• Non ci sono risultati.

RIASSUNTO Il disturbo ossessivo compulsivo (DOC) è una patologia psichiatrica molto complessa caratterizzata dalla presenza di “

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "RIASSUNTO Il disturbo ossessivo compulsivo (DOC) è una patologia psichiatrica molto complessa caratterizzata dalla presenza di “"

Copied!
113
0
0

Testo completo

(1)

1

RIASSUNTO

Il disturbo ossessivo compulsivo (DOC) è una patologia psichiatrica molto complessa caratterizzata dalla presenza di “pensieri intrusivi e indesiderati nella mente del soggetto” e da conseguenti compulsioni, cioè “comportamenti o atti mentali che hanno lo scopo di ridurre o annullare l’ansia provocata dalle ossessioni” (APA, 2013). Le modalità di presentazione di tale disturbo possono variare notevolmente da soggetto a soggetto, rendendo difficile una descrizione chiara e univoca del funzionamento di tali pazienti (Greisberg & McKay, 2003).

Nel corso degli ultimi anni l’interesse per questo disturbo è cresciuto considerevolmente: numerosi ricercatori hanno tentato infatti di definire i correlati neurobiologici, genetici e neuropsicologici del DOC.

Con l’introduzione dello studio del funzionamento cognitivo nei disturbi psichiatrici, infatti, le indagini neurocognitive hanno tentato di evidenziare la presenza di una meccanismo unitario ed esplicativo alla base del disturbo, come è stato fatto anche per la schizofrenia (Timpano Sportiello, 2013). Tali studi hanno però riportato risultati contrastanti tra loro probabilmente a causa, da una parte, degli alti tassi di comorbidità presenti in tale patologia e, dall’altra, per l’elevata eterogeneità interna (Abramovitch, Abramowitz, & Mittelman, 2013).

La maggior parte di questi studi hanno comunque evidenziato principalmente un malfunzionamento esecutivo, mnestico e visuospaziale.

Partendo da questa evidenza, il presente lavoro si propone di investigare ulteriormente il funzionamento in questi domini cognitivi ponendo attenzione alla correlazione tra questi e la gravità del disturbo. Sono stati selezionati 13 pazienti affetti da disturbo ossessivo compulsivo, senza una storia di disturbi neurologici in anamnesi, presso il Servizio di

(2)

2 Salute Mentale della ASL 5 di Pisa e sono stati sottoposti ad una batteria di test atta a valutarne il funzionamento esecutivo (test dei Giudizi Verbali, Torri di Londra, Brixton Test e Stroop Test), a un test per analizzare l'integrità del sistema della memoria (Wechsler Memory Scale-IV) e a una valutazione delle funzioni visuospaziali (test dell’ Aprassia Costruttiva e Disegno con i Cubi). Infine, la gravità del disturbo è stata indagata tramite il Maudsley Obsessive-Compulsive Inventory, un questionario autovalutativo che permette di ottenere anche informazioni riguardo al contenuto prevalente delle ossessioni (“checking”, “clearing/contamination”, “doubting/ruminating” ), permettendoci così di suddividere il campione in sottotipi.

I risultati di questo studio propongono l’esistenza di un unico dominio disfunzionale (esecutivo) che si riverbera sul funzionamento degli altri due.

In accordo con i principi della psicopatologia cognitiva viene qui proposto un nuovo punto di vista sul DOC: si cerca cioè di chiarire la relazione tra sintomatologia e funzionamento neurocognitivo, non solamente per raggiungere una più approfondita comprensione della patologia, ma anche perché una buona valutazione neuropsicologica può permettere la migliore qualità della presa in carico del paziente attraverso il perfezionamento diagnostico, una maggiore affidabilità del giudizio prognostico e infine è necessaria per progettare interventi di tipo riabilitativo (Timpano Sportiello, 2013).

Keywords: disturbo ossessivo-compulsivo, psicopatologia cognitiva, profilo esecutivo, profilo mnestico, funzionamento visuospaziale.

(3)

3

Capitolo 1:Il disturbo ossessivo compulsivo

1.1 Caratteristiche cliniche e modelli interpretativi

Il disturbo ossessivo-compulsivo costituisce una condizione clinica complessa caratterizzata da un alto grado di eterogeneità e comorbidità ed è, per giunta, un disturbo invalidante che riduce nei soggetti la capacità di realizzarsi (Koran, Thienemann, & Davenport, 1996). Nonostante l’elevata variabilità delle manifestazioni sintomatiche alcune caratteristiche cognitive possono essere considerate comuni a tutti i pazienti, tra queste ritroviamo: il dubbio cronico (Salkovskis & Forrester, 2002), l’incertezza riguardo al proprio comportamento, il senso di responsabilità e il bisogno assoluto di perfezione (Greisberg & McKay, 2003). Queste peculiarità sono state da tempo riconosciute in questi pazienti e diversi modelli teorici hanno cercato di spiegarne l’origine e la funzionalità. Mostrerò quindi qui di seguito le diverse definizioni e interpretazioni che nel corso degli anni sono state attribuite al DOC.

La prima concettualizzazione delle ossessioni come malattia specifica si deve ad Esquirol (1838), che le definì come monomanie affettive che si impongono al soggetto. Successivamente due suoi allievi studiarono quello che oggi viene considerato il disturbo ossessivo compulsivo: Falret parlò di “follia del dubbio”, Baillarger di “follia con coscienza” (citato in Giusti & Chiacchio, 2002). Nello stesso periodo Freud introdusse il termine “nevrosi ossessiva” (in tedesco “Zwangneurose”) per distinguerla dalla nevrastenia e dall’isteria. La prima parte della parola composta (Zwang) significa coercizione e costrizione, viene quindi già evidenziata in questi anni la natura indesiderata dei pensieri dei soggetti. Per Freud la sintomatologia ossessiva è frutto di una regressione o fissazione allo stato anale, nel quale, a causa di un Superio eccessivamente rigido, l’Io reprime le pulsioni e cerca soddisfacimento nel sintomo (Giusti & Chiacchio, 2002).

(4)

4 Contemporaneamente a Freud, Janet propose una spiegazione differente: alla base del disturbo ipotizza un contatto con la realtà deficitario; la mente debole (psicastenia) e scarsamente unita dell’ossessivo porterebbe a funzionamenti automatici e fuori dalla possibilità di controllo. Inoltre Janet pone al centro del suo modello la necessità di perfezione, definita come la tendenza ad adottare una definizione estremamente rigida di riuscita (Giusti & Chiacchio ,2002).

In generale possiamo affermare che per la prospettiva psicodinamica il sintomo ha un significato ed in particolare è il risultato di processi inconsci. Per quanto riguarda la prospettiva psicanalitica nello specifico, questa analizza la struttura psichica dei soggetti e già a inizio 900 delineò alcuni aspetti caratteristici del DOC: l’atteggiamento dubbioso, l’evitamento di emozioni che possono far perdere il controllo, la tendenza al compimento del proprio dovere e a vivere le situazioni in termini di “dover fare” piuttosto che partecipare emotivamente alle stesse (Giusti & Chiacchio, 2002).

All’interno della corrente comportamentista, negli anni 50-60, la visione del DOC cambia radicalmente: le ossessioni, al pari delle fobie, vengono considerate come comportamenti inadeguati determinati da un distorto processo di apprendimento (Giusti & Chiacchio, 2002).

Il cognitivismo degli anni 70 pone al centro delle patologie psichiatriche la presenza di rigidi sistemi di credenze. La rigidità di tali schemi porta alla creazione di distorsioni nel processo di elaborazione dell’informazione e alla formazione di regole altrettanto rigide come la necessità di perfezione e di controllo emozionale (Giusti & Chiacchio, 2002). A proposito delle distorsioni cognitive, il modello cognitivo di Carr (Carr, 1974) pone al centro del disturbo una “ valutazione anomala del rischio”: la stima sopravalutata della minaccia unita ad un’anticipazione della stessa determina la comparsa delle ossessioni e delle compulsioni atte a neutralizzare il pericolo. Altri autori cognitivisti si sono

(5)

5 concentrati maggiormente su altri aspetti: Mancini (Mancini, 2001), ad esempio, ipotizza che nel DOC siano centrali gli aspetti morali. La radice del disturbo non è, secondo lui, l’anticipazione della minaccia, ma piuttosto l’anticipazione di colpa per irresponsabilità e il timore di agire violando una norma morale o in modo da provocare danno ingiusto a qualcuno.

Rimane infine da citare l’esistenza di un approccio biologico la cui utilità è suggerita dal fatto che la maggior parte di questi pazienti rispondono positivamente a farmaci antidepressivi triciclici e inibitori selettivi del reuptake della serotonina (Giustim& Chiacchio, 2002).

