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Poi, andato un po' innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell'ora.

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Academic year: 2022

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Vangelo del 28 marzo 2021

Domenica delle Palme - anno B - Mc 14,1-15,47

Trascrizione del video-commento del biblista p. Fernando Armellini non rivista dall’autore

Oggi c'è un accordo quasi unanime fra i biblisti nell'affermare che alla base dei racconti della passione di tutti e quattro gli evangelisti ci sia un racconto più antico, originario, scritto pochi anni dopo i fatti.

È un racconto che è stato ripreso quasi alla lettera dal più antico degli evangelisti che è Marco.

Perché facciamo questa affermazione? Quando noi lo leggiamo noi sentiamo citare spesso il sommo sacerdote, ma non ci dice il nome, gli altri evangelisti che hanno ripreso questo testo originario che l'hanno seguito come schema dei fatti quando citano il sommo sacerdote

aggiungono sempre Caifa. Nel racconto originario, scritto poco dopo i fatti, non viene citato Caifa perché era ancora in funzione, e siccome Caifa decade nel 36, questo testo originario della passione deve essere stato scritto proprio in quei sei anni.

Era un racconto molto amato dai cristiani della prima generazione e veniva letto spesso nelle assemblee e ci chiediamo per quale ragione. Perché si voleva che i cristiani fossero posti ogni volta di fronte alla contemplazione del vero volto di Dio, il volto del Dio che è amore e solo amore che si era rivelato su calvario, nel volto di Gesù che dona la vita.

L'uomo ha sempre desiderato vedere il volto di Dio. Ricordiamo Mosè che chiede al Signore:

Mostrami il tuo volto. Oppure il salmista: Non nascondermi il tuo volto, Signore, il tuo volto io cerco.

Bene, è proprio leggendo questa pagina che la comunità cristiana contemplava questo volto di Dio amore,

Questo racconto primitivo è stato poi ripreso dai quattro evangelista che hanno inserito i dettagli, le sottolineature che gli servivano per mettere in risalto i temi di catechesi che ritenevano

significativi e urgenti per le loro comunità.

Oggi noi ci accosteremo al racconto che troviamo in Marco, quello che ci conserva praticamente alla lettera quel racconto primitivo, tanto amato dalla prima comunità. E quindi direi che è con un atteggiamento carico di commozione che ci accostiamo a questa pagina di Marco. E possiamo addirittura di ascoltarla in piedi, fra i cristiani della prima comunità di Gerusalemme...

Ci soffermeremo solo su alcuni dettagli che sono presenti solo nel racconto di Marco e iniziamo richiamando l'attenzione su una prima caratteristica.

Marco, a differenza degli altri evangelisti, mette in risalto le reazioni molto umane di Gesù di fronte alla morte che lo aspetta. Lo presenta spaventato, terrorizzato, ascoltiamo:

32Gesù e i discepoli giunsero a un podere chiamato Getsèmani ed egli disse ai suoi discepoli:

"Sedetevi qui, mentre io prego".

33Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia.

34Diceva loro: " La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate".

35Poi, andato un po' innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell'ora.

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Solo Marco nota che Gesù, nel giardino degli Ulivi, resosi conto che lo stavano cercando per metterlo a morte, dice “cominciò a sentire grande spavento e angoscia” (Mc 14,33).

Gli altri evangelisti evitano di presentarci un Gesù timoroso, quasi scosso da una paura che non riesce a controllare

La storia ricorda tanti eroi che hanno affrontato la morte con serenità e spregio della sofferenza.

Pensiamo a Socrate che, dopo aver dissertato serenamente sull'immortalità dell'anima con i discepoli, prende la coppa della cicuta e beve tranquillo il veleno, e poi raccomanda al suo

discepolo Critone di offrire un gallo ad Esculapio il dio della salute perché per Socrate la morte era una guarigione dalla condizione fragile in cui l'uomo vive…

Non è fra questi personaggi che va collocato Gesù. Gesù ha pianto, ha avuto paura della morte perché amava questa vita, questa realtà terrena. Là nel Getsemani ha cercato qualcuno che lo capisse, che gli stesse vicino nel momento della scelta più drammatica della sua vita. E avrebbe anche potuto fuggire…E’ spaventato di fronte alla morte.

