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Capitolo 6

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Academic year: 2021

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Capitolo 6

PROCESSI FISICO-BIOLOGICI

Introduzione

Com’è stato descritto nei capitoli precedenti, il trattamento dei reflui in questo impianto, comporta l’alternanza di varie fasi che sfruttano diverse metodologie. La scelta delle varie fasi è dovuta alla ricerca di poter creare un’acqua particolarmente priva di inquinanti. Infatti, la presenza di filtri a sabbia, seguiti da filtri biologici e da carboni attivi granulari, fanno capire come è “spinta” la depurazione in questo impianto, dove l’acque in entrate sono già state precedentemente trattate dai depuratori di Cecina e Rosignano.

In questo capitolo affronterò approfonditamente il funzionamento della vasca di trattamento biologico e i filtri a Carbone Attivo Granulare (GAC), in quanto sono le zone di trattamento più suscettibili a variazioni e quelle più importanti per quanto riguarda l’eliminazione degli inquinanti organici e non.

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6.1 Processo a Biomassa adesa

La fase più importante, per quanto riguarda l’eliminazione degli inquinanti organici, è l’uso di colonie batteriche che si sviluppano sotto forma di pellicola su un adeguato supporto; questo trattamento prende il nome di processo a biomassa adesa.

A differenza dei normali processi a fanghi attivi, la biomassa non è sospesa nel refluo che si va a trattare, ma rimane nel reattore finché non intervengono fenomeni di distacco della pellicola, fattore strettamente connesso al metabolismo dei batteri.

Ciò consente di svincolare il tempo di permanenza della biomassa all’interno del reattore dal regime idraulico.

All’interno dei biofilm avvengono due tipi di processi, uno fisico e uno di tipo chimico, che insieme, partecipano alla rimozione della sostanza organica.

Si possono infine riassumere brevemente i vantaggi che portano a scegliere questo tipo di processo.

• Bassi consumi energetici • Semplice gestione

• Nessun problema di sedimentabilità del fango • Migliori proprietà di ispessimento dei fanghi • Minori fabbisogni di manutenzione

• Miglior recupero da shock tossici

In particolare la scelta di questa fase, prima dei filtri a carbone attivo granulare, è supportata dal fatto che si vuole gravare il meno possibile sui successivi stadi per non caricarli eccessivamente e poter avere così una più lunga durata di questi.

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PROCESSO FISICO

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(Foto tratte dal sito internet: http://www.ing.unitn.it/~ferraim/Biomassa%20adesa.pdf )

La fase di trattamento biologico, probabilmente, si troverà in condizioni di bassa concentrazione di BOD poiché il refluo deriva già da altri impianti di trattamento che per legge (D.Lgs n. 152 del 11 maggio 1999) l’acqua in uscita non deve avere valori di BOD superiori a 25 mg/l.

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6.1.1 Fenomeni diffusivi nei processi a biomassa adesa

La pellicola biologica sviluppata sul supporto può raggiungere spessori considerevoli (fino a 3 – 4 mm), quindi i fenomeni diffusivi influenzano notevolmente la velocità di rimozione del substrato organico.

Tutti i reagenti devono infatti diffondere dal liquame all’interno della pellicola e i prodotti formatisi devono compiere il percorso inverso, determinando una serie di fenomeni chimico-fisici ciascuno dei quali potenzialmente limitante per la velocità di rimozione del substrato.

In Figura 24 sono rappresentati schematicamente i fenomeni diffusivi che intervengono nel processo.

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6.1.2 Velocità di rimozione del substarto

Si fanno le seguenti ipotesi restrittive:

• l’ossigeno non esercita un’azione limitante nel processo;

• si trascura la resistenza diffusiva nel film liquido (quindi la concentrazione del substrato S all’interfaccia liquame–pellicola può essere assunta pari a quella del liquame).

Il trasporto del substrato all’interno della pellicola avviene per diffusione molecolare ed è accompagnato da una progressiva rimozione del substrato stesso che avviene ad una velocità ri detta “intrinseca”.

Se la reazione biologica segue la cinetica di Michaelis–Menten si può scrivere:

ri =

(

K S

)

S r s + ⋅ max dove:

ri = velocità intrinseca di rimozione del substrato all’interno della pellicola

biologica, espressa in termini di massa rimossa nell’unità di tempo per unità di volume di biofilm [

(

m3giornog

)

];

rmax = velocità massima di rimozione del substrato a 20°C;

S = concentrazione del substrato [mg/l]; Ks = costante.

