La profilassi della LCan riveste un duplice significato, sia per la prevenzione della malattia nel cane che per la salvaguardia della salute umana. Le possibili strategie per il controllo della LCan sono inquadrabili in tre punti ritenuti fondamentali: a) lotta agli insetti vettori e prevenzione dalla puntura;
b) vaccinazione degli animali sani;
c) eliminazione degli animali infetti/ammalati.
3.1 Profilassi sanitaria
Ambiente
L'ambiente preferito dai flebotomi è rappresentato dalle anfrattuosità del terreno, dalle crepe dei muri, dalle superfici asciutte, ma comunque in un'atmosfera piuttosto secca e soprattutto senza vento. Ovviamente queste sono condizioni presenti ovunque in Italia, per cui le aree a rischio non sono facilmente delimitabili. Da ciò consegue che, a livello urbano, l'unico intervento possibile di profilassi sanitaria, è quello di mettere in atto misure igieniche generali che tendano ad impedire la costituzione di nuovi focolai dove è possibile lo sviluppo dei flebotomi (raccolte statiche di immondizie, discariche, ecc.).
Lotta contro il vettore
l controllo preventivo delle leishmaniosi (quella canina e le forme umane) tramite la lotta alle popolazioni di flebotomi è una questione complicata. Nei Paesi in cui sono state condotte campagne contro la malaria tramite l’utilizzo di insetticidi con effetto residuale nelle abitazioni, è stata osservata anche una certa riduzione dell’incidenza dei casi di leishmaniosi, soprattutto nelle zone in cui predominano le specie
strettamente endofile. La distruzione completa dell’habitat, seguita dallo sfruttamento da parte di insediamenti umani, è l’unico intervento di tipo permanente che può essere applicato per combattere i flebotomi, com’è stato fatto con successo - ma con spese ingenti - in alcune aree dell’ex Unione Sovietica, endemiche per leishmaniosi cutanea (Leishmania major trasmessa da Phlebotomus papatasi).
I flebotomi non sono dei grandi volatori, in particolar modo in ambiente urbano; ma nelle aree rurali possono compiere anche voli di 2 km o più.
Benché questi insetti siano generalmente sensibili ai comuni insetticidi, non va sottovalutata la possibilità che compaiano fenomeni di farmacoresistenza, soprattutto quando tali prodotti chimici vengono utilizzati su ampia scala. Le misure di controllo non possono che rivolgersi alla lotta nei confronti dei flebotomi adulti, considerata l’ampia possibilità di diffusione delle forme immature, anche in siti ben poco raggiungibili da eventuali insetticidi utilizzati nell’ambiente esterno
Trappole per flebotomi
I flebotomi sono piccoli insetti che, durante le ore notturne, vengono attratti da sorgenti luminose deboli (come le pile tascabili); se nelle vicinanze della cuccia si pongono piccole sorgenti di luce circondate da carta impregnata con olio di ricino, si creano delle trappole in cui i flebotomi rimangono prigionieri. Questo sistema può dare buoni risultati solo se viene utilizzato in ambienti bui.
Tende impregnate con insetticidi
Come per la malaria, la protezione degli ambienti chiusi può essere ottenuta più agevolmente tramite reti plastiche o metalliche a maglia stretta (non superiore a 2 mm) e con tende impregnate di insetticidi, soprattutto piretroidi sintetici residuali, come la deltametrina e la permetrina (Killick-Kendrick, 2002; Alvar et al., 2004). I piretroidi utilizzati in questi casi hanno bassa tossicità verso i mammiferi, una ridotta volatilità ed una buona attività insetticida. Questo tipo di tende sono state sperimentate anche contro i flebotomi in diversi paesi d’Italia (Maroli et al., 2001). Sono stati utilizzati principalmente in zone endemiche per l’uomo. Il vantaggio del
in prima persona provvedere a trattare le reti da applicare alle porte, alle finestre e ai canili.
Uso di repellenti chimici
Tra i repellenti chimici, il “gold standard” è il DEET (N,N-diethyl-3-methylbenzamide) che è in uso da oltre 50 anni ed esplica una buona protezione, documentata da numerosi articoli scientifici. La sua efficacia è stata dimostrata anche contro i vettori della leishmaniosi. Negli ultimi anni è stato sviluppato un nuovo prodotto, il KBR 3023 [1-piperidinecarboxylic acid 2-(2-hydroxyethyl)-1-methyl-propylester]. L’efficacia di questo nuovo principio attivo è stata saggiata su un tipo di flebotomo (Perrotey et al., 2002) con ottimi risultati di protezione.
Insetticidi ad azione residua
Gli interventi sono stati condotti sia con il DDT che con altri insetticidi, in genere piretroidi della terza generazione.
