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CAPITOLO II

La termografia e le sue applicazioni in ambito medico.

2.1 Principi base della termografia.

C

on il termine generico di termografia si intendono tutti i metodi finalizzati alla rappresentazione della distribuzione di temperatura in un corpo. L’analisi termografica tende ad evidenziare fenomeni di varia natura dal punto di vista dello studio della trasmissione del calore. Come sappiamo, le modalità di trasmissione del calore sono essenzialmente tre: conduzione, convezione ed irraggiamento. La prima avviene nel caso di corpi messi direttamente a contatto, la seconda è quella tipica dei fluidi in movimento, la terza avviene indipendentemente dalla presenza di un mezzo e non è altro che una forma di trasmissione delle onde elettromagnetiche. Dal punto di vista termografico, in teoria si dovrebbe tener conto di tutti i possibili modi di trasmissione del calore comunque presenti in qualsiasi evento da analizzare; in realtà è possibile definire due modalità di misurazione della temperatura di un corpo: la misurazione “di contatto” e la misurazione “a distanza”[1]. Nel primo caso, il calore è prevalentemente trasmesso per conduzione dal corpo in esame al dispositivo di misura; nel secondo caso, si ha in prevalenza irraggiamento (e, a seconda dei casi, convezione). Entrambi i metodi hanno vantaggi e svantaggi e la scelta va fatta in base al tipo di misura desiderato.

La termometria di contatto ha il vantaggio di consentire misurazioni all’interno del corpo in esame (previo inserimento del dispositivo), a differenza di quella a distanza che offre solo una rappresentazione superficiale. D’altra parte la misurazione a distanza consente una mappatura di ampie superfici e ha tempi di risposta più rapidi rispetto al metodo di contatto.

Dal punto di vista di una vera rappresentazione termografica, si capisce quindi che la strada da percorrere è quella della misurazione a distanza; infatti, i dispositivi

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attualmente utilizzati si basano su una mappatura della superficie dei corpi in esame ottenuta tramite sensori che valutano principalmente il calore irradiato.

Riassumendo il meccanismo di irraggiamento, possiamo dire che qualsiasi corpo che non sia allo zero assoluto emette energia sotto forma di radiazione elettromagnetica. La radiazione elettromagnetica infrarossa è semplicemente una parte dell’intero spettro elettromagnetico non visibile all’occhio umano, ma percepibile come “calore”. La radiazione infrarossa ha lunghezze d’onda (λ) comprese tra 0.78 µm e 1 mm e si divide in tre parti, come evidenziato in tabella:

TIPO DI RADIAZIONE λ

Infrarosso “vicino” 0.78-1.4 µm Infrarosso “medio” 1.4-3.0 µm Infrarosso “lontano” 3.0-1000 µm

Tab 2-A. Denominazione delle regioni della radiazione infrarossa in base al range di lunghezza d'onda.

Esistono delle relazioni che legano l’intensità della radiazione emessa alla temperatura superficiale del corpo[2]. In primo luogo, si definisce “corpo nero” un corpo ideale capace di assorbire l’intera radiazione su di esso incidente senza trasmetterla né rifletterla; questo corpo ha la peculiarità di emettere tutta l’energia termica per irraggiamento. I corpi reali sono caratterizzati invece da coefficienti di emissione, assorbimento e trasmissione che indicano la ripartizione dell’energia termica tra i tre fenomeni suddetti. Il coefficiente che a noi interessa è l’emissività, definito dall’equazione di Kirchhoff:

; ) ( ) ( T M T M CN = ε (1)

dove T è la temperatura in gradi Kelvin, M(T) e MCN(T) sono le potenze termiche

radianti emesse per unità di superficie (W/cm2) rispettivamente del corpo reale e del corpo nero (che per definizione ha ε=1). Inoltre per il corpo nero vale l’equazione di Stefan-Boltzmann: 4 ) (T T M =σ⋅ ; (2) con σ=5.67·10-12 W/cm2·K4.