Le resistenze diffusive all’interno della pellicola possono determinare gradienti di concentrazione che influiscono sulla velocità di rimozione del substrato, facendola variare da punto a punto. La cinetica della reazione globale può di

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ri = K1 · S

dove K1 è la costante di velocità per la reazione del primo ordine (dimensioni:

tempo-1).

Si può dimostrare che una cinetica del primo ordine per la reazione biologica all’interno di una pellicola soggetta a limitazioni diffusive, comporta una cinetica del primo ordine anche per la reazione globale, con velocità tuttavia minore secondo un coefficiente ε ≤ 1, detto fattore di utilizzazione:

ra = K1 · L · S’ · ε

dove:

ra = velocità globale di rimozione del substrato all’interno della pellicola

biologica, espressa in termini di massa rimossa nell’unità di tempo per unità di superficie di biofilm

(

m2giornog

)

;

L = spessore della pellicola biologica [ m ];

S’ = concentrazione del substrato nel liquame [g/m3] ,avendo trascurato la

presenza del film liquido.

La necessità di introdurre il fattore di utilizzazione ε è spiegata dal fatto che nella pellicola biologica la reazione avviene a concentrazioni via via minori, infatti la biomassa situata negli strati più profondi della pellicola, opera secondo una velocità minore rispetto a quella situata negli strati più esterni, caratterizzati da una maggiore concentrazione del substrato.

Se invece la reazione intrinseca all’interno della pellicola segue una cinetica di ordine zero, rvi può essere espressa come:

rvi = K0

dove K0 è la costante di velocità per la reazione di ordine zero.

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ammoniacale (nel processo di nitrificazione) e per l’azoto nitrico (nel processo di denitrificazione).

Se la concentrazione del substrato non si annulla all’interno dello spessore della pellicola biologica, la reazione globale è ancora di ordine zero, in quanto tutto il biofilm collabora alla rimozione del substrato alla medesima velocità.

Si può scrivere quindi:

ra = K0 · L

In questo caso si parla di biofilm sottile o di biofilm completamente penetrato dal substrato.

Se invece il substrato è presente solo nella parte esterna della pellicola fino ad una profondità L’<L si parla di biofilm spesso o di biofilm parzialmente penetrato. L’espressione della velocità globale di rimozione del substrato è in questo caso:

ra = K1/2 · S’1/2

dove:

K1/2 = (2 · D · K0)1/2 costante di velocità della reazione globale (D è il coefficiente

di diffusione).

Quindi in un biofilm penetrato parzialmente, la reazione globale è di ordine 1/2 rispetto alla concentrazione del substrato. Inoltre la velocità di rimozione superficiale risulta indipendente dallo spessore del film biologico; essa dipende invece unicamente dalla superficie della pellicola (e quindi dei supporti) e non cambia all’aumentare della biomassa presente nel reattore.

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In Tabella 4 si riportano sinteticamente le considerazioni fatte sugli aspetti cinetici del processo di rimozione biologica.

Ordine della Condizioni di Velocità della Ordine della

reazione intrinseca penetrazione reazione globale (ra) reazione globale

primo completa K1 · L · S' · ε primo: la velocità

dipende da L

zero completa K0 · L zero: la velocità

(biofilm sottile) dipende da L

zero parziale K1/2 · S' 1/2 1/2: la velocità è

(biofilm spesso) indipendente da L

Tabella 4 - Aspetti cinetici di rimozione biologica del substrato

La teoria semplificata, riassunta nella Tabella 4, non è applicabile direttamente al caso reale a causa delle ipotesi restrittive fatte.

In particolare:

• le reazioni biologiche che si svolgono nelle pellicole coinvolgono quasi sempre più di un substrato;

• la velocità di rimozione globale può essere influenzata da limitazioni diffusive dei cataboliti che si formano nella pellicola e che devono diffondere verso l’esterno;

• il modello teorico è valido solo per substrati solubili nel biofilm;

• la miscelazione del substrato nel liquame non sempre è uniforme, di conseguenza la concentrazione del substrato può variare da punto a punto;

• nei processi a biomassa adesa, dove la velocità del mezzo liquido è bassa, non è possibile trascurare l’effetto del film liquido che separa il liquame dal biofilm.

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Nel caso più reale, cioè, in ogni reazione biologica di ossidoriduzione si coinvolgono almeno due substrati: un agente ossidante ed uno riducente: ossigeno e substrato organico diffusibile nel biofilm nel caso di rimozione della sostanza organica; ossigeno e azoto ammoniacale nel caso della nitrificazione; azoto nitrico e substrato organico solubile nel caso della denitrificazione.

