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Academic year: 2021

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2.1. La tragedia classica nel XX secolo.

Il fenomeno della riscrittura della tragedia greca classica si concentra soprattutto in due momenti cruciali del secolo appena trascorso, con una necessaria distinzione fra prima e seconda metà del secolo. Concentrando l’attenzione su questi due diversi contesti culturali, è possibile enucleare e confrontare le diverse modalità in base alle quali artisti e intellettuali hanno concepito il loro rapporto con il patrimonio della tradizione.

Nella contemporaneità, la prima fase in cui l’operazione di riscrittura dei testi appartenenti al teatro greco antico ha avuto grande sviluppo e diffusione si colloca in linea di massima nella prima metà del Novecento, fino agli anni Cinquanta, in corrispondenza di quel processo di radicale sperimentazione messo in atto dalla cosiddetta generazione ‘modernista’. Nonostante ci sia stata una significativa fioritura della riscritture di testi teatrali classici che si concentrano nella prima parte del secolo ad opera di alcuni degli intellettuali di maggior spicco nel panorama culturale europeo come T.S. Eliot in ambito anglosassone, e Sartre in Francia, il momento di vero e proprio culmine di questo fenomeno di risveglio dell’interesse per la tragedia greca viene raggiunto nel trentennio a cavallo fra gli anni Settanta e Novanta. In questo arco di tempo, concentrando l’attenzione sul panorama inglese, il numero di produzioni di tragedie antiche ha in molti casi superato quello dei ‘classici’ del repertorio letterario in lingua inglese. Sintomo dell’affermarsi di questo fenomeno il fatto che nella prima metà del 1995 siano stati portati sulle scene dei maggiori teatri di Londra un numero più elevato di testi di Euripide rispetto a qualsiasi altro drammaturgo, incluso Shakespeare. Nell’analisi di questo fenomeno, è possibile individuare una data e un luogo precisi che segnano l’‘inizio’ di questo processo: il 6 giugno 1968, quando esordisce sulle scene del Performing Garage di New York l’opera di Richard Schechner Dionysus 69.1 Il testo di Schechner, che costituisce una rielaborazione

1 L’identificazione di questo inizio ideale della riscrittura della tragedia antica nel secondo novecento rappresenta l’ipotesi di partenza di un testo fondamentale nell’analisi di questo fenomeno nel periodo compreso fra gli anni Settanta e Novanta del Novecento: Edith Hall, Fiona

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38 profondamente innovativa delle Baccanti di Euripide, si pone come vero e proprio spartiacque che segna il passaggio fra la concezione della riscrittura della tragedia classica sostenuta dagli intellettuali della prima metà del secolo che ancora ritengono valida la possibilità di utilizzare la fonte antica come forma strutturante dei contenuti moderni, e la radicale rivisitazione e appropriazione del patrimonio del teatro antico messo in atto a partire dagli anni Settanta dalla nuova generazione di artisti e autori di teatro, per i quali questa modalità di rielaborazione del patrimonio della classicità viene inesorabilmente e definitivamente meno. 2

Dopo la parentesi modernista, nel decennio precedente a quel cruciale 1968 in cui Schechner porta in scena la sua personale riscrittura delle Baccanti, le produzioni di tragedie classiche erano state sporadiche e soprattutto si erano sempre mantenute all’interno della tradizione del naturalismo occidentale, senza mai mettere in questione l’ideologia politica e culturale dominante. Non è un caso che il punto di rottura fra questo tipo di atteggiamento ‘tradizionalista’ e il processo di radicalizzazione nella lettura e interpretazione dei testi della tradizione si collochi proprio nel 1968 come risultato di quelle epocali trasformazioni culturali e politiche che scossero fin dalle fondamenta le basi della società occidentale. Limitandoci a citare soltanto i fatti salienti di cui quest’anno cruciale è stato teatro, è necessario ricordare l’assassinio di Martin Luther King in aprile con il conseguente dilagare negli Stati Uniti delle manifestazioni della popolazione afro-americana per il riconoscimento dei diritti civili, lo scoppio della protesta giovanile culminata con le barricate innalzate a maggio dagli studenti parigini scesi in piazza contro il sistema educativo e culturale francese, l’invasione russa della Cecoslovacchia in agosto, la contestazione dei gruppi femministi al concorso di bellezza Miss America Contest ad Atlantic City in settembre con i primi episodi di bra-burning.

Macintosh, Amanda Wrigley (editors), Dionysus Since 69. Greek Tragedy at the Dawn of the

Third Millennium, New York, Oxford University Press, 2004.

2 Cfr. Edith Hall, ‘Why Greek Tragedy in the late Twentieth Century’, in Edith Hall, Fiona Macintosh, Amanda Wrigley (editors), Dionysus Since 69. Greek Tragedy at the Dawn of the

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39 Come risulta evidente da questa sommaria lista di episodi che si susseguono nel corso del 1968, si tratta di un momento storico di grande fermento culturale e politico che prende avvio dalla necessità di ripensare e ricostruire i presupposti e i modelli su i quali si fonda la cultura occidentale nella sua totalità, che in questo particolare frangente si trova a far fronte non soltanto all’allargamento della prospettiva internazionale con l’affermazione di nuovi soggetti politici che emergono all’indomani della seconda guerra mondiale e della fine degli imperi coloniali, ma anche con la comparsa di gruppi sociali che rivendicano la loro identità. Termini come ‘contrapposizione’, ‘conflitto’ e ‘messa in discussione’ sembrano essere gli aspetti che meglio definiscono questo delicato momento storico in cui lo scontro fra vecchia e nuova generazione si acutizza e raggiunge il suo culmine, mettendo definitivamente la parola fine a quel sistema ideologico che aveva ancora dominato nel periodo immediatamente successivo alla fine del secondo conflitto mondiale.

Alla luce del processo di radicale ripensamento delle categorie politiche e culturali, il fenomeno della riscrittura della tragedia classica non poteva che essere influenzato in modo decisivo dal nuovo contesto storico con il quale doveva inevitabilmente relazionarsi. Il primo aspetto che è necessario prendere in considerazione per affrontare l’analisi delle tendenze peculiari di questa operazione di riappropriazione e rielaborazione del teatro antico nella seconda metà del Novecento è rappresentato da un significativo spostamento dell’asse geografico e culturale che coinvolge le aree interessate dall’affermarsi di questo fenomeno. Prima degli anni Cinquanta i principali centri in cui si portavano in scena produzioni teatrali di tipo professionale si trovavano tutti in Europa, con una particolare concentrazione in Germania, Francia, Inghilterra, Italia e Grecia. A partire dalla fine della seconda guerra mondiale invece, l’interesse per la tragedia greca si afferma come fenomeno diffuso su scala mondiale, assumendo progressivamente una connotazione internazionale e annullando in tal modo la secolare identificazione fra cultura occidentale e tradizione classica,

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40 convenzionalmente assunta come patrimonio artistico e letterario esclusivo del panorama europeo. 3

In questo nuovo contesto, i testi teatrali dell’antichità non soltanto sono sottoposti a una profonda rilettura e rielaborazione sia dal punto dei contenuti che della messa in scena, ma diventano soprattutto veicolo espressivo privilegiato per descrivere e riflettere su questo processo storico e culturale in atto a partire dalla fine degli anni Sessanta. Da questo momento in poi la riscrittura delle opere della classicità sempre più si lega alle nuove prospettive politiche che si affermano nel panorama internazionale, sfidando apertamente le convenzioni e i modelli tradizionali e dando voce a tutti quei soggetti, fino a quel momento marginali all’interno della società, che ora invece, cominciavano a imporsi rispetto alla cultura dominante della tradizione. In questa prospettiva, non è un caso che il testo da cui prende avvio questo nuovo e radicale approccio con cui artisti e intellettuali della nuova generazione si pongono nei confronti della tradizione sia proprio un’opera come le Baccanti di Euripide, tragedia che più di ogni altra mette in questione i confini sociali e culturali attraverso i quali si cercava di tenere sotto controllo la società dell’Atene del V secolo. Forse proprio l’aspetto di sfida aperta ai modelli culturali e politici imposti alla società rappresenta la chiave di lettura più adeguata per capire questa tendenza peculiare delle diverse operazioni di riappropriazione del patrimonio letterario classico nel panorama teatrale contemporaneo, come volontà di contestare una certa idea di cultura e di tradizione. Edith Hall descrive in maniera efficace questo processo,

