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STRIDING FOLLY – Un racconto di Lord Peter Wimsey

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Academic year: 2021

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STRIDING FOLLY – Un racconto di

Lord Peter Wimsey

“La aspetto il prossimo mercoledì per il nostro gioco come al solito?” chiese Mr Mellilow. “Certo, certo”, rispose Mr Creech. “Sono molto felice che non ci sia rancore tra noi, Mellilow. Il prossimo mercoledì come al solito. A meno che…” il suo viso triste si rabbuiò per un momento, come se stesse pensando a qualche spiacevole ricordo. “Potrebbe venire a trovarmi un uomo. Se non sarò qui per le nove, non mi aspetti. In tal caso, verrò giovedì.”

Mr Mellilow lasciò uscire il suo ospite dalla portafinestra e lo osservò attraversare il prato fino al cancelletto che conduceva ai giardini della grande villa. Era una chiara notte di ottobre, con una luna quasi piena nel cielo. Mr Mellilow si infilò le sue galosce (poiché ci teneva alla sua salute e il prato era bagnato) e oltrepassò la meridiana e il laghetto con i pesci e attraversò il giardino incassato nel terreno finchè non arrivò al recinto che delimitava la sua piccola proprietà situata nella parte meridionale. Appoggiò le braccia alla ringhiera e fissò tutta la piccola valle fino alla cascatella del fiume e l’ampio pendio oltre, che era coronato, a un miglio di distanza, da una ridicola torre di pietra conosciuta con il nome di Folly. La valle, il pendio e la torre appartenevano tutte a Striding Hall. Stavano là, pacifiche e adorabili al chiaro di luna, come se niente avrebbe mai potuto disturbare la loro fantastica solitudine. Ma Mr Mellilow la sapeva lunga.

Aveva comprato il cottage per finirci i suoi giorni, pensando che quello fosse un angolo di Inghilterra uguale a ieri, a oggi e così per sempre. Era strano che proprio lui, un giocatore di scacchi, non era stato capace di prevedere le tre mosse che lo avevano preceduto. La prima mossa era stata la morte del vecchio proprietario. La seconda era stata l’acquisto da parte di Creech dell’intera proprietà di Striding. Ancora allora, non era stato capace di capire perché un ricco uomo d’affari – non sposato e con nessun interesse verso la campagna- era finito a vivere in un posto così remoto. È vero, c’erano tre città considerevoli a poche miglia di distanza, ma il paesino in sé era sperduto in mezzo al nulla. Che sciocco! Si era dimenticato

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della rete elettrica! Era arrivata, simile a una torre degli scacchi grande e brutta piombata da un angolo che non era stato preso in considerazione, marciava attraverso il paese, scavalcando quattro, sei, otto parrocchie alla volta, piantando piloni orribili per marcare la sua avanzata e adesso occupava abusivamente il territorio vicinissimo alla porta di casa di Mr Mellilow. Dato che Creech aveva appena annunciato in maniera calma che stava vendendo la valle alla Compagnia Elettrica; e che ci sarebbe stata un’enorme centrale elettrica sul fiume e i bungalow degli operai sul pendio, e poi lo Sviluppo – che, per Mr Mellilow, era un altro nome per indicare il diavolo. Era ironico che Mr Mellilow, era stato l’unico del paesino, a ricevere Creech con gentilezza, scusandosi per il suo senso dello humour volgare e per i suoi modi di fare rozzi, perché pensava che Creech fosse solo e lo credeva ben intenzionato, e perché era felice di avere un vicino di casa con cui avrebbe potuto fare una partita a scacchi alla settimana.

Mr Mellilow rientrò con l’animo afflitto e rimise le sue galosce nel posto dove stavano di solito nella veranda vicino alla portafinestra. Mise via i pezzi degli scacchi e fuori il gatto e chiuse il cottage – dal momento che viveva quasi del tutto solo, con una donna che arrivava di giorno. Poi andò a letto con in testa la Folly, e si addormentò subito e sognò.

