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INDICE

Introduzione……….6

CAPITOLO I

IL TRAMONTO DEL SISTEMA PENALE STATOCENTRICO

1. La Convenzione e la Corte EDU: un presidio per i diritti fondamentali………10 2. La CEDU nel sistema delle fonti: la prospettiva formale-astratta……….19 2.1. Sulla disapplicazione della fonte interna antinomica……..32 3. Alla ricerca del “sistema dei sistemi”: la prospettiva assiologica-sostanziale………..38 4. Cenni sulla proteiformità del concetto di processo equo……..44

CAPITOLO II

LA FIRMITAS DEL GIUDICATO PENALE ALL’ IMPATTO DEL

DECISUM DI STRASBURGO

1. L’art. 46 CEDU e l’obbligo di conformazione: una obbligazione di risultato………63 2. Violazione convenzionale e restitutio in integrum: tra riparazione pecuniaria e riesame del giudizio………..80

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3. Giudicato quale elemento ostativo alla rinnovazione del processo?………..102 3.1. Res iudicata aequat quadrata rotundis, facit de albo nigrum: morfologia e fondamento politico -giuridico del giudicato penale………105 3. 2. La recessività del giudicato penale: dalla certezza del diritto alla certezza dei diritti……….117

CAPITOLO III

G L I S T R U M E N T I AT T U AT I V I D E L L’ O B B L I G O D I CONFORMAZIONE NEL QUADRO NORMATIVO E GIURISPRUDENZIALE ANTECEDENTE ALLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE 113/2011

1. Le (insufficienti) riforme normative adottate dal legislatore italiano per confor marsi alle richieste provenienti da Strasburgo……….131 1. 1. Un caso paradigmatico: il procedimento in absentia….137 2. Un rimedio prospettato in dottrina: l’inesistenza………..152 3. Giurisprudenza pretoria: le soluzioni giurisprudenziali dinnanzi al silenzio serbato dal legislatore………..155 3.1. L’incidente di esecuzione: le vicende Cat Berro e Dorigo………157 3.2. Il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto: il caso Drassich……….174

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CAPITOLO IV

LA CORTE COSTITUZIONALE GETTA IL CUORE OLTRE L’OSTACOLO

1. Un vulnus costituzionale a cui porre rimedio: la prima quaestio

de legitimitate………..185

2. La scure della Corte Costituzionale si abbatte sull’art. 630 c.p.p.: la sentenza n. 113 del 4 Aprile 2011………..198 2.1. La sedes dell’intervento manipolativo. Un innesto “anomalo”: eterogeneità logica tra revisione ordinaria ed europea………….210 2.2. Una inedita pronuncia additiva di istituto?………217 3. Un nuovo istituto giuridico si affaccia all’orizzonte, un nuovo ruolo per l’interprete………231 .

CAPITOLO V

PROSPETTIVE DE IURE CONDENDO E DE LEGE

FERENDA: UN ISTITUTO PROCESSUALE DA EDIFICARE

1. Con la sentenza 113/2011 è stata scritta una pagina nodale sul tavolo delle garanzie, ma l’inchiostro nel calamaio non può ancora dirsi esaurito: la necessità di erigere un nuovo istituto processuale………..245

1.1. Sull’auspicato e atteso intervento legislativo: iniziative di riforma………250

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Conclusioni………263

Bibliografia………269

Indice della giurisprudenza………280

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Introduzione

Con il presente elaborato, si vuole esaminare l’addizione operata dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 113 del 2011, sul

corpus dell’art. 630 c.p.p., dichiarativa dell’illegittimità costituzionale

della norma, nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte di Strasburgo. In particolare, i giudici della Consulta, posti dinnanzi ad un vulnus costituzionale insanabile con l’ars interpretandi, e oberati dalla necessità di porvi rimedio, tanto che la lesione promani da ciò che la norma prescrive, quanto, al contrario, da quello che la disposizione, o rectius la norma maggiormente pertinente alla fattispecie in discussione, omette di prevedere, hanno fotografato nella revisione, <<comportando, quale mezzo straordinario di impugnazione a carattere generale, la riapertura del processo, che implica una ripresa delle attività processuali in sede di cognizione, estesa anche all’assunzione delle prove>> , l’istituto che presenta 1

profili di maggiore assonanza con quello la cui introduzione appare ineluttabile al fine di garantire l’osservanza del parametro invocato. Orbene, chiarito che l’oggetto principale del presente lavoro è la sentenza n. 113 del 2011, la trattazione sul rimedio post rem

iudicatam aggiunto dal Giudice delle leggi non potrà che prendere

le mosse dai formanti giuridici che esigono, per una tutela piena ed efficace dei diritti di ascendenza convenzionale, e dunque, per il tramite dell’art. 117 Cost., costituzionale, il riesame o la riapertura del processo. Segnatamente, l’ottemperanza all’obbligazione

Corte costituzionale, 4 aprile 2011, n. 113.

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principale di risultato discendente dall’accertamento, operato dalla Corte di Strasburgo, di una violazione delle libertà e delle garanzie consacrate dalla CEDU, e in particolare delle norme sul droit à un

procès équitable, assume quale portato l’imposizione alle autorità

nazionali a predisporre, in via discrezionale nel quomodo ma vincolante nell’an, misure concrete idonee ad assicurare la

restitutio in integrum. Nondimeno gli Stati, pur rimanendo

tendenzialmente liberi di adottare le misure ritenute più idonee per adempiere l’obbligo di scopo, possono adeguarsi al decisum sovranazionale purché tali misure siano compatibili con le conclusioni contenute nella sentenza della Corte, e sempre sotto la supervisione del Comitato dei Ministri.

In tale angolo visuale, la forza precettiva delle decisioni della Corte europea, avvinta all’obbligazione principale di risultato in capo alle Alte Parti della Convenzione e al contenuto assiologico delle libertà e dei diritti consacrati nella Carta internazionale, impone una conformazione pregnante al dictum sovranazionale che non può coagularsi in una mera riparazione pecuniaria. Pertanto, l’attività maieutica della giurisprudenza convenzionale sul combinato disposto degli artt. 1, 41 e 46, CEDU, si è arrestata nell’individuare, in particolare modo dinnanzi a violazioni convenzionali di tipo essenzialmente procedurali, quali quelle in materia di fairness, la riapertura del processo quale misura, in linea di principio, più idonea a garantire la doverosa restitutio in integrum.

Nondimeno, essendo il ricorso alla Corte EDU subordinato, ai sensi dell’art. 35 CEDU, al previo esaurimento dei rimedi interni, il giudice dei diritti conosce di una controversia definita da sentenza passata in giudicato, che, quindi, nasce, come Atena dalla testa di Zeus, già armata ed adulta. Ne discende che la vis obligandi e l’effettività delle pronunce europee entrano indefettibilmente in collisione con l’irretrattabilità del giudicato penale, e con i valori assiologici a tale

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istituto sottesi, poiché qualsiasi sentenza della Corte di Strasburgo che accerti una violazione dell’art. 6 CEDU, posta in essere dall’autorità giudiziaria nazionale, verrà sempre, inevitabilmente, fisiologicamente, e dunque istituzionalmente a collidere con un giudicato nazionale.

Orbene, una volta che sia stato affermato l’impatto che la tutela effettiva dei diritti umani consacrati dalla CEDU importa con le alte mura della res iudicata, il presente lavoro volgerà lo sguardo verso l’altra parte del campo, esponendo l’epidermide, la morfologia e la latitudine di tali mura, al fine di apprendere se la certezza del diritto possa cedere il passo alla certezza dei diritti.

