie iniziative per contenere il pericolo.

Si tratta di argonnentazioni che non prestano il fianco a censure di illogicità, men che mai manifesta, e che sono anche giuridicamente corrette ove si consideri che il reato di cui all'art. 328 cod. pen. è compiutamente integrato sia dall'indebito diniego o dall'inerzia di un comportamento doveroso in presenza di una richiesta o di un espresso ordine sia, pur in assenza di specifiche sollecitazioni, quando sussista un'urgenza sostanziale, innpositiva del compimento dell'atto che "per ragioni di giustizia, o di sicurezza pubblica o di ordine pubblico o di igiene e sanità"

debba essere compiuto senza ritardo (cfr. Sez. 6, n. 47531 del 20/11/2012, Cannbria, Rv. 254040). La oggettiva impellenza di un determinato intervento ben può essere costituita dalla evidente sopravvenienza di presupposti oggettivi che richiedono l'intervento o l'adozione dell'atto che presentino carattere di indifferibilità dell'intervento doveroso del pubblico ufficiale, in presenza della consapevolezza della necessità indifferibile dell'intervento, la cui omissione vale ad integrare implicitamente la situazione di rifiuto che non è correlato ad una previa richiesta ma da intendersi quale atteggiamento di negazione, svincolato da qualsivoglia esplicita e diretta situazione esterna. Se ricorrono le descritte condizioni, oggettive e soggettive, non ci si trova in presenza di una mera inerzia o di un non facere, inidonei a qualificare negativamente la volontà del soggetto, bensì al cospetto di una situazione che consente di qualificare tale volontà come rifiuto implicito, penalmente sanzionabile.

4.Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, in ragione della natura delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 6 giugno 2022

ATO IN CANCELUR

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presidente assimo Ricciarelli

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