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primo libro del Capitale, quello riguardante la Tendenza storica dell accumulazione capitalistica. Tu lo conosci bene, e conosci bene quelle poche

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Ottobre 2014.

Caro Cesare,

riprendo a scriverti dopo molti mesi, una sospensione dovuta ai problemi riguardanti le mie spalle da un lato, mentre dall’altro lato dovevo affrontare i malanni di mia moglie, alla sua schiena e ad un intervento alle vene di una gamba che le ha procurato diversi dolorosi problemi. Le mie spalle non sono al meglio, ne lo saranno mai più, data l’età. Riesco comunque a leggere, ovviamente, ed a scrivere. Cosa che mi permette di continuare la limatura del mio scritto sulle prospettive passate e future del socialismo, oltre che ad impegnarmi in questa lettera. Le ultime telefonate ci hanno impegnato in un dibattito, a prima vista certamente astratto, sul come potrebbe essere organizzato il futuro socialismo, se mai si giungerà a tale obiettivo, cosa niente affatto scontata. La tua domanda sull’organizzazione e la funzionalità della struttura economica e sociale del socialismo, che secondo Marx era il primo passo all’interno di una società comunista, non è campata in aria, anche se a me pare immersa, almeno in parte, in una buona dose di confusione, alla quale abbiamo contribuito entrambi. Per un verso chiedi come funzionerebbe il meccanismo produttivo, e quindi distributivo, in un ambiente nel quale non sarebbe presente la proprietà privata dei mezzi di produzione, e quindi di distribuzione; del valore dei prodotti, quindi delle merci; dello scambio tra valori, e quindi del mercato; del denaro in quanto misura dei valori, mezzo di scambio e di circolazione, espressione primaria del capitale; del valore della forza lavoro e quindi del salario.

Domanda di una certa complessità, e di non facile esplicazione. La dottrina marxista non ha espresso, sino ad oggi, un testo specifico nel quale fossero affrontate tali problematiche e alle quali si cercasse di dare risposte chiare ed esaustive. Questo è vero, ma solo a fronte di uno sguardo superficiale della dottrina. Pur non avendo a disposizione dei testi specifici non siamo affatto del tutto analfabeti di fronte a quelle problematiche. I contenuti fondamentali e sostanziali del socialismo li conosciamo bene, e li conoscevano pure i militanti molti decenni fa. Quei contenuti sono distribuiti in molti testi marxisti, in decine di pagine, e facevano parte della propaganda politica comunista. A questo proposito ti voglio rimandare ad uno dei capitoli più famosi, giustamente famosi, del

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quelle poche righe che sono la summa del programma storico del comunismo, le quali sostengono che con la rivoluzione comunista “ Suona l’ultima ora della proprietà privata capitalistica. Gli espropriatori divengono espropriati.” In che modo? Mediante la cooperazione e “ il possesso collettivo del suolo e dei mezzi di produzione prodotti dal lavoro stesso.” Questo è il socialismo, o meglio, una parte di esso, il resto, come la soppressione del mercato e del denaro, sono fenomeni strettamente connessi con l’espropriazione. Sono però convinto che non siano questi i punti nevralgici della tua critica. Ti chiedi, se ho ben capito, come mai i maestri non abbiano indicato le precise misure di politica economica che il futuro governo rivoluzionario dovrebbe imporre praticamente al fine di far funzionare il meccanismo della produzione sociale una volta che questi fosse stato liberato dalla proprietà, dalle merci, ovvero dal mercato, dal denaro, dal salario e via dicendo. Ma questo è compito del movimento reale!! Non è una questione teorica, è una questione pratica.

Sarebbe stato compito del movimento sociale e politico del proletariato, mettere in pratica quegli indirizzi generali, secondo modalità circostanziali. Ma ciò non è successo e noi, oggi, possiamo fare riferimento a quelle poche occasioni nelle quali il movimento rivoluzionario è riuscito temporaneamente ad impadronirsi del potere.

