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CAP.2. Il Benessere animale

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CAP.2. Il Benessere animale

Per quanto riguarda gli animali da reddito, l’intervento del Legislatore si è avuto nel settore dei trasporti, del macello e degli allevamenti, monitorando sempre la detenzione e il commercio dei capi, ponendosi come obiettivi principali da un lato la tutela dello stato sanitario.

2.1. Evoluzione e normativa sulla tutela del benessere

animale

La condizione animale è stata oggetto per lungo periodo di dissertazioni filosofiche. Il Legislatore già da tempo ha posto attenzione su tale tematica, infatti con la convenzione di Strasburgo si fondano le basi in merito alla protezione degli animali negli allevamenti ed al macello (L. n°623/85). Oggi gli animali sono definiti come “esseri senzienti” e non già come soli prodotti dell’allevamento (Trattato di Amsterdam, 1997). Questo cambiamento riflette la concezione etica dei consumatori in merito alla qualità della vita degli animali. Con il cambiamento della sensibilità dell’uomo, si è reso necessario garantire la tutela dei diritti degli animali durante tutta la loro carriera produttiva, questo avviene soprattutto in conseguenza di una crescente richiesta da parte dell’opinione pubblica di prodotti dotati di elevati standard qualitativi, provenienti da animali che abbiano potuto vivere e crescere nel rispetto del loro benessere (Biagi et al., 2003).

Nell’esaminare il quadro attuale di riferimento, bisogna ricordare che in ambito comunitario sono state emanate numerose Direttive concernenti la tutela degli animali da reddito, molte delle quali sono state recepite anche dall’Italia. Per attestare scientificamente i vari aspetti connessi al benessere la Commissione Europea si avvale di un Comitato Scientifico: inizialmente la gestione della problematica era affidata alla Sezione Animal Welfare dello Scientific Veterinary

Committee, facente parte dell’Agricoltural General Directorate; dal 1997 invece si

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Welfare (SCAHAW) sotto la gestione del General Directorate on the Protection of the Consumer (DGXXIV). Tale comitato, costituito da un gruppo di esperti del

settore, ha il compito di produrre dei documenti scientifici in risposta ai quesiti e alle problematiche sollevate dalla Commissione Europea concernenti la salute ed il benessere animale. Tra questi, il Regolamento CEE 178/2002 definisce principi e requisiti della legislazione alimentare, sancisce il concetto di approccio globale della sicurezza alimentare “dai campi alla tavola”, estende le verifiche al processo di produzione aziendale. La bozza del regolamento 2000/180 pone l’attenzione sull’importanza del ruolo del benessere animale nella visita ante-mortem; vi è dunque un inserimento esplicito di tale tema come materia d’esame del Veterinario Ufficiale mettendo così in evidenza l’importanza del benessere in relazione ad un buon stato sanitario dell’animale stesso. Gli stessi adempimenti PAC prevedono il principio della corresponsione e della condizionalità, in cui si hanno precisi riscontri su ambiente, sanità pubblica, salute e benessere animale (Reg. CEE 1782/03, messo in atto con il Dlgs. 5/8/2004, GU n. 191 del 16/8/2004). con la prevenzione delle zoonosi, la prevenzione delle patologie da allevamento, la tutela della sicurezza dell’uomo, mentre dall’altro anche obiettivi etico-sociali mediante un corretto rapporto uomo-animale-ambiente.

A dimostrazione di ciò possiamo individuare due tipi di normative che si interessano del benessere animale, ovvero quelle dirette al controllo e all’eradicazione delle malattie infettive, espresse nel Regolamento di Polizia Veterinaria, e quelle dirette a salvaguardare il benessere individuale dell’animale che si concentra su quattro aspetti principali: allevamento, commercio, macellazione e trasporti. Nelle tabelle 3 e 4 viene riportato il riferimento alle principali leggi riguardanti tali tematiche, con interventi di tipo orizzontale ovvero estese a tutte le specie di allevamento e verticale, riguardanti un singolo comparto zootecnico, con particolare riferimento alla specie bovina.

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Tabella n. 3.

Legislazione comunitaria

Direttiva del consiglio 91/628/CEE relativa alla protezione degli animali durante il trasporto e recante modifica delle direttive 90/425/CEE e 91/496/CEE

Direttiva del Consiglio 91/629/CEE che stabilisce le norme minime per la protezione dei vitelli

Direttiva del Consiglio 93/119/C E relativa alla protezione degli animali durante la macellazione o l’abbattimento

Direttiva del Consiglio 95/29/CE che modifica la direttiva 91/628/CEE relativa alla protezione degli animali durante il trasporto

Direttiva del Consiglio 97/2/CE recante modifica della direttiva 91/629/CEE che stabilisce le norme minime per la protezione dei vitelli

Regolamento del Consiglio 1255/97/CE riguardante i criteri comunitari dei punti di sosta

Direttiva del Consiglio 98/58/CE riguardante la protezione degli animali negli allevamenti

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Tabella n.4.

Legislazione italiana

DPR n°624/82 “Protezione degli animali nei trasporti internazionali”

Legge n°623/85 “Ratifica ed esecuzione delle convenzioni sulla protezione degli animali negli allevamenti e nei macelli”

D. Lgs n°532/92 “Protezione degli animali durante il trasporto”

D. Lgs. n°533/92 “Norme minime per la protezione dei vitelli”

D. Lgs. n° 331/98 attuazione della direttiva 97/2/CE relativa alle norme minime per la protezione dei vitelli D. Lgs. n°388/98 attuazione della direttiva 95/29/CE in materia di protezione degli animali durante il trasporto D. Lgs. n°146/2001 attuazione della direttiva 98/58/CE relativa alla protezione degli animali negli allevamenti

Allo stato attuale l’Unione Europea (UE) prevede di adottare per il periodo 2006-2010 misure generali volte a garantire la protezione e il benessere degli animali: tali misure verteranno sul miglioramento della normativa, sullo sviluppo della ricerca e di indicatori utili alla valutazione del benessere in azienda, sull’informazione degli operatori e dei consumatori, nonché sull’azione da svolgere a livello internazionale (Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, del 23 gennaio 2006, riguardante un piano d’azione comunitaria per la protezione e il benessere degli animali nel periodo 2006-2010, COM (2006) 13 - Gazzetta ufficiale C 49 del 28.02.2006).