Se la cinetica della reazione globale è di ordine zero e se la pellicola è completamente penetrata, nessuno dei due substrati è limitante.

Se invece la pellicola è solo parzialmente penetrata da uno dei due substrati (condizione di biofilm spesso) questo diventa limitante, in quanto solo una parte della pellicola biologica (lo strato più esterno) è attiva, mentre negli strati più profondi, la mancanza di uno dei due reagenti rende impossibile la reazione.

Si tratta di determinare quale dei due substrati sia limitante.

La condizione per cui si ha la transizione tra limitazione dovuta al substrato uno e quella dovuta al substrato due è quella per cui è uguale la profondità di penetrazione dei due substrati nella pellicola.

Vale quindi l’uguaglianza:

2 1 ' ' S S =

(

)

1 2 , 1 2 D f D

dove f1,2 rappresenta il rapporto stechiometrico tra i due substrati nella reazione

biologica che li coinvolge.

Il rapporto S1’ / S2’ è detto rapporto critico all’interfaccia. Per valori più piccoli di

tale rapporto, è il substrato uno ad essere limitante e la velocità della reazione globale calcolata rispetto ad esso è:

ra,1 = K1/2,1 · (S1’) 1/2

viceversa per valori più grandi di tale rapporto, è il substrato due ad essere limitante.

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6.1.3 Processo di rimozione biologica della sostanza organica e dell’Azoto

Il contenuto di sostanza organica di un liquame è caratterizzato mediante il BOD (biochemical oxygen demand) e il COD (chemical oxygen demand).

Il BOD (mg/l) è definito come la quantità di ossigeno richiesta dai batteri aerobici per metabolizzare la sostanza organica biodegradabile presente nel liquame, mentre il COD (mg/l ) rappresenta la quantità di ossigeno richiesta per ossidare chimicamente (con K2Cr2O7 e H2SO4) tutta la sostanza organica presente nel

liquame.

Il COD quindi, oltre che della sostanza ossidabile per via biologica, tiene anche conto della sostanza ossidabile solo per via chimica.

La depurazione delle acque avviene grazie ad alcune specie di microrganismi che, per svolgere le loro attività metaboliche, usano la sostanza organica presente nel liquame.

I microrganismi comunemente presenti nei liquami provenienti da aree urbane sono una massa eterogenea di origine fecale, dove predominano i batteri saprofiti; molto minore è la presenza di alghe, funghi e protozoi.

Va in ogni caso ricordato che le caratteristiche chimiche dei composti presenti nel liquame influenzano la tipologia di specie viventi all’interno dei reattori biologici. Per fare alcuni esempi un liquame ricco di carboidrati favorisce la crescita della specie Pseudomonas, mentre un liquame ricco di proteine favorisce la predominanza delle specie Flavobacterium e Bacillus (Scholz, e Martin, 1997). Il processo di ossidazione della sostanza organica porta allo sviluppo di CO2 e

H2O ed alla sintesi di nuove cellule batteriche; il meccanismo di reazione si

articola in tre stadi principali:

• l’ossigeno e le sostanze organiche presenti nel liquame penetrano all’interno della pellicola biologica dove risiedono le colonie batteriche;

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che attaccano le molecole organiche complesse trasformandole in altre più semplici da metabolizzare;

• il materiale organico viene ossidato per produrre energia cellulare secondo la reazione:

CxHyOz + (x + 1/4y - 1/2z)O2 → xCO2 + 1/2yH2O

e contemporaneamente si ha la sintesi di nuova massa cellulare secondo la reazione: CxHyOz + NH3 +       + 5 2 1 4 1 z y x O2 → C5H7O2N + (x - 5)CO2 + 2 1 (y-4)H2O

Se il rapporto tra la sostanza organica presente nel liquame e la biomassa diminuisce, i microrganismi si riproducono a spese della massa cellulare, determinando il processo di respirazione endogena o autossidazione.

In Figura 25 è schematizzato il processo di rimozione della sostanza organica all’interno di una pellicola biologica parzialmente penetrata dall’ossigeno (condizione di biofilm spesso). In questa rappresentazione si tiene quindi conto anche di una zona anossica dove si instaurano processi di tipo anaerobico che regolano tra l’altro il distacco periodico della pellicola dal supporto.

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Figura 25 - Schematizzazione del processo di rimozione biologica della sostanza organica.

Per quanto riguarda l’Azoto, la presenza di questo elemento nelle acque reflue è imputabile alla normale attività metabolica e all’impiego di svariate quantità di detergenti di uso domestico.