Ed è consolante per noi che i fatti si siano svolti come ce li racconta Marco. Vontemplando questo Gesù uomo, non superuomo, nostro compagno di sofferenza, noi lo sentiamo vicino, uno di noi.

Quando la vita ci pone di fronte a una prova molto dura e anche alla morte, ci spaventiamo e, se quel momento difficile non è vissuto alla luce di Dio, possiamo perdere la testa e fare scelte insensate. Gesù ci insegna come affrontare queste situazioni: pregando…

36Nel Getsèmani Gesù pregava così: "Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu".

Solo Marco, riferendo la preghiera di Gesù al Padre, riporta l’appellativo aramaico che egli ha impiegato: Abbà, Padre! (Mc 14,36). Dicevano i rabbini: “Quando un bambino inizia ad assaporare il frumento (cioè, quando veniva svezzato), imparava a dire “abbà” (papà) e “immà” (mamma)”.

Si sente l'espressione del bambino che comincia a pronunciare le sue prime parole non riesce a dire papà dice ba o ma per papà e mamma.

Gli adulti evitavano di impiegare questa espressione infantile Abba, che però riprendevano quando il loro genitore era già anziano, cadente; ricominciavano a chiamarlo Abba facendo dando

l'impressione al papà che loro erano ancora bambini, quindi anche lui doveva sentirsi ancora giovane.

Abbà termine infantile perché esprime la confidenza, la tenerezza di Gesù nei confronti del Padre e quella stessa parola Gesù la porrà sulla nostra bocca nella preghiera, perché quando ci

rivolgiamo a Dio noi dobbiamo coltivare questa confidenza e questa tenerezza. Noi come gli adulti del tempo di Gesù, facciamo fatica a impiegare questo termine che andrebbe tradotto in italiano con papi l'espressione che adoperano i bambini con il loro papà; poi non adoperano più quando sono cresciuti.

Gesù vuole che noi coltiviamo questo rapporto che lui ha avuto con il padre. E’ l'invito a non dubitare mai, anche nelle situazioni apparentemente più assurde, che Dio ci sia vicino e ci ami e ci aiuta questa preghiera a ricordare sempre che lui è Abba e che ha in mano le sorti della nostra vita e quindi siamo in buone mani.

Questo lo possiamo capire solo pregando in tutti i momenti difficili della nostra vita.

Gesù si è rivolto al padre e lo ha chiamato Abbà, quando poteva dubitare che lui fosse un padre che lo accompagnava no ha manifestato tutta la sua fiducia e confidenza nel padre.

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C’è un’altra caratteristica del racconto di Marco ed è che nel suo racconto non viene riferita alcuna reazione di Gesù a due gesti che vengono compiuti durante il suo arresto nel Getsèmani: non dice una parola quando Giuda lo bacia e poi non reagisce quando uno dei presenti mette mano alla spada…

43Gesù stava ancora parlando, quando arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. 44Colui che lo consegnava aveva dato loro un segno convenuto, dicendo: "Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e

conducetelo via sotto buona scorta". 45Appena giunto, gli si avvicinò e disse: "Rabbì" e lo baciò.

46Quelli gli misero le mani addosso e lo arrestarono.

47Uno dei presenti estrasse la spada, percosse il servo del sommo sacerdote e gli staccò

l'orecchio. 48Allora Gesù disse loro: "Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. 49Ogni giorno ero in mezzo a voi nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Si compiano dunque le Scritture!".

Tutti gli altri evangelisti riferiscono qualche parola che Gesù ha rivolto a Giuda, Luca per esempio dice “Giuda, con un bacio consegni il figlio dell’uomo?” (Lc 22,48) e Matteo, quando Pietro mette mano alla spada, riferisce le parole di Gesù: “Rimetti la tua spada nel fodero!” (Mt 26,52).