Si trovava in un paesaggio dall’aria molto familiare. C’era un’ampia pianura, intersecata da siepi, e attraversata più o meno a metà da un fiume, sopra il quale c’era un piccolo ponte di pietra. In alto, delle enormi nuvole minacciose blu e nere stavano pesantemente sospese, e l’aria aveva quell’immobilità elettrica simile a qualcosa tirato fino al punto di rottura. Lontano, oltre il fiume, una livida striscia di sole bucava le nuvole e illuminava con un’intensità teatrale un’alta torre solitaria. La scena aveva un’irrealtà strana, come se fosse una tela dipinta. Era una fotografia, e lui aveva la strana convinzione di riconoscere chi l’aveva fatta e di poter dare un nome all’artista. “Liscia e stretta”, erano le parole che gli vennero in mente. E poi: “di sicuro crollerà fra poco”. E poi ancora: “non sarei dovuto uscire senza le mie galosce”.

Era importante, era indispensabile che tornasse al ponte. Ma più camminava velocemente, più la distanza aumentava, e senza le sue galosce avanzare era molto difficile. A volte era impantanato fino al ginocchio, a volte si dimenava su sponde

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ripide di argillite molle; e l’aria non era soltanto opprimente – era calda come dentro a un forno. Stava correndo, con un respiro affannato in gola, e quando guardò su fu stupito di vedere quanto fosse vicino alla torre. Il ponte era incredibilmente piccolo adesso, ridotto a un puntino all’orizzonte, ma la torre gli stava di fronte appena dall’altra parte del fiume, e proprio alla sua destra c’era un bosco nero, che prima non c’era. Qualcosa guizzò al limite del bosco, fuori e dentro un’altra volta, timido e veloce come un coniglio; e adesso il bosco era tra lui e il ponte, e la torre dietro al ponte, ancora sfavillante in quella striscia di sole innaturale. Si trovava al margine del fiume, ma il ponte non era visibile da nessun punto – e la torre, la torre si stava muovendo. Aveva attraversato il fiume. Aveva passato il bosco con un salto gigantesco. Non c’erano più di cinquanta yarde rimaste, immensamente alta, brillante, e dipinta. Anche se correva, schivando e torcendosi, la torre aveva guadagnato terreno, e quando lui si voltò per scappare era lì prima di lui. Era una doppia torre – torri gemelle – una torre e la sua immagine riflessa, che avanzavano con una furtività rapida e terribile da entrambe le parti per schiacciarlo. Era bloccato tra loro adesso, ansimante. Vedeva le loro parti gialle e lisce affusolarsi verso il cielo, e ai loro piedi ci fu un trambusto mostruoso, come il fremito di un gatto pronto per fare un agguato. Poi il cielo basso straripò come un canale e sotto lo scroscio di pioggia saltò attraversando la porta ai piedi della torre davanti a lui e si ritrovò a salire la familiare scala di Striding Folly. “Le mie galosce saranno qui”, disse, con un convinto senso di sollievo. Il fulmine colpì improvvisamente attraverso una feritoia e vide un corvo nero che giaceva morto sulle scale. Poi un tuono…come un rullio di tamburi. La donna che veniva di giorno stava bussando alla porta.

“Ha dormito fino a tardi”, disse, è sicuro”.

Mr Mellilow, mentre finiva la cena il mercoledì successivo, sperava davvero che Mr Creech non arrivasse. Aveva pensato un bel po’ durante la settimana al sistema di potenza elettrica, e più ci pensava, meno gli piaceva. Aveva scoperto un’altra cosa che aveva fatto crescere la sua avversione. Sir Henry Hunter, che possedeva un bel pezzo di terra dall’altra parte del mercato della città, aveva, a quanto pare, offerto alla Compagnia un luogo decisamente più adatto di Striding a condizioni estremamente favorevoli. La scelta di Striding sembrava inspiegabile a

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patto che Creech non avesse corrotto l’agrimensore. Sir Henry diede voce ai suoi sospetti senza troppi giri di parole. Ammise, comunque, che non poteva provare niente. “Ma è disonesto”, disse; “ho sentito delle cose sul suo conto in città. Altre cose. Brutti pettegolezzi.” Mr Mellilow suggerì che l’affare, dopotutto, sarebbe potuto non andare in porto. “Lei è un ottimista”, disse Sir Henry. “Niente ferma un tipo come Creech. Eccetto la morte. È un uomo che ha dei nemici…” Si interruppe, aggiungendo, minacciosamente, “speriamo che si rompa il suo dannato collo uno di questi giorni – e prima è meglio è”.