L’azoto può trovarsi in due forme diverse:

• N-organico: comprende l’azoto legato a composti organici (proteine, urea). La sua presenza nelle acque è dovuta principalmente a sostanze di origine animale o vegetale quali amminoacidi, polipeptidi, proteine e urea. Mediamente, nel liquame in ingresso ad un impianto di depurazione, la frazione di N-organico presente rappresenta solo il 25% circa dell’azoto totale.

• N-inorganico: l’azoto ammoniacale rappresenta la principale forma di azoto inorganico riscontrabile nei liquami sia per sversamento diretto da scarichi industriali sia come risultato della decomposizione dell’urea, oltre che come prodotto della decomposizione anaerobica delle proteine. Un

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liquame è quindi in proporzione tanto più ricco di ammoniaca quanto più lungo è il tempo di scorrimento nel sistema fognario: nel tempo, infatti, hanno luogo le reazioni biologiche di degradazione che stanno alla base della trasformazione dell’azoto organico in inorganico, tanto che per liquami provenienti da aree urbane non si fa di norma distinzione fra queste due possibili forme di azoto.

La rimozione biologica dell’azoto dai liquami si attua con due processi accoppiati: la nitrificazione e la denitrificazione.

La NITRIFICAZIONE è la trasformazione dell’NH3 in nitrati ad opera di batteri

chemolitotrofi. L’energia necessaria per la loro crescita deriva dall’ossidazione dell’ammoniaca che viene appunto trasformata in nitrito NO2- e del nitrito a

nitrato NO3-. I batteri responsabili della nitrificazione appartengono al genere

Nitrosomas e Nitrobacter aventi forma ovoidale o a bastoncello con la possibilità di essere sessili o mobili. Sono aerobi obbligati e si riproducono ad una velocità proporzionale alla presenza di azoto utilizzabile, alla temperatura e al pH.

In Tabella 5 sono riportati sinteticamente i fattori che influenzano la nitrificazione.

Il processo di nitrificazione può essere schematizzato dalle due seguenti reazioni di ossidazione in serie:

ammonio → nitrito (ad opera dei batteri nitrosomas)

Ammoniaca (NH4+) + O2 + alcalinità → Nitriti (NO2-) + acidità + energia + biomassa;

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Fattori che favoriscono la nitrificazione Fattori che inibiscono la nitrificazione concentrazione di ossigeno superiore a

2 mg/l

concentrazione di ossigeno inferiore a 0,2 mg/l

pH compreso tra 7,2 e 8,5 pH maggiore a 8,5 o inferiore a 7

temperatura tra 20 e 30°C shock termici

carico elevato del fango

rapide estrazioni di biomassa presenza di sostanze tossiche

improvvisi sovraccarichi di azoto ammoniacale che possono ridurre la velocità di nitrificazione

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La DENITRIFICAZIONE è operata da batteri eterotrofi facoltativi (pseudomonas,

micrococcus, bacillus, ecc.), in genere presenti in abbondanza nelle normali fasi biologiche di ossidazione della sostanza organica.

I batteri eterotrofi facoltativi hanno la caratteristica di impiegare una fonte di carbonio esterna (BOD) per ricavare energia, utilizzando sia l’ossigeno disciolto che i composti organici ossidati (nitrati, solfati ecc.) come accettori di elettroni. Questi batteri posti in condizione di anossia, utilizzano i nitrati invece dell’ossigeno per compiere i loro cicli vitali determinando la rimozione dell’azoto sotto forma di N2 gassoso.

La rimozione è possibile solo se si parte da azoto in forma nitrica quindi i processi di nitrificazione e denitrificazione devono sempre essere accoppiati. La rimozione dell’azoto avviene secondo due possibili meccanismi:

Produzione di energia (denitrificazione dissimilatoria): CXHYOZ + NO3 → N2 + CO2 + H2O

Sintesi:

CXHYOZNk → C5H7O2N

La rimozione dell’azoto per denitrificazione dissimilatoria è preponderante rappresentando circa il 90% dell’attività di denitrificazione.

In Tabella 6 si riportano sinteticamente i fattori che influenzano la denitrificazione

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Fattori che favoriscono la denitrificazione Fattori che inibiscono la denitrificazione

assenza di ossigeno presenza di ossigeno (maggiore di 1mg/l)

pH compreso tra 7,5 e 8,5 pH inferiore a 7,3

temperatura tra 5 e 25 °C substrato carbonioso disponibile come

sostanze a basso peso molecolare substrato carbonioso insufficiente

presenza di sostanze tossiche o inibenti elevato rapporto tra sostanza ossidabile

chimicamente (COD) e azoto totale

Tabella 6- Fattori che influenzano la denitrificazione.