Dal punto di vista spettrale si ha che la radiazione termica emessa da un corpo nero ha un valore massimo per una certa lunghezza d’onda dipendente dalla temperatura secondo la relazione: ; / 2898 m T MAX µ λ = (3)

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Da tutte queste relazioni è facile verificare che il problema della misurazione superficiale di un corpo si riduce al calcolo della radiazione emessa e alla conoscenza del coefficiente di emissività. Tale coefficiente, che dipende dal materiale, dallo stato della superficie, dalla temperatura e dalla lunghezza d’onda, è solitamente tabulato per i vari materiali in diverse condizioni e temperature. Per ottenere risultati migliori, spesso i rilevatori termografici prevedono un sistema di correzione che tiene conto del reale coefficiente di emissività misurato direttamente sul corpo in esame (ad esempio tramite termometria di contatto) o su materiali di riferimento[1].

Dovendo operare una rilevazione termometrica a distanza, bisogna considerare la presenza di un mezzo tra la sorgente e il rivelatore che, nel caso più generale possibile, è l’atmosfera terrestre; i gas presenti nell’aria hanno anch’essi proprietà termiche ed è importante tenerne conto per evitare eccessive attenuazioni della radiazione emessa dal corpo. In particolare si può evidenziare[1] una variazione dell’assorbimento da parte dell’atmosfera in funzione della lunghezza d’onda della radiazione (fig. 2-1) e la presenza di due “finestre” a minimo assorbimento (con massima percentuale di trasmissione) in corrispondenza degli intervalli 3-5 µm e 8-13 µm.

Fig 2- 1. Trasmissione della radiazione infrarossa nell'atmosfera terrestre.

Esistono inoltre materiali trasparenti alla radiazione infrarossa che hanno comportamento analogo a quello del vetro per la luce visibile: sono detti “IR glasses” e consentono di trasmettere solo la componente di radiazione alle frequenze volute. Con opportuni materiali è quindi possibile realizzare lenti, specchi e filtri che possono essere definiti “ottici” in analogia a quelli presenti negli strumenti ottici, ma operanti solo per radiazioni IR, quindi non visibili. I materiali comunemente usati per questi scopi sono zaffiro (AlO3), fluoruri di calcio o bario (CaF2,BaF2) , germanio e seleniuro di zinco (ZnSe); la scelta del materiale viene fatta in base al range di frequenze, alla resistenza agli agenti esterni (umidità, gas, sollecitazioni meccaniche, etc.) e all’influenza della temperatura, fattori che ovviamente dipendono dalla specifica applicazione della termografia.

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2.2 Sensori e dispositivi per la termografia.

Per analizzare il funzionamento e la struttura di qualsiasi dispositivo termografico bisogna ovviamente partire dalla rilevazione dell’energia elettromagnetica irradiata dalla sorgente e dalla sua conversione in segnale elettrico. Gli elementi preposti a tale scopo sono i rivelatori (IR detectors) che possono essere di diverse tipologie e prestazioni. Esiste una prima classe di rivelatori, detti “termici”, che non è sensibile direttamente alla radiazione infrarossa ma al flusso di calore: si tratta di dispositivi a basso costo molto lenti e con bassissime risoluzioni che vengono utilizzati perlopiù come rilevatori piroelettrici o termocoppie. I sensori usati per applicazioni più avanzate sono detti invece “quantum detectors” e sfruttano l’effetto fotoelettrico per trasformare l’energia elettromagnetica dei fotoni su di essi incidenti in segnali elettrici. Lo sviluppo di rivelatori bidimensionali ad effetto fotoelettrico per l’infrarosso (che consentono una rappresentazione spaziale del corpo, che è proprio lo scopo della termografia) è iniziato nel 1970 presso la General Electric, dove è stato prodotto un rilevatore a InSb (antimoniuro di indio) di 32x32 elementi utilizzabile nel range 1-5 µm. Attualmente esistono tre differenti tipi di tecnologia per questa categoria di sensori:

a) Antimoniuro d’indio (InSb).

b) Mercurio-cadmio-tellurio o MCT (HgCdTe). c) Siliciuro di platino (PtSi).