Tuttavia, per l’impiego di insetticidi ad azione residua, si devono conoscere in maniera approfondita le caratteristiche del vettore, dell’ambiente, disporre di adeguate infrastrutture sanitarie con personale specializzato ed adeguati strumenti di campo. Per quanto riguarda l’Italia va detto che tali interventi attualmente non sono applicabili poiché:
▪ Hanno costi molto elevati rispetto al beneficio sulla salute umana;
▪ E’ impossibile effettuare trattamenti a tappeto, per poter contrastare l’ubiquità
del vettore;
Si provocherebbe la comparsa di resistenze agli insetticidi da parte dei vettori sottoposti alla pressione selettiva dell’insetticida; infatti, la resistenza dei flebotomi ad alcuni principi attivi (DDT, malathion, BHC, fenitrothion, deltametrina, permetrina, lambdacialotrina)
è già stata accertata in India mettendo quindi in evidenza tutti i limiti di questa strategia di intervento.
Risulta quindi impossibile riuscire a delimitare le zone di sviluppo di questi insetti, il che porta alla effettiva impossibilita d'intervenire con mezzi di lotta chimica, perché troppo ampie sarebbero la aree sottoposte ad interventi insetticidi, con l'alto rischio di provocare dissesti ecologici da inquinamento ambientale.
Protezione del serbatoio
In Italia, il cane rappresenta il principale serbatoio di L. infantum, agente della leishmaniosi. La protezione dell’animale può essere attuata mediante l’uso di biocidi con effetto protettivo per cui la trasmissione viene interrotta in quanto il flebotomo non compie il pasto di sangue (effetto anti-feeding), ed un altro in senso insetticida, in base al quale gli insetti muoiono in seguito al pasto od al contatto con la superficie corporea trattata. In entrambi i casi, si dovrebbe interrompere il ciclo di trasmissione. La difficoltà di mantenere in laboratorio ampie popolazioni di flebotomi, fa sì che i test per valutare l’efficacia degli insetticidi, possano essere condotti solo su numeri limitati di cani: ogni saggio richiede da 100 a 200 femmine di flebotomo, che si pensa sia più del doppio del numero richiesto per mantenere una singola colonia. Uno studio simile richiede circa 2000 flebotomi al mese per ogni cane (Alvar et al., 2004).
Le migliori sostanze, in questo senso, si sono rivelati i piretroidi sintetici come la deltametrina (Scalibor Protector Band®, IntervetTm), impiegata come collari di cloruro di polivinile (PVC). ™). L’insetticida viene rilasciato progressivamente dalla matrice plastica, come risultato della frizione continua tra collare e mantello del cane; la deltametrina penetra nel tessuto cellulare sottocutaneo e si distribuisce nel grasso, coprendo l’intera superficie dell’animale in 1-2 settimane, benché le maggiori concentrazioni siano rilevabili nelle zone del collo e della testa (Halbig et al., 2000). Diversi studi condotti sia in Francia che in Brasile, hanno dimostrato che i collari impregnati di deltametrina proteggono i cani dal 98% dei morsi per più di 34 settimane. (Alvar et al., 2004). L’effetto insetticida è stato del 66% senza effetti collaterali di rilievo (Killick-Kendrick et al., 1997; David et al., 2001; Reithinger et al., 2001). Inoltre aumenta la mortalità immediata di circa il 50% (Maroli et al., 2001).
Studi di campo hanno dimostrato che l’applicazione di massa di collari impregnati di insetticidi sui cani riduce l’incidenza della leishmaniosi canina nelle aree di intervento, svolgendo di conseguenza un’azione preventiva benefica anche sul controllo della malattia negli uomini (Dantas-Torres, 2006). Infatti, da una indagine condotta con il supporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (The Lancet, 2002), in un’area nel Nord Ovest dell’Iran, e risultato che l’applicazione di massa di bande a base di deltametrina non solo ha ridotto l’incidenza d’infezione da L. infantum nei cani che indossavano il collare, ma anche nei bambini che vivevano nei villaggi dove i cani erano stati protetti (Mazloumi-Gavgani et al., 2002) e l’utilizzo dei collari su larga scala in Campania nel corso di due stagioni di trasmissione, ha consentito di ottenere una diminuzione dell’incidenza dei casi di leishmaniosi canina (Maroli et al., 2001). Un analogo intervento in diversi villaggi del nord-ovest dell’Iran, ha permesso, non solo di proteggere i cani, ma anche di ottenere una significativa riduzione dell’incidenza della malattia nei bambini (Mazloumi-Gavgani et al., 2002).