In presenza di ossigeno disciolto, se la pellicola biologica è sufficientemente spessa la denitrificazione può avvenire ugualmente, in quanto, mentre un sottile strato superficiale della pellicola si mantiene aerobico, i nitrati possono diffondere in profondità in una zona anossica dove si sviluppa la denitrificazione. In questo caso sono coinvolti tre substrati: l’azoto nitrico, l’ossigeno e la sostanza organica solubile. La situazione è illustrata in Figura 26.

Negli strati superficiali della pellicola biologica avviene l'ossidazione aerobica della sostanza organica mentre l'azoto nitrico penetra all'interno della pellicola biologica senza essere consumato (ne deriva la non contemporaneità delle due reazioni di ossidoriduzione dovuta alla preferenza per l'utilizzo dell'ossigeno disciolto da parte dei batteri eterotrofi per motivi energetici).

Quando la concentrazione dell'ossigeno disciolto si annulla si avvia la denitrificazione con utilizzo dell'azoto nitrico per l'ossidazione del substrato

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elettroni.

Figura 26 - Livello di penetrazione in una pellicola biologica spessa in presenza di ossossigeno disciolto.

Nel caso del nostro impianto, con liquami già parzialmente trattati dobbiamo fare un’ultima considerazione. Infatti per quanto riguarda la Nitrifiacazione, possiamo considerare solo la reazione complessiva da ammonio a nitrato, nella quale i due substrati coinvolti sono l’ammonio e l’ossigeno. Ipotizzando una cinetica di ordine zero, si calcola il rapporto critico all’interfaccia e lo si confronta con le reali concentrazioni dei substrati presenti nel liquame, per determinare quale sia il substrato cineticamente limitante:

2 4 ' ' O N NH S S =

(

)

N NH NO NH O D f D − − 4 2 4 2

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dove il rapporto stechiometrico fNH4-N/O2 vale 1/4,3 mg NH4+-N / mg O2 mentre

per i coefficienti di diffusione si possono assumere i seguenti valori: DO2 = 1,7 – 2,2 · 10-4 m2 / d

DNH4-N = 1,5 · 10-4 m2 / d

Per cui il valore del rapporto critico all’interfaccia può variare tra 0,28 e 0,34. Nei reattori biologici a biomassa adesa la concentrazione di O2 disciolto per la

nitrificazione è solitamente compresa tra 5 e 7 mg O2 / l; per questi valori si

ottiene:

S’NH4-N = 1,4 – 2,4 mg NH4+-N / l

valori al di sopra dei quali l’ossigeno è substrato limitante.

Sperimentalmente si nota che la concentrazione di azoto ammoniacale sopra la quale l’ossigeno è substrato limitante è compresa fra 2 e 5 mg NH4+-N / l. La

differenza tra valore sperimentale e teorico è dovuta essenzialmente al fatto che i coefficienti di diffusione possono variare considerevolmente a seconda del tipo di biofilm più o meno compatto.

Nei liquami la concentrazione di azoto ammoniacale è di norma superiore, sia al valore teorico sia al valore sperimentale; quindi nella stragrande maggioranza dei casi l’ossigeno è il substrato limitante.

Ciò significa che la cinetica di nitrificazione è limitata dalla penetrazione dell’ossigeno all’interno della pellicola biologica.

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6.2 Carboni attivi granulari (GAC)

Il carbone attivo granulare presenta una molteplicità di aspetti favorevoli rispetto ad altri tipi di riempimento utilizzati nei bio-filtri:

• Elevata superficie specifica e quindi elevata superficie a disposizione per la crescita batterica.

• Elevata capacità adsorbente nei confronti di numerosi composti. Anche in questo tipo di processo, conserva tale caratteristica, permettendo così di eliminare per adsorbimento quei composti organici difficilmente biodegradabili. Tali composti, grazie a tempi di permanenza più lunghi all’interno del reattore e a specifiche attività enzimatiche, possono essere gradualmente degradati dalla biomassa adesa (si compie di fatto una sorta di rigenerazione biologica del carbone attivo);

• Elevata capacità adsorbente nei confronti di sostanze tossiche che altrimenti andrebbero ad inibire la crescita della massa batterica adesa, conferendo al processo maggiore affidabilità e flessibilità(EPA, 2000). Il carbone attivo granulare (GAC) è un prodotto industriale ottenuto dalla combustione, in assenza di aria, di prodotti vegetali, minerali e animali e poi trattato con vapore ad alta temperatura (800 - 1000°C) per renderlo poroso.