2.2. Definizione di Benessere

Adottare una definizione univoca per chiarire il concetto del benessere animale trova delle difficoltà non trascurabili, infatti intorno a questo tema si snodano

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diverse problematiche che vanno dal rispetto della natura alla qualità dei prodotti, passando per la presa di coscienza del dolore e della sofferenza dell’animale (Veissier e Boissy, 2000). Welfare è un termine dal significato vasto, esso infatti comprende sia il benessere fisico che mentale dell’animale, tale presupposto è fondamentale per l’individuazione degli aspetti di cui è necessario tener conto per una sua adeguata valutazione. In letteratura troviamo numerosi approcci possibili, ma la linea comune mette in evidenza come tutti i tentativi di valutare il welfare debbano tenere in considerazione l’evidenza scientifica disponibile relativamente alle sensazioni degli animali, evidenza che può derivare dalla loro struttura e funzioni, come pure dal loro comportamento (Brambell Report, 1965). Hughes (1976, 1988) sostiene che il benessere può essere interpretato come uno stato di armonia dell’animale con il suo ambiente, armonia ritenuta un buon presupposto per una buona salute fisica e mentale. Questa concezione sottintende che l’individuo sia motivato, cioè che sia portato a cercare di soddisfare i propri bisogni, intendendo con tale termine sia le esigenze essenziali alla vita, come cibo, acqua, ricovero, sia le esigenze etologiche, comportamentali: l’armonia deriverebbe dalla soddisfazione di queste necessità. Altri Autori (Passillé e Rushen, 1995) fondano il loro concetto di benessere sull’assenza di sensazioni sgradevoli come la paura, il dolore e la frustrazione (Carpenter, 1980), interpretando il welfare come la “situazione di un organismo in relazione ai suoi tentativi di adattarsi all’ambiente” circostante (Broom, 1986). Poiché le condizioni ambientali sono soggette a continue variazioni si rende necessario un adattamento continuo: qualora un soggetto non riuscisse ad adottare i cambiamenti necessari o si adattasse con sforzi eccessivi, si tenderebbe ad una condizione di stress e di conseguenza di scarso benessere.

Duncan e Dawkins (1983) adottano un approccio più globale sostenendo che una definizione operativa di benessere animale debba contenere diversi concetti: condizione di buona salute fisica e mentale, armonia con l’ambiente ed adattamento senza sofferenza; si devono pertanto tener presenti anche i feelings (sensazioni) dell’animale. A tal proposito il “British Farm Animal Welfare Council”, riprendendo e semplificando quanto affermato nel 1965 dal “Brambell Committee”

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definì nel 1979 cinque gradi di libertà, necessari per raggiungere una condizione di

wellfare:

-libertà da fame, da sete e da malnutrizione;

-disponibilità di un riparo appropriato e confortevole;

-prevenzione, diagnosi e rapido trattamento delle lesioni, patologie; -libertà di attuare modelli comportamentali normali;

-libertà dalla paura e dallo stress.

Il più importante prerequisito che determina il benessere è la salute, intesa come uno stato in cui sono presenti le normali funzioni fisiche, mentali e sociali.

Le alterazioni del benessere derivano dall’insorgenza di fattori che determinano una condizione di stress, ovvero fattori che sottopongono l’organismo a sollecitazioni che superano la capacità di adattamento. Solitamente ciò deriva dalla combinazione di diversi elementi ambientali sfavorevoli: infatti i vari meccanismi che provocano distress e quindi una situazione di mancato benessere possono essere di natura psichica, ovvero cause di tipo sociale ed emotivo, immunitari, riproduttivi, metabolici e funzionali (Aguggini, 1998).

Quando un animale fronteggia una condizione a lui sfavorevole il suo organismo si prepara ad affrontare la situazione modificandosi. La risposta allo stress è un meccanismo di tipo adattativo che consente all’animale di essere nelle migliori condizioni per sottrarsi prontamente all’evento negativo secondo un processo di “attacca o fuggi” (Aguggini et al., 1998). Altri aspetti da tenere in considerazione sono riportati da Broom e Johnson (1993), per i quali il welfare è una caratteristica intrinseca dell’animale e non qualcosa che gli viene fornito dall’esterno; può variare da ottimo a pessimo e si può misurare in modo scientifico; tale misurazione si deve basare sulla conoscenza della biologia delle specie e, in particolare, sui metodi usati dagli animali per tentare di adattarsi all’ambiente e sulle indicazioni che tali tentativi ci possono fornire. Sicuramente la definizione scientifica del ‘benessere’ non ha ancora trovato una risposta unanime, ma proprio per questo le ricerche si sono moltiplicate, affrontando tutti i possibili aspetti del problema (Appleby e Hughes, 1997). Per esempio, due approcci opposti possono essere riassunti nei seguenti punti (Hetts, 1991):

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-analisi esclusiva di variabili oggettive e quantificabili, evitando di considerare lo ‘stato mentale’ dei soggetti in esame in quanto di difficile determinazione analitica;

-considerazione anche degli stati emotivi, considerando gli animali quasi antropomorficamente.

Questi punti di vista estremi non sono tuttavia esclusivi, in quanto vi sono posizioni intermedie che, pur mantenendo un rigoroso livello di oggettività e scientificità, non escludono la possibilità di conoscere più a fondo, oltre alle variabili quantificabili, anche caratteristiche percettivo–emozionali degli animali.

2.3. La valutazione del benessere

Il benessere animale è diventato oggetto di crescente attenzione da parte dell’opinione pubblica; col recepimento delle direttive CEE tale interesse ha assunto una veste formale indirizzando gli addetti del settore verso una maggior sensibilità. Gli allevatori ed i tecnici delle produzioni animali si vedono infatti costretti ad aggiornarsi e adeguarsi alle normative che sono in rapida evoluzione; da tale situazione nasce l’esigenza di sviluppare un metodo, delle linee guida in base a cui poter effettuare scelte mirate per attuare cambiamenti e apportare miglioramenti all’azienda agro-zootecnica nel rispetto del benessere animale e della legislazione corrente (Tosi e Verga, 2001). Nel panorama internazionale il consumatore europeo è divenuto sempre più attento ed esigente, perciò anche a livello comunitario l’interesse dei ricercatori verso le problematiche connesse al benessere, è andato via via aumentando, inoltre si è compresa l’importanza della ricerca in questo settore come strumento per promuovere la competitività delle produzioni europee e per sostenere la politica della Comunità. Tali aspetti sono stati al centro di numerosi meeting e dibattiti: nel 1999 si è infatti tenuto a Copenaghen il 1st International Workshop on the Assessment of Animal Welfare at

Farm and Group Level, in seguito con l’European Cooperation for Scientific and Technical Research, Animal Welfare COST Action 846 “Measuring and monitoring farm animal welfare” del 2001. In tale occasione si è cercato di stimolare la

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standardizzare possibili indicatori funzionali per la misura ed il monitoraggio del benessere animale in allevamento. Da tali intenti è scaturito il progetto Welfare

Quality la cui attuazione è stata prevista per il periodo compreso dal 2004 al

2009: lo scopo del progetto è il miglioramento del benessere animale, concentrando l’interesse della comunità scientifica nel trovare un collegamento tra benessere animale e scelte informate e consapevoli del consumatore nel rispetto delle linee guida fornite anche con l’emanazione del Libro Bianco (2002). Per quanto riguarda, invece, l’azienda agro-zootecnica sono stati sviluppati studi volti all’individuazione di strategie pratiche per migliorare la stabulazione e il management. La realizzazione di tale progetto presuppone l’impegno ed il coinvolgimento di diverse figure: infatti, al fine di ottenere prototipi ottimali di valutazione, si deve adottare un approccio multicriteriale (“olistico”) ed un metodo integrato in cui tener conto del maggior numero possibile di indicatori dello stato di benessere. A questo proposito risulta auspicabile una collaborazione integrata tra forze politiche, addetti al settore zootecnico, produttori e ricercatori. Allo stesso modo, infatti, i risultati del lavoro eseguito potranno essere fruibili dai medesimi soggetti coinvolti con particolare beneficio per allevatori, consumatori ed industria.