In seguito, l’accento dell’elaborato si sposterà sulle soluzioni adottate dai tre demiurghi della giuridicità, ovvero legislazione, giurisprudenza e dottrina, al fine di assicurare una pregnante

restitutio in integrum, in quanto l’erezione di istituti processuali, così

come di tutto il diritto d’intorno, consentanei ai precetti sovranazionali non può che assurgere a condizione di validità ed efficacia dell’intero sistema convenzionale. Del resto, se non è revocabile in dubbio che il grado di tutela apprestato dalla CEDU è direttamente ed intimamente correlato all’effettivo rispetto, da parte degli Stati membri, dei diritti e delle libertà in essa consacrati, l’efficace funzionamento del sistema metanazionale dipende dal modo in cui lo Stato autore dell’acclarata violazione provvede, nell’ambito del proprio ordinamento giuridico, a eseguire, integralmente e tempestivamente, la sentenza di condanna a proprio carico. Ne discende, dunque, che la vexata quaestio della conformazione al decisum di Strasburgo costituisce un problema di strumenti giuridici, che la giurisprudenza di legittimità, nel fragoroso silenzio serbato dal legislatore, ha cercato di individuare tra le trame del diritto positivo nell’incidente di esecuzione, ex art. 670

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c.p.p., e nel ricorso straordinario in Cassazione, disciplinato dall’art. 625-bis c.p.p.

Infine, l’attenzione sarà posta verso quella giurisprudenza più tradizionale che, rifuggendo da forzature ermeneutiche, esito di un percorso non privo di rischi in cui le ragioni del diritto si piegano alle esigenze di giustizia sostanziale, e progenitrici di risultati sistematicamente poco ortodossi, cerca la soluzione in subiecta

materia nella tutela costituzionale. Pertanto, in forza della

sollevazione della questione di legittimità ope iudicis a quo, la Corte costituzionale entra al centro del dibattito abbattendo la propria scure sull’art. 630 c.p.p. Segnatamente, relativamente all’intervento manipolativo de quo, si cercherà di metterne in luce i punti fermi e i punti a capo, rilevando da un lato la natura eterodossa di sentenza additiva di principio, e illustrando dall’altro la nuova veste che l’interprete è chiamato ad indossare in dipendenza del rimedio aggiunto.

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CAPITOLO PRIMO

Il TRAMONTO DEL SISTEMA PENALE

STATOCENTRICO

SOMMARIO: 1. CONVENZIONE E CORTE EDU: UN PRESIDIO PER I DIRITTI FONDAMENTALI. -2. LA CONVENZIONE EDU NEL SISTEMA DELLE FONTI:LA PROSPETTIVA FORMALE-ASTRATTA. -2.1. SULLA DISAPPLICAZIONE DELLA FONTE INTERNA ANTINOMICA. -3. ALLA RICERCA DEL “SISTEMA DEI SISTEMI”: LA PROSPETTIVA ASSIOLOGICA-SOSTANZIALE.-4. CENNI SULLA PROTEIFORMITÀ DEL CONCETTO DI PROCESSO EQUO

1. Convenzione e Corte EDU: un presidio per i diritti

fondamentali

La tutela dei diritti fondamentali, in seno alla compiuta integrazione tra ordinamento interno e sistema giuridico metanazionale, costituisce la nuova frontiera del diritto processuale penale. Le origini di tale tutela multilivello dei diritti sono da cogliersi nel movimento internazionale per la protezione dei diritti dell’uomo che affonda le proprie radici nelle ceneri dell’Europa postbellica e che ha condotto ad un ordinamento giuridico biunivoco ed integrato in cui gli organi nazionali, comunitari e convenzionali comunicano e coadiuvano, contribuendo alla salvaguardia e allo sviluppo dei diritti e delle garanzie. Al fine di descrivere la portata innovativa del cammino internazionale dei diritti si è osservato come << attualmente il circuito giurisdizionale sia divenuto complesso, affiancandosi al giudice ordinario non soltanto la Corte

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costituzionale ma anche la Corte di Giustizia e la Corte Europea dei diritti umani, con i condizionamenti che da esse derivano, ma anche con il valore aggiunto da esse apportato agli atti del giudice ordinario >> . Al centro di tale percorso - definito dal professor 2

Chiavario << la lunga marcia dei diritti dell’uomo nel processo penale >> - si situa la Convenzione e la Corte EDU, 3

rispettivamente trattato internazionale redatto dal Consiglio d’Europa e organo giurisdizionale internazionale preposto al controllo sul rispetto e sull’applicazione delle norme convenzionali. Poiché la Convenzione EDU è espressione del Consiglio d’Europa, la trattazione prenderà le mosse da questo.

Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione internazionale fondata nel 1949 i cui scopi “statutari” sono enucleabili nella tutela dei diritti dell’uomo e della democrazia parlamentare, nella stipulazione di accordi tesi all’armonizzazione delle politiche sociali e giuridiche degli Stati parti così come nello sviluppo di una comune identità europea . L’attuazione di tali finalità è veicolata da atti di c.d. soft 4 law, quali raccomandazioni o pareri, ovvero atti non aventi effetti

vincolanti nei confronti degli Stati parti giacché, diversamente dall’Unione Europea, l’organizzazione in parola non è titolare di poteri normativi. L’art.1 lettera b) dello Statuto individua gli organi, tesi a costituire propulsione e impulso alla realizzazione dei fini

E. Lupo, Relazione sull’amministrazione della giustizia dell’anno 2012, in

2

<<Foro it.>>, V, p.42.

M. Chiavario, La “lunga marcia” dei diritti dell’uomo nel processo penale, in

3

R.Kostoris e A.Balsamo(a cura di), Giurisprudenza europea e processo penale

italiano. Nuovi scenari dopo <<il caso Dorigo>> e gli interventi della Corte Costituzionale, G.Giappichelli-Editore, Torino, 2008, p. 11.

M. Salvadori, L’applicazione della Convenzione europea e l’integrazione dei

4

processi interpretativi, in R.Gambini e M.Salvadori(a cura di) Convenzione europea sui diritti dell’uomo:processo penale e garanzie, Edizioni Scientifiche

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statutari, nell’Assemblea Consultiva , nel Comitato dei Ministri , nel 5 6

Segretariato generale a cui si cumulano altri organi non 7

contemplati dallo statuto, quali la Corte EDU. Segnatamente, in tale angolo visuale, primo attore è il Comitato dei Ministri in quanto preposto a perseguire ogni azione utile ad addivenire agli obiettivi del Consiglio. Tale organo riveste altresì un ruolo preminente nella tutela dei diritti umani, essendo titolare della funzione di controllo sull’esecuzione delle decisioni della Corte EDU. Una funzione che si concretizza in tre distinte fasi, l’una estrinsecata nell’accertamento dell’effettivo versamento di quanto costituente “equa soddisfazione”, ovvero il risarcimento del danno e la rifusione delle spese processuali così come statuito dalla Corte. Una seconda fase accertativa della predisposizione di misure individuali consentanee a quanto stabilito in sentenza, volte al duplice fine di inibire l’eventus damni e restaurare lo status quo ante. Infine il Comitato opera un controllo sulle misure generali che la Corte di Strasburgo ha richiesto al fine di impedire e prevenire la reiterazione di violazioni .8

Il frutto più maturo del Consiglio è costituito dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, aperta alla firma a Roma nel 1950 ed entrata in vigore dal 1953. La Convenzione, informata e idealmente avvinta alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo proclamata

La composizione dell’Assemblea Consultiva è disciplinata nel capitolo V dello

5

Statuto, segnatamente dall’art. 22 all’art. 35. I componenti sono designati dai parlamenti nazionali tra i propri membri. Costituisce, così, una rappresentanza di secondo grado.

Il Comitato dei Ministri è contemplato nel capitolo IV dello Statuto, dall’art.13

6

all’art. 21.