More Greek tragedy has been performed in the last thirty years than at any point in history since Greco-Roman antiquity. Translated, adapted, staged, sung, danced, parodied, filmed, enacted, Greek tragedy has proved magnetic to writers and directors searching for new ways in which to pose questions to the contemporary society and to push back the boundaries of the theatre. 4

3 Fiona Macintosh, ‘Tragedy in performance. Nineteenth- and twentieth-century productions’, Pat Easterling (editor), in The Cambridge Companion to Greek Tragedy, Cambridge, Cambridge University Press, 1997, pp. 312-313.

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2.2. L’approccio modernista.

Per comprendere pienamente i più recenti sviluppi e le modalità specifiche secondo le quali si afferma il fenomeno della riscrittura della tragedia antica nel periodo storico a cavallo fra gli anni Settanta e Novanta, è necessario fare un passo indietro partendo da un confronto dialettico con le posizioni assunte dalla generazione precedente. Prendendo le mosse da questa analisi, sarà possibile individuare le differenze e tracciare eventuali tratti di somiglianza che legano queste due posizioni che si susseguono nel corso del secolo. A questo proposito, ho scelto di conservare la distinzione che cercherò di approfondire nel corso della mia analisi, proposta dalla critica di origini americane Marianne McDonald nel suo saggio Ancient Sun, Modern Light, fra la generazione modernista della prima metà del XX secolo e il gruppo di autori definiti ‘postmoderni’ che si affacciano nel panorama teatrale del secondo Novecento.5

L’antichità classica ha esercitato un forte fascino non soltanto sulla produzione teatrale degli autori della generazione modernista nella prima metà del XX secolo, ma assumendo una prospettiva più ampia, ha interessato in generale tutta la produzione letteraria del primo Novecento, che ha costantemente guardato al patrimonio della tradizione classica come punto di riferimento fondamentale per la creazione letteraria. Basti pensare ad un’opera capitale nella storia della letteratura, testo fondativo della concezione moderna delle categorie della narratività e del romanzo come genere, l’Ulisse di Joyce del 1922, che assume in maniera programmatica il riferimento al patrimonio della tradizione classica come elemento strutturante della propria poetica.

In questo contesto, sono numerosi gli autori che in ambito teatrale si rivolgono al repertorio di storie e personaggi tratti dal patrimonio della tragedia classica.

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L’autrice utilizza il termine ‘modernista’ senza alcun riferimento allo specifico movimento artistico e letterario che si afferma in Europa e negli Stati Uniti all’inizio del Novecento. Con esso intende più semplicemente fare riferiemento in termini generali alla generazione di artisti della prima metà del secolo, connotandola da un punto di vista cronologico in contrapposizione al gruppo di registi e drammaturghi che opera nella seconda parte del Novecento. Cfr., Marianne McDonald, Ancient Sun, Modern Light, Columbia University Press, 1991, (ed. it. Sole antico, luce

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42 Questa tendenza caratterizza soprattutto le principali aree europee – la Francia in primo luogo, seguita dalla Germania e in posizione più defilata dall’Inghilterra – e gli Stati Uniti. Per dare un’idea concreta della diffusione del fenomeno, è possibile redigere una lista per sommi capi dei principali contributi artistici e teatrali da parte degli intellettuali della generazione della prima metà del XX secolo, allo sviluppo dei rifacimenti di testi del teatro classico.

Francia:

- André Gide: Prométhée mal enchâiné (1899), Philoctète (1899), Œdipe (1931), Thésée (1946);

- Jean Cocteau: Antigone (1922), Orphée (1926), La Machine Infernale (1934), Œdipe Roi (1937), Baccus (1951);

- Jean Giraudoux: Amphitryon 38 (1929), La Guerre de Troie n’aura pas lieu (1935), Électre (1937);

- Jean Anouilh, Eurydice (1942), Antigone (1944), Médée (1946); - Jean-Paul Sartre: Les Mouches (1943), Les Troyennes (1965);

Stati Uniti:

- Eugene O’Neill, Mourning Becomes Electra (1931);

- Robinson Jeffers, Medea (1947), The Cretan Woman (1954);

- Tennessee Williams, The Battle of Angels (1940), Orpheus Descending (1957);

- Jack Richardson, The Prodigal (1960);

Inghilterra:

- J. M. Synge, Shadow of the Glen (1903), Deirdre of the Sorrows (1910); - George Bernard Shaw, Major Barbara (1905);

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43 - W. B. Yeats, Sophocles’ Oedipus the King (1926), Oedipus at Colonus

(1927), Antigone6 (1929).

- Lord Longford, Aeschylus’ Agamennon, Drink Offerings (1933); - Christine Longford, Aeschylus’ The Furies (circa 1934);

- T.S. Eliot, The Family Reunion (1939), The Cocktail Party (1949), The Confidential Clerk (1953), The Elder Statesman (1958);

- Louis Mac Neice, Aeschylus’Agamenon (1937);

- Tyrone Guthrie, Oedipus Rex (1955), Oresteia. The House of Atreus (1966).

Germania:

- Hugo von Hofmannsthal, Elektra (1904), Ödipus und die Sphinx (1906); - Walter Hasenclever, Antigone (1917).

- Bertolt Brecht, Die Antigone des Sophokles (1944)

- Gerhart Hauptmann, Atriden Tetralogie (‘Iphigenie in Aulis’, ‘Agamemnons Tod’, ’Elektra’,’Iphigenie in Delphi’, 1942-1946 ).

Come risulta evidente da questa sommaria lista di opere legate all’operazione di riscrittura della tragedia greca classica nell’ambito storico e culturale della prima metà del Novecento, si tratta di un fenomeno capillarmente diffuso che si afferma con modalità specifiche ed in molti casi profondamente diverse per prospettive ideologiche e tecniche drammatiche nelle principali aree del mondo occidentale a dimostrazione della straordinaria varietà e ricchezza di approcci con cui il mondo contemporaneo si è posto nei confronti del teatro antico.

Molti scrittori moderni sembrano suggerire che i miti classici possono conservare un significato per le nuove generazioni soltanto se affrontate e analizzate attraverso i filtri delle moderne discipline come la psicanalisi e l’antropologia. In questa prospettiva si colloca l’esempio della trilogia di Eugene O’Neill Mourning Becomes Electra che costituisce un vero e proprio studio psicologico delle oscure

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Di quest’opera teatrale di Yeats ci restano soltanto alcuni versi che compaiono nel poema ‘A Woman Young and Old’, tratto dalla raccolta The Winding Stair del 1929.

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44 dinamiche che governano i rapporti all’interno della famiglia Manon. L’opera è ambientata nel New England all’epoca della guerra civile americana ed è costruita seguendo la traccia narrativa fornita dalla maledizione familiare della casa di Atreo portata in scena nell’Oreste di Euripide. O’Neill concepisce il mito essenzialmente come ‘racconto’ e in tutta la trilogia pone grande attenzione sulla costruzione di precise corrispondenze fra la sua trama e l’azione dell’originale greco, mantenendo costante la volontà di riconciliare la dimensione mitica con l’ambientazione realistica, come risulta evidente dalla drastica limitazione degli aspetti soprannaturali ottenuta riducendo il motore dell’azione a motivazioni strettamente psicologiche e quindi plausibili agli occhi del pubblico contemporaneo.

