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APPENDICE IV: Il caso S.E.C: rapporto tra amministrazione straordinaria e fallimento

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APPENDICE

IV: Il caso S.E.C: rapporto tra amministrazione

straordinaria e fallimento

SOMMARIO: 4.1. Breve premessa- 4.2. Giudizio di primo grado dinnanzi al tribunale di Lucca- 4.3. La curatela si costituisce in giudizio e si oppone alla richiesta di conversione- 4.4. Svolgimento del processo- 4.5. Giudizio di appello dinnanzi alla Corte d’appello di Firenze- 4.6. La posizione della curatela in appello- 4.7. La decisione della Corte d’appello rispetto ai due motivi dedotti dall’appellante- 4.8. Ricorso in Cassazione, le motivazioni della curatela- 4.9.L’infondatezzza dei motivi di ricorso della curatela- 4.10. L’accoglimento del ricorso incidentale- 4.11. Conclusioni

4.1. Breve premessa

Nel 1960 un gruppo di imprenditori e professionisti toscani fonda la Società Esercizio Cantieri spa, con sede amministrativa a Firenze e sede operativa a Viareggio nei cantieri situati presso il molo sud del porto.

Nel 1970 a Viareggio viene costituita la sede tecnica della società. Solo nel 1987 l’amministratore unico della Sec, Renzo Pozzo, costituisce la SEC spa con sede a Roma. Quest’ultimo prende in mano le redini dell’azienda e la trasforma in una società in grado di dialogare alla pari con il mercato internazionale e con quello extraeuropeo. Per agevolare tale operazione, l’amministratore unico Pozzo promuove un importante aumento di capitale e cambiamenti nella tradizionale attività del cantiere, dedita, principalmente, alla

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costruzione di rimorchiatori, motopescherecci e tonniere non solo per il mercato interno ma anche per quello estero.

Nei primi anni novanta si verifica la prima crisi del settore che impone un ridimensionamento del personale dell’azienda e un cambiamento anche all’interno dell’azienda stessa. Vengono riorganizzate la sede centrale e le controllate del settore, si assiste ad una sorta di “rivoluzione copernicana”; ma per questo è necessario un indotto flessibile e specializzato che però manca.

Il progetto non decolla, per evitare il fallimento viene chiesta la amministrazione controllata che, però, viene revocata dal Tribunale di Lucca, il quale dichiara il fallimento della società.

Il dottor Pozzo si oppone al fallimento chiedendo la conversione di quest’ultimo in amministrazione straordinaria ex art. 35 del d.lgs. n. 270 del 1999, in quanto ritiene che sussistano i presupposti, sia oggettivi sia soggettivi, per ottenere l’ammissione a questa particolare procedura, alternativa al fallimento.

Il Tribunale di Lucca non concede l’ammissione alla amministrazione straordinaria, ritenendo mancante il requisito dimensionale ex art. 2 del d.lgs. n. 270 del 1999 e quindi accogliendo la posizione della curatela.

La Corte d’appello di Firenze e la Corte di Cassazione paleseranno un avviso contrario, come di seguito riportato.

Il caso SEC consente di chiarire e approfondire la tematica relativa all’ambito di applicabilità dell’amministrazione straordinaria, strettamente collegata alla presenza di certi presupposti e di prendere in considerazione il rapporto di alternatività tra la procedura di amministrazione straordinaria e la procedura fallimentare.

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4.2. Giudizio di primo grado dinnanzi al Tribunale di Lucca

Con sentenza del 24 novembre 2000, il Tribunale di Lucca dichiara il fallimento della Società Esercizio Cantieri s.p.a. ( SEC), dopo aver revocato il decreto di ammissione alla procedura di amministrazione controllata.

La revoca viene argomentata sulla base dei seguenti fatti.

Nel corso delle iniziali verifiche contabili eseguite dal commissario giudiziale e sintetizzate nella relazione di questi in data 7 novembre 2000, emerge che la società aveva effettuato dopo la proposizione del ricorso per amministrazione controllata, pagamenti di fornitori riferiti a debiti pregressi; emerge altresì una situazione di eclatante dissesto della controllata Oram s.r.l., con esposizione debitoria di oltre 5.000.000 di lire e una inesistenza di disponibilità liquide tali da consentire un normale svolgimento dell’attività di impresa.