Buoni risultati sono stati ottenuti anche con una formulazione spot-on a base di permetrina (65%, Exspot®, Schering-Plough™), da applicare sul dorso del cane direttamente sulla cute: l’insetticida si distribuisce su tutto il corpo in una settimana; la riduzione totale della capacità di feeding dei flebotomi è risultata di circa il 77% nel corso di 7 settimane, con un effetto insetticida di circa il 67% un mese dopo l’applicazione (Alvar et al., 2004). Anche nell’utilizzo di campo è risultato che l’uso regolare della formulazione durante i mesi ad alto rischio per leishmaniosi canina, può essere una strategia utile per ridurre la prevalenza della malattia nelle aree iperendemiche del 50%, rispetto ai controlli, e di oltre l’80% alla fine della stagione di trasmissione (Giffoni et al., 2001; Giffoni et al., 2002).
Anche la formulazione a base di permetrina (50%) ed imidacloprid (10%) (Advantix®, Bayer™) ha dimostrato una buona efficacia: Miró e coll. (2007) hanno rilevato che la soluzione offre un efficace effetto repellente contro il vettore a partire da 24 ore dopo l’applicazione sul cane e attivo contro i flebotomi per due settimane. Ventuno giorni è il periodo che gli autori consigliano come intervallo di applicazione del prodotto per ridurre significativamente il rischio delle punture dei flebotomi nelle aree endemiche. Ad analoghe conclusioni sono arrivati anche Otranto e coll. (2007), ottenendo dei risultati molto buoni con applicazioni ad intervalli di 15 giorni (100% d’efficacia) e molto buoni ad intervalli di 28 giorni (88,9%). Recentemente in
Liguria Ferroglio e coll. (2008) hanno ottenuto analoghi buoni risultati sia con l’utilizzo del collare a base di deltametrina, sia con la formulazione spot-on a base di permetrina.
Esistono anche delle associazioni di permetrina (2%) con piriproxifene (0.02%) (Duowin® Virbac™) in formulazione spray che hanno una azione repellente per 28 giorni e insetticida per 21 giorni negli adulti e 14 nei cuccioli (Mercier et al., 2003). Una sperimentazione con il suddetto spray ha rilevato il 71,4% di effetto repellente a 21 giorni, ma solo il 7,2% di effetto insetticida; tale bassa percentuale probabilmente è dovuta alla repellenza stessa, che non permette il contatto prolungato tra l’insetticida ed i flebotomi (Molina et al., 2006).
Anche se alcune ricerche dimostrerebbero una relazione diretta tra la prevalenza della leishmaniosi nelle popolazioni canine ed umane, la malattia nel cane ha una prevalenza molto superiore ed una diffusione più ampia della leishmaniosi viscerale umana, per cui, in realtà, non si può stabilire una correlazione con la prevalenza della malattia umana. Nei Paesi mediterranei ci sono zone in cui la prevalenza dell'infezione nel cane è elevata, ma la patologia nell'uomo è ipoendemica o sporadica.
Sarebbe importante rilevare tutti i cani infetti e comprendere il ruolo di serbatoio degli animali asintomatici, in quanto sfuggono all'esame clinico e quindi alle misure di controllo, contribuendo alla diffusione della leishmaniosi. Sarebbe anche essenziale conoscere la distribuzione geografica e la prevalenza della malattia canina per progettare ed implementare misure di controllo appropriate (Campino, 2002).
Uso dell'olio di aglio come repellente e anti-feeding
(Valerio L., Maroli M. - Annali Istituto Superiore di Sanità – 2005)
Particolarmente interessante risulta l'ipotesi che il consumo giornaliero dell'olio d'aglio, come integratore alimentare nella composizione della dieta, può proteggere il cane dalle punture dei flebotomi. Un effetto simile è stato visto in Svezia per la protezione dell'uomo contro l'attacco delle zecche.
In base alla suddetta ipotesi, l'olio d'aglio può rappresentare un nuovo strumento nella prevenzione della diffusione della leishmaniosi canina.
Nel lavoro effettuato si è valutato l'effetto repellente ed anti-feeding dell'olio d'aglio in condizioni di laboratorio, contro la puntura di femmine di Phlebotomus papatasi. L'olio d'aglio ha mostrato una protezione significativa per quanto riguarda l'applicazione topica sulla cute dei volontari.
In prove effettuate in Toscana, in campo, somministrando a cani integratori a base di aglio durante la stagione di trasmissione, non si sono però ottenuti risultati soddisfacenti.
Stamping out
I programmi di eliminazione di massa che sono stati approntati non hanno dato risultati positivi. Infatti con questo metodo vengono soppressi tutti i cani infetti, invece che solo quelli infettanti; così facendo se una percentuale dei cani infetti non diverranno mai infettanti, la loro eliminazione può essere inutile, perché verranno sostituiti da soggetti sensibili (se non già infetti) che possono divenire infettanti. Inoltre è risultato che i fallimenti dei programmi di eliminazione di massa per il controllo della leishmaniosi viscerale sono dovuti all'alta incidenza di infezione ed infettività nelle aree endemiche, alla scarsa sensibilità dei test diagnostici nello svelare i soggetti infettanti più che quelli infetti, al tempo intercorso fra la diagnosi e la soppressione (che riduce ulteriormente la sensibilità dei test) (Courtenay et al., 2002).