Secondo un’ottica più ampia la valutazione del benessere deve avvalersi di un metodo che risponda a determinati requisiti: esso infatti deve essere valido scientificamente, ripetibile, praticamente fattibile ed adattabile alle diverse condizioni di allevamento. A tal fine si impiegano degli indicatori che si configurano come parametri oggettivi, misure obiettive e indipendenti da considerazioni puramente morali, strumenti di una valutazione complessiva basata su un sistema integrato e multidisciplinare e riferibili alla tipologia di animale in studio (nel nostro caso da reddito). Tali indicatori, inoltre, devono essere fortemente esplicativi dello stato di benessere dell’animale, facilmente riproducibili e dotati quindi di elevata praticabilità, rilevabili ed analizzabili statisticamente (Alban et. al., 1999). Secondo tale impostazione si configura l’indicatore biologico come rilievo che permette di stabilire il grado di adattamento di un individuo o di una popolazione all’animale all’ambiente in cui

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esso vive. All’interno degli allevamenti gli indicatori biologici di maggior interesse si possono raggruppare in quattro categorie principali (Broom, 1991; Tosi e Verga, 2001):

-indicatori patologici, misurando soprattutto le cause di morbilità e mortalità e la presenza di patologie acute o croniche;

-indicatori fisiologici, che valutano parametri biochimici e biofisici, come ad esempio i livelli ormonali, la frequenza cardiaca, le risposte immunitarie, etc…; -indicatori comportamentali ed etologici che hanno come presupposto la conoscenza dell’etogramma della specie animale in esame ed i diversi test comportamentali;

-indicatori produttivi, riguardanti le performance produttive e riproduttive, come accrescimenti, livelli di fertilità, mortalità, etc….

A livello europeo sono numerosi i modelli valutativi ideati che tengono conto dei parametri soprariportati. In particolare, molti di questi metodi considerano soprattutto l’aspetto comportamentale in relazione alle condizioni di management e stabulazione aziendale.

Tra i fattori ambientali e gestionali maggiormente collegati al livello di benessere degli animali allevati considerati in diversi studi (Bartusssek, 1999; Nolan, 1999; Rousing et al., 1999; Sorensen et. al., 1999, Bartussek et. al., 2000):

-strutture e pavimentazione (comfort dei ricoveri, disponibilità di riparo); -spazio disponibile e libertà di movimento;

-formulazione dei gruppi e loro modificazione; -numerosità dei gruppi;

-possibilità di manifestare l’etogramma e di avere corrette interazioni sociali; -microclima;

-fotoperiodo ed intensità luminosa; -rumori;

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-igiene ambientale; -stockman.

In particolare l’effetto dello ‘stockman’, cioè dell’addetto alla gestione degli animali, è di estrema importanza, anche a parità di tutte le altre condizioni. Infatti la presenza dell’uomo può costituire per l’animale allevato uno stressore ambientale che induce reazioni di timore (quali, quando è preclusa la via di fuga, evitamento o, all’opposto, aggressività); tali reazioni cambiano radicalmente se la presenza dell’uomo è associata a situazioni positive.

Secondo alcuni metodi lo studio di questi aspetti è elaborato mediante la compilazione di schede valutative composite in cui ad ogni voce esaminata viene attribuito un punteggio per definirne il livello, ottenendo così, in ultima analisi, una stima complessiva dell’azienda. Tale metodologia trova applicazione nel sistema ANI 35 L (Bartussek, 1999; Bartussek et al., 2000) applicato in Austria all’allevamento bovino, suinicolo e avicolo; tale metodo è stato sperimentato anche in Italia con buoni risultati (Napolitano et al., 2004; Goracci et. al., 2005). Altri esempi di metodiche che adottano schede valutative con annessi punteggi sono il TGI-200 adottato in Germania (Sundrum et al., 1994), una certificazione basata sulla tipologia di stabulazione ed il management e il sistema che cerca di valutare il livello di benessere da zoppie e problemi podali in allevamento bovino (Winckler e Willen, 1999). Tali sistemi trovano particolare applicazione negli allevamenti intensivi, ma le basi della ricerca sul benessere animale relativo a questa realtà produttiva possono ovviamente essere altrettanto valide, dopo opportuni cambiamenti, in situazioni di zootecnia biologica, in cui tali aspetti assumono un maggior valore visto che rappresentano un carattere costitutivo della tipologia di allevamento stesso. Alcuni elementi sono infatti presenti come presupposti strategici di base, in accordo con le indicazioni comunitarie relative agli allevamenti biologici. Le strategie per ottenere buoni livelli di salute e di benessere, in questo tipo di allevamento si basano su una serie di fattori quali: la scelta corretta della tipologia di animale da allevare (in termini di adattabilità e genetica), l’adozione di sistemi di allevamento e gestione meno intensivi, che rispecchino le caratteristiche di base dell’etogramma specie-specifico, pur senza trascurare le differenze indotte dalla selezione operata dall’uomo durante il

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processo di domesticazione, l’accurata gestione e controllo degli animali, in modo tale da poter prevenire o trattare tempestivamente eventuali problemi sanitari ed un adeguato controllo di alimentazione, acqua e ripari, specialmente in relazione all’eventuale presenza di predatori (Younie, 2000). Ciò implica necessariamente un’alta professionalità degli operatori del settore zootecnico, in termini di formazione continua sulle nuove ricerche su stressori ambientali e risposte adattative collegate.

2.4. Impiego di parametri emato-chimici nella valutazione

del benessere animale

Come precedentemente detto l’impiego di indicatori dovrebbe prevedere un approccio multidisciplinare attraverso un protocollo di prelievo affidabile, un buon rapporto costo/beneficio (economicità, rapidità d’esecuzione) e, non ultimo, con tecniche di cattura e prelievo rispettose dell’animale e poco stressanti. A tal proposito l’esame emocromocitometrico riveste una crescente importanza anche tra gli animali da reddito: esso infatti permette di valutare quantitativamente le tre popolazioni cellulari ematiche (eritrociti, leucociti e piastrine), inoltre è un esame semplice, eseguibile a costi contenuti e fornisce molte informazioni sullo stato di salute dell’animale e, quindi, dell’allevamento. Gli esami ematologici, nonostante siano poco utilizzati nella specie bovina, forniscono un valido strumento diagnostico (Collin, 2000), infatti le più recenti ricerche in ambito zootecnico individuano nella biochimica clinica e nell’ematologia in senso lato un prezioso ausilio ed elemento di indagine sia per quanto riguarda il controllo di taluni aspetti produttivi e zootecnici, sia per quanto concerne lo stato sanitario degli animali (Brugère e Picoux, 1987). Inoltre la stretta relazione tra andamento dei parametri ematici e fase fisiologica per i diversi indirizzi produttivi (vacche da latte, vitelli da ingrasso), ha spinto ormai da anni la ricerca ad indagare su tale legame come risulta da alcuni studi sperimentali volti a interpretare alcuni

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parametri emato-biochimici in relazione allo stato di benessere nelle bovine da latte (Giuliotti et al., 2004).