Per altri autori invece i contenuti della tragedia antica offrono la possibilità di essere rielaborati in modo tale da acquistare un significato politico e morale valido per la contemporaneità, nella prospettiva secondo la quale il mito rappresenta un terreno privilegiato per diagnosticare le patologie della vita moderna.7 Si collocano nell’ambito di questa tendenza gli autori francesi legati al gruppo dei cosiddetti scrittori ‘Neo-ellenici’ che fa capo ad André Gide, il quale ha impresso un forte impulso allo sviluppo di questo approccio alla riappropriazione del teatro antico. L’aspetto che accomuna la produzione degli autori francesi di questo periodo è rappresentato da un atteggiamento di presa di distanza, spesso attraverso la lente dell’ironia, nei confronti della forma tragica in sé e di quei contenuti fondanti del genere letterario della tragedia classica, come la tematica del Fato che regge e decide delle vicende umane. Gide attribuisce al mito una caratterizzazione più psicologica che filosofica, utilizzando come spunto per indagare la parte inconscia dell’individuo. Muovendo da questo presupposto, l’autore francese approda tuttavia a una dimensione strettamente filosofica in cui gli eroi mitici assumono il ruolo di simboli esemplari nella costruzione di una nuova etica che vede l’uomo contrapposto alla società e alle sue costrizioni. I suoi

7 Cfr. Peter Burian, ‘Tragedy adapted for stages and screens: the Renaissance to the present’, in Pat E. Easterling (editor), The Cambridge Companion to Greek Tragedy, Cambridge, Cambridge University Press, 1997; Kenneth Haynes, ‘Modernism’, in Craig K. Kallendorf (editor), A

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45 personaggi costruiti sulla base del mito antico esemplificano le possibilità dell’uomo ‘eccezionale’ capace di realizzare la sua vera natura ponendosi in aperto conflitto con la civiltà borghese e i suoi valori.

Sempre ambito francese, un caso particolare è rappresentato dall’esempio di Jean-Paul Sartre, il quale nella sua opera teatrale Les Mouches, prodotta nella Parigi dell’occupazione nazista durante la Seconda Guerra mondiale, utilizza in modo esplicito numerosi elementi tratti dai precedenti classici dei tre maggiori tragediografi della Grecia antica legati alla vicenda di Oreste, mescolandoli e rielaborandoli nella prospettiva di rappresentare in scena i principi cardine dell’esistenzialismo. Nel caso di Sartre, il mito si pone come efficace illustrazione della propria concezione filosofica legata al tema della libertà. Sartre riesce a legare saldamente all’interno della sua opera teatrale sia la dimensione politica, che si esplicita nel sotterraneo, ma sempre presente incoraggiamento alla resistenza contro le forze di occupazione, sia la prospettiva strettamente filosofica, costruendo il personaggio di Oreste come la concreta incarnazione del suo concetto di libertà inteso come volontaria scelta di ‘essere’ piuttosto che meramente ‘esistere’ come la maggioranza degli esseri umani. Questo atto deliberato di liberazione si esprime nel testo di Sartre, nella sfida di Oreste contro Zeus, simbolo delle credenze religiose dell’uomo contro le quali si scaglia duramente il filosofo francese.

Come abbiamo potuto notare da questi brevi cenni relativi ad alcune delle opere più originali che esemplificano il fenomeno della riscrittura della tragedia greca classica nell’ambito del movimento modernista del primo Novecento, scrittori e intellettuali appartenenti a questo movimento culturale e letterario si sono serviti del patrimonio teatrale dell’antichità secondo modalità e approcci spesso molto diversi fra loro. Partendo dalla struttura generale del racconto mitico, spogliato di ogni dettaglio e particolare, lo scrittore moderno aggiunge a questa sorta di ‘abbozzo’ narrativo tutta una serie di elementi che gli permettono di elaborare una visione completamente nuova dell’esperienza dell’eroe, ciascuno – pur rielaborando il medesimo materiale di partenza – cogliendo e sviluppando quella particolare porzione del mito che appare più coerente rispetto al proprio personale

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46 quadro di referenza culturale e letterario. È possibile osservare questo particolare procedimento prendendo in esame ad esempio, il mito di Oreste che nella mera sostanza dei fatti può essere ridotto alla vicenda di un uomo che torna a casa dopo molti anni di assenza, vendica un’antica offesa e quindi parte di nuovo.8 Nel caso di The Family Reunion di T.S. Eliot, la storia di Oreste si carica di significati esplicitamente religiosi e può essere letta in chiave cristiana. Al contrario, nel caso dell’opera francese Les Mouches di Sartre, pur partendo dallo stesso materiale di partenza dello scrittore inglese, la medesima vicenda offre all’autore la possibilità di indagare in termini filosofici, il concetto di libertà, ponendo l’eroe di fronte alla necessità di compiere un atto che gli permetterà di definire il tipo di individuo che intende essere.

L’autore moderno, partendo dai temi fondamentali presenti nella fonte classica, può inoltre inserire nuove tematiche suggerite dalla situazione centrale del mito, come avviene nel caso di Giraudoux, il quale nel suo rifacimento dell’Elettra di Sofocle affianca all’antico motivo della vendetta quello della ribellione che emerge dallo scontro fra la protagonista in cerca di un principio di giustizia assoluta, e il sovrano illegittimo Egisto, usurpatore del potere paterno. 9

Non soltanto la trama, ma anche gli stessi personaggi dei testi antichi possono essere sottoposti a un’operazione di profonda rivisitazione attraverso la quale, pur conservando nei tratti generali la rappresentazione tradizionale dell’eroe antico, lo scrittore conferisce ai protagonisti nuove sfumature caratteriali, dando vita in alcuni casi, a caratterizzazioni del tutto originali. Un chiaro esempio di questa tendenza è rappresentato dal personaggio di Antigone nell’opera di Jean Anouilh. In questo caso, il principio che guida l’azione dell’eroina è rappresentato dalla convinzione che la fonte della capacità di modellare la propria esistenza e di dare forma alla realtà circostante possa risiedere soltanto nell’individuo e, in questi termini, il personaggio di Antigone è trasformato nell’opera del 1937 nel modello dell’eroe che contesta il potere politico creando i suoi propri valori, in assenza sia

8 Angela Belli, Ancient Greek Myths and Modern Drama. A Study in Continuity, New York, New York University Press, 1969, p. 185.

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47 di un ordine cosmico superiore, sia di un dio benevole che indirizza la condotta morale degli uomini.

Per quanto riguarda l’ambientazione, alcuni scrittori hanno trasposto le vicende tratte dal racconto mitico in un contesto moderno, mentre altri hanno mantenuto lo sfondo tradizionale, senza che sia possibile rintracciare una precisa ragione di poetica nella ricorrenza dell’una o dell’altra scelta. In questa prospettiva, nonostante le diverse soluzioni proposte dai vari autori, tutti condividono l’uso di numerosi anacronismi, indipendentemente dallo scenario prescelto, allo scopo di fornire allo spettatore uno strumento efficace per associare la sua personale esperienza a ciò che si svolge sulla scena.10

Ponendo momentaneamente in secondo piano le profonde diversità di testualità e valore fra i singoli contributi offerti dai drammaturghi della prima metà del secolo, è utile concentrare l’attenzione sulle opere di T.S Eliot, non soltanto in quanto appartenente all’ambito inglese e quindi in direttamente legato al successivo sviluppo della presente analisi relativa alla produzione teatrale britannica del secondo Novecento, ma soprattutto perché le scelte formali del poeta permettono di individuare l’approccio strutturale assunto da artisti e drammaturghi della sua stessa generazione nei confronti del teatri antico.