Il Segretariato Generale trova disciplina del capitolo VI dello Statuto, art.36 e

7

art.37. Organo diretto all’assistenza dell’Assemblea Consultiva e del Comitato dei Ministri

M. Salvadori, L’applicazione della Convenzione europea e l’integrazione dei

8

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dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1948, irrompe nella scena internazionale quale << strumento rivoluzionario >> di 9

attuazione, attraverso norme internazionali vincolanti, dei diritti consacrati nella Dichiarazione predetta. Infatti, diversamente dalla Carta del 1948, non si limita alla stesura di un catalogo di diritti civili e politici, ma compie un passo ulteriore verso l’effettività della tutela, predisponendo un sistema di attuazione coattiva. Alla proclamazione su carta si cumula così una struttura a carattere prettamente giudiziario volta ad assicurare la realizzazione di quanto enunciato . Del resto dietro la mera enunciazione di diritti e 10

garanzie non sorrette da strumenti che rendano coattive le obbligazioni, si cela l’ineffettività. Se ne deduce che là dove vi è un diritto deve esservi un giudice: e ciò è reso manifesto dall’art.1 della CEDU che garantisce - prescrivendo che << le Alte Parti contraenti riconoscono a ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà enunciati nel Titolo primo della presente Convenzione >> - che il catalogo dei diritti non sia una dichiarazioni d’intenti, ma comporti l’insorgenza di obblighi in capo agli Stati firmatari. Ne consegue l’istituzione di vincoli solidali o obblighi erga omnes partes per gli Stati contraenti: la vis delle norme convenzionali importa, per gli Stati, non già unicamente un comportamento di carattere negativo, laddove impone che non sussistano ostacoli di carattere né istituzionale né individuale che si frappongono all’invocazione dei diritti sanciti dalla CEDU dinnanzi ad un’istanza nazionale, ma anche un comportamento attivo volto alla prevenzione e alla repressione di quei fattori che incidano in misura limitativa sui diritti e sulle libertà dell’uomo. Ne discende un

N. Ronzitti, Introduzione al diritto internazionale, G.Giappichelli-Editore, Torino,

9

2009, p. 299.

M. Salvadori, L’applicazione della Convenzione europea e l’integrazione dei

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obbligo di duplice natura in capo agli Stati, l’obbligo di assicurare che la legislazione domestica sia compatibile con la Convenzione oltre a quello di predisporre ogni misura volta all’attuazione delle norme convenzionali. Questo principio è stabilito dall’art. 13 CEDU, ove impone alle Alte Parti di fornirsi di strumenti efficaci, nella forma di istituzioni e procedure interne, che assicurino un rimedio effettivo alla violazione dei diritti umani. Inoltre, condizionando, l’art.35, il ricorso alla Corte EDU al previo esaurimento delle vie di ricorso interne, rivela la sussidiarietà dell’intervento sovranazionale, concepito quale garanzia ulteriore che si cumula a quella interna e opera allorché questa fallisca, denotando una patologia nell’applicazione della Convenzione. Occorre altresì rilevare come nell’art.1 si utilizzi il sostantivo << persona >> in luogo di cittadino, da cui dipende l’applicazione delle norme convenzionali in modo indistinto agli individui, siano essi cittadini o stranieri, presenti in uno Stato parte.

La Convenzione si articola in due parti, l’una, di natura sostanziale, elenca i diritti garantiti, l’altra, di matrice procedurale, delinea quei meccanismi di garanzia che risultano ineludibili per la effettività della tutela. I diritti enunciati dalla Convenzione non hanno portata assoluta, ma relativa in quanto defettibili. La defettibilità dei diritti dell’uomo è subordinata a casi di eventi eccezionali, tassativamente stabiliti dall’art.15 della Convenzione stessa, ovvero “guerra o altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione”. La Convenzione elenca altresì un nucleo di diritti assoluti ed inderogabili talmente connaturati alla dimensione umana che non possono conoscere temperamento ed esclusione: il diritto alla vita, il divieto di tortura, divieto di schiavitù, principio di legalità (art.7). La Convenzione costituisce un catalogo di diritti e libertà, una tavola di valori, alla cui proclamazione segue un sistema vincolante per le Alte parti. In tale angolo visuale funzione preminente è

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assicurata dalla Corte Europea dei Diritti dell’uomo, la quale realizza la concretizzazione dei precetti convenzionali, segnando il

pomerium tra enunciazione astratta di un diritto e sua tutela nel

singolo caso: attraverso l’opera della Corte il diritto annunciato in via generale e astratta discende nella fattispecie concreta.

La Corte, custode dei valori della Convenzione, ha sede a Strasburgo e si compone di un numero di giudici pari a quello degli Stati contraenti. I giudici sono eletti dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa sulla base delle liste di tre candidati proposti da ciascuno Stato. I componenti hanno un mandato, non rinnovabile, di durata novennale e siedono nella Corte a titolo 11

individuale, non rappresentando alcuno Stato: la Corte Edu è un organo di individui non di Stati da cui segue l’indipendenza dei giudici rispetto alle Alte parti. I giudici sono sottoposti a vincoli di incompatibilità, segnatamente non possono esercitare alcuna attività in contrasto con i loro doveri di imparzialità ed indipendenza o un esercizio che richieda una disponibilità a tempo pieno. Sotto il profilo strutturale la Corte era tradizionalmente articolata in Comitati di tre giudici, in Camere da sette membri ed una Grande Camera da diciassette componenti, chiamata a pronunciarsi allorché una questione sia grave e relativa all’interpretazione della Convenzione ovvero quando la soluzione di un problema possa condurre ad un contrasto con precedente sentenza della Corte. A queste ramificazioni si cumula, in virtù delle innovazioni apportate dal Protocollo numero 14, il Giudice unico, preposto a dichiarare, con decisione definitiva, irricevibile e cancellare dal ruolo il ricorso proposto da individui nel caso in cui la decisione possa essere adottata senza ulteriore esame. La riforma trova la propria ratio nella necessità, all’aumentare del numero degli Stati membri del

Il mandato è di nove anni in virtù delle innovazioni apportate dal Protocollo n.

11

14, in precedenza era di sei anni. L’attuale membro italiano è Guido Raimondi, successore di Vladimiro Zagrebelsky.

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Consiglio d’Europa e degli Stati parti della Convenzione EDU, di rendere più snello il sistema di controllo.

Ogni Stato, per mezzo del ricorso inter-statale, ed ogni individuo, attraverso il ricorso individuale, che si ritenga leso può adire direttamente la Corte EDU, censurando una violazione da parte di uno Stato membro di uno dei diritti o delle libertà proclamate. Il diritto azionabile, riconosciuto in capo all’individuo, di poter esperire un ricorso nei confronti dello Stato alla cui giurisdizione è sottoposto, rappresenta un fatto rivoluzionario e dirompente per la scena internazionale, una rivoluzione di una portata tale da non essere finanche pienamente compresa negli anni cinquanta del secolo scorso . E’, invero, la soggettività riconosciuta agli individui 12

in ordine a situazioni giuridiche nell’ambito sovranazionale, non fondate sul diritto interno, ma attribuite e garantite da quelle stesse organizzazioni internazionali, che ha posto le premesse e le fondamenta per un sistema integrato e per la nuova frontiera della giustizia penale.

Il ricorso individuale, motore della tutela dei diritti e strumento di dialogo tra insieme statale ed insieme sovranazionale, può essere presentato da una persona fisica, da un’organizzazione non governativa o un gruppo di individui (art.34 CEDU). Il ricorso è subordinato al fatto che il ricorrente sia “vittima” di una violazione convenzionale da parte dello Stato, non potendosi, conseguentemente, adire la Corte censurando che la legislazione domestica potrebbe in astratto pregiudicare i diritti del ricorrente. I ricorrenti individuali possono presentare il ricorso senza l’assistenza tecnica di un difensore, ancorché la stessa sia necessaria a seguito di dichiarazione di ricevibilità. L’altra categoria dei ricorsi è quella che promana da uno Stato parte, disciplinata

M. Salvadori, L’applicazione della Convenzione europea e l’integrazione dei

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dall’art. 33 della Convenzione. Poiché la CEDU istituisce vincoli ed obblighi erga omnes partes, non è necessario che lo Stato sia materialmente danneggiato dalla violazione in quanto, per effetto dei vincoli in parola, ciascuno Stato è obbligato ad osservare le norme convenzionali nei confronti di tutti gli Stati membri.