(6)

6

1.2 Descrizione attuale: il passaggio dal DSM IV al DSM V

Oggi il DOC viene descritto come una patologia caratterizzata da due componenti principali: le ossessione e le compulsioni. Le ossessioni vengono definite come “ pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e persistenti, vissuti come intrusivi e indesiderati e che nella maggior parte degli individui causa ansia o disagio marcati” (APA, 2013). Il contenuto delle ossessioni varia da soggetto a soggetto ma esistono alcune tematiche più comuni che si ritrovano quindi più frequentemente nei pazienti:

- ossessioni di pulizia, in cui i pazienti hanno timore di prendere contatto con oggetti sporchi e contaminati (washing);

- ossessioni di simmetria caratterizzate da un bisogno di ordinare e sistemare le cose perfettamente;

- ossessioni dubitative riguardo le attività quotidiane in cui il paziente ha il terrore che una sua disattenzione possa provocare disastri (checking);

- ossessioni di pensieri proibiti o tabù (a contenuto sessuale e aggressivo auto-etero diretto).

Questi temi si presentano nelle varie culture e sono relativamente stabili nel tempo (APA, 2013).

In seguito alla presenza di tali ossessioni i soggetti cercano di sopprimerli con altri pensieri o di ignorarli mettendo in atto determinati comportamenti: le compulsioni. Le compulsioni sono appunto definite come “comportamenti ripetitivi o azioni mentali che il soggetto si sente obbligato a mettere in atto in risposta alle ossessioni o secondo regole che devono essere applicate rigidamente” (APA, 2013), lo scopo di queste azioni è quello di ridurre il disagio che certe situazioni comportano ma in

(7)

7 realtà questi comportamenti non hanno nessun legame con ciò che dovrebbero neutralizzare oppure sono eccessivi (APA,2013).

I pazienti DOC sono quindi pazienti perfezionisti, con un eccessivo senso di responsabilità, tendono a sovrastimare la minaccia, sono intolleranti all’incertezza, assegnano un’eccessiva importanza ai pensieri e al bisogno di controllarli (APA, 2013). Queste caratteristiche portano tali pazienti a impiegare molto tempo nelle attività della vita quotidiana e nella cura di se stessi, formando così un modalità di agire caratterizzata da una lentezza ossessiva che limita il loro funzionamento (Balestrieri, Hijazi, Corsaro, Pera, & Ciano, 2007).

Per differenziare un disturbo ossessivo compulsivo vero e proprio dalla presenza di sintomi subclinici è necessario infatti valutare proprio il grado di compromissione del funzionamento e il disagio vissuto dal paziente (APA, 2013).

Questa descrizione del disturbo è quella che ritroviamo oggi nella quinta edizione del manuale diagnostico dei disturbi psichiatrici, nel quale è presente un cambiamento drastico nel modo di inquadrare il disturbo. La modifica più evidente è sicuramente l’esclusione di questa sindrome dai disturbi d’ansia. Tale esclusione è una modifica che da tempo molti clinici e ricercatori si aspettavano. Questo auspicio era sostenuto dal fatto che la componente ansiosa presente nel disturbo non era sufficiente a giustificare il suddetto inquadramento nosografico, le differenze di ordine psicopatologico, neuropsicologico, neurobiologico, di decorso e di risposta al trattamento tra il disturbo ossessivo compulsivo e gli altri disturbi d’ansia sono infatti molto maggiori rispetto alle differenze che si riscontrano confrontando gli altri disturbi d’ansia tra loro (Paquini, Picardi, Biondi, Scarciglia & Pancheri, 2003) e, inoltre, il disturbo ossessivo compulsivo è molto più eterogeneo al suo interno di quanto lo siano gli altri disturbi (Pasquini et al., 2003). Lo studio di Pasquini aveva proprio l’obbiettivo di mostrare l’inadeguatezza dell’ inclusione

(8)

8 del DOC tra i disturbi d’ansia e, per fare questo, ha confrontato i profili dimensionali dei vari disturbi, dimostrando che le dimensioni di ossessività, apprensione, tristezza, apatia, distorsione della realtà e disorganizzazione del pensiero sono più elevati nei DOC rispetto agli altri.

La nuova categoria diagnostica che ne è derivata (“disturbo ossessivo compulsivo e disturbi correlati”) comprende, oltre al disturbo ossessivo-compulsivo, altri disturbi, tra cui: il disturbo da dimorfismo corporeo, che nel DSM IV rientrava tra i disturbi somatoformi, il disturbo da accumulo, la tricotillomania, che nel DSM IV rientrava tra i disturbi da discontrollo degli impulsi, il disturbo da escoriazione, i disturbi correlati indotti da sostanze/farmaci o da un’altra condizione medica e i disturbi correlati con altra specificazione o senza specificazione (APA, 2013).

Il disturbo da dismorfismo corporeo è caratterizzato da un’eccessiva preoccupazione per alcune caratteristiche del proprio aspetto fisico che vengono ritenute irrilevanti dalle altre persone, queste preoccupazioni inoltre non devono riguardare il grasso in eccesso o il peso corporeo, in quanto in questi casi il quadro assume le caratteristiche più tipiche del disturbo alimentare. Per poter fare diagnosi differenziale tra disturbo ossessivo compulsivo e il disturbo da dismorfismo corporeo è necessario considerare che, in quest’ultimo, le ossessioni sono limitate a preoccupazioni per l’aspetto fisico (APA, 2013).

Il disturbo da accumulo è caratterizzato dalla difficoltà del paziente a liberarsi di oggetti personali, indipendentemente dal loro valore, questa tendenza si differenzia però dal normale collezionismo perché, in caso di patologia, i beni accumulati vanno a limitare lo spazio vitale del soggetto. In questo caso la diagnosi differenziale con il disturbo ossessivo compulsivo è più delicata perché, nonostante i sintomi del disturbo d’accumulo siano limitati a un’ incapacità di liberarsi dei propri averi, questa tendenza ad accumulare oggetti

(9)

9 può anche derivare da un’ossessione antecedente (ad esempio preoccupazioni relative all’incompletezza o al danno), in quest’ultimo caso dovrebbe essere posta diagnosi di DOC (APA, 2013).

La tricotillomania è la tendenza a strapparsi peli e capelli mentre il disturbo da escoriazione prevede un ripetitivo stuzzicamento della pelle da parte del soggetto. Entrambi questi disturbi si differenziano dal disturbo ossessivo-compulsivo per la presenza di specifiche e limitate compulsioni (strappamento di peli o capelli e stuzzicamento della pelle) e assenza di ossessioni (APA, 2013).

È chiaro quindi che la differenziazione di questi diversi quadri clinici all’interno della categoria limita i confini diagnostici del disturbo ossessivo-compulsivo (Maina, 2012).

La diagnosi differenziale è molto importante e necessaria non solo tra DOC e i disturbi collegati ad esso ma anche tra DOC e disturbi appartenenti ad altre categorie, in particolare è necessario distinguerlo: dai disturbi d’ansia, dal disturbo depressivo, dal disturbo psicotico e dal disturbo ossessivo di personalità (APA, 2013).

La diagnosi differenziale con i disturbi d’ansia dai quali è stato distaccato nel DSM V si basa sulla presenza, nel DOC, delle compulsioni tipiche del disturbo. Inoltre le ossessioni del DOC sono meno specifiche delle preoccupazioni dei fobici, più egodistoniche di quelle dei pazienti con ansia generalizzata e, nonostante possano presentare attacchi di panico, questi non si presentano spontaneamente come avvengono nel vero e proprio disturbo da attacchi di panico (Balestrieri et al., 2007).

Per quanto riguarda invece il rapporto tra ossessioni e flessione dell’umore, è un argomento che è stato a lungo studiato ma non è ancora chiara la natura di tale relazione (Paquini et al., 2003). Alcuni autori preferiscono parlare di comorbidità (coesistenza di entrambi i disturbi), altri ritengono invece che caratteristiche cognitive dei DOC (come la

(10)

10 bassa autostima e le tematiche di colpa) abbiano un ruolo cruciale nel determinare la flessione dell’umore e che quest’ultima possa essere quindi considerata come conseguenza di tali aspetti (Pasquini et al., 2003). Nonostante la difficile interpretazione del rapporto tra ossessioni e flessioni dell’umore, la ruminazione del depresso può essere distinta da quella dell’ossessivo in quanto è caratterizzata da pensieri congruenti con l’umore e non è seguita da compulsioni tipiche del DOC (APA, 2013).