Abbiamo gli indirizzi generali, non la descrizione dei processi esecutivi. Mi chiedo se i maestri avrebbero potuto descriverli. Ho molti dubbi a proposito. A meno che non crediamo che essi possano essere descritti a seguito di uno studio a tavolino. Perché un conto è la definizione degli indirizzi generali, la descrizione degli orientamenti politici che devono guidare l’attività di un governo rivoluzionario, un conto ben diverso è la descrizione del funzionamento pratico della struttura produttiva in mancanza dei presupposti che definiscono la produzione di tipo capitalistico. In tal caso l’esperienza pratica ha una importanza fondamentale, e non può essere superata da programmi studiati a tavolino. Prendiamo il caso della espropriazione degli espropriatori. La domanda che ritengo essenziale non è quella sulla pensabilità di una società nella quale è assente la proprietà degli strumenti di produzione, o per meglio dire la proprietà sulle condizioni generali della produzione, ma

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piuttosto quali potranno essere le modalità e gli strumenti atti ad espropriare i capitalisti, i grandi capitalisti, perché l’espropriazione di quella moltitudine di piccoli proprietari sarà un percorso ancora più difficile e tortuoso, e lungo nel tempo. E’ questo il vero nodo gordiano che il governo rivoluzionario dovrà districare. Perché è certamente pensabile una società nella quale vige la proprietà collettiva, o comune che dir si voglia, una volta che riteniamo veritiere le conclusioni alle quali è giunta l’analisi della storia sociale mediante lo strumento del materialismo, per l’appunto storico. In quanto alle misure funzionali capaci di sostenere una struttura economica nella quale sono state cancellate, in parte gradualmente, le basi che reggevano l’economia del capitale: il mercato, il denaro, la proprietà privata e via dicendo, i caratteri peculiari di quelle misure debbono fare riferimento da un lato agli orientamenti politici derivati dalla dottrina, dall’altro lato alla iniziativa del governo rivoluzionario, quando esso vedrà la luce. Le poche, pochissime, esperienze pratiche che la storia ci ha offerto, in primo luogo la Comune di Parigi e la rivoluzione russa, non consentono di formare uno schema sufficientemente chiaro di quelle misure di politica economica che debbono essere praticate al fine di mettere in moto una economia comunistica, pur nel suo primo gradino. Potevano i nostri maestri farlo?

Ho molti dubbi a proposito! Essi ci hanno lasciato degli indirizzi generali, a volte generici, e su quelli il movimento rivoluzionario dovrà basare la sua opera. Prendiamo per esempio le misure che Marx ed Engels elencano in un capitolo del manifesto. Per affrontare il compito di espropriare gli espropriatori, un governo rivoluzionario dovrebbe impegnarsi, in un primo momento e per i paesi più progrediti: ad espropriare la proprietà fondiaria; accentrare il credito nelle mani dello stato come monopolio esclusivo ( siamo nel primo momento dell’entrata in una società comunista, e dovremo fare i conti con le varie eredità lasciate dal capitalismo); aumentare le fabbriche nazionali, qui entra in campo l’espropriazione, in un primo momento, del grande capitale;

obbligare al lavoro ogni componente della società; unificare il lavoro dell’industria e dell’agricoltura, e qui inizia l’operazione del superamento della divisione del lavoro. Sono misure che oggi possono apparire moderate, ma che comunque indicano le direttrici sulle quali poggiare l’instaurazione del socialismo e costringono lo stato, quel certo stato, a