Tali esami assumono importanza crescente nella patologia del singolo soggetto, nello studio delle turbe metaboliche e nell’individuazione di eventuali patogeni, ma anche nell’ambito della valutazione della mandria o dell’allevamento per ciò che attiene un primo approccio alla patologia di gruppo. A livello individuale permettono di confermare una diagnosi, di stabilire una prognosi ed eventualmente di controllare l’efficacia di un dato trattamento terapeutico, mentre nell’allevamento il controllo dei profili metabolici si rivela importante soprattutto per il monitoraggio delle malattie nutrizionali. Aspetto saliente da considerare è l’importanza della biochimica clinica nella valutazione della funzionalità epatica e nella diagnostica di eventuali patologie a carico del fegato: tale organo infatti assolve a numerosissime funzioni intervenendo nel metabolismo dei lipidi, glucidi, protidi, nella sintesi di molti fattori coinvolti nel processo della coagulazione. Complesse e varie sono le epatopatie che possono essere evidenziate, infatti si possono avere disturbi della funzione secretoria ed escretoria, turbe dei processi di sintesi delle proteine di trasporto come le lipoproteine, le albumine o fibrinogeno, alterazioni dell’immagazzinamento delle vitamine B12, A, del rame e del ferro e problemi della funzione omeostatica. In merito a tali tematiche gli esami biochimici ed in particolare la valutazione di alcuni enzimi epatici (AST,ALT) e delle proteine permette di valutare la capacità epato-cellulare, l’eventuale perdita di integrità degli epatociti e di identificare un’insufficienza od un danno anatomo-funzionale dell’organo. Altri parametri forniscono poi un profilo metabolico di base, come CPK e LDH, importanti indicatori del metabolismo muscolare (Bizzeti, 2005). Inoltre l’analisi di alcuni fra i più importanti macroelementi come il calcio ed il fosforo ci permettono di delineare il quadro del metabolismo minerale mentre parametri come il glucosio, i NEFA ed il colesterolo forniscono una stima di quello energetico.

A conferma di ciò in letteratura troviamo delle ricerche che si propongono di studiare e porre a confronto i valori di alcuni parametri ematochimici ed ormonali (ALT, AST, CK, glucosio,urea, creatinina, colesterolo, Ca, P, LDH, proteine totali e protidogramma) anche nella valutazione del benessere (Rubino et al., 2005).

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2.5. Descrizione e significato clinico di alcuni parametri

ematologici

Eritrociti (RBC)

I globuli rossi sono elementi corpuscolari del sangue privi di nucleo e contenenti emoglobina, essi presiedono fondamentalmente al trasporto e agli scambi gassosi nell’organismo (Aguggini et al.,1998; Voigt, 2000; Archetti e Ravarotto, 2002;; Lubas, 2004; Lubas, 2005). Le cause che ne influenzano il numero sono di varia natura, infatti se ne registra una diminuzione in seguito ad anemia, emorragie, eritrolisi, parassitosi, malnutrizione, carenze vitaminiche, malattie sistemiche, insufficienza renale ed avvelenamenti da dicumarinici ( Archetti e Ravarotto, 2002; Lubas, 2004). Il loro aumento invece può essere legato ad uno stato di disidratazione o ad una condizione di insufficienza respiratoria cronica che determina policitemia compensatoria (Lubas, 2005; Voigt, 2000).

Nel bovino alcuni Autori individuano come valori di riferimento 5-8 milioni di emazie per mm3 di sangue, considerando che nei vitelli è normale il riscontro di

valori più elevati, fino a 10 milioni (Collin, 2000; Feldman et al., 2000).

La stima quantitativa degli eritrociti e una loro valutazione morfologica forniscono informazioni essenziali per individuare uno stato di anemia.

Rosemberger (1979) ha stabilito una classificazione delle anemie in base al conteggio di eritrociti: l’Autore ha indicato come lieve un’anemia in cui il numero di eritrociti per mm3 di sangue fosse inferiore a 5 milioni, media con un numero

compreso tra 2,5 e 3,5 milioni, grave se al di sotto di 2,5 milioni e potenzialmente letale per valori inferiori a 1,5 milioni di emazie.

Emoglobina (HGB)

L’emoglobina è una cromoproteina porfirinica contenente ferro ed è veicolata dalle emazie (Archetti e Ravarotto, 2002). Tale proteina viene sintetizzata negli

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eritrociti immaturi del midollo osseo ed è costituita da quattro molecole di eme e da una globina. L’eme rappresenta il gruppo prostatico dell’emoglobina ed è una protoporfirina con ferro allo stato ferroso identica in tutte le specie ed è intimamente legata alla globina, che invece è formata da due catene polipeptidiche dotate di sequenze specifiche per ogni specie animale. L’emoglobina agisce come intermediaria tra gli scambi di ossigeno tra cellule e ambiente, trasportando l’ossigeno dai polmoni ai tessuti ed eliminando da questi l’anidride carbonica. Inoltre svolge un ruolo importante nella regolazione dell’equilibrio acido-base, asportando l’anidride carbonica dai polmoni e mediante l’azione tampone dei gruppi istidina imidazolici (Lubas, 2004). I valori di riferimento nella specie bovina per tale parametro sono 8-15 g/dL (Feldman et al., 2000), mentre Collin (2000) individua come range di valori normali per il tasso di emoglobina 8-10 g/100 ml, ammettendo valori fino a 14 g per il vitello.

Variazione della concentrazione dell’HGB

La sua concentrazione può aumentare in seguito a poliglobulie ed eritrocitosi, a uno stato di grave disidratazione per perdita di liquidi o riduzione nell’introduzione d’acqua, a paura o apprensione che determina una contrazione splenica e successiva immissione in circolo di eritrociti (Lubas, 2005). Anche in caso di shock e prolungato lavoro muscolare, a causa della contrazione splenica adrenalinica si può avere un aumento del tasso emoglobinico. La sua diminuzione può invece essere correlata a forme di anemia ipocromica, a somministrazione di anestetici o farmaci che provocano il sequestro dei globuli rossi nella milza, o all’ultima fase di gravidanza (Lubas, 2004).

Ematocrito (HCT o PCV)

L’ematocrito rappresenta il volume percentuale occupato dagli eritrociti circolanti nel sangue periferico venoso (Collin, 2000; Voigt, 2000; Lubas, 2004). Si tratta quindi di una misura precisa del volume globulare che si ottiene mediante microcentrifugazione e adottando come valido accorgimento la valutazione del suo valore in correlazione con lo stato di disidratazione dell’animale (Collin, 2000).

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Come valori di riferimento in letteratura troviamo i seguenti range: 24-46% (Feldman et al., 2000) e 30-40% (Collin, 2000).

Variazioni del valore del PCV

Il suo valore può aumentare in correlazione ad uno stato di profonda disidratazione determinata da ustioni, plasmorragie, diarrea, vomito, massiva emorragia, denutrizione o malnutrizione e da patologie gravi come la nefrite cronica interstiziale (Archetti e Ravarotto, 2002; Lubas, 2005).