10 Ibid. p. 190.

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2.3. T. S. Eliot: il caso di The Family Reunion.

Per quanto concerne la produzione teatrale in lingua inglese, l’attività di T.S Eliot svolge un ruolo di cruciale importanza nel panorama culturale della prima metà del XX secolo, ponendosi in ambito anglosassone come termine di riferimento imprescindibile con il quale drammaturghi e autori della nuova generazione dovranno inevitabilmente confrontarsi nella prospettiva di allontanarsi da un approccio tradizionale di fedeltà al canone letterario, e di costruire nuove basi sulle quali fondare il processo di riappropriazione del patrimonio letterario del passato.

In evidente continuità con la sua produzione poetica, nell’ambito del teatro Eliot utilizza come mezzo espressivo privilegiato il genere del cosiddetto ‘poetic drama’, attraverso il quale intende infondere la musicalità propria della poesia ai dialoghi fra i personaggi nel testo teatrale, nella convinzione che “the music of poetry […] must be a music latent in the common speech of his time”. 11 Questa costante ricerca di musicalità costituisce l’obiettivo principale della sua attività letteraria, quello che Eliot definisce come il suo ultimate task, rappresentato appunto dalla volontà di creare una nuova forma poetica che possa essere applicata al realismo contemporaneo, nel tentativo di modificare dall’interno la superficie plausibile e oggettiva degli eventi per lasciare trapelare una dimensione di significato sotterranea e nascosta.

Tanto la ben più nota produzione lirica, quanto quella teatrale appaiono, all’interno del percorso artistico affrontato da Eliot nel corso della sua carriera di scrittore, legate a doppio filo non soltanto dalla comune presenza di temi e di immagini poetiche ricorrenti, ma in una prospettiva più generale, da una medesima concezione della vita e dell’uomo contemporaneo, esemplificata con grande incisività dall’immagine stessa del palcoscenico che costituisce nell’ottica dell’autore, la rappresentazione concreta della condizione dell’individuo moderno – quello che Eliot definisce the hollow man – costretto a vivere in uno stato di

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T.S Eliot, On Poetry and Poets, London, Faber&Faber, 1990 (ristampa, prima edizione 1957), p. 31

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49 perenne illusione e falsità. Da questo punto di vista, le opere teatrali di T.S Eliot appaiono come il naturale sviluppo delle sue posizioni poetiche. L’autore non soltanto concepisce il genere drammatico come l’espressione concreta del suo ideale di comunione cristiana determinato dallo stretto legame collaborativo che lega drammaturgo e pubblico, ma soprattutto vede il teatro come il veicolo privilegiato della poesia, indicando con esso il mezzo espressivo più diretto ed efficace per esprimere quei requisiti di utilità sociale dei quali la poesia deve farsi carico.12

Nella produzione teatrale di Eliot, è possibile individuare quattro opere legate all’operazione di riscrittura della tragedia antica, per ciascuna delle quali è possibile individuare un preciso testo corrispondente nel teatro antico: The Family Reunion del 1939, costruita sulla base dell’Orestea di Eschilo, The Cocktail Party del 1949, in cui è possibile rintracciare il modello di Alcesti di Euripide, The Confidential Clerk (1953), che rivela chiare affinità narrative e formali con la tragedia euripidea Ione, ed infine The Elder Statesman del 1958 che condivide invece evidenti punti di contatto Edipo a Colono di Sofocle.

Volendo prendere in esame la posizione di Eliot relativa alle modalità di riappropriazione del patrimonio teatrale del mondo antico in ambito contemporaneo, il testo che mi permette di elaborare un quadro il più possibile completo di questo tipo di operazione, è rappresentato da The Family Reunion. L’opera in questione si presenta come trasposizione in ambito moderno della trilogia di Eschilo dedicata alle vicende della famiglia di Atreo. La fonte classica rischia in prima istanza di passare inosservata agli occhi del pubblico che assiste alla rappresentazione di una vicenda in superficie immediatamente associabile ai canoni del genere del drawing-room play che dominavano le produzioni teatrali più commerciali. La scelta di Eliot di rielaborare il testo classico trasponendone le dinamiche narrative in un contesto moderno con personaggi attuali è fortemente influenzata dalla volontà di scrivere testi teatrale inerenti alla vita contemporanea e rilevanti per il pubblico del suo tempo, nella convinzione che ambientare

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Cfr. Innes, Modern British Drama 1890-1990, cit., cap. X ,“Poetic drama – verse, fantasy and symbolic images”, ‘T.S. Eliot (1888-1965): the drama of conversion’, pp. 386-388.

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50 un’opera nel passato rappresenti un allontanamento dal compito fondamentale di ogni scrittore che è quello di parlare e rappresentare la propria epoca.

La condizione di mancato riconoscimento della fonte tragica antica rimane presente nello spettatore fino al momento in cui compaiono fisicamente presenti sulla scena e visibili soltanto al protagonista Lord Harry Monchensey le Furie – le terribili divinità che nella tragedia eschilea perseguitano Oreste per l’assassinio della madre Clitemnestra e dell’amante di questa, Egisto. L’apparizione di questi personaggi emblematici crea un immediato collegamento con la fonte antica e aprono la possibilità per il pubblico di ripensare e rivalutare l’intera vicenda alla luce del rapporto che il testo moderno intrattiene con il precedente classico. L’immediata identificazione fra le figure costantemente presenti al fianco di Lord Harry e i personaggi del mito avviene nel preciso momento in cui il protagonista pronuncia la frase “you don’t see them, but I see them”, 13 riformulando con sorprendente precisione le parole pronunciate da Oreste nell’ultima opera della trilogia di Eschilo, Choefore, per descrivere le Furie che lo tormentano per vendicare le sue terribili colpe. La riproposizione nel rifacimento moderno delle divinità vendicatrici presenti nel testo antico rivela un aspetto di centrale importanza per prendere in esame l’approccio dell’autore moderno nei confronti del materiale classico. Eliot reinterpreta la storia di Oreste in chiave esplicitamente cristiana, trasformando il mito antico in una vicenda di salvezza personale che scaturisce dal riconoscimento delle ombre del peccato – reale o anche solo desiderato, come avviene nel caso di lord Harry – che hanno corrotto fino al momento della liberazione definitiva dal senso di colpa la vita del protagonista. In questa prospettiva, le Furie vengono trasformate da terribili divinità vendicatrici in veri e propri agenti portatori di grazia (all’interno dell’opera vengo descritte come bright angels). Da un lato, le divinità antiche costituiscono la rappresentazione concreta e visibile del profondo senso di colpa che avvelena la vita del protagonista, e dall’altro invece, accompagnano il percorso di purificazione morale ed esistenziale affrontato da Harry, svolgendo una funzione redentiva che consente al protagonista di interrompere