Anche il rapporto tra disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi psicotici non è privo di problematiche interpretative. Già Bleuler (1969) e Freud (1915) avevano suggerito la possibilità che pazienti schizofrenici potessero essere erroneamente diagnosticati, all’inizio del loro percorso psicopatologico, come affetti da patologia ossessiva. Oggi, studi epidemiologici stimano che la prevalenza di pazienti DOC con manifestazioni psicotiche sia tra il 10 e il 25% (Pelizza & Pupo 2015). Secondo Insel e Akiskal (Insel & Akiskal, 1986); questi pazienti possono essere considerati come appartenenti a un sottotipo grave di disturbo ossessivo-compulsivo, caratterizzato da aspetti clinici specifici: esordio precoce, decorso cronico con evidente compromissione funzionale, scarsa consapevolezza e scarsa responsività ai trattamenti; secondo Bogetto (Bogetto & Bellino, 1999) invece questa condizione appartiene all’area schizofrenica.

In generale alcuni autori ritengono che un fattore importante nel determinare la comparsa di sintomi psicotici nei pazienti DOC sia l’assenza di insight. Questa condizione favorirebbe il passaggio dalle ossessioni a convinzioni deliranti (Pelizza & Pupo, 2015). La specificazione del livello di insight è una condizione prevista nel DSM V: il paziente può riconoscere che le convinzioni caratterizzanti il disturbo sono decisamente o probabilmente non vere (con insight buono o sufficiente), può pensare che siano probabilmente vere (con insight scarso), può essere assolutamente sicuro che siano vere (con insight assente/convinzioni deliranti) (APA, 2013).

(11)

11 Infine il disturbo ossessivo-compulsivo va distinto dal disturbo ossessivo di personalità (DOCP). Nonostante la nomenclatura simile questi due disturbi si differenziano dal fatto che nel secondo i tratti caratteristici come scrupolosità, perfezionismo, indecisione (presenti anche nei pazienti DOC) non rispondono ai criteri di intrusività ed estraneità che contraddistinguono le ossessioni, viene in sostanza, a mancare il criterio di egodistonicità.

Accanto a questa ipotesi che vede il DOC e il DOCP come due condizioni patologiche distinte, esiste anche una linea di pensiero che invece le colloca entrambe lungo un continuum. Questa seconda posizione si fonda sul concetto di “personalità ossessiva” cioè “un insieme di tratti caratteristici di tipo cognitivo, emotivo, comportamentale identificabili fin dalla tarda adolescenza e che tendono a rimanere stabili nel tempo”. Quest’insieme di tratti e comportamenti rappresentano il terreno sul quale i sintomi ossessivi si innestano e si mantengono (Giusti & Chiacchio, 2002).

Possiamo quindi osservare come nel corso del tempo ci sia stata una trasformazione sostanziale nel modo di vedere il disturbo ossessivo-compulsivo. Se nella storia della psicopatologia fino ad oggi è stato infatti considerato un disturbo d’ansia e, come tale, i comportamenti e sintomi del soggetto venivano interpretati come strategie per tenere sotto controllo questo stato d’attivazione patologica, oggi si ritiene invece che questo disturbo abbia caratteristiche molto più strutturali, pervasive e invalidanti e che non sia caratterizzato da una serie di sintomi utili per alleviare la tensione ma che sia un vero e proprio modo di funzionare del paziente. Questa nuova visione disturbo ossessivo compulsivo è dimostrata sia dall’uscita di questo dalla categoria dei disturbi d’ansia, sia dalla contemporanea esclusione del disturbo ossessivo di personalità dal DSM V e, allo stesso tempo, tutto ciò sostiene il punto di vista in virtù del quale esiste una modalità di funzionamento neurocognitivo strutturale e specifico alla base della patologia.

(12)

12

Capitolo 2: Psicopatologia e cognitività

La valutazione neuropsicologica consiste nello studiare le abilità cognitive dei soggetti.

Le prime ricerche che sono state svolte al riguardo consideravano la capacità di processamento cognitivo come una misura unitaria. Oggi sappiamo invece che possiamo trovarci di fronte a deficit relativi ad aree cognitive specifiche con il mantenimento intatto degli altri domini (Lezak M.D., 1995). Per questo motivo gli attuali studi si focalizzano sull’analisi delle singole funzioni cognitive: memoria, attenzione, funzioni esecutive, linguaggio, funzioni visuospaziali, velocità di elaborazione. Tali funzioni si sviluppano e si integrano tra loro durante il processo di maturazione di ognuno di noi (Webb, Monk, & Nelson, 2001), in particolare, le funzioni esecutive e quindi la capacità di organizzazione, di decision making, di pensiero astratto, di pianificazione e di inibizione della risposta, si sviluppano più tardivamente (Anderson, 2001)(Klenberg, Korkman, & Lahti-Nuuttila, 2001; Rosso, Young, Femia, & Yurgelun-Todd, 2004; Williams, Ponesse, Schachar, Logan, & Tannock, 1999). È chiaro che prima di poter indagare le disfunzioni neuropsicologiche nei disturbi mentali è necessario definire e comprendere lo sviluppo e il funzionamento basale di tali processi. Descriverò quindi brevemente le funzioni cognitive maggiormente indagate:

Attenzione: il sistema attenzionale comprende diverse componenti che vengono suddivise

in due assi:

- l’asse intensivo che comprende l’allerta (fasica e tonica) e l’attenzione sostenuta - l’asse selettivo che invece comprende l’attenzione selettiva e l’attenzione divisa.

L’allerta può essere definita come “la capacità di pre-attivare il sistema attentivo in condizioni di necessità” , l’attenzione sostenuta è la capacità di mantenere un livello d’attenzione adeguato per un tempo protratto, quella selettiva consiste nella capacità di

(13)

13 “filtrare le informazioni rilevanti inibendo l’elaboarazione di quella non pertinente” e infine l’attenzione divisa, la più evoluta, permette di mantenere nel focus attenzionale due o più compiti contemporaneamente (Serino & Di Santantonio, 2013).

Le capacità attenzionali variano notevolmente in base all’umore e allo stato di maturazione del soggetto mentre, per quanto riguarda i substrati neurali sottostanti, è coinvolto un complesso network che comprende la corteccia frontale, la corteccia parietale posteriore, e formazione reticolare.

Linguaggio: il linguaggio è un “sistema funzionale” prettamente umano che “permette ai

soggetti di scambiare informazioni dotate di significato”. Le capacità linguistiche possono essere divise in: capacità di produzione, di comprensione, di denominazione, di ripetizione e tutte possono essere riferite al linguaggio orale oppure scritto. Quando si va ad indagare il prodotto del parlante, l’analisi si svolge invece su quattro assi: fonologico, semantico-lessicale, morfosintattico e pragmatico (Serino & Di Santantonio, 2013).

Percezione: “percepire significa organizzare gli input sensoriali in strutture funzionali e

dotate di significato”. Quando si parla di percezione ci riferiamo quindi a una elaborazione corticale molto più complessa di quella che è la “semplice” sensazione. La maggior parte dei modelli esplicativi del processo percettivo si sono dedicati ad una modalità sensoriale: la vista. In realtà il processo percettivo è comune a tutte le modalità e inoltre esiste un livello di integrazione in cui i risultati provenienti dai vari canali vengono riuniti per creare un unico percetto multisensoriale (Serino & Di Santantonio, 2013).

Le funzioni visuospaziali, mnestiche ed esecutive verranno descritte in maniera più approfondita successivamente.

(14)

14 In generale l’esame neuropsicologico, sia nella popolazione sana che negli individui con danno cerebrale, ha permesso di ottenere informazioni riguardo alla lateralizzazione delle funzioni cognitive, alla presenza di differenze di genere nelle performance e ha consentito di identificare le anormalità associate ai disturbi dell’infanzia come disturbi cromosomici, neurologici focali, strutturali, nutrizionali (Spreen, Risser & Edgell, 1995).

Entrando però nello specifico dell’attività clinica, la valutazione neuropsicologica è essenziale innanzitutto per la formulazione diagnostica. Per raggiungere tale formulazione esistono principalmente due tipi di approccio: l’approccio clinico, maggiormente descrittivo, che dà molta importanza all’osservazione del paziente e a ciò che riportano lui e i suoi familiari e l’approccio biologico-cognitivo che invece tenta di ottenere informazioni più oggettive rispetto all’analisi della presenza dei sintomi che ci aspetteremmo nella patologia indagata (Jackson & McGorry, 2009). È importante notare che nel caso specifico delle malattie mentali i sistemi diagnostici considerano tali disturbi come entità categoriali nonostante gli alti tassi di comorbidità e la presenza di sintomi comuni a diversi quadri mostrino come, in molti casi, tale distinzione in categorie non esista in natura. Alla luce di questa osservazione l’indagine del funzionamento neuropsicologico è necessaria per chiarire la natura dei disturbi, la distinzione tra essi e i pattern di comorbidità (Wood, Allen & Pantelis, 2009).