Mr Mellilow si sentiva a disagio. Non amava sentir parlare di trattative illecite. Gli uomini d’affari, supponeva, erano fatti così; ma se lo erano, avrebbe preferito non giocare con loro. Rovinò le cose, in qualche modo. Meglio, forse, non pensarci troppo. Raccolse il giornale, determinato a tenere la mente occupata, mentre aspettava Creech, con il problema che gli presentavano gli scacchi quel giorno. Toccava ai bianchi e lo scacco matto al tre.

Si era appena piacevolmente concentrato sulla questione quando qualcuno bussò alla porta principale. Creech? Così presto? Alle otto? Sicuramente no. E in ogni caso, sarebbe arrivato dal prato e attraverso la portafinestra. Ma chi altro andrebbe al cottage di sera? Piuttosto sconcertato, si alzò per far entrare l’ospite. Ma l’uomo che stava sulla soglia era uno straniero.

“Mr Mellilow?”

“Sì, il mio nome è Mellilow. Cosa posso fare per lei?”

(Un automobilista, ipotizzò, che chiedeva la strada o voleva qualcosa in prestito). “Ah! Bene. Sono venuto per giocare a scacchi con lei.”

“Per giocare a scacchi?” ripetè Mr Mellilow, stupito.

“Sì; sono un commesso viaggiatore. La mia macchina si è rotta nel paesino. Devo rimanere alla locanda e ho chiesto al buon Potts se ci fosse qualcuno per fare una partita a scacchi e passare la serata. Mi ha detto che Mr Mellilow vive qui e sa giocare bene. Infatti, ho riconosciuto il nome. Non ho forse letto Mellilow nel

gioco del pedone? È suo, no?”

Piuttosto lusingato Mellilow ammise la paternità di quella piccola opera.

“Quindi. Mi congratulo con lei. E mi farà il favore di giocare con me, eh? A meno che non la importuni, o che non abbia compagnia”.

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“No”. Disse Mr Mellilow. “Diciamo che sto aspettando un amico, ma non arriverà prima delle nove e forse non verrà nemmeno”.

“Se viene, me ne andrò”, disse lo straniero. “È molto gentile da parte sua”. In qualche modo era scivolato dentro casa senza nessun invito diretto e si stava togliendo il cappello e il cappotto. Era un omone con una barba corta, sottile e ricciuta e occhiali fumé, e parlava con una voce profonda con un leggero accento straniero. “Il mio nome”, aggiunse “è Moses. Lavoro per Messers. Cohen & Gold di Farringdon Street, i produttori industriali degli impianti elettrici”.

Fece una grande smorfia, e il cuore di Mr Mellilow si contrasse. Tutta questa fretta sembrava piuttosto scortese. Addirittura prima di essersi accomodati! Provava un risentimento irragionevole nei confronti di quell’ebreo innocuo. Allora, rimproverò se stesso. Non era colpa dell’uomo. “Venga”, disse, con più cordialità nella sua voce di quanta ne sentisse veramente, “sarei davvero felice di fare una partita con lei”.

“Le sono davvero grato”, disse Mr Moses, facendo entrare la sua figura imponente nel salotto. “Ah! Si sta allenando usando il Record dei due giocatori. È elegante ma non profondo. Non ci metterà molto a finirlo. Permette che me ne occupi io?” Mr Mellilow fece cenno di sì con la testa, e lo straniero iniziò a sistemare la scacchiera per giocare.

“Si è fatto male alla mano?” domandò Mr Mellilow.

“Non è niente”, rispose Mr Moses, piegando il guanto che indossava e mostrando un bel cerotto. “Mi sono rotto le nocche cercando di aggiustare quella dannata macchina. Ha fatto un balzo e mi ha colpito. Bah! Una sciocchezza. Porto un guanto per proteggerlo. Allora, iniziamo?”

“Non vorrebbe qualcosa da bere prima?”

“No, no, grazie mille. Mi sono già rifocillato alla locanda. Troppi drink non vanno bene. Ma ciò non deve far sì che lei si privi del suo”.

Mr Mellilow si servì un semplice whisky e soda e si sedette alla scacchiera. Vinse al sorteggio e prese i pezzi bianchi, giocando il pedone sulla fila del suo re al quarto del re.