Anche per l’ematocrito valgono le considerazioni fatte per l’HGB per quanto concerne l’aumento del parametro se messo in relazione a shock, stati di paura e/o eccitazione ed a un lavoro muscolare molto intenso. Condizioni di eritrocitosi e poliglobulie influenzano l’ematocrito incrementandolo, così pure alcune disindocrinie, come l’ipertiroidismo e trattamenti a base di sostanze anabolizzanti. La sua diminuzione invece è secondaria ad anemia, scompensi idrici, congestione circolatoria, cardiopatie congestizie. Anche in presenza di alcuni errori tecnici nelle fasi di prelievo, possiamo avere una diminuzione del parametro in esame, come per esempio per l’emolisi che si può verificare durante o dopo il prelievo o per l’impiego di una quantità eccessiva di EDTA (Lubas, 2005).

Indici eritrocitari (MCV, MCH, MCHC)

Gli indici eritrocitari rappresentano un importante ausilio diagnostico per l’identificazione delle cause delle anemie e per la loro classificazione. Tali indici sono stati ideati da Wintrobe e sono molto importanti poiché definiscono il volume ed il contenuto di HGB degli eritrociti.

Alcuni autori (Feldman et al., 2000) riportano come riferimento specifico nel giovane vitello i seguenti valori: MCV 40-60 fL, MCH 11-17 pg e MCHC 30-36 g/dL, mentre altri (Voigt, 2000) forniscono dei range validi per la specie bovina in generale (Tab.n.5).

Tab. n.5. Valori di riferimento nel sangue bovino degli indici eritrocitari (Voigt,

2000).

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Volume globulare medio (MCV)

L’MCV corrisponde al volume medio eritrocitario ed è uno dei parametri più significativi per una diagnosi differenziale delle anemie, esso viene definito dal rapporto tra l’ematocrito ed il numero di eritrociti per mm3. Tale parametro è

influenzato dal numero delle divisioni cellulari nella proliferazione della serie eritroide e dallo stato di idratazione dei globuli rossi.

L’MCV normalmente viene definito normocitico e può essere determinato dalle prime fasi dell’emorragia, da emolisi e da diminuita formazione eritrocitaria (Lubas, 2005).

L’MCV aumentato, macrocitico, può essere indotto da prolungata attività del midollo osseo e per carenza dei fattori dell’emopoiesi. Deficit di elementi fondamentali per il metabolismo cellulare, come il ferro ed il rame, provocano una diminuzione del volume globulare medio che sarà in tal caso definito microcitico (Lubas, 2005).

Concentrazione emoglobinica globulare media (MCHC)

Anche tale parametro fornisce una stima dell’emoglobina nel sangue circolante, l’MCHC misura infatti la concentrazione di HGB nel volume delle emazie dell’ematocrito; essa viene definita dal rapporto tra il tenore in emoglobina totale e l’ematocrito.

L’MCHC risulta normale, normocromico, in numerosi tipi di anemia con maggior frequenza in quelle sideropeniche. L’MCHC decresce nelle anemie ferroprive e nell’emoglobinopatia: in questo caso si parla di anemia ipocromica. Nel caso delle anemie ipercromiche, invece, si ha un aumento di tale indice.

Emoglobina globulare media (MCH)

L’MCH identifica la quantità media di emoglobina contenuta negli eritrociti, ovvero il contenuto di HGB dell’eritrocita medio del campione esaminato e si ricava dal rapporto tra il tenore di emoglobina totale ed il numero di emazia per mm3.

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per cui si ritengono più significativi gli indici precedentemente descritti, tuttavia si è visto che può registrare delle anormalità, soprattutto in corso di carenza di ferro, in antecedenza alle alterazioni degli altri indici.

Distribuzione eritrocitaria (RDW)

Questo parametro rappresenta l’ampiezza della distribuzione eritrocitaria ed è ricavata dal rapporto tra le deviazioni standard dei volumi eritocitari e la media di questi. L’RDW rappresenta il coefficiente di variazione dei volumi eritrocitari ed è un parametro impiegato come indice di anisocitosi; inoltre, considerato insieme a MCV e MCHC, è indicativo nella classificazione delle anemie (Lubas, 2004).

Leucociti (WBC)

I leucociti sono cellule nucleate del sangue capaci di partecipare all’eliminazione di diversi elementi estranei, con lo scopo di difendere adeguatamente l’organismo. Si suddividono in granulociti (neutrofili, basofili, eosinofili) e agranulociti (linfociti e monociti) in base alla presenza di granulazioni citoplasmatiche (Archetti e Ravarotto, Marcato, 1997). La variazione del loro numero assume particolare significato clinico infatti un loro aumento può essere secondario a stati infettivi acuti, stress, gravidanza, lavoro muscolare, infezioni localizzate, intossicazioni esogene ed endogene, post-emorragie e forme leucemiche. La loro diminuzione può invece essere secondaria a malattie virali, anemie aplastiche, stati anafilattici, tossicosi croniche e stati di malnutrizione. Un significato maggiore assume la variazione del loro numero in riferimento alle singole popolazioni cellulari (Tab. n.6).

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Si hanno poi delle variazioni numeriche di queste cellule in rapporto alla fascia d’età dell’animale (Tab. n.7 ).

Tabella n.7. Numero medio di leucociti nei bovini da carne in funzione dell’età

(Collin, 2000) Età (anni) Numero leucociti (×10 9/l) 3 mesi-1 anno 11 1 anno 10 2 anni 9 3 anni 8 4 anni 7

Tab. n.8.Valori medi e intervalli di riferimento per il numero assoluto dei

leucociti per il bovino (Voigt, 2000)

Neutrofili non segmentati

Neutrofili

segmentati Linfociti Monociti Eosinofili

Basofil i Cellul e /mm3 40 (0-160) 2200 (1200-3600) 4600 (3600-6000) 320 (160-560) 720 (160-1600) 40 (0-160) Parametro K/ µL % WBC 4-12 Neutrofili 0, 60-4 15-45 Linfociti 2, 50-7, 50 45-75 Monociti 0, 02-0, 84 2-7 Eosinofili 0, 00-2, 40 0-20 Basofili 0, 00-0, 20 0-2

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I granulociti neutrofili sono caratterizzati dal nucleo segmentato e dalla presenza nel citoplasma di numerosi granuli azzurrofili (primari) e specifici (secondari). Tali cellule migrano per diapedesi e raggiungono il distretto periferico in cui è in corso un processo infiammatorio dove svolgono la loro attività fagocitarla nei confronti dei patogeni. Spesso però all’interno dell’ambiente acido in cui si trovano inducono la liberazione di enzimi lisosomiali con conseguenti fenomeni di autodigestione e lesioni tissutali (Marcato, 1997). I neutrofili aumentano in seguito ad emolisi, emorragie, infiammazioni, necrosi, miositi, infarto, trattamento con corticosteroidi e stimolazione cronica da agenti esterni (actinomicosi, brucellosi, babesiosi e pneumocistosi) (Marcato, 1997). Diminuiscono per ipoplasia o necrosi del midollo osseo, patologie batteriche acute, stress, somministrazione di corticosteroidi e sindromi da immunodeficienza (Marcato, 1997).