Anche considerando alcune delle variabili suddette, tramite un programma di eliminazione ottimizzato, i risultati sono stati fallimentari (Moreira et al., 2004). Si è visto inoltre che meno del 50% dei cani infetti sviluppa la malattia in forma clinicamente manifesta (cani sintomatici) (Lanotte et al., 1979, Berrahal et al., 1996); e sia i cani sintomatici sia quelli asintomatici risultano infettanti per i flebotomi vettori (Gradoni et al., 1987, Molina et al., 1994).
Tali programmi quindi possono essere del tutto abbandonati; allo stato attuale solo le misure terapeutiche (Ashford, 1989) e di profilassi indiretta (volte a limitare l'esposizione dei cani ai flebotomi vettori) si sono dimostrate di una certa utilità nel limitare la prevalenza della leishmaniosi viscerale umana nelle aree endemiche.
In conclusione, per limitare l'incidenza della malattia sia nell'uomo che nel cane, è fondamentale proteggere dalle punture dei flebotomi (con i migliori mezzi a disposizione e che siano di comprovata efficacia [collari, gocce spot-on, spray, reti, ecc.]) tutte le 3 seguenti categorie di cani:
• Infetti sintomatici; • Infetti asintomatici; • Non infetti.
Particolare attenzione va data ai controlli: è necessario controllare i cani sani almeno d u e v o l t e a l l ' a n n o (indicativamente in maggio e novembre) per poter scoprire l'eventuale infezione quanto prima.
3.2 Profilassi vaccinale
Problematiche
La sperimentazione clinica di un vaccino passa attraverso passaggi successivi (Good Clinical Practice - GCP) solitamente distinti in quattro fasi (Fasi I, II, III e IV). Fase I: valutazione della sicurezza negli animali cui il vaccino, studio della cinetica e di eventuali effetti indesiderati della sostanza in funzione del dosaggio.
Fase II: valutare l’efficacia immunologica del vaccino in un ristretto numero di pazienti.
Fase III: approfondire i dati di efficacia protettiva del vaccino, valutare il dosaggio più opportuno, monitorare gli eventuali effetti collaterali su un campione statisticamente più significativo. Si tratta principalmente di studi di tipo randomizzato e in doppio cieco e la loro durata è variabile.
I prodotti che passano la Fase III ottengono l’autorizzazione per la commercializzazione.
La Fase IV avviene dopo l’immissione in commercio del farmaco ed è rivolta a confermare la sicurezza e la tollerabilità a lungo termine del vaccino su un elevato numero di soggetti coinvolti, spesso diversi per età, razza e sesso (WHO, 1997). Ci si rende conto, quindi, delle numerose difficoltà esistenti per la messa a punto di un vaccino per la leishmaniosi:
1) potenziale messa in commercio di molecole testate in laboratorio 10-15 anni prima;
2) assenza di animali di laboratorio considerati modelli validi per cane e uomo; 3) impiego di un modello di studio che preveda l’infezione naturale almeno nella Fasi III e IV.
In tutti i paesi del sud Europa nei quali è presente, l’infezione da L. infantum viene trasmessa dai flebotomi solo nei periodi più caldi dell’anno, variabili a seconda delle latitudini da fine maggio a fine ottobre. Recenti lavori, inoltre, hanno sufficientemente dimostratola possibilità di una negativizzazione spontanea dell’infezione in periodi variabili da pochi mesi ad anni (Oliva et al., 2006). Per questi motivi, è possibile oggi affermare che uno studio “di campo” che preveda
l’infezione naturale dei soggetti esposti, dovrebbe durare almeno 2-3 anni (necessari al rilievo dell’attecchimento definitivo dell’infezione) o 3-4 anni (necessari rilievo dell’evoluzione dell’infezione verso la malattia) (Gradoni, 2001).
Vanno inoltre considerate altre variabili fondamentali come la densità degli insetti vettori e i fattori climatici. La scelta del luogo dove eseguire la sperimentazione con infezione naturale, dovrebbe teoricamente cadere in singole località considerate altamente endemiche in modo da ridurre al minimo il “rischio” di un mancato contatto tra i soggetti esaminati ed i flebotomi vettori.