Sotto il profilo procedurale, il processo si declina in due fasi: la valutazione sulla ricevibilità del ricorso e la valutazione sul merito. La prima fase ha luogo dinnanzi al Comitato, per i ricorsi individuali, o dinnanzi alla Camera, per i ricorsi statali. Il Comitato assolve ad una funzione di filtro a livello preliminare per i ricorsi presentati da individui e pronuncia sul merito in tutte le fattispecie in cui sussiste una consolidata giurisprudenza. Laddove dichiari all’unanimità la natura irricevibile del ricorso, l’affare è definitivamente stralciato dal ruolo. Invece, se la decisione non è unanime, l’affare è trasmesso alla Camera che si pronuncerà tanto in punto di ricevibilità che in punto di merito. Le condizioni di ricevibilità dei ricorsi rappresentano un punto nodale della procedura poiché, statisticamente, la maggior parte dei ricorsi individuali sono respinti in questa fase preliminare. Condizione comune vuoi ai ricorsi inter-statali vuoi ai ricorsi individuali è << l’esaurimento dei ricorsi interni >> previsto dall’art. 35 par. 1 della Convenzione, condizione che assumerà un rilievo centrale anche per la trattazione a seguire. Inoltre il ricorso deve essere proposto, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data in cui la decisione è divenuta definitiva. A tali requisiti comuni, per i soli ricorsi individuali si cumulano ulteriori condizioni di irricevibilità stabilite dall’art. 35, par. 2 e 3: anonimato, manifesta infondatezza, abusività, incompatibilità con la Convenzione (i.e. competenza ratione materiae) ed infine trattasi di stesso ricorso proposto ad altra istanza internazionale. In forza dell’entrata in vigore del Protocollo n.14 la ricevibilità risulta altresì subordinata ad un parametro quantitativo, ovvero la significatività

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del pregiudizio. In relazione, invece, alla seconda fase della procedura, allorché la Camera dichiari ricevibile il ricorso, invita le parti a presentare osservazioni scritte e prove complementari, implementando l’orizzonte cognitivo a cui la Corte è chiamata a guardare. In seguito la Corte esamina in punto di merito la controversia, in contraddittorio tra le parti. La procedura consta di un tentativo di conciliazione e, ove sia esperito fruttuosamente, i termini della soluzione amichevole costituiscono l’oggetto di una decisione e il ricorso è stralciato dal ruolo. Laddove invece non si giunga a tale esito, la Camera decide, a maggioranza, con sentenza. Ogni giudice può allegare alla decisione un’opinione o una dichiarazione, vuoi dissenziente vuoi concordante. Qualora la sentenza non sia impugnata, nei tre mesi successivi, dinnanzi alla Grande Camera, la decisione diviene definitiva e conseguentemente vincolante per lo Stato a cui è diretto. La forza vincolante di tali pronunce non superano i limiti della controversia sottoposta all’ esame della Corte, essendo un Giudice in punto di merito ed in punto di legittimità del singolo caso, e non, diversamente dalla Corte Costituzionale, un giudice delle leggi.13

G. Ubertis, La Corte di Strasburgo quale garante del giusto processo, in

13

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2. La Convenzione EDU nel sistema delle fonti: la

prospettiva formale-astratta.

La declinazione plurale e multiforme della protezione dei diritti umani in seno all’integrazione tra ordinamento interno e diritto sovranazionale, congiunta alla tensione uniformatrice dei parametri di tutela nei singoli Stati parti effettuata dalla CEDU, assume come portato un’analisi in ordine alle relazioni intersistemiche ed al coordinamento sia sostanziale sia funzionale tra i due ordinamenti, dunque ad una gerarchia tra sistemi e disposizioni. Il rapporto tra CEDU ed ordinamento italiano non è di agevole individuazione, stante la composizione multilivello e molteplice delle fonti disciplinanti i diritti fondamentali dell’individuo, da taluni definito “human rights factor” o “ius comune dei diritti” . La relazione in 14

discussione deve essere colta entro la prospettiva della teorica delle fonti, da cui si desume la cesura tra la sfera sostanziale su cui la CEDU ricade, un terreno costituzionale, e l’atto formale con cui la Convenzione è entrata nel nostro ordinamento, ovvero un ordine di esecuzione insito nella legge di autorizzazione alla ratifica, id est avente rango di legge ordinaria. Entro tale angolo visuale i rapporti tra sistema sovranazionale e diritto interno hanno conosciuto una evoluzione in tre distinte fasi: l’una, in cui la Convezione fu colta ed applicata quale legge ordinaria, la seconda, in cui la giurisprudenza e la dottrina, pur in un immutato quadro di fonti, ha interpretato la CEDU nella misura tale da assicurarne una più compiuta operatività, ed infine, a seguito dell’avvento della legge

D. Ferri, Il rango delle norme CEDU: tra teorica delle fonti e retorica dei diritti,

14

in R.Bin A.Puggiotto, G.Brunelli e P.Veronesi(a cura di), All’incrocio tra

Costituzione e CEDU:il rango delle norme della Convenzione e l’efficacia interna delle sentenze di Strasburgo, G.Giappichelli-Editore, Torino, 2007, p. 115.

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costituzionale 3/2001, le norme convenzionali diventano norme interposte, sottordinate alla legge fondamentale e sovraordinate alla fonte primaria . Originariamente, dunque, la CEDU fu 15

pacificamente considerata quale fonte primaria, entrata nell’ordinamento interno per effetto della legge 4 agosto 1955, n°848; fonte di diritto primaria in quanto le relazioni intersistemiche furono colte abbracciando l’impostazione dualistica, da cui discende che le fonti del diritto internazionale non possano dipanare effetti giuridicamente vincolanti in assenza di una traslitterazione nel diritto interno, ed in seguito ad esecuzione, abbiano il medesimo rango dell’atto di recepimento. Espressivo di tale orientamento è la sentenza della Corte costituzionale n°188 del 1980, ove i giudici della Consulta condividono << il prevalente orientamento della dottrina e della giurisprudenza per il quale, in mancanza di specifica previsione costituzionale, le norme pattizie, rese esecutive, hanno valore di legge ordinaria >>. Questa impostazione è figlia di un modo di cogliere e concepire le relazioni intersistemiche diverso rispetto all’oggi, così come si evince dalle parole di Balladore Pallieri che sì affermava << lo Stato nel suo interno è libero, illimitatamente libero ed eseguisce il trattato solo se così vuole >> con il corollario che, in caso di conflitto tra 16

trattato e leggi successive, << deve rimanere saldo l’impero delle leggi posteriori >> .17

M. Cartabia, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’ordinamento

15

italiano, in R.E.Kostoris e A.Balsamo(a cura di), Giurisprudenza europea e processo penale italiano. Nuovi scenari dopo <<il caso Dorigo>> e gli interventi della Corte Costituzionale, G.Giappichelli-Editore, Torino, 2008, p. 36.

G. Balladore Pallieri, Diritto Costituzionale, Giuffrè, Milano, 1976, p.95.

16

Corte costituzionale, 7 marzo 1964, n. 14.

(20)

In dottrina , muovendo ad un tempo dal contenuto assiologico che 18

connota la Convenzione rispetto ai comuni trattati internazionali, dall’altro dalla prossimità materiale-contenutistica alla Costituzione, si è avvertita l’esigenza di assicurare alla stessa una copertura costituzionale o il rango di fonte atipica al fine di sottrarre la CEDU ai canoni di risoluzione delle antinomie fra norme paraordinate. Invero la costituzionalizzazione avrebbe determinato un rafforzamento delle garanzie fondamentali, attribuendo alla pretesa vittima un più esteso spettro di tutela: valutazione del giudice ordinario, controllo di costituzionalità e controllo successivo della Corte EDU. In particolare la specialità della fonte sovranazionale è stata postulata da una isolata pronuncia della Consulta in cui il Giudice delle leggi ha affermato che le norme della Convenzione sono << norme derivanti da una fonte riconducibile a una competenza atipica e, come tali, insuscettibili di abrogazione o di modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria >> . 19

Dunque una potenziata efficacia normativa rispetto allo strumento giuridico che ne ha consentito il recepimento , una potenziata 20

efficacia di carattere passivo nella specie di forza di resistenza all’abrogazione ad opera di leggi successive di pari grado aventi

R. Quadri, Diritto Internazionale pubblico, A.Giuffrè, Milano, 1968; V. Petralia,

18

Equo processo, giudicato nazionale e Convenzione, G.Giappichelli-Editore,

Torino, 2012; M. Cartabia, La CEDU e l’ordinamento italiano: rapporto tra fonti,

rapporto tra giurisdizioni, in R.Bin A. Puggiotto, G.Brunelli e P.Veronesi (a cura

di), All’incrocio tra Costituzione e CEDU: il rango delle norme della Convenzione

e l’efficacia interna delle sentenze di Strasburgo, G.Giappichelli-Editore, Torino,

2007 ; G. Sorrenti, La Cedu tra vecchie(sostanziali) e nuove (formali) ipotesi di

copertura, in R.Bin A. Puggiotto, G.Brunelli e P.Veronesi (a cura di), All’incrocio tra Costituzione e CEDU: il rango delle norme della Convenzione e l’efficacia interna delle sentenze di Strasburgo, G.Giappichelli-Editore, Torino, 2007; T.