Rapporto linfociti/neutrofili: è impiegato come indicatore di stress causato da infiammazione sistemica ed il suo valore deve essere in condizioni fisiologiche inferiore ad 1 (Zahorec, 2001).

I monociti appartengono alla linea cellulare dei fagociti mononucleati e sono i precursori diretti dei macrofagi tessutali; anch’essi come i neutrofili hanno attività fagocitica ma a differenza di questi possono introdurre solo elementi estranei relativamente piccoli, cioè di diametro inferiore a 0,1 mµ (Marcato, 1997). I monociti generalmente aumentano a causa di lesioni infiammatorie, setticemie, miocarditi e lesioni piogranulomatose (Marcato, 1997; Lubas, 2004).

I granulociti eosinofili sono caratterizzati dalla presenza di granuli acidofili nel loro citoplasma; essi intervengono numerosi solo in alcuni tipi di infiammazione, principalmente in quelle provocate da reazioni di ipersensibilità immediata e da parassiti (Marcato, 1997).

I parassiti metazoi (nematodi, trematodi e cestodi) possono indurre negli ospiti una caratteristica reazione eosinofilica ematica e tissutale, con maggior intensità nella fase invasiva o migratoria delle infestioni da elminti. Ciò avviene in risposta al rilascio di fattori solubili da parte dei linfociti T sensibilizzati dall’antigene parassitario: gli eosinofili vengono infatti attratti nelle sedi dell’invasione

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parassitaria da un fattore chemiotattico liberato direttamente dagli elminti (Marcato, 1997). Solitamente la loro diminuzione è legata alla la somministrazione di corticosteroidi, infiammazioni acute e stress (Lubas, 2004; Voigt, 2000).

Piastrine (PLT)

I trombociti sono elementi figurati del sangue di forma rotonda od ovale, enucleate; esse sono prodotte dal midollo osseo ed originano dai cilindri del citoplasma dei megacariociti (Lubas, 2005). Il citoplasma di tali cellule assume colorazione diversa in base al tipo di colorazione impiegata: infatti con soluzioni di tipo Romanowski appaiono blu con numerosi granuli color porpora, mentre con il Blu di metilene assumono invece un colore uniformemente porpora (Lubas, 2005). Le piastrine intervengono nel processo coagulativo e riparativo dei tessuti, rivestendo un ruolo fondamentale soprattutto durante la fase piastrinica dell’emostasi (Archetti e Ravarotto,2002; Lubas, 2004; Lubas, 2005; Boari e Macori, 2001). A tal proposito risulta necessaria una valutazione quantitativa dell’entità di questa popolazione cellulare associata ad un’eventuale analisi della morfologia sullo striscio ematico. La piastrinosi è secondaria ad emorragie. La piastrinopenia invece è secondaria a forme autoimmunitarie od a scarsa produzione midollare (Lubas, 2005).

Il sangue bovino solitamente mostra valori per tale parametro intorno a 300-800 K/µL (Feldman et al., 2000).

Volume piastrinico medio (MPV)

Tale parametro è un indice del ricambio piastrinico, poiché le dimensioni dei trombociti variano in funzione dell’età cellulare: infatti le cellule appena liberate dal midollo osseo hanno volume maggiore mentre questo decresce con l’invecchiamento (Lubas, 2004; Lubas, 2005). Solitamente l’MPV risulta elevato nelle trombocitopenie immunomediate, mentre il suo valore diminuisce nelle trombocitopenie da diminuita produzione (Lubas, 2004; Lubas, 2005).

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Il piastrinocrito rappresenta la frazione percentuale della massa del sangue intero occupata dalle piastrine (Lubas, 2004; Lubas, 2005). Tale parametro viene ricavato moltiplicando l’MPV per il numero di piastrine.

Platelet Distribution Widht (PDW)

Esso rappresenta l’ampiezza della distribuzione piastrinica calcolata come il rapporto tra le deviazioni standard dei volumi piastrinici e la media dei loro volumi; in particolare il PDW è indicatore di anisocitosi piastrinica (Lubas, 2005).

2.6. Significato clinico e biologico di alcuni parametri biochimici

Glucosio

Nei ruminanti il glucosio non viene primariamente utilizzato come fonte energetica, poiché l’alimento modificato dal rumine determina la produzione di acidi grassi volatili (AGV) come l’acido propionico e butirrico utilizzati nella gluconeogenesi (Archetti e Ravarotto, 2002; Aguggini et al., 1998). Il glucosio ematico può aumentare in corso di diabete mellito, nella sindrome di Cusching, in casi di ipertiroidismo, shock, traumi e pancreatine acuta. L’ipoglicemia può invece dipendere da malassorbimento e sindrome epatorenale (Aguggini, 1998; Ravarotto et al., 2000).

Facendo una distinzione in base all’età dei soggetti, alcuni Autori (Ravarotto et al., 2000) hanno indicato come valori nel plasma bovino normalmente presenti tassi di 2-7,5 mmol/l nei vitelli mentre nei vitelloni 2,8-6,2 mmol/l.

Come indicatore del metabolismo energetico valori di glucosio inferiori a 0,50 g/l indicano la presenza di un’insufficienza funzionale (Vagneur, 1992). Da considerare inoltre che in corrispondenza di un’ipoglicemia avremo l’accumulo di acetil-CoA che non viene completamente utilizzato nel ciclo di Krebs (Brugère, 1987); quest’ultimo si orienta verso una via metabolica alternativa con la conseguente produzione di acido acetoacetico, acetone e acido ß-idrosibutirrico. Si può avere dunque un accumulo di corpi chetonici a livello ematico e conseguente chetoacidosi; a tale condizione si accompagnano diminuzione dell’appetito, calo delle produzioni, dimagrimento, alterazione della sfera riproduttiva con anestro,

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incremento dell’inferilità, con un generale abbassamento delle difese immunitarie e predisposizione all’insorgenza di patologie secondarie (Brugère, 1987).

Il riscontro di iperglicemia, invece, non sembra avere un significato clinico particolarmente rilevante (Schelcher et al., 1995). Un valore elevato potrebbe essere legato ad un aumentato apporto di carboidrati e quindi di glucidi rapidamente degradabili, che superi la capacità tampone del rumine stesso, in tal caso si ha una condizione di subacidosi (pH 5,5-6) (Schelcher et al., 1995).

Colesterolo

Il colesterolo viene sintetizzato soprattutto a livello epatico ed è uno dei principali costituenti dei lipidi sierici. Tale molecola interviene nella sintesi degli acidi biliari, degli ormoni sessuali e degli ormoni della corteccia surrenale, ragion per cui è considerato come lo sterolo più abbondante nell’organismo. In genere viene veicolato da lipoproteine, in particolare da quelle alfa e beta (Aguggini, 1998; Bizzeti, 2005). All’interno dell’organismo esiste in due forme: il colesterolo libero o non esterificato, in cui il gruppo ossidrilico è libero ed il colesterolo esterificato, che risulta esterificato da un acido grasso.