“Allora!” disse Mr Moses, mentre le poche mosse successive e le contromosse seguivano il corso prestabilito, il “gluco piano, eh?” Niente di spettacolare.

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Mettiamo alla prova la forza. Quando sapremo con cosa avremo a che fare nel momento in cui ci incontreremo, allora cominceranno le sorprese”.

La prima partita procedette cautamente. Chiunque potesse essere Mr Moses, era un giocatore valido e intelligente, che non era facile da spaventare in modo da spingerlo a commettere imprudenze.

Due volte Mr Mellilow architettò una trappola subdola; due volte, con un grande sorriso, Mr Moses uscì con grazia dalle morse che si chiudevano. La terza trappola venne preparata con più attenzione. Gradualmente, e combattendo ogni mossa lungo il cammino, il nero venne spinto dietro le sue ultime difese. Cinque minuti dopo Mr Mellilow disse gentilemente, “scacco”; aggiungendo, “scacco matto al quattro”. Mr Moses fece un cenno di assenso con la testa. “È stata una bella mossa”. Tirò un’occhiata all’orologio. “Un’ora. Mi da la rivincita, eh? Adesso sappiamo chi abbiamo di fronte. Adesso vedremo.”

Mr Mellilow era d’accordo. Le nove e dieci minuti. Creech non sarebbe più arrivato adesso. I pezzi erano di nuovo al loro posto. Questa volta, Mr Moses prese i bianchi, aprendo la partita con la difficile e pericolosa prima mossa di Steinitz. Nell’arco di pochi minuti Mr Mellilow realizzò che, fino ad allora, il suo avversario aveva giocato con lui in due sensi. Aveva provato l’eccitazione avida e palpitante che fa parte del processo del mordere più di quello che si possa masticare. Alle nove e mezzo, era decisamente sulla difensiva; a un quarto alle dieci, pensava di poter trovare una via d’uscita; cinque minuti dopo, Mr Moses disse improvvisamente: “si sta facendo tardi: dobbiamo iniziare a giocare sul serio”, e spinse avanti un cavallo, lasciando la sua regina en prise.

Mr Mellilow prontamente approfittò della svista – e si accorse, troppo tardi, che era minacciato dall’avanzare di una torre bianca.

Che stupido! Come aveva fatto a lasciarsela sfuggire? C’era una soluzione, certo…ma desiderava che la piccola stanza non fosse così calda e che gli occhi dello straniero non fossero così imperscrutabili dietro agli occhiali fumè. Se avesse potuto spostare il suo re al sicuro per il momento e farsi strada col suo pedone, poteva ancora avere una chance. La torre si mosse verso di lui mentre si girava e schivava; arrivò in picchiata e a grandi passi attraverso la scacchiera, quattro, sei, otto quadrati alla volta; e adesso la seconda torre bianca era uscita

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come una freccia dal suo angolo; lo stavano circondando – un doppio castello, castelli gemelli, un castello e la sua immagine riflessa: oddio! Era il suo sogno delle torri che avanzavano a grandi passi, lisce, gialle e dipinte. Mr Mellilow si asciugò la fronte.

“Scacco!” disse Mr Moses. E ancora, “scacco!” E poi, “scacco matto!”

Mr Mellilow si ricompose. Non poteva essere vero. Il suo cuore batteva forte come se avvesse corso. Era ridicolo essere così tesi per una partita a scacchi; e se c’era un genere di persona al mondo che disprezzava, erano i perdenti. Lo straniero stava dicendo qualcosa di educato di circostanza – non sarebbe stato capace di dire cosa – e rimetteva a posto i pezzi nella loro scatola.

“Devo andare adesso”, disse Mr Moses. “La ringrazio davvero molto per avermi gentilmente concesso il piacere… mi scusi, si sente male?”

“No, no”, disse Mr Mellilow. “È il calore del fuoco e della lampada. Le nostre partite mi hanno davvero fatto divertire tanto. Non vuole prendere niente prima che vada?”

“No, la ringrazio. Devo fare ritorno prima che il buon Potts mi chiuda fuori. Ancora, la ringrazio di cuore”.