Marco ci presenta Gesù che non si ribella agli avvenimenti che non può impedire, accetta quasi passivamente quanto gli sta accadendo e, alla fine, conclude semplicemente dicendo: “Si compiano dunque le Scritture!” (Mc 14,49).

Cosa ci vuol far comprendere l'evangelista Marco con questo silenzio di Gesù? Vuole far

contemplare ai cristiani delle sue comunità un Gesù mite e disarmato, che si consegna nelle mani dei nemici, senza reagire. Ci sono dei momenti nella nostra vita in cui non possiamo far altro che accettare gli eventi. Che ha accolto la proposta di uomo nuovo fatta da Gesù deve mettere in conto che vive accanto a chi appartiene ancora al regno delle belve, a chi non si è lasciato coinvolgere come Giuda, per esempio, nel mondo nuovo nell'umanità nuova. Il cristiano deve saperlo che dovrà confrontarsi anche con falsità, ipocrisie, ingiustizie, violenze che sono comportamenti di chi appartiene ancora al mondo antico.

Come reagire in queste situazioni?

Marco pone davanti al discepolo la figura di Gesù. È come lui che ci si deve comportare.

E poi in Marco, Gesù non degna di una parola di riprovazione il gesto insensato di Pietro: il fatto che mette mano alla spada. Quel gesto è così lontano dai princìpi evangelici che non merita neppure di essere preso in considerazione.

Pietro era ancora coinvolto nei criteri e nelle soluzioni dei problemi proposti dal mondo…infatti Gesù glielo aveva detto “Ragioni secondo gli uomini, non secondo Dio”.

Il discepolo che, come Pietro, ritiene di poter dare inizio a un mondo nuovo impiegando i metodi del mondo vecchio (che sono la violenza, l’uso della forza) non solo non crea un mondo nuovo, ma peggiora quello vecchio. Chi usa la violenza si allontana sempre più dal Maestro e si immerge nel buio della notte, come ha fatto Pietro.

Tutti gli evangelisti raccontano che i discepoli, non appena si sono resi conto che Gesù non reagiva, non lottava, non invitava a combattere, si sono dati alla fuga. Ma soltanto Marco ricorda un particolare curioso:

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50Dopo che Gesù fu arrestato, tutti lo abbandonarono e fuggirono.

51Lo accompagnava però un giovinetto, avvolto in una sindone, e lo afferrarono.

52Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo.

Il dettaglio è davvero marginale e ci si chiede per quale ragione l'evangelista lo abbia inserito.

L'interpretazione comune lo considera un particolare autobiografico e la tradizione, infatti, ha identificato in quel ragazzo lo stesso Marco.

Però noi ci chiediamo se non abbia un significato simbolico questa scena apparentemente un po’

comica e credo che il messaggio lo possiamo cogliere se facciamo attenzione ad alcuni termini che Marco sceglie con cura.

il primo è neanìskos, giovane, è un diciottenne, è noi troviamo che nel vangelo di Marco questo termine che ricorre soltanto qui e poi un altro giovane che compare al sepolcro, nel giorno di Pasqua rivestito di una veste bianca che dice alle donne “Voi cercate Gesù crocifisso: non è qui”

Bene, questo giovane nel Getsemani è avvolto non in una veste bianca, ma il termine greco che Marco impiega è sindona, in una sindone ed è avvolto in una sindone nudo. Beh, nudi. si veniva posti nella sindone, per essere poi collocati nel sepolcro. Che cosa ci vuole suggerire Marco?

Le guardie riescono a catturare quel giovane come hanno catturato Gesù, ma che cosa lascia questo giovane nelle mani delle guardie? la sindone! Lui fuggì via nudo… quel giovane - ci

suggerisce Marco - è l'immagine di ciò che sta accadendo a Gesù. Hanno catturato Gesù, ma cosa lascerà lui nelle mani di queste guardia a servizio dei poteri di questo mondo? Sarà la sindone, non la sua persona. In Gesù era presente la vita dell'eterno in pienezza e questa vita dell'eterno sfugge ai poteri di questo mondo. E’ esattamente ciò che accade anche noi, perché anche noi abbiamo ricevuto in dono questa vita dell'eterno e allora quando la nostra vita biologica va crescendo, si avvicina sempre più la sua conclusione ogni giorno che passa, bene quando arriviamo alla conclusione della nostra vita, che cosa può trattenere il mondo?

