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DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Numerose evidenze hanno individuato nella depressione un fattore di rischio per AD (Ownby e coll, 2006; Sun e coll, 2008), rappresentando un disturbo comune nelle fasi pre-cliniche di demenza e potendo rappresentare una manifestazione precoce della malattia, prima della comparsa dei deficit cognitivi (Geerlings e coll, 2000; Visser e coll, 2000).
In particolare i soggetti con MCI e depressione hanno un rischio piu` che doppio di sviluppare demenza tipo-Alzheimer rispetto ai pazienti senza depressione (Modrego e Ferrandez, 2004).
I sintomi neuropsichiatrici non sono attribuibili solo ad una reazione emotiva alla consapevolezza di patologia demenziale, ma potrebbero essere una conseguenza di cambiamenti neurobiologici in specifiche aree cerebrali, caratterizzandosi come sintomi prodromici di AD (Andersen e coll, 2005).
Recenti studi di coorte hanno dimostrato che un basso livello plasmatico di Aβ42 combinato con alti livelli di Aβ40 aumenta il rischio di sviluppare AD, suggerendo che un elevato valore del rapporto Aβ40/Aβ42 possa identificare coloro che sono a rischio di sviluppare MCI e AD (Graff-Radford e coll, 2007; Xu e coll, 2008; Van Oijen e coll, 2006).
D'altra parte bassi livelli plasmatici di Aβ42 e un aumento del rapporto Aβ40/Aβ42 sono stati riscontrati in soggetti anziani depressi suggerendo che la “depressione amiloide-associata” possa definire un sottotipo di depressione, che anticipa l'esordio di AD (Sun e coll, 2008).
Una possibile interpretazione della relazione tra declino cognitivo e riduzione dei livelli periferici della Aβ42, tra l’altro riscontrabile anche molti anni prima della diagnosi di demenza e della formazione delle placche senili (Graff-Radford e coll, 2007), risiede nel rapporto tra produzione e clearance della Aβ: è stato suggerito che la riduzione periferica sia da attribuire alla deposizione e concentrazione di Aβ42 nel cervello (Graff-Radford e coll, 2007). In effetti la concentrazione dei peptidi Aβ nel cervello e` regolata rigidamente non solo per quanta riguarda la sua sintesi a partire da APP ma anche a livello di entrata e uscita attraverso la barriera ematoencefalica (BEE), tramite due sistemi di trasporto attivo: RAGE (il recettore per i prodotti di glicosilazione avanzata) regola l'entrata attraverso la BEE (Deane e coll, 2003), LRP-1 (proteina-1
47 relativa al recettore delle lipoproteine a bassa densita`) regola l'uscita dal cervello dei peptidi Aβ solubili (Shibata e coll, 2000, Deane e coll, 2004; Deane e Zlokovic 2004). L'espressione di RAGE a livello dell'endotelio cerebrale e` aumentata nei modelli murini di AD e nei pazienti AD (Deane e coll, 2003; Yan e coll, 1996; Donahue e coll, 2006; Miles e coll, 2008), mentre l'espressione di LRP e` ridotta (Shibata e coll, 2000; Deane e coll, 2004; Donahue e coll, 2006); cio` comporta un aumento di Aβ nel cervello, la sua oligomerizzazione e quindi livelli piu` elevati della forma di amiloide neurotossica (Kayed e coll, 2003; Walsh e coll, 2005; Lesne e coll, 2006).
D'altra parte sembra che i deficit mnesici precoci e i sintomi neuropsichiatrici in corso di demenza siano da ricollegare, a livello biologico, alla presenza delle forme solubili di Aβ piuttosto che alla forma aggregata che va a costituire le placche insolubili (Rowan e coll, 2005). Allo stesso modo gli oligomeri beta sembrano i diretti responsabili della disfunzione sinaptica (Hardy e Selkoe, 2002; Selkoe e Schenk, 2003) e quindi implicati anche nella sintomatologia non cognitiva (Colaianna e coll, 2010).
Colaianna e collaboratori (2010) hanno dimostrato che ratti trattati con infusione di Aβ42 solubile mostravano un fenotipo depressivo, espresso da un aumento marcato del tempo di immobilita`nel test del nuoto forzato, che si associava ad alterazioni nel sistema delle neurotrofine e ad un ridotto contenuto di serotonina a livello prefrontale. Kita e collaboratori (2009) hanno valutato il rapporto Aβ40/Aβ42 sia nei depressi anziani che nei depressi giovani, riportando in entrambi i casi un rapporto significativamente piu` alto rispetto ai controlli, suggerendo che anche soggetti giovani possono andare incontro a modifiche patologiche simili a quelle degli stadi precoci di AD, e spiegando come anche una depressione early-onset possa associarsi a maggior rischio di AD.