Una significativa diminuzione della colesterolemia totale si registra in corso di insufficienza epatica sia per deficit enzimatico che per deficit nella produzione delle lipoproteine di trasporto. Tale ipocolesterolemia quindi può essere messa in relazione con un quadro di epatopatie gravi, ipertiroidismo, anemie, stati cachettici, gravi infezioni e malnutrizione. Mentre condizioni di ipercolesterolemia sono secondarie ad alterazioni metaboliche ed endocrinopatie, come il diabete mellito od ad ostruzioni delle vie biliari come nell’ittero da stasi, o, infine, a condizioni di colestasi intra ed extra-epatica associate a sofferenza epatocellulare. Quindi, la misurazione della colesterolemia totale può essere impiegata come valido parametro di colestasi, ovvero come misurazione della funzionalità epatica. In presenza di un’ostruzione biliare il colesterolo può raggiungere anche valori doppi rispetto al normale. Un aumento del colesterolo nei bovini può infine essere usato come indicatore di lipomobilizzazione (aumento dei NEFA) causata da stress cronico (aumento corticosteroidi). Di seguito sono riportati i valori normalmente

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registrabili nel plasma bovino (mmol/l): vitelli (3-4 mesi): 0,82-3,27; vitelloni (12-14 mesi): 1,70-4,24 (Ravarotto et al., 2000).

Acidi grassi non esterificati (NEFA)

I NEFA derivano dalla lipomobilizzazione dei grassi di riserva; la loro concentrazione è determinante nel modificare la funzionalità epatica. Di norma sono presenti nel sangue a basse concentrazioni, sono rimossi dal tessuto adiposo e vanno al fegato dove vengono trasformati in corpi chetonici (acetone, acido-acetico e beta-idrossi-butirrico) utilizzati a scopo energetico. Il livello di NEFA nel plasma è impiegato come indicatore di stati di chetosi tipici della specie bovina, soprattutto nella vacca da latte subito dopo il parto. In condizioni di stress possono aumentarne i livelli poiché l’aumento della cortisolemia determina un aumento della lipolisi.

Valori normali nel plasma bovino (meq/l): vitelli: 0,01-0,36; vitelloni: 0,01-0,64 (Ravarotto et al., 2000).

Aspartato transaminasi (AST)

L’aspartato transaminasi è localizzata per il 50% nel citoplasma e per la restante parte nei mitocondri degli epatociti e dei miociti. L’AST costituisce un indice di citolisi, infatti la sua concentrazione ematica aumenta ogni qual volta vi sia lisi cellulare a causa di fenomeni tossici, infettivi o infiammatori (Bizzeti, 2005). Determinare tale parametro è utile per l’individuazione di malattie epatiche e cardiache e nelle miopatie di diversa origine.

Un aumento notevole di questo enzima è indice di epatite, ittero colestatico, cirrosi, carcinoma epatico; in particolare si può affermare che un aumento medio di AST indica la presenza di una patologia epatica, come steatosi, fasciolosi o intossicazione da rame. Un suo aumento può essere indice anche di patologie muscolari come le miositi. (Verrièle e Boduet, 2000).

Il suo tasso normale è compreso tra 50 e 150 U/I (Verrièle e Boduet, 2000); distinguendo in base all’età nei vitelli abbiamo tassi di 100-160 (U/I), mentre nei vitelloni 49-126 (U/I) (Ravarotto et al., 2000).

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Alamina amino transferasi (ALT)

Tale enzima è localizzato soprattutto negli epatociti a livello citoplasmatico, nonostante ciò non può essere definito come epatospecifico poiché è presente anche nella muscolatura striata.

L’ALT rappresenta un utile parametro per valutare la funzionalità epatica ed in particolare nella diagnosi di epatiti infettive, tossiche, ittero col estatico e miocardiopatie (Amadori e Archetti, 2002). Nei vitelli solitamente si hanno livelli di 5-40 U/L, mentre nei vitelloni di 11-33 U/L (Ravarotto et al., 2002).

Lattico deidrogenasi (LDH)

L’LDH è un enzima ubiquitario a localizzazione intracellulare citoplasmatica; anch’esso è un importante indicatore del danno cellulare. Esso presiede al metabolismo della cellula, intervenendo nella glicolisi anaerobica ed in particolare nella reazione che catalizza la trasformazione del piruvato in lattato(Bizzeti, 2005). Tale enzima è a bassa specificità, a conferma di ciò le sue forme isoenzimatiche sono presenti nel siero ed in vari tessuti come rene, fegato, milza, pancreas e intestino. La determinazione dell’attività plasmatica dell’LDH è utile soprattutto nella diagnosi di patologie epatiche, infiammatorie e tossiche, nelle cardiopatie e nelle miopatie (Bizzetti, 2005). In particolare la molecola attiva dell’LDH è un tetramero ed esistono due subunità distinte dette M (muscle) ed H (heart). La struttura tetramerica deriva dalla combinazione di tali subunità; esistono quindi le seguenti possibilità di composizione: LDH1=HHHH; LDH2=HHHM; LDH3=HHMM; LDH4=HMMM; LDH5=MMMM.

L’identificazione degli isoenzimi trova un riscontro pratico nel fatto che in corso di malattie al miocardio aumenta specificamente LDH1, mentre in corso di miopatie è principalmente interessato LDH5, dunque aumenta la specificità diagnostica. Valori normali (U/I): vitelli: 1492-4411; vitelloni: 1624-5260.

Creatinina

La creatinina è un composto azotato non proteico derivante dal metabolismo delle proteine; essa viene totalmente assorbita dal sangue e totalmente eliminata per

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via glomerulare. Questo fatto fa si che la sua misurazione a livello ematico si possa direttamente correlare con quella renale.

Un aumento di questo parametro può essere dato da intensi e prolungati sforzi muscolari, ipertiroidismo, insufficienza glomerulare, nefriti e sindrome ureica. Valori del range fisiologico: vitelli: 93-222 mmol/l; vitelloni:107-229 mmol/l (Ravarotto et al. 2000).

Creatinfosfochinasi (CPK)

E’un enzima specifico della muscolatura scheletrica, del tessuto celebrale e del miocardio.

Tale enzima catalizza la reazione: Fosfocreatinina +ADP Creatina+ATP ed è importante soprattutto per il metabolismo del muscolo scheletrico. L’incremento dei livelli plasmatici del CK è legato a patologie della muscolatura scheletrica e cardiaca in modo specifico. La molecola di questo enzima è formata da due subunità: M (muscle) e B (brain); i muscoli scheletrici contengono soprattutto una grande quantità di dimero MM ed il cervello quello BB, nel miocardio si ritrova una grande quantità di MM ma anche di MB. Quest’ultimo dimero ibrido risulta fortemente specifico per lesioni a carico del miocardio non essendo presente in altri comparti. Le cause che più frequentemente determinano un aumento della CK sono traumi meccanici, miositi, lesioni podali, come i prelievi ematici effettuati in condizioni particolarmente stressanti come quelli che prevedono la cattura ed il contenimento forzato.

Valori normali (U/I): vitelli: 49-954; vitelloni: 61-801. Per concentrazioni superiori a 500 U/I si può diagnosticare una patologia muscolare, ancora di più se associato ad un aumento dell’AST (Verrièle e Boduet, 2000).