A questa situazione, non minimamente esposta dall’imprenditore in sede di ricorso per ammissione alla procedura di amministrazione controllata, si aggiunge la circostanza che, a distanza di sei mesi dalla prima udienza prefallimentare, la Sec si era limitata a prospettare soluzioni puramente astratte prive di adeguato supporto argomentativo e la necessità di finanziamenti in favore della Oram s.r.l. tali da modificare il piano di risanamento quale originariamente enunciato. In ragione della fondatezza dei predetti rilievi, il Tribunale ritiene che questi vadano ad incidere sia sul requisito della meritevolezza dell’imprenditore sia sulla concreta possibilità di attuazione del prospettato piano di risanamento.

Avverso tale sentenza il dottor Renzo Pozzo, quale presidente, legale rappresentante e quale azionista di riferimento della Sec, con tre

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citazioni, di identico contenuto per tre distinte udienze di comparazione, notificate al curatore in data 28 novembre 2002, propone opposizione alla dichiarazione di fallimento.

In queste tre citazioni, il dottor Pozzo evidenzia la ricorrenza dei requisiti previsti dall’art. 2 del d.lgs. n. 270/1999 per l’ammissione della società alla procedura di amministrazione straordinaria; cosicché il Tribunale , nel revocare il decreto di amministrazione controllata, dovrebbe dichiarare l’insolvenza della Sec, per poi dar seguito agli adempimenti di cui alla procedura riservata alla grande impresa commerciale, con finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali.

4.3. La curatela si costituisce in giudizio e si oppone alla richiesta di conversione

La curatela si costituisce in giudizio e si oppone alla richiesta di conversione per i seguenti motivi:

1) carenza del requisito dimensionale previsto dall’art. 2 del d.lgs. n. 270/1999, per i mesi di agosto, settembre, ottobre e novembre 2000. Il d.lgs. 25 febbraio 2000 n. 61, attuativo della direttiva 97/81/CE del Consiglio del 15 dicembre 1997, stabilisce all’art. 6, primo comma: “ In tutte le ipotesi in cui, per disposizione di legge o di contratto collettivo, si renda necessario l’accertamento della consistenza dell’organico, i lavoratori a tempo parziale sono computati nel numero complessivo dei dipendenti in proporzione all’orario svolto, rapportato al tempo pieno così come definito ai sensi dell’art. 1, con

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arrotondamento all’unità della frazione di orario superiore alla metà di quello pieno”.

In applicazione di tale criterio, secondo la curatela, per i mesi di agosto, settembre, ottobre e novembre 2000 la SEC aveva un numero di dipendenti inferiore a 200;

2) la raccomandazione della Commissione del 3 aprile 1996, relativa alla definizione delle piccole e medie imprese, in base alla quale gli stati membri sono invitati ad individuare nella soglia di 250 dipendenti il limite delle piccole medie imprese, sicché quella di 200 dipendenti, fissata dal d.lgs. n. 270/1999, risulta incompatibile con l’orientamento seguito a livello comunitario.

3) il profilo dell’indebitamento complessivo, per il quale l’art. 2 del d.lgs. n. 270/1999 prevede un tetto minimo, in relazione al quale si sollevano profili di incostituzionalità, in quanto le prospettive di risanamento sono inversamente proporzionali all’entità dell’indebitamento, mentre la normativa, in maniera del tutto irrazionale, privilegia le imprese più indebitate rispetto a quelle meno indebitate.

4.4. Svolgimento del processo

Intervengono volontariamente in tutti e tre i giudizi, il comune di Viareggio, la Fiom Cgil, la Rsu della società Sec e alcuni dei lavoratori dipendenti.

Tutti costoro aderiscono alle ragioni di opposizione fatte valere dalla Sec. Intervengono volontariamente, altresì, la Save coop s.r.l., la P.l.m. s.n.c. e la Ca.ge.na. s.n.c., creditrici della fallita, anche queste aderendo alla pretesa della Sec di ottenere la conversione del

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fallimento nella procedura di amministrazione straordinaria ex art. 35 del d.lgs. 270/1999.

Il giudice istruttore, in sede di udienza di prima comparizione, dispone la riunione delle predette cause di opposizione al fallimento.