Perassi, La Costituzione italiana e l’ordinamento internazionale, in <<Scritti

giuridici>>, Vol.1, Milano, Giuffrè, 1958; A. La Pergola, Costituzione e adattamento dell’ordinamento interno al diritto internazionale, Giuffrè, Milano, 1961.

Corte costituzionale, 19 gennaio 1993, n. 10.

19

V. Petralia, Equo processo,giudicato nazionale e Convenzione europea dei

20

(21)

contenuto antinomico (lex posterior generalis non derogat legi priori

speciali). Sotteso a questa teoria vi era la volontà di addivenire ad

<< una sorta di intangibilità oggettiva delle norme della Convenzione che, tuttavia, non si sostanziava nell’attribuzione di un valore formale diverso, ma solo nella particolare capacità di resistenza >> . Ed è proprio l’assenza di un referente normativo, di 21

un elemento formale e positivo, che ha fatto sì che questa tesi, pur avvallata dalla Corte di Cassazione , non abbia fatto breccia e sia 22

rimasta isolata. Altri Autori, invece, hanno individuato in via alternativa o cumulativa la copertura costituzionale su un parametro formale della Carta fondamentale assicurando, in tale ottica, rango superlegislativo alle norme convenzionali, con il duplice corollario della prevalenza delle stesse sulle leggi interne contrastanti e l’ammissibilità di una questione di legittimità costituzionale ove la Convenzione avrebbe operato quale parametro interposto. In questo senso è stato prospettato che la Convenzione trovi il proprio fondamento nell’art. 2 della Carta, postulando, con ricezione degli insegnamenti di Augusto Barbera , la natura aperta e generale della clausola in luogo dello 23

schema riassuntivo e chiuso con il quale era precedentemente letta. La costituzionalizzazione della Convenzione, operata attraverso l’art. 2, determinerebbe una lettura sì aperta, ma non sfuggente ed indeterminabile giacché riferibile ad un testo scritto. Questa ricostruzione però non è stata esente da censure e critiche, tra le quali quella mossa dalla professoressa Cartarbia che ha

V. Petralia, Equo processo,giudicato nazionale e Convenzione europea dei

21

diritti dell’uomo, cit., p.54.

Corte di Cassazione penale, Sezione I, n. 2194 del 10 luglio 1993, Medrano,

22

CED-195661, in <<Cass. pen.>>, 1994, p. 439 ss. con nota di G. Raimondi. M. Cartabia, La CEDU e l’ordinamento italiano:rapporto tra fonti, rapporti tra

23

giurisdizioni, in R.Bin A.Puggiotto, G.Brunelli e P.Veronesi(a cura di), All’incrocio tra Costituzione e CEDU:il rango delle norme della Convenzione e l’efficacia interna delle sentenze di Strasburgo, G.Giappichelli-Editore, Torino, 2007, p.10.

(22)

evidenziato come l’apertura della Costituzione al riconoscimento di nuovi diritti tramite l’art. 2 Cost. finisca per attribuire una delega ai giudici esterni a delineare il contenuto dei nuovi diritti, alterando ab

profundis il tessuto costituzionale: << per limitare la creatività dei

giudici nazionali e della Corte costituzionale italiana si fa spazio, in realtà, all’attivismo delle Corti europee >> .24

Si è altresì cercato, in Autori quali Rolando Quadri, il fondamento costituzionale delle norme in discussione nell’art.10, primo comma della Legge fondamentale, ovvero la disposizione che impone l’obbligo di conformazione alle norme internazionali generalmente riconosciute mediante l’adattamento automatico. Ne discende che il diritto internazionale generale integri un parametro costituzionale, con la subitanea conseguenza che la violazione delle norme generalmente riconosciute costituisca violazione indiretta della Costituzione. Ora, anche tra i fautori di questa impostazione non è revocato in dubbio la natura pattizia della fonte internazionale in parola, ma poiché, si afferma, la Convenzione è un accordo che positivizza nelle proprie norme, o in parte di esse, consuetudini internazionali o principi internazionali generalmente riconosciuti, ovvero norme aventi natura ricognitiva o riproduttiva di fonti che troverebbero copertura costituzionale, esse stesse ricadrebbero nell’adattamento automatico (pacta recepta sunt servanda). 25

Anche tale soluzione non appare appagante, ancorché talvolta abbia trovato il ragguardevole sostegno del Giudice delle leggi , 26

poiché la stessa fonte potrebbe avere ora status costituzionale, laddove le proprie disposizioni siano codificatorie di principi generali, ora rango primario, addivenendo così ad un non felice

M. Cartabia, La CEDU e l’ordinamento italiano:rapporto tra fonti, rapporto tra

24

giurisdizioni, cit., p.11.

M. Cartabia, Ibidem, p. 10.

25

Corte costituzionale, 18 giugno 1979, n. 48.

(23)

esito di eterogeneità del valore giuridico della Convenzione europea.

E’ altresì da rilevare che, a seguito dell’avvento della legge costituzionale n° 2 del 1999, taluni2728 hanno sostenuto che, in quanto l’art. 111 della Carta trovi filiazione diretta nell’art. 6 CEDU, il novellato articolo costituirebbe un clausola d’importazione ed incorporazione automatica dei principi del trattato del Consiglio d’Europa e delle interpretazioni che dello stesso sono elaborate dalla Corte di Strasburgo.

Infine, nel quadro costituzionale antecedente alla riforma costituzionale dell’art.117, dottrina e giurisprudenza minoritaria 29

hanno ritenuto che il firmamentum della Carta europea risiedesse nell’art.11, specularmente a quanto avviene con l’Unione Europea. Dal momento che l’operatività della norma è subordinata alla sussistenza cumulativa di due requisiti, “le limitazioni di sovranità” e “l’ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni”, la Convenzione potrà trovare costituzionalizzazione unicamente se soddisfa tali ineludibili presupposti. Ne segue che occorrerà domandarsi se il trattato del Consiglio d’Europa sia una forma di eterogoverno che persegue in modo diretto e determinato finalità di pace e giustizia, e solo a seguito di esito positivo potrà trovare accoglimento la tesi del professor Quadri . Invero, secondo 30

l’Autore, la Convenzione impone delle limitazioni di sovranità, a carico dello Stato, per favorire l’insorgenza di un ordine internazionale fondato sulla pace e la giustizia tra i popoli. Per tale

M. Cartabia, La CEDU e l’ordinamento italiano: rapporto tra fonti, rapporto tra

27

giurisdizioni, cit., p.11.

M. Cartabia, Le sentenze <<gemelle>> : diritti fondamentali, fonti, giudici, in

28

<<Giurisprudenza costituzionale>>, 2007, pp. 3564- 3574.

P. Mori, Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Patto delle Nazioni unite e

29

Costituzione italiana, in <<Rivista di diritto internazionale>>, 1983, p. 306 ss.