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51 definitivamente la maledizione che perseguita la sua famiglia, lasciando per sempre la dimora materna di Wishwood. Nel tentativo di utilizzare la struttura di fondo della tragedia classica come traccia per costruire la vicenda di redenzione cristiana al centro di The Family Reunion, Eliot mette in atto un cambiamento radicale rispetto al precedente greco, spostando l’attenzione dalla rappresentazione delle imprese esteriori di Oreste a quella del mondo interiore di Lord Harry, che costituisce il vero fulcro dell’opera. Al centro del testo contemporaneo si colloca l’itinerario spirituale del personaggio, mentre l’azione in sé passa completamente in secondo piano, diventando quasi irrilevante, sostituita dai complessi e intricati moti che tormentano la coscienza di Lord Harry impegnato in una dura lotta tutta interiore nel tentativo di comprendere e venire a patti con il proprio passato. Dal punto di vista della vicenda, l’azione scenica si riduce al minimo: Harry, Lord Monchensey, torna dopo una lunga assenza durata otto anni, alla casa materna Wishwood nel nord dell’Inghilterra, in occasione del compleanno delle madre Amy, desiderosa che il figlio assuma il suo ruolo di capo famiglia. Nel corso dell’irrequieto soggiorno a Wishwood, dopo due cruciali colloqui con la cugina Mary – che rappresenta nell’opera moderna il corrispettivo del personaggio di Elettra nel testo di Eschilo – e soprattutto con la zia Agatha, che svolge il medesimo ruolo di Cassandra nella fonte greca, Harry è costretto ad affrontare il passato proprio e della propria famiglia, maturando la decisione di abbandonare per sempre la casa della madre, che muore per il duro colpo infertole dal nuovo abbandono del figlio. Come appare evidente da questa breve descrizione della trama dell’opera, una sorta di ‘stasi’ dell’azione si impone come tratto dominante. Non ci sono veri e propri eventi drammatici all’interno del testo, ma l’autore struttura il suo testo in modo tale che il ritorno del protagonista, la sua permanenza di ventiquattro ore nella casa materna e la sua partenza definitiva verso destinazione ignota, costituiscano l’intero scheletro ridotto ai minimi termini, dell’azione drammatica. Nessuna informazione circa le vicende che precedono il ritorno a casa di Lord Harry, né alcuna spiegazione chiarificatrice relativa agli oscuri rapporti fra il personaggio e la moglie sono fornite allo spettatore. Ciò che al contrario, si impone in primo piano sono le conversazioni

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52 dei personaggi che si susseguono nel salotto e nella biblioteca di Wishwood. Sono proprio questi dialoghi che vanno a costituire la sostanza profonda del testo di Eliot, mettendo in luce l’intento di fondo dell’autore, rappresentato dall’esplorazione dell’universo interiore di Harry e soprattutto dal tentativo di auto-definizione dell’eroe all’interno di questo stesso universo, impostando il percorso esistenziale affrontato dal protagonista attraverso costanti parallelismi con il racconto mitico di Oreste.14 Eliot, prendendo le mosse dalla vicenda di vendetta e punizione divina dell’eroe greco, intende rileggere l’universo mitico a partire da una prospettiva apertamente religiosa. Seguendo questo personale approccio, l’autore trova nella superficie degli eventi tratti dal mito quella struttura di fondo che, come spiega con grande efficacia nel suo saggio dedicato a Ulysses di James Joyce, non è altro che “ […] a way of controlling, of ordering, of giving shape and significance to the immense panorama of futility and anarchy which is contemporary history”. 15 In questo celebre passaggio del saggio in cui Eliot prende in esame l’analisi dell’innovativo approccio narrativo adottato nel romanzo, l’autore mette in luce come la manipolazione di “continui parallelismi fra contemporaneità e antichità”16 sia la base sulla quale Joyce costruisce concretamente la vicenda del protagonista di Ulysses, Stephen Dedalus attraverso un vasto numero di riferimenti incrociati che lega ogni parte dell’opera in un insieme organico, indipendentemente dal punto del testo in cui compaiono.

È possibile individuare evidenti punti di affinità fra il cosiddetto “metodo mitico” descritto da Eliot in relazione al romanzo di Joyce e l’approccio attraverso il quale il poeta affronta il rapporto con il mito nel suo dramma. Anche in questo caso, il racconto antico rappresenta la struttura che l’artista contemporaneo deve colmare per veicolare i nuovi significati e le nuove tematiche, appropriandosi ed elaborando il materiale della tradizione, che gli consente di imporre alla realtà ordinaria rappresentata nell’opera moderna, una forma di ordine credibile - anche

14 Cfr. Angela Belli, op .cit. cap II, ‘Religious and Philosophical Ideas’, pp. 51-52.

15 T.S.Eliot, ‘Ulysses, Order and Myth’, in Forms of Modern Fiction, Essays collected in honour

of Joseph Warren Beach, edited by William Van O’Connor, Minneapolis, the University od

Minnesota Press, 1948, p. 123. 16 Ibid. p. 123

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53 nel caso in cui il sostrato mitico sia riproposto attraverso riferimenti spesso quasi impercettibili agli occhi dello spettatore moderno, come avviene nel caso di The Family Reunion. Il nucleo centrale del mito di Oreste, costituito dalla maledizione familiare, dalla reazione di rifiuto della madre da parte del protagonista, e dalla sua riabilitazione finale, fornisce all’autore la ‘struttura’ che consente a Eliot di far emergere fra le pieghe della superficie esterna degli eventi, quella vicenda di riconciliazione con dio che sta alla base della visione cristiana dell’autore. Per esprimere questo sostrato di significato, si rende necessaria la presenza di un livello intermedio fra la dimensione esterna e il contenuto profondo del testo, strettamente dipendenti l’uno dall’altro. Questa funzione di mediazione fra i due piani – quello della drawing-room play e quello della vicenda di personale salvezza in chiave cristiana – è rappresentato proprio dal racconto mitico attraverso il quale lo scrittore rilegge la storia dell’esilio di Oreste dalla sua terra di origine nei termini dell’esperienza di esilio spirituale dalla comunione con dio e di successiva riunione con il suo creatore affrontata da Harry nel testo moderno.17 Al fine di raggiungere questo obiettivo, Eliot mette in atto nel testo una sorta di ‘doppia azione’ attraverso la quale i fatti in primo piano entrano in contrasto con la sostanza spirituale che contraddice e trasforma in profondità lo strato superficiale del plot. Il contenuto profondo dell’opera emerge invece proprio grazie a quel materiale mitico che costituisce il sostrato a partire dal quale l’autore costruisce i parallelismi fra racconto antico e vicenda moderna. Questo duplice livello dell’azione scenica che lega la trama tragica tratta dal testo classico di Eschilo ai modi tipici della commedia da salotto, si rende visibile in modo obliquo e indiretto nei momenti in cui le aspettative naturalistiche degli spettatori vengono infrante attraverso l’introduzione di elementi soprannaturali che incrinano irrimediabilmente la superficie realistica delle vicende. Questo particolare meccanismo opera, come abbiamo già avuto modo di vedere, nel caso delle Furie, che fanno da ‘ponte’ fra i due piani dell’azione e impongono al pubblico la necessità di passare ad un ulteriore livello di analisi della vicenda. In questo modo, l’autore, rielaborando piuttosto liberamente la struttura drammatica fornita

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54 dal racconto mitico, costruisce un moderno conflitto morale sul quale si innesta la tematica cristiana della lotta interiore di un’anima lacerata dal senso di colpa. Affiancando alla dimensione del drawing-room play i parallelismi archetipici tratti della tragedia classica, Eliot intende sottolineare il netto contrasto fra gli elementi mitici che forniscono l’ordine fondamentale della vicenda e le immagini di disgregazione sociale che si associano alla vita moderna, mettendo in luce quel profondo senso di vuoto morale che il poeta vede come aspetto caratteristico della contemporaneità.

Il mito antico anche se spesso non riconoscibile in maniera immediata nelle trame messe in scena dall’autore rappresenta per Eliot una sorta di guida personale e agisce come contrappunto che gli permette di dare forma alla sua nuova creazione letteraria. 18 In un’intervista del 1959, rilasciata da Eliot a Donald Hall per The Paris Review, spiega con chiarezza le modalità con cui affronta la trattazione del mito nelle sue opere teatrali:

But I wouldn’t like to refer to my Greek originals as models. I have always regarded them more as points of departure. […] I have tried to take the Greek myth as a sort of springboard, you see. After all, what one gets essential and permanent, I think, in the old plays is a situation. You can take the situation, rethink it in modern terms, develop your own characters from it and let another plot develop put of that. Actually, you get further and further away from the original.19

L’autore prende le mosse dalla situazione generale del mito e lo trasforma spesso rendendone difficoltoso l’immediato riconoscimento, e utilizza ciò che resta da questo tipo di operazione inserendolo in modo quasi ‘furtivo’ in un contesto realistico.