Proprio grazie a questa porosità, che si traduce in elevate superfici specifiche, il carbone attivo granulare acquisisce la proprietà di fissare per adsorbimento specie organiche ed inorganiche.

L’adsorbimento è la proprietà di alcuni materiali di fissare sulla loro superficie delle molecole (gas, ioni metallici, molecole organiche, ecc.) in modo più o meno reversibile.

L’adsorbimento può essere chimico o fisico a seconda che ci sia un vero e proprio legame chimico oppure no ed è superiore per quelle sostanze disciolte nel liquame che presentano solubilità minore.

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trattamento delle acque provenienti dai depuratori di Rosignano e Cecina, avviene nelle porosità più piccole del granulo di carbone attivo, mentre nelle porosità più grandi e sulla superficie esterna del granulo si sviluppa la pellicola biologica.

Il carbone attivo nell’utilizzo biologico svolge quindi più funzioni contemporaneamente:

• costituisce il supporto per la crescita della pellicola biologica dove avviene la rimozione del substrato organico;

• adsorbe le sostanze difficilmente biodegradabili e ne prolunga il tempo di permanenza all’interno del filtro, così che queste possano essere rimosse per via biologica in tempi più lunghi e rimpiazzate da nuove sostanze adsorbibili, con conseguente prolungamento dell’attività e della durata del filtro (questo processo è noto anche come rigenerazione biologica del carbone attivo);

• esercita un’azione di sequestro verso le sostanze tossiche presenti nel liquame che tendono ad inibire la crescita della biomassa.

• aumentando il tempo di permanenza nel filtro di alcune sostanze, determina una sorta di effetto volano che permette alla biomassa di specializzarsi nei confronti del liquame trattato, acquistando così più resistenza nei confronti delle sostanze tossiche (EPA, 2000.).

In Figura 27 si riporta la rappresentazione schematica di un granulo di carbone.

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Figura 27 - Rappresentazione schematica di un granulo di carbone.

La proprietà adsorbente del carbone, è intuibile esaminando la Figura 28, infatti la forma a “nido di vespa” permette una maggiore area di assorbimento e una maggiore capacità di catturare le sostanze presenti nei liquami.

Figura 28 - Fotografia di una parte di carbone e fotografie al microscopio dello stesso. Foto Tratte dal sito Internet (http://ewr.cee.vt.edu/environmental/teach/wtprimer/carbon/sketcarb.html)

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6.2.1 Teoria e proprietà di adsorbimento

Ciò che tiene unite le molecole sono le forze di coesione. Il loro range passa dalle forti forze di valenza alle più leggere forze di Van Der Vaals. Nella fase solida la capacità adsorbente delle molecole diventa evidente, infatti, sono capaci di catturare alcune molecole fluide appena vengono a contatto con la superficie del carbone. Le forze di Van Der Vaals sono la base per l’assorbimento dei costituenti dell’effluente attraverso carboni e sabbia, che sono stati attivati o modificati per migliorare questa interfase d’accumulo dei costituenti liquidi da parte dei costituenti solidi.

Il tasso di rimozione della sostanza rimossa dalla fase liquida (adsorbita) alla fase solida (adsorbente) è indicativo quando, determinando la capacità del carbone, l’effluente viene trattato per circa la metà. (Perrich, 1981)

Attraverso questo processo otteniamo i pori estremamente piccoli, così la superficie di adsorbimento dei carboni diventa più ampia.

Il carbone è detto “attivo” perché denota che è ben sviluppato e la struttura di pori interna è accessibile. L’attivazione è un processo di deidratazione, carbonizzazione e ossidazione del materiale allo stato naturale (UESPA, 1988). La superficie, espressa in m2 per grammo di adsorbente, è chiamata superficie

specifica ed il carbone attivo possiede la più elevata tra gli adsorbenti conosciuti: le qualità più comuni ne possiedono 1000 m2/g, ma le qualità più attive possono

raggiungere i 2000 m2/g.

Una superficie specifica così ampia è il risultato di una porosità molto fine e sviluppata, costituita da pori che hanno dimensioni d’ordine molecolare cioè da qualche decimo di nanometro fino a qualche nm.

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• migliore per la abilità di rimuovere pigmenti colorati come il blu di metilene

• Micropori, i loro pori hanno un diametro di circa 0.000001mm e sono capaci di assorbire piccole molecole.

Il carbone ha una certa durata, dopo di che necessita di riattivazione o sostituzione, il periodo in cui il carbone è funzionale varia dalla quantità e dalle sostanze che devono essere trattate. Esiste una semplice formula che empiricamente ci permette di stabilire la “vita” del carbone.

x/m = K*Ce1/n

x = peso della sostanza organica adsorbita in mg. m = peso del carbone attivo usato in mg.