Ognuna delle tre tecnologie ha caratteristiche diverse, ad esempio opera in range frequenziali differenti (a tal proposito è riportata in appendice una tabella relativa al diverso comportamento di vari tipi di rivelatori). Tutti questi sensori garantiscono sensibilità, risoluzione e tempi di risposta decisamente migliori rispetto a quelli termici, senza contare che la struttura ad array bidimensionale li rende ideali per l’imaging termico. In commercio è facile trovare matrici di 256x256 elementi, ma la tecnologia offre (a costi decisamente più elevati) matrici anche di 1024x1024 elementi.

Dal punto di vista tecnico, questi sensori vengono realizzati in forma “ibrida”, in altre parole, sono l’unione di due materiali: uno dove avviene l’effetto fotoelettrico, l’altro (silicio) utile per la lettura della carica. I materiali sono messi in “comunicazione” mediante piazzole di indio e la struttura tipica di un rivelatore (nel nostro caso a HgCdTe) è mostrato in figura 2.2. In dettaglio si possono individuare gli elementi principali: un substrato di zaffiro trasparente alla radiazione infrarossa (come indicato nel par. 2.1), uno strato di HgCdTe ottenuto per crescita epitassiale e le piazzole di indio che connettono i vari pixel al “multiplexer”, che deve poi leggere la carica. Le tre tecniche hanno in comune lo stesso principio, che è quello di realizzare giunzioni p-n che possono essere polarizzate e lette in qualsiasi maniera. In

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figura 2.3 sono mostrate le strutture dei rivelatori all’antimoniuro di indio e siliciuro di platino.

fig 2- 2 Struttura di un array di sensori infrarossi realizzato con tecnologia HgCdTe.

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La denominazione esatta di queste matrici è focal plane array (FPA) di microsensori fotovoltaici a semiconduttore. Le FPA sono attualmente capaci di raggiungere sensibilità in temperatura dell’ordine di 0.05 °K, risoluzioni spaziali di pochi µm per pixel e tempi di risposta di pochi millisecondi[3].

Un problema da considerare in presenza di sensori per infrarosso ad effetto fotoelettrico è la generazione di rumore da parte dei portatori di carica che rende necessario un continuo raffreddamento del rivelatore per avere una buona qualità del segnale; in particolare, più bassa è la temperatura a cui esso si trova e migliore è la risoluzione del dispositivo. Il raffreddamento si può ottenere ad esempio con l’uso di azoto liquido, che presenta inconvenienti come i costi e la necessità di rifornire il dispositivo di liquido refrigerante. Una soluzione alternativa è l’uso di celle Peltier, che provvedono ad un raffreddamento di tipo termoelettrico dei sensori ovviando ai problemi indicati precedentemente.

I dispositivi a FPA di microsensori fotovoltaici rappresentano attualmente lo standard ottimale per l’imaging termico, grazie all’uso di tecnologie digitali che consentono la rappresentazione, la memorizzazione e l’elaborazione delle immagini ottenute con gli strumenti software preposti a tali scopi. E’ infatti possibile ottenere, oltre alla classica uscita video TV, uscite collegabili ad un comune PC o a strumenti di elaborazione dedicati. Dal punto di vista dell’interfacciamento c’è da dire che ogni produttore fornisce generalmente con i suoi dispositivi un software dedicato[22] che tiene conto delle caratteristiche della macchina: in realtà, quindi in questo campo, come in altri, siamo ben lontani dalla creazione di uno standard per i dati disponibili.