R. Quadri, Diritto internazionale pubblico, A.Giuffrè, Milano, 1968.

(24)

via, dovrebbe applicarsi anche alla CEDU l’intera elaborazione giurisprudenziale sul primato del diritto comunitario, sulla disapplicazione, da parte del giudice di merito, della norma interna incompatibile ed infine, la dottrina dei controlimiti. Quanto esposto rappresenta un orientamento minoritario, in quanto si ritiene che la Convenzione non integri nessuno dei due requisiti dell’art. 11 Cost.; inoltre la tesi di Quadri, che assegna alla disposizione una vocazione espansiva ed elastica, assoggetterebbe alla sua portata un eccessivo numero di fonti pattizie ; infine determinerebbe, 31

surrettiziamente, un sistematico insieme di deroghe all’impianto costituzionale, in ordine all’art.138 Cost. e al potere legislativo parlamentare. La costituzionalizzazione della fonte pattizia del Consiglio d’Europa, per effetto dell’art.11 Cost., è stata expressis

verbis disconosciuta dalla Consulta poiché << la Convenzione

europea non è tale, per la sua struttura, gli obiettivi ed il carattere delle sue disposizioni, da poter incidere “direttamente ed immediatamente sulla posizione giuridica dei singoli, indipendentemente dal tradizionale diaframma normativo degli Stati di appartenenza” consentendo al giudice la non applicazione della norma interna confliggente così come il giudice è, invece, tenuto a fare in relazione al diritto comunitario “direttamente applicabile”>> .32

Le riflessioni in discussione sulla teorica delle fonti sono state innovate e profondamente incise dal mutato quadro costituzionale operato dalla legge costituzionale 3/2001, la quale, riscrivendo l’art. 117, subordina l’esercizio della potestà legislativa, vuoi statale vuoi regionale, al rispetto degli obblighi internazionali. Realizzata la riforma modificatrice del Titolo V, attraverso la quale il legislatore

V. Petralia, Equo processo,giudicato nazionale e Convenzione europea dei

31

diritti dell’uomo, cit., p.65.

Corte costituzionale, 22 ottobre 2007, n. 349.

(25)

prende atto che l’ordinamento nazionale è inserito in una fitta rete di rapporti internazionali che incidono sulle scelte interne, occorreva cogliere la portata innovativa della stessa, idonea, in potenza, ad assumere effetti dirompenti nei rapporti tra diritto internazionale e ordinamento interno. E’ stato prospettato, muovendo dall’argomento sistematico della sedes materiae, che la topografia della norma, iscritta nel Titolo V disciplinante la ripartizione di competenze tra Stato ed enti locali, non muti le relazioni tra ordinamento italiano e fonti internazionali, che continueranno ad essere dettate dagli articoli 10 e 113334. Nel silenzio della giurisprudenza costituzionale, si è altresì affermata una lettura più estensiva che ravvede nella novellata prescrizione una norma incidente non solo sul rapporto tra ordinamento statale e ordinamento regionale, ma anche sull’assetto delle fonti interne e sovranazionali. Avrebbe, ovvero, sospinto il sistema giuridico italiano verso il modello monistico con conseguente ingresso automatico del diritto internazionale pattizio nell’ordinamento interno, in piena simmetria con quanto disposto dall’art.10 Cost. per le norme internazionali generalmente riconosciute. Questa posizione radicale istituzionalizza un meccanismo di copertura formale, che trascura l’eterogeneità delle fonti pattizie alle quali subordina l’esercizio della potestà legislativa e giunge a lidi più lontani di quanto necessario : mentre, invero, la Convenzione, in 35

ragione del contenuto assiologico che la connota, portatrice di

M. Cartabia, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’ordinamento

33

italiano, cit., p.47.

C. Pinelli, I limiti generali alla potestà legislativa statale e regionale e i rapporti

34

con l’ordinamento internazionale e con l’ordinamento comunitario, in <<Foro

it.>>, 2001.

G. Sorrenti, La Cedu tra vecchie(sostanziali) e nuove (formali) ipotesi di

35

copertura, in R.Bin A.Puggiotto, G.Brunelli e P.Veronesi(a cura di), All’incrocio tra Costituzione e CEDU:il rango delle norme della Convenzione e l’efficacia interna delle sentenze di Strasburgo, G.Giappichelli-Editore, Torino, 2007, p.241.

(26)

valori di civiltà giuridica e di diritti umani fondamentali, ha una vocazione costituzionale, altri trattati internazionali non sono sorretti dalla medesima “intelaiatura”. In questo senso illuminanti appaiono le parole di Condorelli allorché afferma che << appiattire l’universo dei trattati internazionali collocandoli tutti, nella gerarchia normativa italiana, sullo stesso gradino altissimo, (…) significa sposare, consciamente o meno, una visione idilliaca - se non giusnaturalistica - delle relazioni internazionali che non corrisponde affatto alla variegata realtà e dimentica come coi trattati si possa fare, si sia fatto e si faccia di tutto, dalle cose più alte alle più basse >> . Infine vi è una terza lettura, dominante in 36

dottrina e che sembra accolta anche dal legislatore con la legge 131/2003, che spiega la portata innovativa del riformato articolo né nel riconoscimento di un innalzamento dal piano legislativo a quello costituzionale delle fonti internazionali né nell’attribuzione di una più penetrante forza attiva, ma in una capacità di resistenza passiva all’abrogazione o alla modificazione da parte di fonti primarie, con la conseguenza che, in ossequio al principio pacta

recepta sunt servanda, il legislatore dovrà conformarsi e rispettare i

trattati recepiti. Ne discende, inoltre che, laddove una legge violi un trattato recepito, la disposizione potrà essere oggetto di sindacato in ordine alla legittimità costituzionale della stessa rispetto all’art. 117 Cost., e nel giudizio potranno essere utilizzate quali norme interposte le prescrizioni violate. L’interpretazione in parola consentirebbe dunque di attribuire alle norme convenzionali un rango interposto, ad un tempo una forza passiva superiore alle fonti primarie, ad un altro un rilievo attivo meno penetrante rispetto alle norme costituzionali. Una soluzione che appare alla professoressa Cartabia appagante sia perché conforme ai principi generali e

V. Petralia, Equo processo,giudicato nazionale e Convenzione europea dei

36

(27)

alla teorica delle fonti sia in ordine agli effetti della Convenzione sull’ordinamento italiano : invero, non operando una 37

costituzionalizzazione della Carta europea né attiva né passiva, è possibile addivenire a quel margine di apprezzamento che sia la Convenzione sia la Corte riconoscono agli Stati, non imponendo così un obbligo alla Corte costituzionale di tutelare i diritti fondamentali come interpretati dalla giurisprudenza di Strasburgo. Questa ricostruzione perviene da un lato a riconoscere effetti più ampi, in quanto pone quella piena equiparazione tra obblighi internazionali che Condorelli riteneva inammissibile, dall’altro effetti più ristretti, disconoscendo il rilievo costituzionale della CEDU ed affermando una resistenza passiva rinforzata.

La giurisprudenza costituzionale ha sposato la tesi della natura interposta con le sentenze gemelle n° 348 e n° 349 del 2007, relative alla legittimità di una legge che, in contrasto con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, quantificava l’indennizzo in un importo minore al valore di mercato del bene nel caso in cui una persona fosse stata privata del diritto di proprietà. Il giudice di merito, non potendo né applicare altre norme dell’ordinamento interno utili alla quantificazione dell’indennizzo né disapplicare le norme nazionali confliggenti con gli obblighi convenzionali, ha sollevato la questione di legittimità. Il Giudice delle Leggi ha chiarito che, nonostante il parametro 117 Cost. non conferisca rilievo costituzionale alle norme contenute in fonti internazionali pattizie oggetto di una legge di ratifica ed esecuzione, il novellato articolo impone al legislatore di rispettare gli obblighi internazionali, da cui discende che la disposizione antinomica integri di per ciò solo una

M. Cartabia, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’ordinamento

37

(28)

violazione mediata del precetto costituzionale3839. Con le due pronunce gemelle la Consulta è in tal modo pervenuta sia al riconoscimento della funzione “parametrica” degli obblighi internazionali contemplati dall’articolo 117, ove il fondamento costituzionale della CEDU riposa in via esclusiva, sia all’esplicita affermazione della subordinazione della legge ai vincoli sovranazionali con il corollario del potere-dovere in capo alla Corte costituzionale di annullare le norme confliggenti con le fonti interposte . Ne discende che la Corte costituzionale sia in grado di 40

espungere con efficacia generale dall’ordinamento una normativa determinante una violazione convenzionale strutturale, adempiendo così agli obblighi imposti alle Alte parti dagli articoli 41 e 46 CEDU, in quanto la conformazione alle decisioni della Corte di Strasburgo non importa la mera restaurazione dello status quo ante e il risarcimento del danno per il ricorrente, ma l’assunzione di misure generali atte a prevenire nuove violazioni. In questo ordine di idee, la Convenzione europea integra e riempie di contenuto la previsione costituzionale senza, però, essere essa stessa una fonte apicale, ma trovando, invece, applicazione in relazione alle norme sub-costituzionali, le quali consentono di concretizzare un precetto che << si limita ad enunciare in via generale una qualità

M.Salvadori, L’applicazione della Convenzione europea e l’integrazione dei

38

processi interpretativi, cit., p.23.