Le nostre spoglie, la sindone, non la nostra persona.

Ecco, contemplando questa scena di questo giovane, noi vediamo ciò che è accaduto a Gesù, come il giovinetto Gesù ha lasciato la sua sindone per entrare nella vita che è sempre giovane.

Quello che è accaduto a Gesù è l'immagine di ciò che accade ad ogni suo discepolo, l'ingresso dopo aver lasciato le nostre spoglie, in una vita eternamente giovane.

Altra caratteristica del racconto della passione secondo Marco è il silenzio di Gesù.

Nel racconto della passione secondo Marco, Gesù sta sempre in silenzio. Alle autorità religiose che gli chiedono se egli sia il messia e a Pilato che vuole sapere se è re, risponde semplicemente: “Sì, lo sono” (Mc 14,62; 15,2). Poi basta.

60Il sommo sacerdote, alzatosi in mezzo all'assemblea, interrogò Gesù dicendo: "Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?". 61Ma egli taceva e non rispondeva nulla.

Di fronte a Pilato, i capi dei sacerdoti accusavano Gesù di molte cose.

4Pilato lo interrogò di nuovo dicendo: "Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!".

5Ma Gesù non rispose più nulla, tanto che Pilato rimase stupito.

Durante il processo, dalla bocca di Gesù non esce una sola parola. Di fronte agli insulti, alle provocazioni, alle menzogne, ai testimoni falsi, Gesù tace, non replica nulla (Mc 14,61; 15,4-5).

Sa che chi lo vuole condannare è cosciente della sua innocenza.

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È consapevole che i suoi nemici hanno già decretato la sua morte e che non vale la pena abbassarsi al loro livello; accettare una discussione non servirebbe a nulla, per cui tace.

C’è un silenzio che è segno di debolezza e di mancanza di coraggio: quello di chi non interviene per denunciare ingiustizie perché è un codardo, uno che cerca il proprio interesse più della verità, uno che non vuole inimicarsi le persone che contano, dalle quali ricevere favori questo è un silenzio brutto.

C’è invece un silenzio che è segno di forza d’animo: quello di chi non reagisce alle provocazioni, il silenzio di chi non si scompone di fronte all’arroganza, all’insulto, alla calunnia.

È il silenzio nobile di chi è convinto della propria lealtà e rettitudine ed è certo che la causa giusta per cui si sta battendo finirà per trionfare.

Il cristiano non è un pavido che si rassegna, che non lotta contro il male; è uno che ama la verità e la giustizia più della sua stessa vita.

Ma ha anche la forza di tacere, e non ricorre mai ai mezzi impiegati da chi lo osteggia: la calunnia, la slealtà, la violenza. Sa che il trionfo della menzogna alla fine si rivela certamente effimero.

Tutti gli evangelisti rilevano che, dopo un’iniziale accoglienza entusiasta, le folle si sono staccate gradualmente da Gesù che alla fine rimane solo con i dodici. E questi, a loro volta, nel momento della scelta decisiva, sono scappati. Ma nessuno come Marco mette in risalto la solitudine di Gesù durante la passione.

29Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: "Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, 30salva te stesso scendendo dalla croce!". 31Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: "Ha salvato altri e non può salvare se stesso! 32Il Cristo, il re d'Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!".

E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.

33Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. 34Alle tre, Gesù gridò a gran voce: " Eloì, Eloì, lemà sabactàni? ", che significa: " Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? ".

Leggendo racconto della passione degli altri evangelisti, noi troviamo sempre accanto Gesù qualcuno. Per esempio l'evangelista Giovanni ricorda il discepolo amato, ricorda Pietro che segue Gesù, almeno fino a un certo punto. Matteo ricorda la moglie di Pilato che dice, manda a dire suo marito: “lascia perdere quest'uomo perché sono stata turbata stanotte in sogno”. Luca ricorda che nel cammino verso il calvario c'è una grande folla, ci sono le donne che seguono Gesù e poi sul calvario Luca ricorda il buon ladrone. In Marco accanto Gesù durante la passione non c'è nessuno.