Scelta dei soggetti
La profilassi vaccinale dovrebbe essere sempre rivolta alla protezione di animali non infetti. Nelle zone endemiche la maggior parte dei cani (60-70%) (Solano-Gallego et
al., 2009) può risultare già infetta in assenza di qualsiasi rilievo clinico e, spesso, in
assenza di anticorpi specifici. Un modello teorico di sperimentazione vaccinale in Fase III dovrebbe prevedere l’arruolamento di cani nati in zone non endemiche ed esposti ad infezione naturale in un unico sito, sicuramente endemico, in modo da ridurre al minimo il rischio di un mancato contatto tra i soggetti esaminati ed il flebotomo vettore, ridurre al minimo la dispersione del campione, da consentire la periodicità del monitoraggio con le diverse tecniche diagnostiche considerate (parassitologiche, sierologiche, cliniche). In considerazione della necessità di avere un “gruppo controllo” (cani non vaccinati) perfettamente omogeneo a quello dei cani sottoposti a vaccinazione e della possibile perdita di animali, per cause differenti dalla leishmaniosi, i due gruppi di cani dovrebbero essere di almeno 30 unità per gruppo ai fini di una corretta valutazione statistica presupponendo un’efficacia del vaccino pari al 70-80%.
La risposta immunitaria nel cane leishmaniotico
La risposta del cane all’infezione può essere estremamente variabile, passando da forme resistenti, a forme asintomatiche croniche, a forme clinicamente patenti. Numerose evidenze scientifiche riportano che i cani che sviluppano forme clinicamente evidenti sono caratterizzati da assenza di risposta di ipersensibilità
numero di linfociti T nel sangue periferico e da diminuita o assente produzione di IFN-γed IL-2 da parte di cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC) coltivate e stimolate in vitro. Gli stessi cani esprimono solitamente alti titoli anticorpali, non protettivi, nei confronti di Leishmania. Dal punto di vista immunitario, i cani leishmaniotici vengono distinti in due grossi gruppi (distinzione peraltro non sempre rispondente alla realtà, almeno in maniera così schematica): soggetti a risposta tipo Th1 e soggetti a risposta Th2. I primi, sono quelli che hanno una buona protezione cellulo-mediata e riescono a tenere sotto controllo l’infezione e a non sviluppare la malattia; i soggetti appartenenti al secondo gruppo, invece, sono caratterizzati da una risposta immune di tipo umorale non protettiva, che quasi sempre esita in manifestazioni cliniche tipiche della patologia. La risposta protettiva di tipo Th1 è caratterizzata dalla produzione di IFNγ, IL-2 e TNFα. INF-γe TNFαattivano i macrofagi che, attraverso la produzione di ossido nitrico (NO), svolgono la loro azione di “killing” degli amasti goti intracellulari. Il ruolo di IL-2 nell’indurre e mantenere la risposta Th1 non è ancora sufficientemente approfondito. Il ruolo delle citochine coinvolte nella risposta di tipo Th2, al contrario, non è ancora sufficientemente chiarito. Infatti, mentre nell’uomo con infezione da L. infantum è stata dimostrata una correlazione tra produzione di IL-10 e sviluppo della malattia, i dati relativi al coinvolgimento di questa citochina nella leishmaniosi canina sono ancora controversi. Ad oggi l’ipotesi maggiormente accreditata sembra essere l’attivazione di una risposta mista Th1 - Th2. Per quanto riguarda l’immunità umorale, le sottoclassi IgG1 e IgG2 sono state impiegate come parametri indicatori dello stato dell’infezione. Anche i linfociti CD8+ sembrano attivamente coinvolti nei meccanismi di difesa e di resistenza nei confronti di L. infantum suggerendo che anche la lisi diretta dei macrofagi infetti rappresenti un meccanismo addizionale nella risposta di resistenza nei confronti del parassita (Barbiéri, 2006).
Vaccini proposti
Tutte le leishmaniosi sono causate da specie di Leishmania filogeneticamente correlate, per questo motivo, potrebbe essere auspicabile la realizzazione di un unico vaccino polivalente efficace sia per scopi profilattici che terapeutici.
Modelli matematici hanno indicato come la vaccinazione dei cani possa rappresentare un metodo efficace e pratico per abbattere la frequenza dei casi di leishmaniosi umana (Dye, 1996). Tra i diversi risultati sperimentali ricordiamo
Neogy et al., 1994: prove effettuate nel cane, utilizzando antigeni di Leishmania infantum associati ad antimoniato di n-metilglucamina, hanno portato ad una sterilizzazione parassitologica del 100% dei soggetti trattati.
Travi et al., (2002) hanno dimostrato che un riduzione della carica parassitaria nei cani serbatoio attraverso la vaccinazione, si associa ad una ridotta infettività dei flebotomi (L. longipalpis), comportando riduzione della trasmissione della malattia dal cane all’uomo nelle aree di trasmissione zoonotica.