Nel nostro studio i peptidi della beta-amiloide sono stati dosati in un campione di depressi farmacoresistenti di eta` media di 44 anni (range 24-66) prima e dopo la terapia elettroconvulsivante.
I livelli della β-amiloide non hanno mostrato variazioni significative prima e dopo la terapia ECT, nonostante la risposta al trattamento e il miglioramento sintomatologico, ad indicare che si tratta di un parametro biologico che potrebbe avere un significato in qualche modo di tratto e non di stato.
L'associazione riscontrata tra piu` elevati livelli del rapporto Aβ40/Aβ42 e maggior gravita` sia della sintomatologia depressiva che della compromissione cognitiva (sia prima che dopo ECT) sembra individuare nel nostro gruppo di depressi un sottogruppo clinicamente piu` grave. Gia` Sun e colleghi (2008) hanno parlato di una depressione
48 amiloide- associata, con maggiore compromissione nella memoria, nell'abilita` visuospaziale e nella funzione esecutiva, ipotizzando che un elevato rapporto Aβ40/Aβ42 in presenza di sintomi depressivi possa rappresentare una forma depressiva prodromo di AD e che puo` portare ad un declino cognitivo piu` rapido rispetto a chi possiede un'elevazione di tale rapporto in assenza di depressione.
In effetti se la riduzione di Aβ42 appare piuttosto tipica delle fasi precliniche o iniziali di AD (Pomara e coll, 2005), l'aumento della Aβ40 si correla al danno microvascolare cerebrale, che si associa non solo alla sintomatologia demenziale ma anche alla depressione (van Dijk e coll, 2004; Gurol e coll, 2006).
In effetti nel nostro studio la sintomatologia depressiva e la compromissione cognitiva mostrano anche una correlazione significativa con i livelli di Aβ40, non con la Aβ42, per cui la correlazione con il rapporto Aβ40/Aβ42 appare determinata fortemente dalla Aβ40.
Kita e collaboratori (2009) nel loro gruppo di depressi hanno riscontrato un rapporto Aβ40/Aβ42 piu` elevato rispetto ai controlli, inoltre, solo nei depressi giovani un valore Aβ40 piu` elevato rispetto ai controlli, mentre nessuna variazione della Aβ42 e` stata riscontrata tra pazienti e controlli.
Nel nostro gruppo di depressi il rapporto Aβ40/Aβ42 caratterizza un sottogruppo distinto non solo dal punto di vista clinico, ma anche di risposta al trattamento elettroconvulsivante.
Il rapporto rappresenta un predittore di risposta, infatti valori piu` elevati si associano a miglioramenti minori sia sul piano depressivo che cognitivo, ma anche a minori possibilita` di andare incontro a remissione completa dal quadro affettivo, dopo un ciclo di TEC.
Il rapporto Aβ40/Aβ42 piu` elevato pertanto sembra individuare un sottogruppo di depressi in cui possiamo ipotizzare una componente organico-neurodegenerativa. Non esistono studi analoghi in cui i peptidi Aβ, valutati nell'ambito dei disturbi dell'umore, vengano messi in relazione alla risposta al trattamento, sarebbero pertanto auspicabili indagini ulteriori a riguardo, anche ai fini di un orientamento terapeutico e prognostico piu` accurato.
Sarebbe interessante inoltre effettuare un follow-up del nostro gruppo di pazienti, al fine di valutare eventuali variazioni dei peptidi Aβ, nonche` l'evoluzione clinica sia relativamente alla patologia affettiva che all'eventuale insorgenza di una sindrome demenziale conclamata.
49 neurodegenerativa della depressione “amiloide associata”.
Lo studio prospettico di Okereke e colleghi (2009) ha riscontrato che in soggetti sani, sia il rapporto Aβ40/42 al baseline che il suo incremento nel corso del periodo di osservazione, correlano positivamente con il declino cognitivo globale.
La relazione tra disturbi dell'umore e decadimento cognitivo, supportata da numerosi studi, non e` tuttavia ancora chiarita sul piano biologico ed eziopatogenetico, per cui si propone alternativamente l'esistenza di un meccanismo neuropatologico comune, oppure una maggiore vulnerabilita` all'innesco dei processi neurodegenerativi nei soggetti con una predisposizione o una storia di patologia affettiva (Aznar e Knudsen, 2011).
Gli studi su beta-amiloide e disturbi dell'umore potrebbero chiarire alcuni di questi aspetti e fornire chiavi interpretative nuove relativamente alle caratteristiche cliniche, alla risposta al trattamento, al decorso e alla successiva evoluzione del disturbo depressivo o bipolare.