In realtà gli antecedenti degli studi neuropsicologici sono assai precedenti alla comparsa della moderna psicopatologia e si sono svolti principalmente tramite due filoni di ricerca: lavori riguardanti le basi anatomo-funzionali e indagini di matrice cognitiva (Timpano Sportiello, 2013). I primi, più numerosi, confrontavano la sintomatologia tipica dei vari quadri psicopatologici con le espressioni comportamentali di alcune cerebrolesioni e analizzavano le eventuali analogie, oppure valutavano le concomitanze tra manifestazioni psicopatologiche e funzionamento alterato di alcune strutture cerebrali, quest’ultimo tipo

(15)

15 d’analisi ha tratto molto beneficio dallo sviluppo delle tecniche di neuro immagine e, allo stesso tempo, hanno permesso di cogliere la natura neurocognitiva di manifestazioni sintomatiche che prima erano ritenute patrimonio esclusivo della psichiatria descrittiva e della psicanalisi (Timpano Sportiello, 2013). Allo stesso tempo però voler individuare una correlazione diretta e univoca tra comportamento e alterazione morfologica o funzionale di una regione cerebrale porterebbe a una spiegazione riduttiva di quadri in realtà molto complessi.

L’altro filone di studi riguarda i lavori di matrice cognitiva. Si ritiene che il primo tentativo di spiegare le disfunzioni mentali in termini cognitivi sia stato fatto utilizzando il paradigma delle teorie della mente. Tramite l’utilizzo di questo paradigma, infatti, Baron-Cohen e Uta Frith notarono che i bambini autistici, a differenza dei bambini sani e dei bambini Down, erano incapaci di riconoscere lo stato d’animo e le intenzioni altrui (Baron-Cohen, Leslie & Frith, 1985).

Un altro lavoro di natura cognitiva molto importante è quello di C.D. Frith (Frith, 1995) che ha indagato i legami tra manifestazioni psicopatologiche della schizofrenia e funzionamento cognitivo. L’autore riprende la distinzione tra sintomi negativi e sintomi positivi presenti nella nosografia psichiatrica e propone che i primi siano dovuti ad una difficoltà di generare azioni intenzionali, mentre i secondi rifletterebbero un’ inefficace abilità di controllo. Entrambe le componenti disfunzionali derivano in realtà da un’alterazione di una struttura gerarchicamente sopraordinata: la consapevolezza di sé. “Una lacerazione a questo livello rende tali pazienti privi del sistema unificatore che li permetterebbe di vigilare e controllare le componenti sotto-ordinate” (Timpano Sportiello, 2013).

(16)

16 Più recentemente studi di tipo cognitivo sono stati svolti anche nei confronti del disturbo ossessivo compulsivo nel quale, oltre al malfunzionamento esecutivo, mnestico e visuospaziale, è stata riscontrata una generale difficoltà a inibire i continui processi cognitivi (Timpano Sportiello, 2013).

Nonostante le scoperte importanti che sono state fatte, anche questa modalità d’indagine ha i suoi limiti e i suoi aspetti negativi: le stesse alterazioni possono essere presenti in vari disturbi, tali alterazioni, da sole, hanno poca forza predittiva, sono poco stabili ed è difficile stabilire se sono significative (Wood, Allen & Pantelis, 2009).

Per questo è stato proposto un approccio combinato che tenga conto allo stesso tempo sia della gravità dei sintomi, della loro intensità, durata e coerenza, sia delle variabili cognitive, biologiche e del funzionamento del soggetto. Le variabili cognitive implicate possono essere inoltre modificate e possono quindi costituire il target dell’intervento diretto a migliorare il funzionamento e a prevenire la progressione del disturbo. Non dobbiamo infatti scordare che l’utilità della diagnosi dovrebbe essere quella di dirigerci nella scelta del trattamento e nella predizione del decorso e della prognosi (Wood, Allen & Pantelis, 2009).

(17)

17

Capitolo 3: Basi neurocognitive del DOC

3.1 Il modello cortico striatale

Gli studi neurobiologici hanno concettualizzato il disturbo ossessivo-compulsivo come risultante di alterazioni funzionali di specifici network neuronali, in particolare, il modello più accreditato è quello cortico-striatale (vedi Fig.1). Tale modello è supportato da numerosi studi di neuroimmagine che evidenziano la presenza, in questi pazienti, di un’incrementata attivazione della corteccia orbitofrontale, del cingolato anteriore (Baxter et al.,1987,1988; Machlin, Harris & Pearlson, 1991) e dello striato (Baxter et al., 1987,1988), altri studi mostrano una diminuzione di tale anomala attivazione in seguito a un efficace trattamento farmacologico o comportamentale (Baxter et al., 1992; Benkelfat et al., 1990) e altri ancora suggeriscono che una bassa attivazione di queste stesse regioni nella fase pre-trattamento possa predire una buona riuscita della terapia farmacologica (Brody et al., 1998);(Rauch et al., 2002);(Saxena et al., 1999). Il coinvolgimento di questo circuito nel DOC è dimostrato anche dal fatto che lesioni allo striato provocano comportamenti simili a quelli presenti nel disturbo ossessivo compulsivo (Laplane et al., 1989) e dal fatto che alterazioni neurali simili sono presenti anche in disturbi che possono essere definiti dello spettro ossessivo, come la sindrome di Tourette (Peterson et al., 1998). Questi risultati, riuniti, avvalorano quindi il modello sopracitato secondo il quale il circuito cortico-striato-talamo-corticale gioca un ruolo importante nella manifestazione del disturbo ossessivo compulsivo.

(18)

18 Fig.1. Circuito cortico-sottocorticale. (Chamberlain et al., 2005)

La review di Graybiel e Rauch (Graybiel & Rauch, 2000) mostra inoltre come queste strutture siano implicate anche nella valutazione positiva o negativa degli stimoli e nell’apprendimento di abitudini e di comportamenti stereotipati. A questo proposito alcuni ricercatori si sono chiesti se i comportamenti dei pazienti DOC possano essere considerati appresi o condizionati. Ad oggi non è stata data risposta chiara a questa domanda ma, dato che in numerosi pazienti si riscontra una diminuzione dei sintomi e dell’alterazione del circuito in seguito a terapia comportamentale nella quale vengono esposti sistematicamente e gradualmente agli stimoli che provocano le ossessioni (Baxter et al., 1992), si può supporre che studi sull’apprendimento e sui meccanismi di memoria possano aiutare la comprensione neurobiologica e neurocognitiva del DOC.

(19)

19 Un’altra interessante proposta interpretativa è che i circuiti neurali coinvolti normalmente nell’apprendimento di abitudini e di comportamenti automatici siano iperattivi o inaccessibili a segnali di stop (Graybiel & Rauch, 2000).

Com’ è che la disfunzione del circuito cortico-striatale contribuisca all’espressione dei sintomi ossessivi non è però ancora chiaro. Una proposta è che i gangli della base siano coinvolti sia nel generare i pattern motori a livello del tronco encefalico sia nel generare quelli cognitivi a livello della corteccia cerebrale (Graybiel, 1997). Il circuito che dalla neocorteccia arriva ai gangli della base, poi al talamo e poi torna in corteccia sarebbe coinvolto nello stabilire sia le abitudini cognitive che motorie (Graybiel, 1997). In particolare, nel determinare l’insorgenza del disturbo ossessivo compulsivo, sembra essere cruciale una lesione del globo pallido che determina una scarsa inibizione sul talamo e, di conseguenza, un’iperattività delle connessioni talamo-corticali. Saxena e Rauch (Saxena & Rauch, 2000) attribuiscono importanza alla disfunzione del circuito orbito-frontale laterale e alla disfunzione di quello del cingolato anteriore. L’alterazione di questi circuiti sarebbe responsabile della messa in atto di azioni motorie inadeguate e di pensieri persistenti e quindi di rigidità cognitiva.

Il corpo striato e in generale i gangli della base sono infatti coinvolti nella messa in atto di comportamenti automatici e sono considerati i correlati neuroanatomici della memoria procedurale e cioè la memoria inconsapevole che ci permette di mettere di acquisire abilità mediante la pratica.