Le ricerche sulla vaccinazione contro la leishmaniosi sono molto intense, in quanto si prevede che sia il miglior metodo per la prevenzione della patologia nel cane e quindi anche di quella nell’uomo (Gradoni, 2001). Un vaccino efficace dovrebbe essere in grado di indurre un’immunità cellulomediata di forte intensità e di lunga durata; un tale approccio teoricamente è percorribile, per il fatto che nelle aree endemiche c’è un grande numero di cani infetti, ma non tutti sviluppano la malattia, così come è evidente che in queste zone i cani naturalmente infetti mostrano risposte linfoproliferative. Inoltre la possibilità di indurre l’immunità cellulomediata in cani sperimentalmente infetti, supporta l’ipotesi della fattibilità della vaccinazione contro la leishmaniosi canina. Una ricerca condotta da Stobie et al., (2000), ha dimostrato che lo step necessario per l’innesco di una risposta immunitaria di tipo cellulo-mediata, e rappresentato da una precoce produzione di IL-12 endogena. Di conseguenza, nell’ultimo decennio le ricerche si sono orientate verso l’identificazione di molecole di Leishmania capaci di stimolare il fenotipo citochinico tipico del profilo Th1, in modo da poter essere utilizzate come potenziali candidati vaccinali negli animali sperimentali ed in vivo. Sono stati testati molti antigeni e protocolli immunizzanti: parassiti morti interi o frazionati, parassiti vivi attenuati, proteine ricombinanti e sintetiche, antigeni non proteici, immunogeni espressi in virus e batteri e DNA “nudo”. La maggior parte di questi vaccini sono stati testati in modelli murini, alcuni nell’uomo e pochi nel cane (Alvar et al., 2004), anche se ultimamente stanno aumentando i test diretti sulla specie canina.
Una prima prova per immunizzare il cane, applicando un protocollo che aveva avuto successo nel topo, non solo non funzionò, ma determinò una forma grave di malattia, probabilmente per le differenze tra cane e topo (Dunan et al., 1989).
numero è giocoforza ridotto; inoltre queste discrepanze possono essere spiegate anche con le ovvie differenze tra l’infezione conferita sperimentalmente con promastigoti in coltura e quella dovuta naturalmente ai promastigoti provenienti dalla proboscide dei flebotomi vettori (Barbiéri, 2006). In questo senso, bisogna anche tenere presente che gli estratti salivari di diverse specie di flebotomi, esprimono un potere antigenico specie-specifico, con parziali similitudini solo tra specie appartenenti allo stesso sottogenere (per es. tra Phlebotomus perniciosus e P. halepensis) (Volf & Rohousová, 2001).
A tutt’oggi, non esistono vaccini totalmente “efficaci”, e le difficoltà legate al loro sviluppo sono riconducibili alla notevole variabilità genetica ed antigenica del microrganismo. A conferma di ciò, basti pensare che ad oggi esiste un solo vaccino in sperimentazione per la leishmaniosi umana (Leish 111f), ancora impegnato nella fase I del processo sperimentale.
Per il cane sono invece più numerosi i canditati vaccinali in corso di studio, circa sette dal 2001 al 2005, che si basano sui dati delle fasi sperimentali pre-cliniche effettuate per l’uomo e utilizzano diversi presidi antigenici, quali organismi interi modificati, frazioni purificate, antigeni ricombinanti e DNA.
I tentativi di sviluppo di un vaccino contro la leishmaniosi si sono concentrati sull’uso di parassiti interi inattivati o di sub-unità con adiuvanti. Nuove strategie sperimentali riguardano l'attenuazione di Leishmania attraverso tecnologie di delezione o l'espressione di specifici peptidi leishmaniotici all'interno di microrganismi attenuati, come BCG. In fase iniziale di sviluppo sono pure i vaccini a DNA ed i potenziatori delle cellule dendritiche, come gli oligo-desossi-nucleotidi CpG ed il ligand Flt-3. In particolare, l’attuale interesse nei confronti dei vaccini a DNA nasce dalla loro notevole stabilità, dalla facilità di manipolazione, e nella loro capacità di innescare una risposta immunitaria cellulo-mediata a dispetto di una umorale, anche quando sono formulati senza adiuvante. I vaccini a DNA, esprimenti antigeni come la proteina gp-63, il LACK, il PSA-2, il TSA e l’STI1, hanno manifestato un’adeguata protezione contro l’infezione da Leishmania nei topi (Saldarriaga et al., 2006).
Anche nel modello canino sono state sperimentate diverse strategie vaccinali.
1. Vaccino costituito da promastigoti di leishmania uccisi; [Panaro et al., (2000);]
Lo scopo di questo tipo di vaccinazione è aumentare la produzione, da parte dei macrofagi del cane infetto, di ossido nitrico (NO), che esercita una potente azione leishmanicida. La produzione di NO, la fagocitosi e la capacità di attivare INFγ è stata valutata in vitro prima e dopo la somministrazione del vaccino, composto da promastigoti inattivati di Leishmania infantum. La fagocitosi, la capacità inibente il parassita e la produzione di NO da parte dei macrofagi, aumentano in maniera significativa un mese dopo la vaccinazione, e l’aumento persiste nei 5 mesi successivi. In aggiunta a ciò, l’aumento di INFγ è significativo dopo la vaccinazione. Per questo esistono i presupposti di impiegare questo vaccino in campo.