Afferrò la mano di Mr Mellilow nella sua stretta guantata e velocemente attraversò il salone. Un momento dopo aveva preso cappello e cappotto e se n’era andato. I suoi passi si spensero lontano sul sentiero acciottolato.

Mr Mellilow tornò in salotto. Un episodio strano; poteva credere a stento che fosse davvero accaduto. Là rimanevano la scacchiera vuota, i pezzi nella loro scatola, il Record sulla vecchia cassapanca di quercia con un unico bicchiere dietro; poteva anche essersi appisolato e aver sognato l’intera cosa dato che tutte le tracce della visita dello straniero erano sparite. Di sicuro la stanza era davvero calda. Aprì la portafinestra. Una luna sbilenca era sorta, controllava la valle e il pendio oltre, con macchie di nero e bianco. Alta e distante, la Folly era una striscia pallida contro il cielo. Mr Mellilow decise che avrebbe fatto una passeggiata giù al ponte per schiarirsi le idee. Si fece strada a tentoni verso il solito angolo dove teneva le sue galosce. Non c’erano. “Dove mai le aveva messe quella donna?” borbottò Mr Mellilow. E si rispose da solo, in maniera irrazionale ma con totale convinzione: “le mie galosce sono su alla Folly”.

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I suoi piedi sembravano muoversi per conto loro. Era nel giardino adesso, camminava spedito verso il campo fino alla piccola passerella di legno. Le sue galosce erano alla Folly. Era fondamentale doverle andare a rimprendere; il più piccolo ritardo sarebbe stato fatale. “È ridicolo”, pensò Mr Mellilow tra sé. “È colpa di quel sogno assurdo che mi gira in testa. Mrs Gibbs deve averle prese per pulirle. Ma dato che sono qui, potrei comunque andare avanti; una passeggiata mi farà bene”.

Il sogno aveva così tanto potere su di lui che fu piuttosto sorpreso di trovare il ponte al suo solito posto. Mise la mano sulla ringhiera e si sentì confortato dalla ruvidità della corteccia non levigata. Da lì mancava mezzo miglio per andare su alla Folly. I suoi lati lisci brillavano al chiaro di luna, e si girò improvvisamente, come se si aspettasse di vedere la doppia immagine che avanzava attraverso i campi dietro di lui. Niente di così sensazionale poteva essere visto, comunque. Affrontò il pendio con rinnovato coraggio. Ora era proprio sotto la torre – e un po’ sotto shock vide che la porta alla base era aperta.

Entrò dentro, e immediatamente l’oscurità lo avvolse come una coperta. Cercò con il piede la scala e iniziò a salire a tentoni tra il montante della scala a chiocciola e il muro. Ora nell’oscurità, ora nel bagliore di una feritoia, la scala sembrava girare all’inifnito. Poi, mentre sollevava la testa nel pallido luccichio della quarta finestra, vide qualcosa di nero e senza forma sdraiato in maniera scomposta sulla scala. Con una certezza improvvisa e terribile che questo era ciò che era venuto a vedere, salì ancora e ci si chinò sopra. Creech giaceva là morto. Proprio dietro al corpo c’erano un paio di galosce. Appena Mr Mellilow si mosse per prenderle, qualcosa rotolò sotto il suo piede. Era una torre degli scacchi bianca.

Il medico legale disse che Creech era morto circa alle nove. Era stato provato che alle otto e cinquanta si era avviato verso il cancelletto per giocare a scacchi con Mr Mellilow. E nella luce del mattino le orme delle galosce di Mr Mellilow erano chiare, conducevano al sentiero acciottolato sulla parte lontana del prato, dopo la meridiana e il laghetto con i pesci e attraverso il giardino incassato nel terreno; e molto più in là del campo fangoso e del ponticello e su per il pendio verso la Folly. Erano impronte davvero profonde e vicine tra loro, come quelle che

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potrebbe lasciare un uomo che porta un mostruoso fardello. A un buon miglio dalla Folly e una metà in salita. Il dottore guardò con aria interrogativa la figura asciutta di Mr Mellilow.

“Oh, sì”, disse Mr Mellilow. “Avrei potuto trasportarlo. È una questione di abilità, non di forza. Vedete – “ arrossì timidamente, “non sono un gentiluomo in realtà. Mio padre era un mugnaio e ho passato la mia intera giovinezza trasportando sacchi. Solo che ero sempre interessato ai miei libri, e così sono riuscito a istruirmi e a guadagnare un po’ di soldi. Sarebbe stupido fingere che non avrei potuto trasportare Creech. Ma non l’ho fatto, di certo”.