Tale architettura supporta il regolare passaggio dall’insieme dei possibili comportamenti alla scelta dell’azione da mettere in atto. Nel DOC, e in generale nei casi di disfunzione di tale sistema, i soggetti si trovano in una condizione statica, sono immobilizzati nel programma precedentemente stabilito senza riuscire a passare a quello successivo, non riescono ad inibire i continui processi cognitivi in favore della produzione di nuove

(20)

20 strategie risolutive, il pensiero “cosa succede se” è dominante come se in questi soggetti mancasse il legame tra le aspettative d’esito e i comportamenti che dovrebbero portare a tali risultati. La disfunzione di tale circuito sembrerebbe quindi capace di spiegare entrambe le componenti del disturbo ossessivo-compulsivo: le ossessioni e le compulsioni (Wood J.S., Allen B.N. & Pantelis C., 2009).

Dato che il modello cortico-striato-talamico comprende la corteccia orbito-frontale e il cingolato anteriore, diverse ricerche si sono concentrate sulle performance di questi pazienti in domini cognitivi tradizionalmente connessi con il funzionamento frontale, producendo però risultati contrastanti. La review di Menzies (Menzies et al., 2008) illustra come alcuni studi, utilizzando test come il “go/no go”, lo “Stoop test” e lo “stop signal reaction time” (SSRT), abbiano riscontrato un deficit di controllo inibitorio nei pazienti DOC (Hartston & Swerdlow, 1999); (Bannon, Gonsalvez, Croft, & Boyce, 2002); (Bannon, Gonsalvez, Croft, & Boyce, 2006); (Penades, Catalan, Andres, Salamero, & Gasto, 2005); (Penades et al., 2007); (Chamberlain, Fineberg, Blackwell, Robbins, & Sahakian, 2006); (Chamberlain et al., 2007). Lo studio di Maltby (Maltby, Tolin, Worhunsky, O'Keefe, & Kiehl, 2005), utilizzando anch’esso il test del go/no go e sottoponendo i soggetti a fMRI, ha individuato un’iperattivazione della parte dorsale della corteccia cingolata anteriore. Secondo l’autore questo dato rifletterebbe la presenza, in questi soggetti, di un esagerato segnale di presenza d’errore (anche in caso di buona performance); la presenza di questi segnali contribuirebbe alla messa in atto di comportamenti compulsivi.

Un’ipotesi non molto diversa da questa è stata formulata prendendo in considerazione l’ipotesi dei marker somatici di Damasio: è possibile che nei pazienti ossessivi la riattivazione di marker somatici in relazione a determinati esiti attesi sia eccessiva e che sia

(21)

21 questa a portare il soggetto a metter in atto comportamenti ripetuti (Damasio, Tranel, & Damasio, 1990).

Un altro dominio indagato è quello della capacità di set-shifting. Questa capacità viene classicamente divisa in set-shifting attenzionale nel quale le dimensioni degli stimoli (colore, dimensione) variano durante il tempo, e set-shifting affettivo in cui cambia il valore di rinforzo degli stimoli (Menzies, et al., 2008). Secondo studi condotti su animali la capacità di set-shifting affettivo coinvolge maggiormente la corteccia orbitofrontale mentre il set-shifting attentivo maggiormente quella prefrontale dorso-laterale (Roberts, Robbins, Everitt, & Muir, 1992); (Hornak et al., 2004); (Dias, Robbins, & Roberts, 1996). Deficit in quest’ultima abilità sono stati riscontrati in alcuni studi (Watkins et al., 2005) (Chamberlain, et al., 2006; Chamberlain, et al., 2007) suggerendo quindi il coinvolgimento nel disturbo non solo della corteccia orbito-frontale ma anche della corteccia dorso-laterale. A conferma di un danneggiamento dorso-laterale nei pazienti DOC sono presenti anche studi che illustrano un deficit della capacità di pianificazione (Van den Heuvel et al., 2005).

Dati inaspettati sono quelli invece riguardanti la capacità di decision making. Tale abilità, indagata con vari strumenti tra cui il “gambling test”, risulta intatta in alcuni studi (Rogers et al., 1999). Questi risultati contrastano con il modello fronto-striatale e con la concettualizzazione del DOC come disturbo da decision-making dovuto a disfunzione orbito-frontale che ha dominato fino ad oggi (Sachdev & Malhi, 2005); (Bechara, Damasio, Damasio, & Anderson, 1994).

A favore di questa concettualizzazione studi hanno infatti rilevato una forte associazione tra sintomi ossessivi e l’attivazione orbito-frontale e meno forte l’attivazione con altre aree (corteccia cingolata anteriore, insula, striato, talamo, corteccia frontale laterale, corteccia temporale, amigdala) (Saxena & Rauch, 2000).

(22)

22 L’ampio numero di zone coinvolte e, più in generale, i diversi risultati presenti in letteratura riflettono, molto probabilmente, l’effetto del campionamento e cioè il fatto che la maggior parte degli studi non ha considerato la diversità di sintomatologia che ci può essere da paziente a paziente.

Sempre più forte è infatti l’idea che il disturbo ossessivo compulsivo non sia una patologia unitaria e che le diverse dimensioni sintomatologiche siano connesse a diversi sistemi neurali. Per questo motivo sempre più numerosi studi di neuro-immagine funzionale son stati dedicati al paragone tra le varie sottotipologie del DOC.

(23)

23

3.2 Studi di neuroimmagine

Lo studio di Rauch (et al., 1998) ha notato come nei soggetti checker ci sia un aumento di flusso sanguigno a livello dello striato, mente nei whasher ciò sia presente nella corteccia orbito frontale e nel cingolato anteriore.

Saxena e colleghi (Saxena et al., 2004) hanno confrontato i pazienti DOC con compulsione d’accumulo con pazienti DOC senza tale compulsione: i pazienti hoarding (con compulsione d’accumulo) sembrano avere un ridotto metabolismo glucidico, rispetto agli altri, nella parte dorsale della corteccia cingolata anteriore.

Lo studio di Mataix- Cols (Mataix-Cols et al., 2004), tramite la provocazione di sintomi (di controllo o di pulizia) è andato a confrontare, con l’utilizzo della fMRI, le differenze di attivazioni cerebrali tra i soggetti a cui erano stati provocati sintomi di controllo e quelli a cui invece erano stati provocati quelli di pulizia. Questa ricerca ha mostrato una maggiore attivazione nei checker di regioni importanti per il funzionamento motorio e attenzionale come il talamo, le regioni della corteccia dorso-laterale e la parte dorsale di cingolo anteriore e invece, nei washer, una maggiore attivazione delle regioni prefrontali ventromediali.

Questa problematica delle sottotipologie di DOC è evidente anche negli studi di imaging strutturale, che riportano dati non consistenti e discordanti. Dati incoerenti derivano dall’analisi di diverse strutture: caudato,amigdala, talamo, corteccia orbito-frontale, corteccia cingolata anteriore e ippocampale. Anche in questo ambito sono molto utili quindi studi che indagano le varie aree sintomatiche.

Lo studio di Pujol (Pujol et al., 2004) ha individuato una riduzione del volume della materia grigia cerebrale nell’amigdala destra dei soggetti checkers.

(24)

24 Van den Heuvel (Van den Heuvel et al., 2005) invece ha analizzato pazienti doc con sintomi di accumulo, lavaggio, controllo e simmetria. In tutti questi soggetti ha riscontrato un decremento del volume della materia grigia in diverse aree: aree orbito-frontali laterali sinistre, frontali inferiori sinistre, prefrontali dorso-laterali sinistre e frontali mediali destre. Andando ad analizzare le differenze, i pazienti con maggior punteggio nella scala che valuta la presenza di sintomi d’accumulo presentavano una correlazione negativa con il volume globale di materia grigia e bianca cerebrale; i soggetti con punteggi alti alla scala dei sintomi di pulizia presentavano una correlazione negativa con il volume della materia grigia nel nucleo caudato bilaterale e della materia bianca nelle regioni parietali destre. Infine i soggetti con alti punteggi alla scala dei sintomi di controllo presentavano una correlazione negativa con il volume cerebrale della materia grigia nelle regioni della corteccia motoria, dell’insula sinistra e della corteccia parietale sinistra e allo stesso tempo una correlazione positiva con il volume cerebrale della materia grigia della corteccia temporale bilaterale.

Possiamo quindi osservare che le indagini più utili sono quelle che tengono conto delle varie dimensioni sintomatiche.

(25)

25

3.3 Studi neuropsicologici

Come anticipato nel paragrafo “Il modello cortico-striatale” la valutazione neuropsicologica nei pazienti DOC si è concentrata principalmente sull’analisi del funzionamento esecutivo. Accanto allo studio di questo dominio si affianca però anche l’esame di altri due aspetti: quello mnestico e quello visuospaziale.