In tempi recenti, si sta sviluppando una nuova generazione di dispositivi per la termografia, basata sull’uso di sensori definiti QWIP (quantum well infrared photodetector), che consente di ottenere risoluzioni in temperatura dell’ordine di 0.005 °C, risoluzioni spaziali migliori di quelle ottenute con i sensori trattati precedentemente e offre la possibilità di registrare fino a 200 immagini al secondo; con questa tecnologia sono state realizzate FPA multispettrali di 524x524 sensori con prestazioni decisamente superiori ai sensori fotovoltaici.

Un’altra categoria di “termocamere” (si usa questo termine generico per indicare i dispositivi per l’acquisizione di immagini termografiche) è quella che utilizza sensori microbolometrici1 di nuova concezione: tali sensori sono del tipo “termico”, già decritti in precedenza, ma, grazie all’uso di nuove tecnologie, consentono migliori prestazioni con costi comunque contenuti. In questo modo è possibile realizzare FPA ampie, fino a 524x640 elementi[3].

In appendice si forniscono le schede tecniche di alcune termocamere prodotte dalla Ebs-Thermography e dalla Nec San, realizzate con tecnologia a sensori fotovoltaici, da cui si possono ricavare vari parametri di interesse.

1 Un bolometro è in generale un rivelatore basato sulla proprietà di alcuni materiali di variare la propria conducibilità

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2.3 Applicazioni mediche della termografia.

Le applicazioni della termografia sono svariate e riguardano qualsiasi situazione in cui sia importante valutare fenomeni di trasmissione del calore in un corpo rilevandone la temperatura nei vari punti con l’uso del termogramma (rappresentazione della distribuzione di temperatura). La tecnica di visualizzazione più utilizzata, soprattutto per la sua immediata comprensione, è quella a “falsi colori”: ogni valore della temperatura corrisponde ad una precisa gradazione di colore; ovviamente non c’è nessuna relazione tra il colore e la radiazione infrarossa, ma è facile dare l’idea di una zona “calda” rappresentandola, ad esempio, con il colore rosso, rispetto ad una zona più “fredda” visualizzata in blu.

I campi di applicazione della termografia sono, quindi, i più disparati: si va dalla visione notturna (la radiazione infrarossa può essere utilizzata per rilevare oggetti o persone in assenza di luce), usata soprattutto per scopi militari, alla rilevazione di fenomeni geologici (vulcanologia) o astronomici; notevoli sono le applicazioni industriali, ad esempio nella costruzione di motori o dispositivi elettronici per la valutazione del corretto funzionamento degli stessi e dell’eventuale presenza di zone surriscaldate.

Tra i vari soggetti di interesse dell’analisi termografica, riveste particolare importanza il corpo umano. Sin dai tempi più antichi, la medicina ha osservato che tra i sintomi di varie malattie era notevolmente importante la variazione di temperatura di alcune zone del corpo. Quindi, l’analisi termica del soggetto è divenuta strumento di diagnosi che la tecnologia (a partire dal termometro) ha reso praticabile con strumenti sempre più avanzati.

Il corpo umano irradia principalmente con lunghezze d’onda comprese tra 3 e 12 µm ed è quindi osservabile dal punto di vista termografico con tutte le considerazioni fatte nei par. 2.1 e 2.2.

La termografia medica cosiddetta “classica” [3] è stata sviluppata a partire dalla fine degli anni ’60 con tecniche chiaramente non paragonabili a quelle attuali. I limiti della termografia medica classica vanno ricercati innanzitutto nell’uso di dispositivi analogici, con bassissime risoluzioni in temperatura e spaziali. L’obiettivo di queste tecniche era localizzare zone “calde” del corpo, legando questa variazione di temperatura alla presenza di malattie (ad esempio alcuni tipi di tumori). Questa tipologia di esame permetteva un’analisi cutanea molto qualitativa ed ha portato spesso a risultati contraddittori. In tal modo si è verificato un graduale abbandono della termografia e già alla metà degli anni ‘80 l’imaging termico medico era praticamente inutilizzato se non per limitate applicazioni.