2. Vaccino Leishmune®
In Brasile, dove la leishmaniosi viscerale e endemica sia nell'uomo che nel cane, da Silva et al. (2001) hanno descritto l’effetto protettivo del vaccino costituito dall'antigene glicoproteico FML (fucose mannose ligand) di L. donovani, un potente immunogeno nonché uno specifico e sensibile antigene per la diagnosi sierologica della leishmaniosi viscerale canina ed umana. Il vaccino FML e stato sperimentato in modelli di leishmaniosi viscerale nel topo e nel criceto con trial di fase I-II, dove ha manifestato una protezione media specifica pari rispettivamente all'87,7% e all'84% nei topi BALB/c e nel criceto CB. Nel topo, la vaccinazione con FML in adiuvante saponina R (Riedel de Haen), QuilA e Qs21 si e dimostrata superiore a quella con altri adiuvanti (alluminio idrossido, Freund incompleto, BCG) e non ha indotto effetti tossici.
Dopo 25 anni di ricerche, il primo vaccino al mondo contro la leishmaniosi canina, è stato autorizzato dal Ministero dell’Agricoltura Brasiliano: si tratta di Leishmune® (Fort Dodge Animal Health™) che e stato legalmente autorizzato per l’uso da parte
dei clinici veterinari per la profilassi della leishmaniosi viscerale canina (de Andrade et al., 2007).
L’FML-vaccino e formulato con la saponina Riedel de Haen che contiene come adiuvante attivo l’aldeide QS21 contenente saponina (18%), ed un composto di due aldeidi deacilate contenenti saponine derivate dalla Quillaja saponaria Molina (19.4%). Tutte le aldeidi contenute nel vaccino presentano il tipico gruppo aldeidico in posizione C-24, responsabile dell’interazione con i linfociti T helper e delll’induzione di una risposta immunitaria Th1 (Parra et al., 2007). La frazione purificata, detta fucose mannose ligand (FML), è un complesso glicoproteico che è molto attivo nell’inibizione dei macrofagi di topo dall’infezione da Leishmania. Il modello murino ed i e trial di fase III, indicano che il vaccino è un’opzione promettente per la prevenzione della leishmaniosi canina in Brasile: ha indotto fino al 92% di protezione in cani naturalmente infetti sottoposti a follow up di 2 anni. Inoltre recentemente è stato evidenziato il suo potenziale come dispositivo che blocca la trasmissione (suggerendo la sua utilità nel controllo della leishmaniosi viscerale zoonosica) ed anche come immunoterapico in cani infetti asintomatici, anche se al momento, in accordo col produttore, è consigliato solo in cani sieronegativi ed asintomatici (Dantas-Torres, 2006; Barbiéri, 2006).
Il vaccino brasiliano ha mostrato un’efficacia clinica del 76-80% nei primi due studi effettuati, che avevano pero il limite di basarsi su soli riscontri clinici (da Silva et al., 2000, vaccino senza saponina; Borja-Cabrera et al., 2002, vaccino con saponina). Il terzo studio (Nogueira et al., 2005), che ha valutato il vaccino con una diversa saponina, si e avvalso di indagini piu specifiche come la PCR, riportando una protezione verso la malattia pari al 100%. I trial di efficacia di fase III del vaccino FML sono stati condotti in zone del Brasile endemiche sia per l'uomo che per il cane. Nel primo trial, due anni dopo il protocollo vaccinale completo nel cane e un richiamo annuale, e stata ottenuta una protezione pari al 92% e un'efficacia vaccinale 77 del 76%. In un secondo trial di fase III, utilizzando l'antigene FML in formulazione con saponina QuilA, si e ottenuta una protezione del 95% ed un'efficacia vaccinale del 80%. Tre anni e mezzo dopo la vaccinazione, non è stato possibile riscontrare il DNA del parassita negli animali vaccinati.
Recentemente e stato, inoltre, valutato il potenziale effetto immunoterapeutico sulla leishmaniosi canina del vaccino FML prodotto con dosi più concentrate di adiuvante,
in cani FML-sieropositivi ma completamente asintomatici con infezione sperimentale da L. donovani (vaccino FMLQuilA) e con infezione naturale da L. chagasi (vaccino FML-saponina R).
Nel primo gruppo la protezione e stata ottenuta in 3 cani su 5, che rimanevano asintomatici e liberi dal parassita un anno dopo l'infezione. Nel secondo gruppo, i cani trattati mostravano IgG1 anti-FML di livello stabile, IgG2 in aumento ed il 79-95% di riposta DTH (ipersensibilità ritardata) positiva durante tutto il trial. Ventidue mesi dopo la vaccinazione, il 90% dei cani era ancora asintomatico, sano e libero dal parassita.