Calcio (Ca)

Il calcio è un elemento indispensabile alla formazione della matrice ossea ed al suo metabolismo; il calcio riveste un ruolo fondamentale nell’eccitazione neuromuscolare ed entra nella formazione dei più importanti substrati organici. Il livello ematico di questo macroelemento è rapidamente controllato dagli ormoni che regolano l’assorbimento intestinale e l’attività di osteoblasti e osteoclasti

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(Aguggini, 1998; Bertolin et al., 2002; Bizzeti, 2005). L’ipercalcemia si ha in seguito ad ipervitaminosi A e D, nefrite cronica interstiziale ed insufficienza surrenalica. L’ipocalcemia può derivare invece da malassorbimento, insufficienza epatica, rachitismo, insufficienza renale cronica e da intossicazione da fosfati (Bertolin et al., 2002). Una condizione di ipocalcemia fisiologica si ha in gravidanza e nel post-partum dopo la lattazione.

Valori normali (mmol/l): vitelli: 2,04-2,70; vitelloni: 2,21-2,74 (Ravarotto et al., 2000); vitello: 9-11 mg/dl; bovino adulto: 9-11,5 mg/dl (Bizzeti, 2005); valore medio 80-120 mg/l (Verrièle e Bedouet, 2000).

Fosforo inorganico

Tale elemento è di fondamentale importanza, essendo presente infatti in tutte le cellule ed i liquidi extracellulari ed essendo un costituente della matrice inorganica del tessuto osseo e cartilagineo. Partecipa alla regolazione del pH ematico, all’assorbimento renale del sodio e la sua concentrazione è in equilibrio con la calcemia (Bertolin et al, 2002). Il suo tasso ematico varia molto in funzione dell’apporto alimentare con la dieta. Possibili cause di variazione della concentrazione plasmatica del fosforo sono scompensi ormonali, disvitaminosi, patologie renali, parassitosi ed eccesso di proteine nella razione (Bertolin et al, 2002).

Alcuni Autori (Ravarotto et al. 2002) riportano come valori normali 1,56–3,39 mmol/l nei vitelli e 1,93–3,26 nei vitelloni. Altri (Bizzeti, 2005) (mg/dl) per il vitello indicano 8-11mg/dl e nel bovino adulto 4-7 mg/dl; in generale si considera nella norma per la specie bovina una tasso ematico di 40-86 mg/l (Verrièle e Bedouet, 2000).

Azoto ureico

L’urea rappresenta il principale catabolita proteico e viene escreto soprattutto per via renale. L’azoto ureico viene sintetizzato a livello epatico per deamminazione degli amminoacidi attraverso il ciclo dell’urea (Bertolin et al., 2002). Tale parametro è di fondamentale importanza poiché fornisce una valutazione indiretta della funzionalità ruminale ed epatica (Bertolin et al., 2002).

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Stati di disidratazione, ustioni, emolisi, ipertensione, emorragie, insufficienza renale e somministrazione di una dieta iperproteica possono indurre uno stato di iperazotemia. L’insufficienza epatica e diete ipoproteiche sono responsabili di una condizione di ipoazotemia (Bertolin et al., 2002). Solitamente le variazioni di tale parametro nel bovino sono riconducibili ad errori nella formulazione della razione alimentare; in particolare si riscontrano delle modificazioni in presenza di un alterato rapporto tra proteine alimentari ed energia. Una concentrazione ematica di urea superiore a 6,5 mmol/l (Ravarotto et. al., 2000) risulta tossica per il bovino.

Cortisolo

Il cortisolo ematico è un valido parametro biochimico-clinico endocrinologico dello stress cronico; esso è un glucocorticoide steroideo che viene secreto con ritmo circadiano; si trova in circolo legato per il 70% alla Cortisol Binding Globulin (CBG) ed ha un’emivita plasmatici di 60-90 minuti: il 20% viene convertito in cortisone e l’1% viene escreto dalle urine (Aguggini et al., 1998). Nella saliva predomina la forma libera e la correlazione della concentrazione rispetto a quella sierica è molto elevata nei mammiferi (0,6-0,9), il trasporto per diffusione passiva nella saliva garantisce un equilibrio costante tra concentrazione plasmatici e salivare. All’azione del cortisolo sono correlate le variazioni delle diverse vie metaboliche e cicli biochimici: infatti una condizione di stress cronico determina un’increzione del cortisolo ematico determinando un aumento del glucosio, dei NEFA, del colesterolo per un aumento della gluconeogenesi, del CK, in conseguenza di un danno muscolare e di LDH e AST, per un danno epatico. Inoltre si ha un grado variabile di immunosoppressione per l’inibizione della secrezione di immunoglobuline, in particolare della serie gamma.

Valori fisiologici cortisolo bovino:2-6 ug/dL

Proteine totali

Le proteine sono importanti componenti del plasma che presiedono al trasporto di numerosi composti e funzione immunitaria. Una iperproteinemia è indicativa di uno stato di disidratazione e vomito, mentre in caso di una loro diminuzione si

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deve sospettare un’insufficienza epatica o renale, enteropatie, malassorbimento e malnutrizione (Bertolin et. al.,2002)

Valori di riferimento: vitelli 50-82 g/l; vitelloni 63-93 g/l (Ravarotto et al., 2000).

Protidogramma

Stati flogistici accompagnano spesso le alterazioni del tracciato elettroforetico, in particolare della frazione delle α-globuline; inoltre un’elevata gamma-globulinemia può essere riconducibile ad una elevata pressione infettante. L’analisi elettroforetica delle proteine fornisce indicazioni su diversi tipi di patologie.

Albumina: rappresenta la frazione proteica a più rapida migrazione, essa viene

sintetizzata a livello epatico; è la più importante proteina di trasporto in grado di legare e veicolare molecole diverse, tra cui ioni e pigmenti.

Globuline: è un gruppo di proteine molto eterogenee, caratterizzate da diverso

peso molecolare e quindi diverso comportamento nella migrazione elettroforetica e dotate di differenti funzioni biologiche.

-Gammaglobuline: comprende la maggioranza degli anticorpi circolanti, le

immunoglobuline, rappresentando quindi la frazione anticorpale plasmatica (Bertolin et al., 2002).

-Alfa 1: sono costituite da glicoproteine e lipoproteine, esse svolgono la funzione

di proteine di trasporto e fissazione ad esempio per la vitamina A ed il cortisolo; inoltre si comportano come enzimi. L’incremento della frazione α-1 è secondario a forme infiammatorie, sindromi emorragiche e miocarditi (Bertolin et al., 2002; Lubas, 2004; Lubas, 2005).

-Alfa 2: sono date soprattutto da glicoproteine con funzioni di trasporto di ioni

metallici quali rame e zinco, inibitori di enzimi e di costituenti del complemento. L’aumento della frazione α-2 si ha a seguito di in infiammazione acuta, malattie allergiche, necrosi tissutale.

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-Beta: sono rappresentate da glico e lipoproteine con funzioni di trasporto e

costituenti del complemento. L’incremento delle β-globuline è riconducibile alle infiammazioni epatiche, sindrome nefrosica ed in caso di anemie a malattie infiammatorie acute e stati settici (IgM) (Archetti e Ravarotto, 2002).

Figura

Tabella n.7.  Numero medio di leucociti nei bovini da carne in funzione dell’età

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