Il rilancio della tecnica termografica in medicina si è avuto recentemente grazie alla creazione delle termocamere di nuova generazione (soprattutto FPA a

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microsensori fotovoltaici). Questi dispositivi, creati e sviluppati inizialmente per scopi militari, si sono subito diffusi in ogni ambito ed hanno portato la termografia ad essere uno strumento d’indagine affidabile e preciso.

Il trasferimento di tali tecnologie all’imaging biomedico ha permesso di riconsiderare il ruolo diagnostico e le applicazioni mediche dell’imaging termico (fig 2-4), rendendo possibile oggi studiare quantitativamente e da un punto di vista funzionale le proprietà termiche del corpo umano. Si possono allora sviluppare modelli per lo studio termico del corpo umano e ricavare parametri quantitativi da tali modelli, utili per la diagnostica o per la comprensione dei processi di controllo termico in condizioni diverse, ad esempio durante l’attività fisica o per effetto di somministrazione di farmaci.

Tale utilizzo dell’imaging termico è generalmente indicato come imaging funzionale infrarosso (functional infrared imaging).

Le patologie che possono essere vantaggiosamente studiate mediante l’imaging funzionale infrarosso sono diverse ed in generale sono quelle tra i cui segni sintomatici vi è un’alterazione del normale controllo della temperatura corporea, in particolar modo di quella cutanea. Dunque si tratta di disfunzioni del microcircolo, del macrocircolo nei distretti più periferici (fig 2-5), del sistema nervoso periferico, alterazioni locali del metabolismo tissutale, traumi e flogosi, già studiati in passato con la termografia medica classica, che possono essere studiati ora attraverso parametri oggettivi, ricavati dalla modellizzazione dell’evoluzione temporale e dalla distribuzione spaziale della temperatura[3].

Fig 2-4 Esempio di immagine termografica infrarossa ad alta risoluzione. La colorbar riporta la rappresentazione in livelli di grigio delle temperature registrate.

Altri esempi di applicazioni biomediche della termografia sono lo studio delle ustioni (mediante analisi termografica è possibile valutare la profondità e gravità di

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questo tipo di lesioni) e l’analisi meccanica delle protesi realizzate con biomateriali: mediante prove di stress termoelastico si possono evidenziare le zone più sollecitate della protesi prima dell’impianto e valutare se il materiale in esame è adeguato allo scopo. È inoltre possibile, utilizzando l’analisi termografica, ottimizzare la conformazione delle protesi dentarie: si è infatti osservato che l’impianto di protesi non ottimali causava difficoltà al paziente nei movimenti della bocca (parlare, muovere le labbra), rilevabili dalla distribuzione della temperatura di alcune zone facciali.

Si possono studiare, tramite l’uso dell’imaging infrarosso, anche alcuni processi afferenti al sistema nervoso simpatico (quello che presiede alle reazioni involontarie agli stimoli), come la risposta a stimoli elettrici o psicogeni: è interessante osservare la distribuzione termica cutanea del soggetto in base allo stato “emotivo”, ad esempio in condizioni di stress o disagio (vedi fig. 2-6) [4].

Un ambito nel quale le tecnologie dell’infrarosso hanno dato risultati controversi è quello della diagnosi dei tumori al seno[5] e nell’accertamento del rischio tumorale. Vari studi sono stati svolti per mettere in relazione i fenomeni termici rilevabili e la presenza di masse tumorali, ma la possibilità di rilevare queste ultime è subordinata alla capacità di elaborare modelli realistici della diffusione termica in vivo.

fig 2- 5 Imaging funzionale infrarosso della mano di soggetto affetto da disfunzione circolatoria (vasospasma cronico dell'arteria digitale) . A sinistra: immagine IR. A destra: immagine di sottrazione del contributo termico tissutale, in cui è possibile apprezzare i vasi sanguigni.