Un altro studio ha valutata l’efficacia del vaccino per l’immunoterapia (IT) in 31 cani e per l’immunochemioterapia (ICT) in combinazione con l’allopurinolo o amfotercina B, in 35 cani. Al terzo mese in entrambi i trattamenti è aumentata la percentuale dei cani che mostra una risposta intradermica all’antigene Leishmania per una quota simile da 8 a 67% nel settore IT e al 76% nel gruppo ICT, e al contrario è ridotto del 100- 38% (IT), e al 18% (ICT), la percentuale di casi sintomatici e del 54-12% IT e il 15% ICT la percentuale della presenza del parassita nei linfonodi. È stato quindi valutato che il vaccino promuove il controllo dei segni clinici e parassitologici, da rendere la maggior parte dei cani asintomatici, anche se positivi alla PCR. È stato messo in evidenza il vantaggio di usare l’immunochemioterapia per il controllo e la cura della leishmaniosi canina viscerale, poiché tale trattamento ha abolito non solo i sintomi, ma anche l’infezione latente. (Borja- Cabrera et al., 2002).
Attualmente è in fase di sperimentazione anche in Italia.
3. Vaccino multisubunità ricombinante per Leishmania (MML)
Gradoni et al. (2005), hanno sperimentato in una zona endemica del Sud Italia un vaccino multi-subunità ricombinante per Leishmania (MML). Nella prova sono stati somministrati a tre gruppi costituiti da 15 cani Beagle sani, i seguenti vaccini:
Vaccino A= MML+MPLR-SE adjuvante primario (3 iniezioni mensili) Vaccino B= Soluzione salina sterile (controllo) (3 iniezioni mensili) Vaccino C= MML+Adjuvante primario (3 iniezioni mensili)
Su 15 cani infetti, la progressione della malattia e stata riscontrata in 5 cani su 6 nel Gruppo A, in 3 cani su 6 nel Gruppo B, ed in 2 cani su 3 nel Gruppo C. Tali risultati hanno portato alla conclusione che la vaccinazione con MML non può essere considerata uno strumento efficace per la prevenzione dell’infezione da Leishmania.
Sempre nel 2005, Aguilar-Be et al., hanno condotto uno studio sul complesso del ligand fucosio-mannosio (FML) di L. donovani, che e risultato essere un candidato vaccinale promettente contro la leishmaniosi viscerale in vari modelli animali, topo e cane compresi. Sia il complesso purificato FML che l’idrolasi NH36 (principale componente immunogena dell’FML) possono indurre una forte risposta immunitaria ed una significativa protezione eterologa contro l’infezione da L. donovani. In questo studio e stata esaminata la risposta immunitaria e la protezione indotta da FML, NH36 ricombinante (rNH36) e da un vaccino a DNA NH36 contro gli agenti della leishmaniosi viscerale (L. chagasi) e cutanea (L. mexicana) nei topi BALB/c. La miglior protezione e stata osservata nei topi immunizzati col vaccino a DNA VR1012-NH36, che ha indotto una riduzione del 88% nella carica parassitaria di L. chagasi ed una riduzione del 65% nelle dimensioni delle lesioni da L. mexicana. Inoltre, il vaccino a DNA ha indotto un aumento di 2-5 volte dei linfociti T CD4+ producenti IFN-γ, fornendo una forte immunoprotezione omologa ed eterologa contro la leishmaniosi viscerale e cutanea.
Esistono altri vaccini che sono stati valutati nelle infezioni sperimentali che sembrano essere efficaci:
▪ Proteina LiESA frazionana (Lemesre et al., 2007);
▪ Proteina Fucose Nanno se Ligand (FML) commercializzato in Brasile, (Borjs-Cabreraet al., 2002);
▪ Proteine ricombinanti (Molano et al., 2003);
▪ Vaccini di DNA (Ramiro et al., 2003; Saldarriga et al., 2006); ▪ Combinazioni di vaccini di DNA con proteine (Rafati et al., 2005).
La strada per addivenire ad un vaccino realmente efficace pare essere aperta, anche se sono necessari maggiori approfondimenti sull’immunologia della leishmaniosi canina, senza i quali i risultati rischiano di restare solo parzialmente soddisfacenti. Inoltre, per l’utilizzo routinario, è necessario che alcuni dubbi vengano risolti: devono essere testati molti più cani in prove di campo; sono necessari periodi di follow-up più estesi, per la prevalente stagionalità della trasmissione dell’infezione. Ci sono poi alcune malattie croniche od asintomatiche, come l’ehrlichiosi e le elmintosi, che possono interferire con l’immunità (per es.: Ehrlichia può inibire l’espressione degli antigeni dell’MHC di classe II): tali situazioni vanno tenute presenti allorché si progettano i vaccini (Barbiéri, 2006).