La recente meta-analisi di Shin (Shin, Lee, Kim, & Kwon, 2014) ha infatti mostrato come i risultati più evidenti riguardino queste tre aree cognitive.

Illustrerò quindi di seguito tali domini e lo stato dell’arte sul loro funzionamento nel disturbo ossessivo compulsivo.

(26)

26

3.4 Il funzionamento esecutivo

Le funzioni esecutive sono il dominio cognitivo maggiormente studiato nei disturbi psicopatologici (Abramovitch, et al., 2013). Le ricerche più recenti mostrano come deficit in quest’area siano particolarmente evidenti nei casi in cui la comparsa della patologia risalga all’infanzia o all’adolescenza. Questo accade sia nel caso del disturbo ossessivo compulsivo sia per altri disturbi come la schizofrenia, il disturbo bipolare e il disturbo depressivo (Wood J.S., Allen B.N. & Pantelis C., 2009).

Tali funzioni sono di difficile definizione e concettualizzazione. In generale possono essere definite però come un insieme di abilità di ordine superiore che permettono di organizzare,integrare e coordinare le funzioni cognitive strumentali (Lezak, 1995) e che sono necessarie per la messa in atto di comportamenti complessi e diretti ad un obbiettivo. Da questa definizione si comprende innanzitutto che un danneggiamento a livello esecutivo si ripercuote anche nel funzionamento strumentale, portando a non pochi problemi di valutazione (problema della task impurity) e, in secondo luogo possiamo comprendere quali sono le situazioni in cui tali abilità sono necessarie: il dover affrontare situazioni nuove e complesse. Riuscire ad affrontare situazioni nuove, in cui le modalità di risposta apprese in precedenza non sono utili, necessita infatti della presenza di capacità di inibire il comportamento appreso e automatico e di generare nuove risposte in modo flessibile e adattivo (Spikman, Deelman, & van Zomeren, 2000) tramite una buona capacità di pianificazione, di regolazione emotiva, e di decision making (Shimamura, 2000) (Stuss & Alexander, 2000) (Yamasaki, LaBar, & McCarthy, 2002).

Per spiegare tale funzione Norman e Shallice (Norman & Shallice, 1986), sottolineando la dicotomia tra operazioni abituali e non abituali, ipotizzarono l’esistenza di due sistemi per la gestione del comportamento: il sistema di selezione competitiva (Contention Scheduler,

(27)

27 CS) che agisce in situazioni abituali selezionando lo schema di risposta automatizzato e il sistema attenzionale supervisore (Supervisory Attentional System, SAS) che invece opera in condizioni non abituali inibendo, se necessario, le risposte automatiche prodotte dal CS e formulando soluzioni nuove più adattive.

Questa concettualizzazione e la definizione del funzionamento esecutivo sopra riportata fanno però riferimento a un modello olistico di tali funzioni. Oggi, come spiegherò meglio successivamente, prevale invece un modello esplicativo che individua nella corteccia prefrontale una suddivisione in tre regioni funzionalmente diverse: laterale, mediale, e orbitale. Alla luce di questa specializzazione possiamo osservare che il compito di “controllo esecutivo “ sulle funzioni strumentali è attribuibile in maniera prevalente a una sottoregione frontale: la corteccia dorsolaterale. Tale regione infatti è implicata nel controllo e nella modulazione dell’attività posteriore: modulazione eccitatoria su aree che processano informazioni rilevanti oppure modulazione inibitoria su aree che processano informazioni che interferiscono con il compito.

Per quanto riguarda i correlati neuroanatomici del sistema esecutivo, i primi studi, di tipo locazionista, si sono concentrati esclusivamente sul ruolo dei lobi frontali come mediatori di queste abilità (Shimamura, 2000); (Stuss, Gow, & Hetherington, 1992); (Stuss & Alexander,2000); (Yamasaki et al.,2002). Oggi, grazie a studi recenti sia neuropsicologici che di neuroimmagine , sappiamo che il “modello frontale” è un modello eccessivamente semplicistico e che altre regioni non-frontali sono coinvolte. Per questo motivo Baddley e Wilson proposero di sostituire il termine sindrome frontale con “sindrome disesecutiva”.

Studi che hanno utilizzato questi modelli (di lesioni frontali) hanno permesso comunque di evidenziare una specializzazione funzionale all’interno delle sottoregioni (Baddeley, 1996); (Bechara, Damasio, & Damasio, 2000); (Duncan & Owen, 2000); (Levine et al.,

(28)

28 1998); (Shallice & Burgess, 1991);(Stuss & Levine, 2002), portando all’ attuale distinzione, non universalmente accettata, tra funzioni “fredde” e “calde”. Le funzioni fredde (attribuite alla corteccia prefrontale dorso-laterale) comprendono l’abilità di pianificazione, di controllo attenzionale sul compito, la flessibilità, i processi di memoria di lavoro e altre funzioni più difficilmente definibili come la capacità ci critica e di giudizio, siamo cioè nel’ambito di ciò che è cognitivo e metacognitivo in senso stretto. Una lesione a questo livello comporta infatti facile distraibilità, una ridotta capacità di pianificazione e organizzazione del comportamento che appare quindi caotico e una mancanza di flessibilità e quindi una rigidità cognitiva e comportamentale che porta i soggetti a mettere in atto azioni perseverative e automatiche, mostrandosi incapace di proporre nuove risposte. Infine, in pazienti lesionati a questo livello, sono spesso presenti alterazioni della capacità di critica, giudizio e stima, hanno cioè difficoltà a valutare situazioni e circostanze poco chiare, nelle quali è necessario fare inferenze logiche per arrivare ad una risposta/soluzione plausibile. (Conson, Barbaruolo, Trojano, 2005).

Quelle calde (attribuite alla corteccia orbito-frontale che è direttamente collegata con il sistema limbico e soprattutto con il sistema mesolimbico dopaminergico) si riferiscono principalmente al decision making e alla teoria della mente (Unsworth & Engle, 2005). Più specificatamente la regione orbitaria viene a sua volta suddivisa in due parti: la parte mediale che è coinvolta nel mantenere in memoria l’associazione tra uno stimolo familiare e la gratificazione seguente e la parte laterale che ha il ruolo di inibire una vecchia risposta comportamentale in favore di un’altra che, nel contesto attuale, ha più probabilità di essere seguita da gratificazione. La componente laterale è coinvolta quindi nella funzione di controllo inibitorio (Conson et al.,2005).

Una lesione a livello della corteccia orbitofrontale provoca quindi un’alterazione dei processi di decision making e di problem solving. I pazienti con questo tipo di lesione non

(29)

29 riescono infatti a gestire e organizzare il proprio comportamento in relazione a quelle che potranno essere le conseguenze delle proprie azioni e, allo stesso tempo, non considerano le informazioni che il contesto fornisce. Queste difficoltà portano molto spesso alla messa in atto di comportamenti disadattavi sia al livello personale che sociale: l’alterazione della condotta personale comprende un insieme di variazioni comportamentali che sono inadeguate indipendentemente dal contesto (trascuratezza dell’ igiene personale, affaccendamento afinalistico, dromomania); l’alterazione della condotta sociale invece comprende attività che sono inadeguate in quanto non rispettano le richieste e le regole sociali (Conson et al.,2005).

Il modello probabilmente più conosciuto che ha tentato di spiegare il coinvolgimento della corteccia orbitofrontale nel processo decisionale è quello di Damasio. La teoria dei marker somatici (somatic markers) di Damasio ipotizza che il processo di decisione sia guidato da segnali emozionali che anticipano le conseguenze dei nostri comportamenti, in base a esperienze passate. La corteccia orbitofrontale sarebbe la regione “contenente” questi segnali che, in maniera inconsapevole orientano le nostre scelte; un deficit di tale regione impedisce l’accesso a tali informazioni provocando alterazioni comportamentali (Conson et al.,2005).