18 Hugh Dickinson, Myth on the Modern Stage, Chicago, University of Illinois Press, 1969, cap. VII, ‘T.S.Eliot: the subjective correlative’, pp.207-211.

19

Donald Hall, ‘The Art of Poetry: T.S Eliot,’ in The Paris Review, XXI, (spring –summer, 1959), p. 61- 73.

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2.4. L’approccio postmoderno.

In questa sezione della mia indagine cercherò di mettere in luce le modalità specifiche che caratterizzano il fenomeno della riscrittura della tragedia classica nel trentennio compreso fra gli anni Settanta e Novanta attraverso l’ illuminante confronto con le diverse linee di tenedenza assunte da questa stessa operazione nella prima parte del secolo, approfondendo in primo luogo alcune riflessioni già proposte nelle precedente capitolo in relazione all’esempio di T. S. Eliot, e cercando in seconda istanza di mettere in luce gli approcci radicalmente diversi che separano questi due momenti storici nel passaggio fra la prima e la seconda metà del Novecento.

Il primo fattore che è necessario registrare per descrivere le modalità dominanti adottate nei rifacimenti moderni di opere tragiche classiche da registi e drammaturghi del secondo Novecento è senza dubbio un notevole spostamento per quanto riguarda l’atteggiamento assunto nei confronti della tradizione culturale e letteraria del passato, come ho già avuto cercato di mettere in luce nel parlare del rapporto fra riscritture contemporanee e canone tradizionale. Se da un lato, come abbiamo visto prendendo in esame l’approccio modernista, nella prima parte del secolo domina un atteggiamento reverenziale nei confronti del passato e nel caso specifico della tragedia greca classica, questo genere teatrale è visto come opera cruciale per definire e comprendere la cultura occidentale nella sua totalità; dall’altro, questa stessa identità occidentale, a partire dalla seconda metà del secolo, viene messa apertamente in questione dall’emergere di nuovi gruppi sociali e di nuove realtà etniche, portando con sé una necessaria rivalutazione della concezione della tragedia come patrimonio letterario esclusivo del panorama europeo. Alla luce di questo profondo mutamento di atteggiamento nel passaggio fra la prima e la seconda parte del XX secolo, si impone nel trentennio che ho individuato come mio principale oggetto di analisi, una tendenza che si potrebbe descrivere come essenzialmente provocatoria e molto spesso mediata attraverso arma retorica dell’ironia nei confronti del patrimonio della tradizione letteraria,

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56 sottoposto ad un radicale processo di apertura verso nuove prospettive e nuovi approcci.

Spostandomi sul piano tematico, il diverso atteggiamento nei confronti della tradizione nel periodo compreso fra gli anni Settanta e Novanta procede di pari passo con l’affermarsi nei rifacimenti contemporanei di un grado maggiore di eterogeneità che caratterizza il piano dei contenuti e che deriva inevitabilmente dal mutato contesto storico e culturale. Questo tratto tipico della riscrittura dei classici nella contemporaneità non può prescindere dalla necessaria considerazione dei radicali profondi rivolgimenti culturale che riguardano le condizioni epistemologiche e ontologiche della conoscenza prodotti dall’affermarsi del cosiddetto Postmodernismo. Il riferimento a questo complesso movimento di pensiero - per quanto possa rappresentare una nozione di difficile definizione - permette di prendere in considerazione le sfide epocali che l’uomo occidentale si trova a dover affrontare nel passaggio fra prima e seconda metà del secolo e che gli impongono una completa revisione dei parametri conoscitivi attraverso i quali aveva fino a quel momento interpretato la realtà che lo circonda. In questa prospettiva, appare inevitabile che la riproposizione sulle scene internazionali delle opere teatrali classiche prenda parte attiva allo straordinario fermento culturale che domina il panorama della seconda metà del Novecento, teatro di tali profondi cambiamenti da modificare le fondamentali categorie di pensiero dell’uomo moderno in tutti i campi del sapere.

Parallelamente e conseguentemente a tale fenomeno, si assiste in questo delicato momento storico a un processo di progressiva ‘relativizzazione’ dei contenuti che interessa la riscrittura della tragedia classica, dovuto principalmente all’apertura di nuove prospettive sociali e culturali che si affermano nella seconda parte del secolo in cui la caduta dei secolari imperi coloniali si impone come fattore determinante.

Il livello di analisi di tipo tematico non è il solo elemento di netta distinzione che allontana le due contrapposte posizioni. Nel passaggio fra la prima e la seconda metà del secolo, non si assiste soltanto a un cambiamento relativo alle tematiche affrontate attraverso il riferimento ai testi classici, ma a un livello più profondo,

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57 ciò che muta in modo sostanziale sono le modalità con cui drammaturghi e scrittori si servono della fonte antica per veicolare forme e contenuti nuovi. Per comprendere le trasformazioni radicali che coinvolgono il rapporto degli scrittori contemporanei con il patrimonio della tradizione teatrale classica dal punto di vista dell’utilizzo formale della fonte antica nei rifacimenti moderni, è necessario partire dal confronto con le produzioni precedenti legate alla temperie modernista. Al di là delle differenze sostanziali fra i singoli contribuiti attraverso i quali gli autori della prima metà del XX secolo hanno affrontato il rapporto con il patrimonio teatrale della Grecia classica, è possibile rintracciare una linea di tendenza costante che accomuna tutti i rifacimenti moderni, anche quando lo scrittore rielabora con grande libertà il materiale di partenza. Soffermandoci sul caso degli artisti appartenenti alla cosiddetta generazione ‘modernista’ nell’accezione usata da McDonald, l’aspetto che immediatamente attrae l’attenzione è rappresentato dal fatto che dal punto di vista dei contenuti portati sulle scene le trame si discostano solo limitatamente dalle linee generali del mito, anche se come ho già avuto modo di osservare, spesso si legano a nuove implicazioni e approcci inevitabilmente determinati dal contesto storico e culturale nel quale prendono forma. Come spiega Angela Belli:

Beneath the surface details, however, the order of the myth is visible, moulding and unifying the continuum of the stage action. There is no guessing concerning the dramatic future; the story will unfold predictably, inevitably, as it has done for century. All the interest is concentrated in the surface details. We are concerned not with what will happen next but how it will happen, for in those details is revealed the dramatist’s highly personal view of the oft-told story.20

Assumendo l’analisi proposta da Angela Belli come punto di partenza della mia riflessione, emerge con chiarezza l’elemento caratteristico che connota il rapporto fra gli autori della prima metà del secolo e i testi della tradizione teatrale classica. L’impianto di base della tragedia antica rimane sempre riconoscibile e presente nel rifacimento moderno nei quali agisce come ‘struttura’ pronta ad accogliere contenuti e temi che si pongono su un piano che si potrebbe definire ‘universale’.

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58 Come abbiamo visto avvenire senza eccezione, nella breve analisi del fenomeno proposta nei paragrafi precedenti, gli autori moderni si sono serviti dello scheletro narrativo del mito per esprimere il loro interesse per tematiche etiche e metafisiche, come la natura profonda dell’uomo nei suoi rapporti con i suoi simili, il suo ruolo nell’universo e le forze che all’interno di questo stesso universo lo sovrastano e influenzano inevitabilmente il suo destino.