Da rilevare che il riconoscimento dell’efficacia della giurisprudenza di

39

Strasburgo nell’ordinamento interno sia operata per via giurisprudenziale; invero la Corte costituzionale, attribuendo rango interposto alle fonti CEDU, perviene ad un riconoscimento esplicito dei frutti della Corte EDU, in quanto le norme convenzionali vivono nell’interpretazione che delle stesse viene data dalla Corte di Strasburgo. Ne discende una autolegittimazione, giacché è una Corte a legittimare un’altra Corte.

V. Sciarabba, Nuovi punti fermi (e questioni aperte) nei rapporti tra fonti e corti

40

nazionali ed internazionali, in <<Giurisprudenza costituzionale>>, 2007, pp.

(29)

che le leggi in esso richiamate devono avere >> . I giudici 41

costituzionali hanno così dato vita e contenuto ad un parametro costituzionale che, attraverso << un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente >> , trova un ambito di 42

operatività autonomo rispetto a quello degli artt. 10 e 11, colmando al contempo una lacuna strutturale dell’ordinamento per cui, ante riforma del 2001, non si poteva censurare una norma internazionale fuori dai casi di applicabilità dei due articoli contenuti fra i principi fondamentali. Il riconoscimento della natura interposta della fonte convenzionale impone al giudice ordinario, laddove si profili un eventuale contrasto tra questa e una norma nazionale, di avvalersi di ogni strumento interpretativo per pervenire ad una soluzione ermeneutica conforme agli obblighi internazionali; inoltre, allorché una ricostruzione conforme sia inesperibile, il giudice a

quo deve censurare la suddetta incompatibilità sollevando

questione di legittimità costituzionale. Il Giudice delle leggi, investito della questione, pur non potendo esercitare un sindacato sull’interpretazione giurisprudenziale dei giudici di Strasburgo, vaglia la compatibilità della norma convenzionale alla luce di altri parametri costituzionali ai quali, in virtù della posizione infra-Costituzionale, è sottordinata ; è soluzione necessitata giacché, 43

diversamente, si avrebbe il paradosso di una dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma primaria per contrasto con un’altra fonte sub-costituzionale, a sua volta in contrasto con la Legge fondamentale. Invero la Corte non accoglie la nozione di norma interposta, stante l’impossibilità di addivenire ad una

Corte costituzionale, 22 ottobre 2007, n. 348.

41

Corte costituzionale 24 ottobre 2007, n°349.

42

R. E. Kostoris, Verso un processo penale non più Statocentrico, in

43

R.E.Kostoris e A.Balsamo(a cura di), Giurisprudenza europea e processo penale

italiano. Nuovi scenari dopo <<il caso Dorigo>> e gli interventi della Corte Costituzionale, G.Giappichelli-Editore, Torino, 2008, p 7.

(30)

categoria unitaria e sistematica a fronte dell’eterogeneità delle fonti, ma ciò che rileva è la suscettibilità della fonte ad assurgere a parametro nel giudizio di legittimità e, in quanto soluzione atta ad operare sul trattamento giurisdizionale, a concretizzare “gli obblighi internazionali” che vincolano la potestà legislativa .44

In forza dell’avvento della legge costituzionale 3/2001 un ulteriore profilo si pone all’attenzione dell’interprete, l’efficacia nel tempo della previsione che stabilisce il limite alla legislazione statale e regionale, ovvero se possa dipanare effetti per il futuro e segnare la caducazione per illegittimità sopravvenuta delle fonti primarie, anche precedenti alla riforma, confliggenti con la Convenzione e la giurisprudenza di Strasburgo. Invero, se è pacifico che la previsione espressa del rispetto degli obblighi internazionali impone un più intenso dovere di interpretazione conforme delle norme convenzionali e dei principi enucleati dalla Corte europea, eterogenei possono essere gli esiti teorici di diritto intertemporale: se, infatti, non è revocata in dubbio l’incostituzionalità di una normativa successiva incompatibile con gli obblighi discendenti dalla Convenzione, con la medesima fermezza non può essere affermata l’illegittimità della mancata ottemperanza alle sentenze della Corte EDU per leggi temporalmente antecedenti al parametro costituzionale di cui è asserita la violazione. La questione è stata oggetto di una pronuncia della Corte costituzionale che ha sancito 45

la prevalenza sia della norma convenzionale successiva sulla norma interna abrogata per incompatibilità sia della norma pattizia posteriore a seguito di dichiarazione di incostituzionalità della disposizione nazionale confliggente. Ora mentre l’abrogazione, accertabile nei soli casi di evidente contrasto, ha efficacia inter

C. Pinelli, Sul trattamento giurisdizionale della CEDU e delle leggi con essa

44

configgenti, in << Giurisprudenza costituzionale >>, 2007, pp. 3518-3525.

Corte costituzionale, 25 febbraio 2008, n. 39.

(31)

partes ed effetti ex nunc, la dichiarazione di illegittimità, accertabile

per ogni difformità, dipana effetti erga omnes, espungendo la norma dall’ordinamento con efficacia ex tunc.

2.1. Sulla disapplicazione della fonte

interna

antinomica

Nella molteplicità dei tentativi di offrire al problema in esame una soluzione interpretativa, si segnala, infine, quello di una giurisprudenza e dottrina minoritaria, che offre, quale rimedio alla antinomia tra fonte primaria interna e norma convenzionale, la disapplicazione della prima. La disapplicazione importa la titolarità di dirimere una controversia prescindendo del tutto dall’applicazione di un atto, nell’ipotesi che risulti incompatibile con fonti di produzione ritenute prevalenti. Il principio della disapplicabilità giudiziale degli atti legislativi è contemplato dall’art. 5, della legge del 20 marzo 1865, n°2248, Allegato E, originariamente concepito quale diversa ipotesi di invalidità degli atti amministrativi, ed estesosi col tempo alla risoluzione delle antinomie tra fonti del diritto. Il firmamentum dell’istituto riposa nell’effettività della tutela giurisdizionale e nel principio gerarchico quale criterio risolutivo delle antinomie . Nondimeno, occorre 46

mettere in luce l’eterogeneità della situazione per il quale l’istituto è stato eretto, attinente alla risoluzione di fonti differenti, da un lato la legge ordinaria, dall’altro un regolamento o un provvedimento

L. Maratea, Interpretazione delle norme CEDU e disapplicazione della norma

46

interna, in R.Bin A.Puggiotto,G.Brunelli e P.Veronesi(a cura di), All’incrocio tra Costituzione e CEDU:il rango delle norme della Convenzione e l’efficacia interna delle sentenze di Strasburgo, G.Giappichelli-Editore, Torino, 2007, pp.152 ss.