“Mi rincresce”, disse il Commissario, “che non riusciamo a trovare nessuna traccia di quest’uomo, Moses”. La sua voce era la più sgradevole che Mr Mellilow avesse mai udito – una voce piena di scetticismo tagliente come una lama. “Non è mai sceso dai Feathers, questo è sicuro. Potts non ha mai posato lo sguardo su di lui, figuriamoci mandarlo quassù con una storia sugli scacchi. Né nessuno ha visto la macchina. Sembra essere stato proprio uno strano signore questo Mr Moses. Nessuna impronta di scarpe alla porta principale? Bè, sono ciottoli, quindi non può aspettarsi di trovarne. Per caso questo è il suo bicchiere di whisky, signore?... Oh? Non avrebbe preso un drink, giusto? Ah! E avete fatto due partite a scacchi proprio in questa stanza? Ah! Gioco molto avvincente, così mi hanno detto. Non ha sentito il povero Mr Creech arrivare dal giardino?

“Le finestre erano chiuse”, disse Mr Mellilow, “e le tende tirate. E Mr Creech di solito arrivava camminando direttamente sul prato e poi dal cancelletto”.

“Mh!” disse il Commissario. “Quindi arriva, o qualcuno arriva, direttamente alla veranda e ruba un paio di galosce; e lei e questo Mr Moses siete così occupati che non sentite niente”.

“Venga, Commissario”, disse il Questore, che era seduto sulla cassapanca di quercia di Mr Mellilow e sembrava piuttosto a disagio. “Non penso che tutto ciò sia così impossibile. L’uomo forse portava scarpe da tennis o qualcos’altro. E le impronte digitali sui pezzi degli scacchi?”

“Indossava un guanto alla mano destra”, disse Mr Mellilow, con aria triste. “Riesco a ricordare che non ha usato per niente la mano sinistra – nemmeno per prendere un pezzo”.

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“Un gentiluomo davvero fuori dal comune”, disse il Commissario di nuovo. “Nessuna impronta digitale, nessuna orma, nessun drink, occhi nascosti, nessun particolare di cui parlare, arriva all’improvviso e sparisce senza lasciare nessuna traccia – un gentiluomo sfuggente”. Mr Mellilow fece un gesto di disperazione. “Questi erano i pezzi degli scacchi che avete usato?” Mr Mellilow annuì, e il Commissario rovesciò la scatola sulla scacchiera, facendo attenzione a contenere i pezzi con la sua mano grande in modo che non rotolassero via. “Vediamo. Ci stanno due pezzi con croci in cima e altri due grandi con le punte. Quattro tipi con le teste rotte. Quattro cavalli. Due neri – come le chiamate ‘ste cose? Torri, eh? Mi sembrano più chiese a me. Una chiesa bianca – torre se preferisce. Che è successo all’altra? O questi cosi, le torri, non sono in coppia come gli altri?” “Devono essere entrambe lì”, disse Mr Mellilow. “Usava le due torri bianche verso la fine della partita. Mi ha fatto scacco matto usandole… mi ricordo…” Se lo ricordava fin troppo bene. Il sogno e il doppio castello che si muoveva per schiacchiarlo.

Guardò il Commissario mentre si frugava in tasca e improvvisamente seppe dare un nome al terrore che era guizzato dentro e fuori il bosco nero.

Il Commissario appoggiò la torre bianca che era stata trovata vicino al cadavere alla Folly. Colore, altezza e peso combaciavano con la torre sulla scacchiera. “Tutti pezzi Staunton”, disse il Questore, “dello stesso tipo”.

Ma il Commissario, di schiena alla portafinestra, stava guardando la faccia cupa di Mr Mellilow.

“Deve essersela messa in tasca”, disse Mr Mellilow. “Ha rimesso a posto i pezzi alla fine della partita.”

“Ma non avrebbe potuto portarla su a Striding Folly”, disse il Commissario, “né avrebbe potuto commettere l’omicidio per lei.”