Muovendo da questi presupposti già chiariti nella sezione precedente e nel tentativo di proporre un confronto dialettico fra prima e seconda parte del XX secolo, risulta illuminante l’analisi proposta da Marianne McDonald nel suo testo precedentemente citato Ancient Sun, Modern Light, in cui l’autrice prende in esame alcuni fra i più significativi rifacimenti di testi teatrali classici negli ultimi decenni, dal contributo di Tony Harrison, alle produzioni del regista americano Peter Sellars e alle innovative opere dell’autore giapponese Tadashi Sukuki. McDonald scrive:

Esiste una nuova generazione di artisti che ripropongono la tragedia greca ed essa dovrebbe venire paragonata alla generazione precedente: Anouilh, Jean-Paul Sartre, Jean Giraudoux crearono grandi drammi da Eschilo, Sofocle e Euripide. È utile, credo, definirli modernisti e chiamare il mio gruppo – Suzuki Tadashi, Peter Sellars, Heiner Müller, Tony Harrison, Thomas Murphy e vari drammaturghi africani – postmoderno. Per la precedente generazione le tragedie greche servivano ancora da schemi; gli autori le tenevano in mano e ricavavano il loro dramma in base alla frizione creata con la propria drammaticità. L’attuale generazione non vede uno schema, né un senso nella sofferenza. Questi registi possono solo mostrarci, scena dopo scena, la stessa sofferenza. La differenza quindi è che i modernisti potevano ancora creare dei collage con i frammenti del passato, ma noi non possiamo; per noi tutto è solo pezzi.21

L’inizio del nuovo secolo si apre all’insegna di una diffusa consapevolezza della crisi irrevocabile delle certezze europee che investe tutti i campi della cultura e della scienza. I valori e i punti di riferimento sui quali la società europea del secolo precedente aveva costruito le proprie fondamenta ideologiche sembrano tramontare inesorabilmente sotto la spinta di un generalizzato sentimento di relativismo epistemologico – è l’epoca in cui grandi pensatori e uomini di scienza come Freud, Bergson e Einstein pubblicano e diffondono i loro principali

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59 contributi scientifici e culturali, influenzando profondamente la concezione del mondo e la mentalità dell’individuo all’indomani dell’inizio del nuovo secolo - che mina la basi della coscienza europea nelle sue radici più profonde. Tuttavia, pur partendo da queste premesse, per artisti e intellettuali del primo Novecento rimane costante la possibilità di individuare una qualche forma di ‘ordine’ ben definito all’interno delle proprie opere, che nello stesso tempo non mancano di esprimere questo caotico insieme di stimoli e tendenze rappresentato dal panorama culturale dell’inizio del XX secolo. Per i drammaturghi di questa generazione è ancora possibile rintracciare una struttura, un pattern capace di organizzare in modo organico e compiuto i significati trattati. Questo ordine può manifestarsi nelle opere dei cosiddetti autori ‘modernisti’ sotto forme molto diverse, come struttura interpretativa tratta dalla psicanalisi – come avviene ne La Machine Infernale di Jean Cocteau o in Mourning Becomes Electra di Eugene O’Neill – oppure come tentativo di illustrare determinate posizione di tipo religioso e filosofico – è il caso di The Family Reunion e da Les Mouches di Sartre – o ancora come volontà di esprimere l’idealismo del nuovo ribelle espressa dalle eroine mitiche riportate sulle scene in Antigone di Jean Anouilh e in Electre di Jean Giraudoux. La base di partenza assunta da tutti questi autori resta comune ed è rappresentata dalla possibilità di ritrovare una forma d’ordine nel patrimonio letterario del passato capace di conferire struttura e significato al materiale rielaborato.

Sarà proprio questa possibilità di individuare uno ‘schema’, secondo la definizione proposta da Marianne McDonald, nel materiale tratto dal patrimonio teatrale della tradizione classica a venire meno per i drammaturghi della seconda metà del Novecento. Questo aspetto rappresenta il terreno di allontanamento più evidente fra la prima e la seconda generazione di artisti che si rivolgono alla tragedia classica per esprimere e veicolare nuovi contenuti.

Nei rifacimenti appartenenti alla seconda metà del XX secolo questa possibilità di conferire una struttura ordinata ai contenuti espressi scompare del tutto e la ragione profonda di questo mutamento risiede proprio nell’impossibilità trovare

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60 una forma di ordine nella vita contemporanea. Ancora una volta l’attenta analisi di Marianne McDonald risulta chiarificatrice:

I drammaturghi [...] richiamano la nostra attenzione su particolari fenomeni – guerra, violenza carnale, omicidio – ma non suggeriscono mai che ci sia qualcosa dietro o al di là di quel fenomeno. Semmai, i loro rifacimenti traggono la propria forza da una specie di ripetizione teatrale stilizzata, raramente attraverso un realistico svolgimento cronologico, e mai attraverso la trascendenza. [...] Questi interpreti moderni fanno ciò che deve fare un drammaturgo: dipingere il mondo in cui viviamo. Il mondo che dipingono è frammentario; cospargono la scena con i detriti

della vita moderna”22

L’autrice mette in luce con grande efficacia un aspetto centrale che caratterizza i testi degli ultimi trent’anni, rappresentato dal continuo e in alcuni casi quasi ossessivo riproporsi di immagini di violenza e sofferenza – due elementi imprescindibili per descrivere l’esperienza contemporanea – in cui viene completamente meno ogni disegno capace di organizzare il materiale tematico all’interno di uno schema formale coerente. I rifacimenti della tragedia classica non possono che presentarsi nella forma di frammenti e brandelli che, attraverso i testi dell’antichità, parlano della e alla vita contemporanea e che si susseguono sulla scena senza che sia possibile ricondurli ad una struttura definita.

A questo punto dell’analisi è tuttavia, a mio avviso, necessario inserire un chiarimento relativo a questa posizione. La mancanza di uno ‘schema’ capace di ricomporre la natura frammentaria dei rifacimenti moderni all’interno di uno stato d’ordine non entra affatto in contraddizione con lo stretto legame che intercorre fra questo tipo di riscrittura e l’interesse per tematiche di attualità politica e sociale che ho definito come uno dei nuclei tematici di maggior rilievo – almeno fino ai primi anni Novanta – della produzione teatrale di questo arco temporale. Se da un lato, infatti, i testi rielaborati da artisti e drammaturghi della seconda generazione comunicano significati e contenuti che ci parlano e descrivono il presente, spesso legandosi a prospettive apertamente politiche, dall’altro, questo tipo di operazione non può che avvenire attraverso quella che può essere identificata come la forma espressiva caratteristica, la ‘poetica’

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61 dominante della contemporaneità, quella del frammento. L’assenza di una struttura - sul piano formale - che imponga un ordine al caotico insieme di immagini, motivi e temi che costituiscono l’orizzonte di riferimento con il quale l’individuo moderno si deve relazionare sia nella quotidianità che sulla scena - non implica affatto l’assenza di un significato di fondo al livello dei contenuti. Il rapporto fra i due diversi piani deve piuttosto essere concepito come un legame di reciproca e necessaria dipendenza: quei determinati contenuti di disgregazione e caos richiedono al drammaturgo contemporaneo di esprimersi proprio attraverso quella poetica del frammento, quasi creando una sorta di equivalenza fra la frammentarietà della forma e quella stessa disorganicità e scomposizione che costituiscono la marca caratteristica dell’esperienza contemporanea.