Ce = peso dell’impurezza rimasta nel fluido trattato in mg./l.

K, n costanti

1/n risulta essere l'inclinazione dell’isoterma

Facendo il logaritmo della funzione possiamo ottenere una corrispondenza lineare tra x/m e Ce detta equazione isotermica di Freundlich, che ci dice quanto

soluto può essere adsorbito dai carboni, (Figura 29).

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L’isoterma di adsorbimento, determinata ad una temperatura costante, rappresenta la quantità di sostanza che si fissa sul carbone attivo, col variare della concentrazione della stessa nel fluido da trattare. Dopo un certo tempo si stabilirà un equilibrio tra le molecole adsorbite e quelle ancora libere. La concentrazione di quelle fissate dipenderà:

· dalla pressione parziale della sostanza adsorbita, se si tratta di un prodotto in fase gassosa ;

· dalla concentrazione della sostanza adsorbita se si tratta di un prodotto disciolto in un liquido ;

· dalla natura polare della molecola organica e dalle caratteristiche della superficie adsorbente.

L’adsorbimento è influenzato da diversi fattori, primo tra i quali la dimensione delle particelle di carbone: usando una stessa qualità di carbone attivo, ma con diversa taglia granulometrica, sebbene il risultato possa essere analogo, il tempo impiegato per l’adsorbimento varia secondo la grandezza dei granuli.

Quando l’acqua, o una soluzione qualsiasi, inquinate con sostanze organiche, attraversano una colonna riempita con carbone attivo, le impurità sono prima adsorbite nello strato superiore, se il flusso è verso il basso.

Lo strato di carbone nel quale avviene la depurazione, e la cui altezza è tanto più piccola quanto più è facile l'assorbimento delle impurità e che in ogni caso deve essere una frazione dell'altezza totale del letto che forma la colonna, viene chiamato "fronte d'adsorbimento".

Via via che si satura, il fronte d'adsorbimento si sposta verso il basso.

Nella zona al di sopra del fronte il carbone è saturo con un tasso di caricamento in equilibrio con la concentrazione d'origine delle impurezze, quindi con il caricamento massimo possibile.

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L'altezza del fronte d'adsorbimento dipende dalle condizioni operative (velocità spaziale, tipo e granulometria del carbone, caratteristiche del fluido e dell'inquinante da eliminare, temperatura del processo).

Quando il fronte di adsorbimento ha raggiunto il fondo della colonna si raggiunge il break point, cioè il punto in cui si comincia ad avere una certa quantità di inquinante nel fluido in uscita dalla colonna e la qualità di depurazione inizierà a diminuire (Figura 30).

E' chiaro che, se la concentrazione di inquinante all'uscita deve essere mantenuta bassa, la saturazione del fronte d'adsorbimento in basso della colonna sarà minore che negli strati superiori e praticamente in equilibrio con la concentrazione finale. Più la colonna di carbone attivo è alta, più a lungo essa potrà rimanere in servizio. Naturalmente un compromesso sarà da ricercare fra altezza di colonna e perdite di carico ammissibili.

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6.2.2 Fattori che influenzano l’adsorbimento dei Carboni Attivi

Il livello di adsorbimento che si può ottenere con i carboni attivi dipende dalla struttura delle molecole e dalla natura dell’effluente. Generalmente si può riassumere:

• Un componente a catena ramificata, è maggiormente adsorbibile rispetto ad uno a catena dritta.

• Il tipo e il luogo in cui si trova un gruppo funzionale condiziona l’adsorbibilità.

• Le molecole che hanno bassa polarità e solubilità, sono adsorbite più facilmente.

• Le molecole di grandi dimensioni sono adsorbite maggiormente rispetto a quelle piccole.

Generalmente i composti inorganici sono adsorbiti da una ampia varietà di componenti, allo stesso tempo però può accadere che altri non siano trattenuti, poiché è varia ugualmente anche la varietà di composti non adsorbiti.

Un modo semplice per comparare l’assorbimento dei differenti contaminanti, è guardare la percentuale di riduzione. Nella Tabella 7 abbiamo messo a confronto due importanti inquinanti derivanti dalle lavorazioni delle industrie petrolchimiche.

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Si capisce molto bene che con l’uso dei carboni attivi (senza trattamenti addizionali) i fenoli sono rimossi maggiormente rispetto alle aniline (Perrich, 1981).

La solubilità, l’alcalinità e la temperatura influenzano il processo di adsorbimento in modo diverso:

La SOLUBILITA’, se aumenta, crea dei problemi, in quanto riduce l’adsorbimento.