Gesù è rifiutato dalla folla che gli preferisce Barabba, è sbeffeggiato e percosso e umiliato dai soldati, insultato dai passanti e dai capi del popolo che sono presenti sul calvario.

Accanto a lui non c'è nessuno. Solo alla fine Marco nota che c'erano alcune donne che osservavano da lontano. Completamente solo.

Gesù ha provato l'angoscia di chi è certo di essersi impegnato per una causa giusta, ma si sente uno sconfitto e c'è il suo grido, Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato, un grido che sembra scandaloso ma che esprime il suo dramma interiore.

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Nel momento della morte Gesù ha fatto l'esperienza dell'impotenza, del fallimento nella lotta contro l'ingiustizia, contro la menzogna, si sente sconfitto.

Chi si impegna a vivere in modo coerente la vita dell'uomo nuovo, colui che vuole costruire, come ha fatto Gesù, il mondo nuovo deve mettere in conto che nel momento cruciale può essere abbandonato degli amici, rifiutato anche dalla stessa famiglia, sentirsi anche abbandonato da Dio, che non compie nessun prodigio in suo favore.

In questi momenti si potrà anche lanciare il grido che ha lanciato Gesù, ma lanciarlo insieme con Gesù.

Nel momento dominante di tutto il racconto della passione di Gesù secondo Marco c'è la

professione di fede, non di uno dei discepoli, ma del centurione ai piedi della croce. E’ momento più importante del Vangelo secondo Marco.

Uno dei soldati corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere , dicendo: "Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere". 37Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.

38Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. 39Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: "Davvero quest'uomo era Figlio di Dio!".

Fin dall’inizio del vangelo di Marco, le folle e i discepoli si interrogano su Gesù, si chiedono chi egli sia (Mc 1,27; 4,41; 6,2-3.14-15).

Nessuno però riesce a cogliere la sua vera identità. Quando qualcuno lo proclama messia, egli, subito, interviene per imporre il silenzio (Mc 1,44; 3,12): la sua identità non deve essere rivelata, il segreto va mantenuto fino alla fine, perché solo dopo la sua morte e risurrezione è possibile comprendere chi egli è realmente.

fin dall'inizio del Vangelo di Marco, le folle si chiedono ma chi è costui che scaccia i demoni, che compie prodigi e anche i discepoli si chiedono chi è costui a cui le onde del mare obbediscono.

Ma nessuno riesce a cogliere la sua vera identità e quando qualcuno lo proclama figlio di Dio, ricordiamo per esempio già fin dall'inizio nella sinagoga di Caffaro l’indemoniato che grida io so che tu sei il santo di Dio immediatamente Gesù dice taci e questo silenzio viene sempre imposto da Gesù. Nessuno deve rivelare la sua identità.

Per quale ragione? perché di fronte ai prodigi che lui compie, la sua identità potrebbe essere equivocata, cioè essere considerato un Messia secondo le attese degli uomini, un Messia glorioso vincitore, dominatore, che compie miracoli, prodigi…No, Gesù era venuto per rivelare il vero volto di Dio e questo volto di Dio si sarebbe rivelato in pienezza in un momento molto preciso della sua vita: sarà sul Calvario. Bene, cosa accade là sul Calvario? Che i discepoli sono scappati, tutti le folle pelosa andavano non ci sono più, sono scomparse.

Con lui c'è un centurione che guida questi soldati che hanno crocifisso Gesù. Dice il testo vedendo come lui è morto esclama “davvero costui era figlio di Dio”. Quando questa espressione veniva detta da qualcuno durante la vita pubblica, Gesù immediatamente imponeva il silenzio. Qui Gesù non può più imporre il silenzio perché è già morto

Da qui in avanti si può proclamare la sua identità di figlio di Dio, perché adesso non c'è più possibilità di equivoco: è figlio di Dio, cioè rivela il volto del Padre del cielo, perché l'espressione, figlio di significa somigliante a più che generato da.

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