Questa importante precisazione rende marginali e secondarie le obiezioni mosse nei confronti delle operazioni di riscrittura delle opere del teatro classico da una parte della critica postmoderna più radicale che ha sostenuto la totale inutilità e l’impossibilità strutturale di costruire orizzonti di significato all’interno di un’opera letteraria, data la necessaria astensione da parte di scrittori e intellettuali del secondo Novecento da ogni tentativo di imporre una qualche forma di ordine alla realtà circostante. Questa parte della critica postmoderna è arrivata a negare la possibilità stessa di riscrivere e rielaborare i testi tragici antichi che per loro natura entrano in aperto conflitto con la totale mancanza di senso della società contemporanea.23 In questa prospettiva, il genere stesso della tragedia appare come una contraddizione in termini per il drammaturgo contemporaneo proprio

23 Il critico belga Freddy Decreus che si è occupato del rapporto fra riscrittura della tragedia classica e postmoderno fa riferimanto a queste posizioni radicali spiegando che: “[…] radical Pomodernists shared the convinction that constructing a world was pointless: it was both impossible and useless to try to establish some hierarchical order and some system in choosing priorities in life (Deafman Glance; Philoctetes Variations; Medeamaterial). Abstention from interpretation in what several postmodernist writers explicitly required from their spectators. Just enjoy the bits and pieces, free yourself, don’t look for central meaning. In the opinion of those radicals, writing a PoMo Greek ‘tragic’ tragedy is impossible and useless, it is even a contradictio in terminis, since tragedy as such is a category finally aiming at elucidation and interpretation. All they wanted to do was turning tragedy into a form of the grotesque and the absurd.” Cfr. ‘Staging

classical tragedies in a modernist and postmodern world. An impossible or necessary mission?’,

February 2003, Open University, p. 3, l’articolo è disponibile in formato elettronico:

http://www2.open.ac.uk/ClassicalStudies/GreekPlays/e_archive/2003/decreus.htm, visitato il 27/03/2009.

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62 perché questo tipo di testo teatrale antico aspira tanto nel passato quanto nel presente a fornire una spiegazione, delineando nello sviluppo dell’azione drammatica un’interpretazione generale della vicenda portata in scena. Se in alcuni casi, questo tipo di operazione di negazione di qualsiasi struttura di senso è portato a compimento trasformando la tragedia in una forma grottesca e assurda – un esempio di questa tendenza è rappresentato dalla parodia della trilogia dedicata al personaggio di Edipo, riscritta da John Barth, Taliped Decanus – nella maggior parte degli esempi di rifacimenti di tragedie classiche che si servono dei linguaggi tipici del postmoderno, scomponendo e decostruendo la forma tragica tradizionale ridotta a frammenti e brandelli, la natura discontinua e sconnessa di questi testi è tuttavia sempre ricondotta a un significato di fondo che in molti casi si lega a tematiche di attualità politica e sociale e che intende sempre farsi veicolo espressivo del mondo contemporaneo altrettanto frammentato e scomposto quanto la superficie formale dei testi teatrali di questi anni.

La frammentarietà che caratterizza la modernità e di riflesso rifacimenti contemporanei è registrata anche attraverso i profondi cambiamenti del clima intellettuale generale che attraversa una fase di grande fermento grazie all’innesto di nuovi movimenti di pensiero e approcci teorici, dal Decostruzionisimo, passando per il New Historicism per arrivare ai Cultural Studies, che – senza scendere nei particolari di una descrizione approfondita che ci allontanerebbe dal nostro centro di interesse principale – mettono in discussione quella pretesa di centralità e di assoluta validità del logocentrismo alla base della cultura occidentale. Tutti questi spunti di riflessione sono accolti dal Postmodernismo e concorrono a segnare una trasformazione epocale della ‘struttura del sentire’ dell’uomo contemporaneo, determinata dalla consapevolezza di non poter aspirare ad alcuna rappresentazione unitaria del mondo che non può più essere descritto come totalità significante costruita su collegamenti e su nessi razionalmente definiti, ma solo come serie di frammenti in perpetuo

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63 movimento.24 Il movimento postmoderno prende avvio da questo senso di profonda sfiducia nei confronti di tutti i linguaggi universali e totalizzanti che aspirano a descrivere e definire il mondo nei termini di un sistema razionale completo in cui ogni singolo aspetto della realtà trova una sua precisa collocazione e spiegazione. Partendo da questo sentimento di netto rifiuto di ogni tentativo di spiegazione e organizzazione razionale dell’universo umano, il Postmodernismo segna la fine di ogni forma di ‘metanarrazione’ - per dirla con Eagleton - termine riferito dall’autore a tutte quelle interpretazioni teoriche suscettibili di applicazione universale, che hanno da sempre fondato e legittimato l’illusione di una storia umana universale.25 Il movimento postmoderno parte dai medesimi presupposti di sfiducia epistemologica alla base della sperimentazione modernista, estremizzandoli fino a raggiungere un livello di massima esasperazione. Se tuttavia nel caso della drammaturgia del primo Novecento l’artista cerca ancora con tenacia una forma di ordine, il Postmoderno al contrario accetta e anzi concepisce come proprio naturale orizzonte di riferimento la frammentazione, la discontinuità, il caos, il cambiamento continuo e repentino. La differenza fondamentale risiede nel fatto che questa nuova generazione di artisti e intellettuali rinuncia a cercare di superare o contrastare questo stato di frammentazione caotica della realtà in cui l’esperienza non è altro una serie di attimi presenti non collegati fra loro, evitando ogni tentativo di definire gli elementi universali ed eterni in grado di fornire una spiegazione totalizzante della realtà, come invece avveniva per la generazione precedente. Da questo punto di vista, intellettuali e artisti legati al movimento postmoderno prediligono aspetti come l’eterogeneità, la frammentazione, l’indeterminatezza, la discontinuità come segni caratteristici della propria poetica.

Tenendo presenti questi aspetti, è possibile valutare l’influenza esercitata da questa corrente di pensiero sul mondo del teatro. Nelle più recenti produzioni teatrali legate all’ambito del Postmoderno, viene meno l’attenzione per la

24 Cfr. David Harvey, The Condition of Postmodernity, Cambridge and Oxford, Basil Blackwell, 1989, p.72 (ed. it. La crisi della modernità, Milano, Il saggiatore, 1993, cap. 3, ‘Postmodernismo’).

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64 ‘fabula’ intesa come ordine logico e cronologico attribuito alla trama, e l’interesse si sposta sulle possibilità espressive offerte dalle operazioni di decontestualizzazione, di scardinamento dei meccanismi narrativi tradizionali, di discontinuità rispetto al testo fonte. Il punto do approdo di queste operazioni è la creazione di pastiche irriverenti, di collage di materiali incompatibili ed eterogeni, che permettono agli intellettuali del secondo Novecento di appropriarsi della tradizione culturale del passato, attraverso la citazione, l’estrapolazione dal contesto originario, l’accumulazione e la ripetizione di immagini e motivi già esistenti, nella consapevolezza che tutto sia ormai già stato detto e che il compito del artista contemporaneo si riduca a riprodurre le opera del passato e non più produrre in modo autonomo e originale.26

Tutti questi impulsi sono raccolti e rielaborati dai rifacimenti moderni dei testi teatrali classici che utilizzano in modo sistematico tecniche tipiche del Postmoderno, come la frammentazione appunto, ma anche l’ironia, l’ibridazione dei generi, la contraddizione, il riuso e mescolamento di materiale di disparata ed eterogenea provenienza, delle quali gli autori contemporanei si servono per trasformare le tragedie classiche dalle quali partono in “revisioni ironiche e frammentarie del passato e della cultura occidentale”,27 capaci di imporsi come “one of the most important cultural and aesthetic prisms through which the real, dysfunctional, conflicted world of the late twentieth and early twenty-first centuries has refracted its own image.” 28

26 Cfr. Harvey, op. cit., p. 76

27 Freddy Decreus, ‘Staging classical tragedies in a modernist and postmodern world. An

impossible or necessary mission?’, cit., p. 3.

28 Edith Hall, ‘Why Greek Tragedy in the Late Twentiet Century?’ in Edith Hall, Fiona Macintish and Amanda Wrigley (editors), Dionisus 69. Greek tragedy at the Dawn of the Third Millenium, New York, Oxford University Press, 2004, cap. I, p. 2.

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