Questo è dovuto al fatto che i soluti oppongono l’attrazione al materiale adsorbente. Perciò i gruppi polari che hanno grande affinità con l’acqua solitamente diminuiscono l’adsorbimento delle soluzioni acquose. Questo può essere anche notato dall’alto adsorbimento dei grandi acidi alifatici e degli alcoli, che in parte può essere attribuito alla loro relativa bassa solubilità in soluzioni acquose (Perrich, 1981).

L’ALCALINITA’ in genere è avversa all’adsorbimento da parte dei carboni. Un cambiamento di pH può drasticamente mutare l’effetto di adsorbimento. Un basso pH per esempio promuove l’adsorbimento degli acidi organici, mentre, un alto pH favorisce l’adsorbimento delle basi organiche (Perrich, 1981).

La TEMPERATURA.

In genere il meccanismo di adsorbimento è esotermico (Haghseresht, F., Lu, G.Q.,

1998) e le alte temperature di solito diminuiscono o ritardano il processo. Le basse temperature, invece, favoriscono l’adsorbimento.

(31)

6.2.3 Componenti rimossi dal GAC

I Carboni Attivi Granulari sono affiancati spesso da FBR ( reattore a letto fluido) dove avviene il processo a biomassa adesa.

Questa scelta è dovuta al fatto di non gravare eccessivamente sui carboni evitando il ripristino del materiale adsorbente, con conseguente aumento degli oneri economici.

In oltre risultati di laboratorio mettono in evidenza il fatto che i due processi, insieme, eliminano la quasi totalità dei composti tossici organici e non.

Un modello GAC-FBR fu installato a Buckley, Michigan, per rimuovere contaminanti come BTEX (Benzene, Toluene, Xilene) e TVH (idrocarburi volatili totali).

Efficienza di rimozione dal primo giorno alla prima settimana di trattamento, fu del 99% per BTEX e TVH. Questo alto livello fu dovuto all’adsorbimento, ma l’ossidazione biologica come biofilm sviluppato nel GAC, gradatamente, divenne il principale meccanismo di rimozione. Dopo quaranta giorni le performance del sistema si stabilizzarono ad uno stato stazionario e contaminanti rimossi efficientemente. Constituent Influent (micrograms/L) Effluent (micrograms/L) % Removal Benzene 120 < 1.0 > 99.2 Toluene 1590 3.8 99.8 Xylenes 860 2.2 99.7 BTEX 2570 6.0 99.8 TVH 9420 54 99.4

(32)

rispetto all’inizio, in ogni caso anche a basse concentrazioni il BTEX rimosso rimane intorno al 99% e la concentrazione del Benzene rimane sotto ad un microgrammo / litro.

Il carbone attivo in polvere purifica prodotti chimici, come appena visto, farmaceutici e alimentari e in questo ruolo offre i maggiori benefici in quanto non modifica i prodotti trattati, non apporta sostanze indesiderate ma elimina solamente quelle indesiderate.

L’eliminazione degli acidi grassi liberi nella raffinazione degli oli vegetali e dei

grassi animali viene garantita dall’impiego del carbone attivo in polvere che

consente altresì di trattenere tutte le sospensioni colloidali e quelle impurità responsabili delle alterazioni del gusto e dell’odore.

Per rimuovere le sostanze organiche, può essere usato anche per eliminare ioni inorganici di fluoro e arsenico.

Possiamo dire, che i vantaggi di questo processo si riscontrano nel fatto che sostanze inquinanti (come BTEX, pesticidi etc.) vengono rimossi nella quasi totalità, che lo spazio richiesto per questi impianti è basso ed è facilmente incorporabile ad impianti di trattamento acque già esistenti.

Per quanto riguarda gli svantaggi, si mette in evidenza il fatto che è necessario avere acqua in arrivo con bassa concentrazione di solidi sospesi, che possono intervenire fenomeni di creazione di idrogeno solforato, e infine la rigenerazione del carbone può avere costi elevati. Questa ultima può essere però ritardata tramite un uso intelligente di tutti i processi precedenti e quindi soprattutto se il GAC si trova quasi alla fine dei trattamenti.

Figura

Figura 24 - Rappresentazione schematica dei fenomeni diffusivi nei processi a biomassa adesa.
Tabella 4 - Aspetti cinetici di rimozione biologica del substrato
Figura 25 - Schematizzazione del processo di rimozione biologica della sostanza organica.
Tabella 6- Fattori che influenzano la denitrificazione.
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Riferimenti

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