“È possibile che l’abbia portata lei stesso su alla Folly”, chiese il Questore, “e l’abbia lasciata cadere quando ha trovato il corpo?”

“Il gentiluomo ha detto che ha visto quest’uomo, Moses, metterla via”, disse il commissario.

Adesso lo stavano guardando, tutti. Mr Mellilow si strinse la testa tra le mani. La sua fronte era fradicia. “Qualcosa sta per rompersi”, pensò.

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Come il rombo di un tuono arrivò un colpo alla finestra; al Commissario venne quasi un colpo.

“Mio Dio, Signore!”, si lamentò, aprendo la finestra e facendo entrare una folata di aria fresca nella stanza, “come mi hai spaventato!”

Mr Mellilow restò a bocca aperta. Chi era quest’uomo? Il suo cervello non stava funzionando a dovere. Quell’amico del Questore, certo, che era sparito non si sa bene come durante la conversazione. Come il ponte nel suo sogno. Sparito. Andato fuori dalla fotografia.

“Una vicenda avvincente, su cui indagare”, disse l’amico del Questore. “Molto simile agli scacchi. Delle persone arrivano avanzando furtivamente proprio qui nella veranda e lei non se ne accorge nemmeno. In pieno giorno, oltretutto. Mi dica, Mr Mellilow – cosa l’ha spinta a salire su alla Folly la scorsa notte?”

Mr Mellilow esitò. Nel suo racconto questo era il punto che non aveva tentato di spiegare. Mr Moses era già apparso abbastanza inverosimile; un sogno sulle galosce sarebbe apparso ancora più inverosimile.

“Adesso venga”, disse l’amico del Questore, pulendo il suo monocolo nel fazzoletto e rimettendolo al suo posto con un’eccessiva alzata di sopracciglia. “Cos’era? Donna, donna, adorabile donna? Ci vediamo al chiaro di luna e roba simile?”

“No di certo”, disse Mr Mellilow, con aria indignata. Volevo una boccata d’aria – “Si fermò, incerto. C’era qualcosa nella faccia infantile e da pazzo dell’altro uomo che lo spingeva a dire la verità, sebbene azzardata. “Ho fatto un sogno”, disse. Il Commissario strascicò i piedi, e il Questore accavallò goffamente le gambe. “Avvertito da Dio in un sogno”, disse l’uomo col monocolo, inaspettatamente. “Cosa ha sognato?” Seguì l’occhiata di Mr Mellilow alla scacchiera. “Scacchi?” “Due torri che si muovevano”, disse Mr Mellilow, “e il cadavere di un corvo”. “Un frammento grazioso di simbolismo fuso e invertito”, disse l’altro. “Il cadavere di un corvo nero è diventato un uomo morto con un torre bianca”.

“Ma ciò è avvenuto dopo”, disse il Questore.

“Come la fine della partita con le due torri”, disse Mr Mellilow.

“La memoria del nostro amico funziona in entrambe le direzioni”, disse l’uomo col monocolo, “come quella della Regina Bianca. Lei, comunque, poteva credere

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a non più di sei cose impossibili prima di colazione. Come me. Faraone racconti il suo sogno”.

“Il tempo passa, Wimsey”, disse il Questore.

“Lasci che il tempo scorra”, ribattè l’altro, “dato che, come ha osservato un grande giocatore di scacchi, aiuta più che a ragionare”.

“Chi era questo giocatore?” chiese Mr Mellilow.

“Una donna”, disse Wimsey, “che giocò con uomini vivi e fece scacco matto a re, papi e imperatori”.

“Oh”, disse Mr Mellilow. “Bè -“ raccontò la sua storia dall’inizio, senza fare segreto del suo rancore nei confronti di Creech e del suo incubo bizzarro sui piloni elettrici che si spostavano a grandi falcate. “Penso”, disse, “che sia stato tutto questo a farmi fare il sogno”. E andò avanti con la storia delle galosce, del ponte, delle torri che si muovevano e della morte sulle scale della Folly.