Infine, il cingolo anteriore viene invece considerato un’area intermedia tra funzionamento caldo e funzionamento freddo in quanto la parte dorsale è coinvolta in processi cognitivi mentre la parte ventrale in processi affettivi. Il versante cognitivo del funzionamento del cingolo anteriore consiste nella valutazione delle situazioni conflittuali, in particolare, questa regione è coinvolta nell’evidenziare la presenza di un conflitto mentre per la risoluzione dello stesso è necessario il reclutamento di diverse regioni in interazione tra loro, sia prefrontali che posteriori. Una situazione conflittuale è ad esempio quella che si viene a creare nel compito del Test di Stroop in cui al paziente viene richiesto di

(30)

30 denominare il colore dell’inchiostro con cui sono scritti i nomi dei colori. Il soggetto deve essere quindi in grado di inibire la lettura automatica della parola e prestare solamente attenzione al colore dell’ inchiostro. Pazienti con lesione del cingolo anteriore ottengono prestazioni peggiori in questo compito rispetto ai soggetti sani. La parte dorsale del cingolo anteriore è quindi coinvolta nel controllo dell’interferenza e anche in questo caso si può parlare di funzione inibitoria in quanto i soggetti devono essere capaci di inibire i comportamenti elicitati (la lettura nel caso del Test di Stroop) dagli stimoli interferenti (Conson et al.,2005). È importante notare però che la funzione inibitoria del cingolo anteriore si differenzia dalla funzione inibitoria della corteccia orbito-frontale: la prima infatti può essere definita come un’ inibizione di tipo cognitivo che ci permette di inibire stimolazioni non significative e, di conseguenza, di prestare attenzione al compito in questione (abilità necessaria per i processi di attenzione selettiva); la seconda invece si riferisce all’inibizione di comportamenti impulsivi dettati da bisogno immediato di gratificazione e dalla non curanza delle conseguenze delle proprie attività.

La porzione ventrale del cingolo anteriore ha invece un ruolo nei processi affettivi, in particolare è coinvolta nella motivazione. Una lesione a questo livello provoca infatti una condizione definita come “pseudo depressiva” in cui è presente la triade sintomatica costituita da apatia, abulia e anedonia.

Alla luce di questa specializzazione funzionale delle sottoregioni frontali e delle differenti condizioni cliniche che derivano dalla lesione di ciascuna di esse, il termine “sindrome disesecutiva proposto da Baddley e Wilson è stato sostituito dal termine “sindromi disesecutive”.

(31)

31 Nel caso specifico del DOC l’interesse particolare per il funzionamento esecutivo è dovuto, da una parte, all’accreditato modello cortico-basale riferito a tale disturbo, dall’altro, al fatto che le caratteristiche cliniche di questi pazienti, come il non riuscire a liberarsi dai pensieri ossessivi e il sentirsi costretti a mettere in atto rituali, suggeriscano la presenza di una difficoltà di controllo cognitivo soprattutto di natura inibitoria, capacità facente parte del funzionamento esecutivo (Greisberg & McKay, 2003).

In generale le ricerche hanno indagato sia le funzioni “calde” che le funzioni “fredde”, dimostrando un danneggiamento di queste funzioni ma non rendendo chiaro la relazione tra questo e le caratteristiche del disturbo (Aydin & Oyekcn, 2013). Analizziamo quindi le varie componenti del sistema esecutivo, partendo dalle funzioni fredde.

Il set-shifting o flessibilità rappresenta l’abilità di individuazione di un criterio ed il passaggio da un criterio ad un altro.

L’essere flessibili ci permette infatti di evitare la messa in atto di comportamenti perseverativi e inutili domati dalla corteccia retrorolandica.

Dati la perseverazione cognitiva e il comportamento ripetitivo presenti nei pazienti ossessivi, un indebolimento della capacità di set-shifting potrebbe rappresentare un aspetto centrale del profilo neurocognitivo del DOC (Chamberlain, Blackwell, Fineberg, Robbins, & Sahakian, 2005). La flessibilità infatti si oppone proprio alla rigidità di pensiero tipica dei DOC che impiegano gran parte del loro tempo in ruminazioni afinalistiche.

La maggior parte delle ricerche che hanno analizzato questa capacità hanno utilizzato il Wisconsin Card Sorting Test (WCST). Nonostante molte di queste abbiano riportato la presenza di un danneggiamento (Boone, Ananth, Philpott, Kaur & Djenderedjian, 1991); (Hymas, Lees, Bolton, Epps, & Head, 1991); (Lucey et al., 1997); (Okasha et al., 2000), altri studi indicano che la performance dei soggetti DOC in questi test sia paragonabile a

(32)

32 quella dei soggetti sani (Zielinski, Taylor & Juzwin, 1991;Abbruzzese et al., 1995a,1955b, 1997);(Deckersbach, Otto, Savage, Baer, & Jenike, 2000; Gross-Isseroff et al., 1996; Moritz et al., 2001; Moritz et al., 2002).

Anche lo studio di Zohar (Zohar, Hermesh, Weizman, Voet, & Gross-Isseroff, 1999) riporta una performance simile al WCST tra DOC e soggetti sani, ma evidenzia anche come i pazienti richiedano maggior tempo per completare la prova e che commettano maggiori errori perseverativi, ciò potrebbe indicare una povera capacità di set-shifting. Lo studio di Abruzzese (Abruzzese et al., 1995a, 1997) ha confrontato, tramite l’utilizzo del WCST e del Delayed Alternation Test (DAT), il profilo dei pazienti DOC con il profilo dei pazienti schizofrenici, rilevando una doppia dissociazione: i pazienti schizofrenici presentano una prevalente disfunzione della corteccia dorso-laterale (rilevata tramite il DAT), i pazienti DOC invece una maggior compromissione orbito-frontale (rilevata tramite il WCST). In questo caso è da notare la presenza di un errore metodologico nello studio in quanto il WCST non è lo strumento adatto per valutare il funzionamento della corteccia orbito-frontale.

Un’altra area di valutazione importante è quella dell’ inibizione della risposta (funzione attribuita alla corteccia cingolata anteriore), un deficit in questo tipo di performance è stato proposto essere l’endofenotipo del disturbo ossessivo compulsivo (Chamberlain, et al., 2005). Secondo Chamberlain e colleghi l’incapacità inibitoria, sia di tipo cognitivo (relativo al controllo di stimoli interni come pensieri e immagini), sia di tipo comportamentale (relativo al controllo di attività motorie come possono essere rituali) è un aspetto centrale nel DOC (vedi Fig.2). Secondo Penades (Penades, et al., 2007) invece solo l’incapacità di inibizione cognitiva è dimostrata essere in relazione con il disturbo (Aydin & Oyekcn, 2013).

(33)

33 Per questo tipo di compito i test prevalentemente usati sono il test “Go/No-Go” e lo Stroop test (Abramovitch, et al., 2013) e anche in questo caso esistono studi che dimostrano un danneggiamento di tale abilità nei pazienti ossessivi (Abramovitch, Dar, Schweiger, & Hermesh, 2011; Martinot et al., 1990; Menzies, et al., 2008; Penades, et al., 2007);(Van den Heuvel et al., 2005) e allo stesso tempo ricerche che invece non riscontrano differenze tra DOC e soggetti sani (Boone, Ananth, Philpott, Kaur, & Djenderedjian, 1991;(Krishna et al., 2011; Rao, Reddy, Kumar, Kandavel, & Chandrashekar, 2008).

Fig.4 L’importanza del fallimento inibitorio nel DOC. (Chamberlain et al., 2005).

Per quanto riguarda invece la competenza nella pianificazione, i test più utilizzati per valutarla sono il test delle Torri di Londra nelle sue varie versioni (Aydin & Oyekcn, 2013). Il test delle Torri di Londra è un test composto da due piattaforme (una dell’esaminatore e una dell’esaminato) con tre asticelle e tre biglie colorate. Al soggetto viene chiesto di riprodurre sulla propria piattaforma la conformazione prodotta

(34)

34 dall’esaminatore rispettando alcune regole e i limiti di tempo. Questo reattivo ci permette di ottenere diverse informazioni: il numero totale di mosse impiegate (Total Move Score), il tempo totale di inizio (Total Initiation Time), il tempo totale impiegato per la soluzione delle configurazioni (Total Problem-Solving Time), il tempo totale di esecuzione (ossia Total Problem-Solving Time - Total Initiation Time, chiamato Total Execution Time) ed il numero totale di violazioni del tempo e delle regole.

Complessivamente ci sono pochi dati che supportano l’idea di un deficit puramente di pianificazione in questi pazienti. Veale (Veale, Sahakian, Owen, & Marks, 1996) e Purcell (Purcell, Maruff, Kyrios, & Pantelis, 1998a), ad esempio, che nei loro studi hanno utilizzato una versione computerizzata delle TOL, non osservano differenze tra DOC e soggetti sani nell’accuratezza della pianificazione. Nella ricerca di Veale però i pazienti richiedono molto tempo per correggere gli errori commessi e cioè per formulare nuove strategie. Secondo gli autori ciò potrebbe essere dovuto a una difficoltà ad abbandonare un piano d’azione prestabilito oppure, ad un eccessivo impiego di tempo per controllare che la strategia sia giusta; ambedue le spiegazioni sono coerenti con il profilo cognitivo del DOC.