L’imaging funzionale infrarosso trova però nuove ed importanti applicazioni anche in ambiti nuovi, che la termografia classica non poteva esplorare. Tra questi ricordiamo l’assistenza intraoperatoria in microchirurgia e cardiochirurgia.

Ci limitiamo al momento a fornire alcuni esempi (fig 2-5 e 2-7) che evidenziano come sia possibile valutare la perfusione di alcune zone periferiche o del cuore sfruttando il contrasto termico tra i vasi sanguigni (caldi perché attraversati dal sangue) e i tessuti circostanti, ricordando che questa tecnica è di facile applicazione e di bassissima invasività. Nella sezione seguente tratteremo più approfonditamente queste applicazioni dell’imaging infrarosso, in particolar modo in cardiochirurgia, cominciando a focalizzare l’attenzione su quello che sarà l’oggetto del lavoro svolto.

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fig 2- 6 Esempio di "emotional sweating": il soggetto in condizioni di disagio (a destra) presenta una distribuzione termica cutanea alterata rispetto alla condizione di riposo.

fig 2- 7 Controllo intraoperatorio mediante imaging termografico nel corso di un intervento di bypass coronarico.

2.4 L’imaging termografico in cardiochirurgia.

Come indicato precedentemente, tra i nuovi campi applicativi della termografia va considerato quello della cardiochirurgia. Vediamo di chiarire in sintesi gli aspetti che rendono utilizzabile con risultati validi l’imaging infrarosso in quest’ambito. Innanzitutto bisogna chiarire che le applicazioni di cui ci occuperemo sono tutte in condizione di paziente con il torace aperto e cuore esposto, che si verificano tipicamente durante interventi chirurgici al cuore (come ad esempio quelli di bypass

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coronarico). In questa particolare situazione, è possibile rilevare direttamente la radiazione infrarossa emessa dagli organi in esame ( tessuti cardiaci e vasi sanguigni) senza che questa sia schermata dalla pelle (la cui emissività risultava essere un problema per la corretta valutazione della temperatura dei tessuti meno superficiali). Quindi, date le condizioni ottimali per la rivelazione della radiazione e le crescenti risoluzioni (spaziali e termiche) delle attuali termocamere, la termografia può essere agevolmente utilizzata per valutare, in tempo reale e con minima invasività, una precisa mappa della perfusione sanguigna degli strati più esterni del muscolo cardiaco (con particolare riferimento alla circolazione coronarica). Si considera ovviamente l’invasività propria della tecnica diagnostica (e non quella dell’intervento, che è decisamente invasivo), che deve essere comunque minimizzata per non portare ulteriore stress all’organismo.

Riassumendo, l’imaging infrarosso trova applicazione nel campo cardiochirurgico per i seguenti motivi:

• possibilità di rilevare la radiazione direttamente dai tessuti in esame; • bassa difficoltà di rilevazione;

• visualizzazione in tempo reale;

• minima invasività (nessun mezzo di contrasto da iniettare2)

Esistono vari metodi operativi per l’utilizzo di questa tecnica documentati in letteratura che verranno comunque approfonditi nel capitolo seguente.

2 In realtà è prevista in alcuni casi l’iniezione di soluzione fisiologica fredda (circa 20° C), comunque meno dannosa di

Figura

Fig 2- 1.    Trasmissione della radiazione infrarossa nell'atmosfera terrestre.
figura 2.3 sono mostrate le strutture dei rivelatori all’antimoniuro di indio e siliciuro  di platino
Fig 2-4  Esempio di immagine termografica infrarossa ad alta risoluzione. La colorbar riporta la  rappresentazione in livelli di grigio delle temperature registrate
fig 2- 5    Imaging funzionale infrarosso della mano di soggetto affetto da disfunzione circolatoria (vasospasma  cronico dell'arteria digitale)
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