“Un sogno maledettamente fortunato per lei”, disse Wimsey. “Ma capisco adesso perché abbiano scelto lei. Guardi! È tutto chiaro come il sole. Se lei non avesse fatto nessun sogno- se l’assassino fosse riuscito a tornare più tardi e a rimettere a posto le sue galosce – se qualucun altro avesse trovato il corpo la mattina con la torre degli scacchi dietro e le sue tracce conducessero di nuovo verso la casa, sarebbe stato scacco matto con una sola mossa. Ci sono due uomini da cercare, commissario. Uno di loro fa parte dei domestici di Creech, dato che sapeva che Creech veniva qui tutti i mercoledì passando per il cancelletto per giocare a scacchi con lei; e sapeva che i pezzi degli scacchi di Creech e i suoi erano perfettamente identici. L’altro era uno straniero – probabilmente l’uomo da cui Creech aspettava la chiamata. Uno si è messo ad aspettare Creech e l’ha strangolato appena è arrivato al cancelletto; è andato a prendere le sue galosce dalla veranda e ha portato il corpo alla Folly. E l’altro è venuto qui travestito per trattenerla con la scusa del gioco e fornirle un alibi a cui nessuno potrebbe credere. Un uomo ha le braccia forti e la schiena forte – un uomo robusto, tarchiato con i piedi non più grandi dei suoi. L’altro è un omone, con occhi che attirano l’attenzione e probabilmente rasato, e gioca a scacchi in maniera geniale. Controllate tra i nemici di Creech per trovare questi due uomini e chiedetegli dov’erano tra le otto e le dieci e mezzo la notte scorsa”.

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“Perché chi l’ha strangolato non ha riportato indietro le galosce?” chiese il Questore.

“Ah!” disse Wimsey, “qui è dove il piano è andato storto. Penso che abbia aspettato su alla Folly per vedere la luce nel cottage spegnersi. Ha pensato che sarebbe stato un rischio troppo grosso venire due volte alla veranda mentre c’era Mr Mellilow”.

“Lei sta dicendo”, chiese Mr Mellilow, “che lui era lì, nella Folly, ad osservarmi, quando salivo a tentoni per quelle scale buie?”

“Potrebbe esserci stato”, disse Wimsey. “Ma probabilemente, quando l’ha vista salire dal pendio, sapeva che le cose erano andate male ed è fuggito via nella direzione opposta, verso la strada principale che passa dietro alla Folly. Mr Moses, di sicuro, è andato, appena l’altro è arrivato, vicino alla strada che passa la casa di Mr Mellilow, togliendosi il travestimento nel posto adeguato più vicino. “Va tutto molto bene, signore”, disse il Commissario, “ma dov’è la prova di tutto ciò?”

“Ovunque”, disse Wimsey. “Vada e osservi ancora le orme. Ce n’è una serie verso l’esterno lasciata dalle galosce, profonde e piccole, fatte quando il corpo è stato trasportato. Una, fatta più tardi, di scarpe da passeggio, le cui orme appartengono a Mr Mellilow fatte verso la direzione della Folly. E la terza è ancora di Mr Mellilow, quando è tornato indietro, le orme di un uomo che camminava molto velocemente. Due verso l’esterno e solo una verso la casa. Dov’è l’uomo che è uscito e che non è mai rientrato?”

“Sì”, disse il commissario, ostinatamente. “Ma supponiamo che Mr Mellilow stesso abbia lasciato la seconda serie di impronte proprio per depistarci, per esempio? Non sto dicendo che lo abbia fatto, attenzione, ma perché non avrebbe potuto?”

“Perché”, disse Wimsey, “non aveva tempo. Le impronte dalla casa verso l’esterno lasciate dalle scarpe sono state fatte dopo che il corpo era stato trasportato. Non c’è nessun altro ponte per tre miglia da entrambe le parti, e il fiume ha una profondità tale che l’acqua arriva all’altezza della vita. Non può essere guadato; quindi deve essere attraversato passando per il ponte. Ma alle dieci e mezzo, Mr Mellilow era dai Feathers, da questa parte del fiume, a

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chiamare la polizia. Non avrebbe potuto farlo, capo, a meno che non avesse avuto le ali. Il ponte è lì per provarlo; dato che il ponte è stato attraversato solo tre volte”.

“Il ponte”, disse Mr Mellilow, con un grande sospiro. “Nel mio sogno sapevo che c’era qualcosa di importante che lo riguardava. Sapevo che sarei stato salvo se solo fossi riuscito ad arrivare al ponte”.

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