Lo studio di Purcell (Purcell et al.,1998a) invece non mostra lo stesso dato, ma evidenzia come i DOC, confrontati con pazienti con attacchi di panico, depressi, e soggetti sani, impieghino molto più tempo nel completamento totale del compito.

In generale, accanto a studi che non riportano deficit nell’accuratezza di pianificazione (Abbruzzese et a., 1995b; Purcell et al.,1998a), sono presenti ricerche che invece evidenziano la presenza di tale incapacità (Nielen & Den Boer, 2003);(Van den Heuvel et al., 2005). Lo studio di Tukel (Tukel et al., 2012) ad esempio riporta questo indebolimento senza però riportare differenze, tra DOC e sani, per quanto riguarda i tempi di reazione iniziali e totali.

(35)

35 Per comprendere meglio il funzionamento di questi soggetti comunque sarebbe necessario valutare, insieme all’abilità di pianificazione, anche altre componenti che la possono influenzare: la presenza di lentezza motoria, di tendenza alla perseverazione e di deficit di working memory (WM) spaziale. In quest’ultimo caso infatti la debole performance pianificatoria sarebbe secondaria a una difficoltà di mantenere in memoria il piano d’azione. Lo studio di Purcell (Purcell, et al., 1998a) a questo proposito identifica proprio un deficit nella WM spaziale.

Passando alla descrizione delle funzioni calde, l’ultima componente tra le più studiate del sistema esecutivo è il decision making. Il decision making rientra tra le funzioni calde e consiste nell’abilità di prendere decisioni ragionate in base alle informazioni disponibili. La capacità di scegliere adeguatamente il comportamento da mettere in atto è chiaramente essenziale nella vita quotidiana ed è altrettanto importante capire come tale funzione si presenta nei pazienti ossessivi. Le compulsioni di questi pazienti possono essere infatti concettualizzate come fallimenti del processo di decision making. Gli studi al riguardo però sono pochi e non chiarificatori in quanto hanno prodotto risultati misti (Cavedini et al., 2002; Nielen, Veltman, de Jong, Mulder, & den Boer, 2002). Sia la ricerca di Cavedini che quella di Nielen hanno utilizzato il Iowa Gambling Task (Bechara, et al., 1994), un compito strutturato come un gioco in cui il soggetto viene invitato a scegliere di volta in volta una carta da uno dei 4 mazzi a disposizione con l'obiettivo di minimizzare le perdite ed ottenere il massimo guadagno possibile; alcuni di questi mazzi si rilevano vantaggiosi in quanto consentono guadagni e perdite limitate che conducono nel lungo termine ad un saldo netto positivo, mentre altri si rivelano svantaggiosi in quanto offrono introiti e perdite maggiori che portano ad un esito finale negativo. Il paziente riceve inoltre un feedback immediato sugli esiti delle proprie decisioni. Esistono diverse versioni di questo compito

(36)

36 ed è quindi possibile che la presenza di risultati contrastanti in letteratura possa essere dovuta anche all’utilizzo di strumenti parzialmente diversi.

Lo studio di Nielen (Nielen et al., 2002) non riporta differenze, nel comportamento decisionale, tra i pazienti DOC e il gruppo di controllo, mentre lo studio di Cavedini (Cavedini et al., 2002) mostra una maggior tendenza dei pazienti ossessivi a scegliere mazzi rischiosi. Un altro studio dello stesso autore (Cavedini, Bassi, Zorzi, & Bellodi, 2004) mostra inoltre come la performance in questo compito possa funzionare da marker per la risposta al trattamento, in particolare soggetti con prestazioni peggiori erano meno responsivi a trattamento on SSRI. Ciò evidenzia come l’assessment neuropsicologico possa essere utile nella scelta del piano terapeutico. Le ricerche future in tale ambito dovrebbero analizzare il processo di decision making frazionandolo nelle sue diverse componenti. Infine, è importante citare gli studi che hanno cercato di differenziare il profilo di funzionamento esecutivo tra i vari sottotipi di DOC.

Partendo dalle capacità di set shifting, lo studio di Lawerence (Lawrence et al., 2006) evidenzia un maggior deficit in questa abilità nei pazienti con sintomatologia di simmetria e ordine. Questo risultato contrasta con le predizioni degli autori che, considerando il malfunzionamento della corteccia dorsolaterale e l’alterata attività striatale nei pazienti cheking (Mataix-Cols, et al., 2004), si aspettavano un peggior rendimento in questo sottotipo. Nonostante il risultato inaspettato, gli autori hanno tentato di spiegare questo dato fornendo un’interpretazione di tipo cognitivo: i pazienti con prevalenti sintomi di simmetria e ordine commettono più errori perseverativi perché la loro tendenza a concentrarsi su dettagli irrilevanti (come posizionare le carte in posizioni precise) li porta a non prestare attenzione ai feedback negativi derivati dai suoi errori (Lawrence, et al., 2006).

(37)

37 Altri studi di questo tipo hanno fallito nel riscontrare differenze di performance nei compiti di set-shifitng tra i sottotipi di DOC (Omori et al., 2007) .

Lo studio di Omori (Omori, et al., 2007), nonostante non abbia individuato differenze nelle performance al WCST, ha evidenziato una maggior compromissione delle capacità di inibizione e flessibilità nei pazienti checking rispetto ai pazienti washing; stessi risultati sono stati inoltre confermati nello studio di Hashimoto (Hashimoto et al., 2011). Un altro interessante dato presente nello studio di Omori è la presenza, all’interno del gruppo di soggetti checking, di correlazione tra le difficoltà inibitoria e la scarsa performance ai compiti di memoria. Secondo l’autore la presenza di deficit di inibizione causa l’indebolimento del versante mnestico; in particolare una buona capacità di richiamare informazioni richiede abilità nell’ inibire informazioni irrilevanti che possono ostacolare il raggiungimento dell’obbiettivo del compito, tale abilità sembra mancare nei pazienti checkers.

Riassumendo, quindi, possiamo affermare che i dati in letteratura confermano la presenza di deficit a livello esecutivo in questo tipo di pazienti ma non senza contraddizioni e problemi metodologici. Le difficoltà di questo tipo di indagine sono attribuibili a due principali fattori: da una parte abbiamo un disturbo molto complesso ed eterogeneo, dall’altra esistono difficoltà relative alla strumentazione dati dal fatto che ricerche con lo stesso obbiettivo abbiano utilizzato strumenti diversi o versioni diverse dello stesso strumento.

Riguardo alla complessità del disturbo è importante osservare come la maggior parte delle ricerche abbiano indagato il disturbo ossessivo compulsivo considerandolo come una condizione patologica unitaria mentre oggi è più avvalorata l’idea che le varie “classi” sintomatiche siano associate a sistemi neurali differenti e funzionamenti quindi altrettanto differenti.

(38)

38 In generale comunque, per confermare il costrutto secondo il quale il disturbo ossessivo compulsivo è una patologia caratterizzata costituzionalmente da un impairment di tipo cognitivo è necessario dimostrare la presenza di difficoltà cognitive che siano in relazione con la sintomatologia. Non ci aspettiamo quindi un malfunzionamento globale del sistema esecutivo ma un deficit solamente in quei sottodomini che possano spiegare i sintomi ossessivi: non quindi un DOC sociopatico, moriatico e aggressivo ma un DOC poco flessibile, rigido e con difficoltà inibitorie soprattutto di tipo cognitivo.

Passiamo ora a parlare del funzionamento mnestico dove vedremo assumere importanza rilevante al rapporto tra questo e il funzionamento esecutivo.

Riferimenti

Documenti correlati

is a negligible difference observed between the two levels of density functional theory.. Comparison of the theoretical spectra obtained at the B3LYP and B3LYP-D levels of theory

A study of the reactive flow field inside the combustion chamber was performed; then, the radiative heat transfer to- wards the cap wall was estimated by means of the native radia-

The frequency of each energy storage strategy in the Pareto optimal solutions has been analyzed by plotting the Pareto points with different colors according to the values of

In this study, the PRS was computed based on 24,755 SNPs from the PGC wave 2 paper, using a p-value threshold of 0.05 ( Schizophrenia Working Group of the Psychiatric

Scheme 5: Proposed mechanism for the oxidation of benzylic alcohols 6a and 7a under mechanochemical conditions and in the presence of KBr.. The results changed significantly

K-means is typically used to compute the hash code of visual feature in unstructured vector quantization, because it minimizes the quantization error by satisfying the two

Type of dietary oil affected significantly the fatty acid profile of pork fat, especially the C18:3n-3 concentration which was higher in pigs fed rapeseed oil than in those

Overall the main factors which influence fatty acids (FA) profile appear to be forage species and phenological stage but we need to consider the numerous interaction with