(32)

amministrativo, rispetto alla situazione per la quale si invoca l’utilizzazione, ovvero la soluzione del conflitto tra disposizioni internazionali ed interne, contenutisticamente omogenee, ma divise dalla diversa fonte di produzione. Ne discende che <<all’evidenza (…)il fondamento della disapplicazione internazionale consiste nella prerogativa tipicamente giudiziale di procedere all’individuazione della “norma vera” applicabile>> . 47

Un primo caso di inapplicazione della norma interna configgente è stato deciso dal Tribunale di Genova il 4 giugno 2001, che, riconosciuta la diretta operatività delle norme convenzionali nell’ordinamento italiano, disapplicò per contrasto con la CEDU la normativa interna che non riconosceva al giudice la facoltà di convertire un contratto, a cui era stato illegittimamente apposto un termine, in contratto a tempo indeterminato . Alla medesima 48

conclusione era giunta la Suprema Corte allorché stabilì che, nel 49

caso in cui il giudice ordinario avesse rilevato un contrasto tra norma pattizia e legge nazionale, avrebbe dovuto dare prevalenza alla prima anche attraverso l’inapplicazione, in quanto titolare di una immediata precettività rispetto al caso concreto. La Corte di Cassazione ha consolidato il proprio orientamento, attribuendo al 50

potere giudiziario la titolarità dell’applicazione diretta della CEDU anche in assenza di un intervento adeguatore del legislatore. Sullo stesso solco si è posta la Corte d’Appello di Firenze decidendo la

L. Maratea, Interpretazione delle norme CEDU e disapplicazione della norma

47

interna, cit., p. 153.

A. Ciervo, E’ possibile disapplicare norme nazionali in contrasto con la CEDU?

48

brevi riflessioni su un filone giurisprudenziale minoritario, in R.Bin, A.Puggiotto,

G.Brunelli e P.Veronesi (a cura di), All’incrocio tra Costituzione e CEDU: il rango

delle norme della Convenzione e l’efficacia interna delle sentenze di Strasburgo,

cit., pp. 71-76.

Corte di Cassazione civile, Sezione I, n. 10542, 19 luglio 2002, Muscas c.

49

Comune di Cagliari, consultabile in www.ambientediritto.it.

Corte di Cassazione civile, Sezione I, n. 11096,11 giugno 2004, B. c. Comune

50

(33)

controversia sulla base del principio della restitutio in integrum

<< in ragione della rilevanza delle decisioni della Corte di

Strasburgo che dovevano considerarsi ius cogens all’interno dell’ordinamento nazionale >> , << in quanto esse costituiscono 51

precedenti autorevoli e rilevanti supporti interpretativi al fine di assicurare una tutela effettiva ai diritti contemplati dalla Convenzione >> . Argomento sotteso e sostenuto da questo filone 52

minoritario della giurisprudenza è l’inclusione del sistema dei diritti e delle garanzie della CEDU nell’ordinamento dell’Unione Europea, per effetto dell’articolo 6, comma 2 Tr. UE, argomento che avrebbe trovato una firmitas più pervasiva in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona; la “comunitarizzazione” della Convenzione attrarrebbe alla stessa l’elaborazione giurisprudenziale propria delle fonti dell’Unione, ovvero il primato della norma sovranazionale con il corollario della disapplicazione della disposizione interna antinomica. Nondimeno il riconoscimento del rango interposto della fonte non importa naturaliter l’esclusione del potere inapplicativo, tanto che la Cour de Cassation ha ritenuto ammissibile l’istituto in 53

un sistema, quale quello francese, che specularmente riconosce ai trattati un’autorità superiore alla legge. Inoltre, sotto il profilo logico non vi è strumento che possa assicurare l’effettività del principio della gerarchia, quale criterio risolutivo delle antinomie, che l’istituto della disapplicazione; nondimeno l’esercizio di tale istituto non dà vita ad un fenomeno di legislazione giudiziale in quanto non sfocia nella dichiarazione di illegittimità della fonte sottordinata, ma

A.Ciervo, E’ possibile disapplicare norme nazionali in contrasto con la CEDU?

51

brevi riflessioni su un filone giurisprudenziale minoritario, cit., p.74.

Corte di Appello di Firenze, Sezione I civile, n. 570 , 27 febbraio 2005/marzo

52

2005, consultabile in www.dirittiuomo.it.

Cour de Cassation, Chambre criminelle(Arret Amaury, n°5302) del 4 settembre

53

(34)

nell’applicazione della fonte infra-costituzionale rispetto a quella che, prima facie, appariva applicabile.

Tuttavia il potere disapplicativo deve essere coordinato, ai fini di una trattazione sulla c.d. revisione europea, sia con il principio di legalità che permea la materia processualpenalistica sia, in particolare, con la determinatezza e tassatività dei casi e dei mezzi di impugnazione; e proprio la rule of law costituisce elemento ostativo all’esercizio dell’istituto in questo ambito giacché, diversamente, implicherebbe la titolarità di poteri normopoietici in capo al giudice, determinando così un’inammissibile violazione del principio di legalità. Sul punto è intervenuta la Consulta che ha 54

stabilito in modo inequivoco che i conflitti tra normativa nazionale e Convenzione EDU fondano questioni di legittimità costituzionale, sottraendole, dunque, alla pertinenza dei giudici ordinari e apponendo la pietra tombale sul filone minoritario. Il Giudice delle leggi ha escluso che la copertura costituzionale entro l’egida dell’articolo 117 comporti l’estensione ai trattati internazionali del regime giuridico riconosciuto alle prescrizioni comunitarie, affermando che << la Convenzione EDU, invece [differentemente dall’Unione Europea], non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti [e così] correttamente il giudice a

quo ha escluso di poter risolvere il dedotto contrasto della norma

censurata con una norma CEDU, procedendo egli stesso a disapplicare la norma interna asseritamente non compatibile con la seconda >> . E continua: << inesatto è sostenere che la 55

incompatibilità della norma interna con la norma convenzionale possa trovare rimedio nella semplice non applicazione da parte del

Corte costituzionale, 22 ottobre 2007, n. 348; Corte costituzionale, 24 ottobre

54

2007, n. 349.

Corte costituzionale 22 ottobre 2007, n. 348.

(35)

giudice comune >> . La duplice pronuncia della Corte determina 56

sì la sottrazione ai giudici di merito di quel potere disapplicativo che la giurisprudenza si era auto attribuita, ma non sfocia nella ostracizzazione della stessa dal sistema multilivello di tutela dei diritti fondamentali; anzi, impedendo l’istituto della inapplicazione per ricondurre la giurisprudenza ordinaria nell’alveo dell’interpretazione adeguatrice, la Consulta inscrive i giudici in una complessa rete giurisdizionale in cui vive un dialogo tra Corti, interne e sovranazionali, teso alla ricerca di soluzioni che armonizzino il diritto interno con il sistema CEDU, in quanto << nell’ambito dei diritti fondamentali occorre abbracciare la logica dell’armonizzazione, dell’interpretazione, dei bilanciamenti, fin dove è possibile >> . Tale rete giurisdizionale è il segno della duplice 57

direzione in cui si dirige l’evoluzione dei sistemi europei di tutela dei diritti, poiché da un lato, in una linea accentratrice, un sempre più significativo ruolo è rivestito dalle Corti europee, dall’altro, attraverso un movimento di dispersione e diffusione, i giudici comuni per il tramite dell’interpretazione adeguatrice consentono la ramificazione dell’ordinamento CEDU. Il giudizio sull’intervento del Giudice delle leggi non può che essere quindi favorevole poiché 58

Corte costituzionale, 24 ottobre 2007, n. 349.

56

M. Cartabia, Le sentenze <<gemelle>> : diritti fondamentali, fonti, giudici, in

57

<< Giurisprudenza costituzionale >>, 2007, p. 3567.

M. Cartabia, Le sentenze <<gemelle>> : diritti fondamentali, fonti, giudici, cit.,

58

pp. 3564- 3574. Ancorché il giudizio sia positivo, non possono essere sottaciute alcune riserve e lati oscuri che in dottrina sono stai evidenziati. Invero la Corte costituzionale, operando una reductio ad unum dei vincoli internazionali, tralascia l’eterogeneità assiologica e formale che le fonti internazionali presentano; così, in tale ordine di idee, l’approccio accolto dal Giudice delle leggi consentirebbe al Governo, per il tramite di un accordo in forma semplificata, di vincolare in via definitiva il Parlamento. Inoltre la forza vincolante che il diritto pattizio esercita sul legislatore ex 117 Cost. potrebbe importare un pericoloso potere del Parlamento ratificante il trattato sui Parlamenti futuri, con indebito astringimento per la sovranità popolare. Per approfondimento vedasi V. Sciarabba, Nuovi punti fermi

(e questioni aperte) nei rapporti tra fonti e corti nazionali ed internazionali, in <<

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