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interventi dispotici da parte del governo? Con quali forze, con quali uomini? Qualcuno sarà in grado di operare in tale senso? E’ questa la domanda cruciale, alla quale oggi non possiamo rispondere. Ma tu vai oltre e ti immergi in un discorso che apparentemente è sostenibile ma che nella sostanza è astratto. Quando ti chiedi se è pensabile una società senza denaro, cadi nell’astrattezza. Ti astrai, cioè ti distacchi, da quelle che sono le conclusioni alle quali Marx ed Engels sono giunti a seguito dell’analisi della storia economica dei paesi nei quali il capitalismo ha visto la luce. Analisi che possiamo anche considerare incomplete, parziali, ma che sono state sufficienti a formare quel quadro prospettico di una società nella quale saranno cancellate le basi sulle quali si fonda il capitalismo. E’ un programma politico di grande portata storica il quale potrà vedersi realizzato solo a determinate condizioni. Ma non è questo che ti preoccupa, ti preoccupa il fatto che i maestri non hanno elencato, in modo chiaro e completo, il meccanismo di funzionamento, per fare un esempio, di una società senza denaro. Perché questo è uno dei punti cruciali che debbono fare distinguere la società borghese dalla società socialista, il cui passaggio dall’una all’altra non potrà che essere graduale, e ciò complica la visione teorica della questione, ma complicherà ancora di più il processo reale. Perché dove c’è denaro c’è la borghesia, con tutto ciò che ne consegue. Solo quando il denaro scomparirà si potrà affermare di essere entrati nel socialismo. La scomparsa del denaro non è l’espressione di un disegno ideologico studiato a tavolino, come non è l’espressione di una pura e semplice volontà politica conseguente alla formazione di uno schema di società futura proposta da uomini di buona volontà. La necessaria scomparsa del denaro è la conclusione logica dell’analisi scientifica che ha messo in luce quel processo di storia sociale, che è pure un processo di storia naturale, attraverso il quale gli uomini, passo dopo passo, hanno posto in essere, non in modo cosciente ma ineluttabilmente, una serie di meccanismi economici, ovvero di relazioni di lavoro e di scambio, che hanno portato alla costituzione di questo strumento di scambio e di circolazione che è il denaro, costretti dal fatto che i prodotti del loro lavoro non erano, e non sono, semplicemente prodotti, oggetti di consumo, ma merci. Se è vero, come crediamo sia

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vero, che il denaro è stata la necessaria conseguenza dell’esistenza di determinati presupposti socio-economici, è altrettanto vero che una volta scomparsi tali presupposti scomparirà anche il denaro. Se ciò non dovesse accadere vorrebbe dire che gli uomini non sono riusciti, cosa possibile, ad incamminarsi verso il socialismo. Come funzionerà una società senza denaro? Questo non è una questione teorica, che potremmo definire teoricamente. E’ una questione pratica! Gli indirizzi teorici generali gli abbiamo già, e rispondono sostanzialmente alla questione della espropriazione; se gli uomini, a tempo debito, saranno in grado di espropriare gli attuali proprietari delle strutture produttive, il resto, in senso lato, verrà da sé. Credo che nessuno oggi, e tanto meno ieri, possa descrivere nei particolari il funzionamento della macchina produttiva senza denaro, ma non è questo il problema di fondo. Il problema di fondo è la possibilità, o meno, che in determinate circostanze storiche il proletariato, organizzato in classe, ovvero in partito, sia in grado di formare al proprio interno quella volontà e quella coscienza, e quindi quella forza materiale, capace di intervenire d’autorità per espropriare gli attuali proprietari, obbligare al lavoro, sopprimere il mercato, distribuire direttamente i prodotti del lavoro, e via dicendo. L’intero meccanismo socialista sarà sostenibile solo nel caso tutti i presupposti del capitalismo saranno, con le buone e con le cattive, cancellati. Il movimento reale, nel caso riuscisse ad essere coerente con gli indirizzi proposti dal programma comunista, dovrà essere lo strumento che dimostrerà la realizzabilità, o meno, e non tanto la pensabilità, del meccanismo socialista, del quale conosciamo le basi fondanti. Senza la proprietà privata delle condizioni della produzione, senza la divisione sociale del lavoro di tipo borghese, conseguente a quella proprietà, senza la trasformazione dei prodotti del lavoro in merci, senza il commercio, che è lo scambio tra valori, il denaro si estinguerà. Cosa ci sarà al suo posto? In un primo momento gli uomini saranno in grado, dovranno essere in grado, perché saranno gli uomini che hanno raggiunto il potere, di mettere in pratica, volta per volta, degli strumenti atti temporaneamente alla distribuzione dei prodotti. Poi vi sarà il nulla! Pensare che i posteri saranno comunque costretti a introdurre un qualunque mezzo di scambio, a me pare un pregiudizio borghese. In un primo momento i prodotti del lavoro saranno distribuiti in base al numero dei produttori, dei cittadini, e delle forze produttive a

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per ora, perché sarebbe opportuno continuarlo. Un discorso, quello a proposito delle domande che tu hai proposto, che corre notevolmente il rischio di cadere nell’astrazione, nell’utopia, o comunque in quella pericolosa discesa che ci può portare dall’esprimersi in quanto militanti, con tutti gli immensi limiti che dobbiamo riconoscere, a quello di accademici del socialismo.

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