La sentenza del Tribunale, numero 517 del 2001, rigetta l’opposizione volta ad ottenere la conversione del fallimento, dichiarando l’insussistenza del requisito dimensionale ed applicando, quindi, la soluzione interpretativa proposta dalla curatela.

L’ art. 2 del d.lgs. n. 270/1999 prevede che siano ammesse all’amministrazione straordinaria le imprese, anche individuali, soggette alle disposizioni sul fallimento che hanno, tra l’altro, un numero di lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi alla cassa integrazione guadagni, non inferiore a duecento da almeno un anno. Relativamente alla Sec, l’impresa da prendere in considerazione, il periodo annuale rilevante in causa decorre, a ritroso, dal 24 novembre 2000, data della dichiarazione di fallimento.

Il Collegio rileva che nel fascicolo fallimentare, acquisito di pieno diritto agli atti del giudizio di opposizione, risulta il prospetto dei dipendenti della Sec tratto dalla consulente del lavoro in base a quanto emerge dal libro paga e matricola della società.

Dal prospetto de quo risulta il seguente quadro: dicembre 1999, 210 dipendenti; gennaio 2000, 208 dipendenti; febbraio 2000, 207 dipendenti; marzo 2000, 205; aprile 2000, 205; maggio 2000, 205; giugno 2000, 205; luglio 2000, 206; agosto 2000, 205; settembre 2000, 204; ottobre 2000, 204; novembre 2000, 202.

Nel detto conteggio risultano essere considerati 16 dipendenti Sec, durante l’intero anno, con contratto di lavoro part time ( 6 dipendenti a

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30 ore settimanali; 2 dipendenti a 34 ore settimanali; 2 dipendenti a 27, 5 ore settimanali; 6 dipendenti a 25 ore settimanali).

La consulente del lavoro ha provveduto a computare i lavoratori predetti secondo il disposto ex art. 6 del d.lgs. n. 61 del 2000, attuativo della direttiva 97/81/CE concernente l’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale.

In base al computo finalizzato all’accertamento dell’organico aziendale, la consulente ha ricostruito il monte di ore di lavoro dei dipendenti a part time secondo le spiegate formule:

- (6x 30) + (2x 34) + ( 6x25) = 453 ore;

- 453 ore : 40 = 11, 325 unità, cifra arrotondata a 11 in ragione dell’essere la frazione oraria residua inferiore alla metà del corrispondente orario a tempo pieno.

Conseguentemente, considerato il numero di dipendenti ai fini del computo dei lavoratori part time ( 11 anziché 16 per l’intero anno, in base al disposto ex art. 6 cit.) , l’organico della Sec effettivamente apprezzabile ai fini indicati è stato determinato nel modo che segue: dicembre 1999, 203 unità; gennaio 2000, 202; febbraio 2000, 200; marzo 2000, 200; agosto 2000, 199; settembre 2000, 199; ottobre 2000, 197; novembre 2000, 198.

Il Collegio aderisce a quanto emerge da tale schema di calcolo, essendo conforme al tenore del disposto ex art. 6 comma 1 del d.lgs. n. 61 del 2000.

E’ quindi il numero complessivo dei lavoratori a tempo parziale che, computato nel numero complessivo dei dipendenti, va correlato proporzionalmente all’orario rapportato al tempo pieno; cosicché il previsto arrotondamento all’unità va riferita alla frazione di orario,

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superiore al 50% discendente dalla somma degli orari dei lavoratori part time.

Concretamente, in caso di più dipendenti con lavoro part time, vanno sommati gli orari di ciascuno; la somma va divisa per le ore previste a tempo pieno; il quoziente va quindi arrotondato all’unità, per difetto o per eccesso.

Così stando le cose, deve ritenersi che la Sec, nei mesi di agosto, settembre, ottobre e novembre 2000, non è stata caratterizzata dal requisito dimensionale minimo di duecento lavoratori subordinati richiesto ai fini di cui all’art. 35 del d.lgs. n. 270/1999.

In conclusione il fallimento della Sec va confermato.

4.5. Giudizio di appello dinnanzi alla Corte d’appello di Firenze

La sentenza del Tribunale di Lucca viene appellata dalla fallita società, la quale ritiene che a norma dell’art. 6, comma 1, d.lgs. n. 61 del 2000 e del d.lgs. n. 100 del 2001, intervenuto successivamente e modificativo del primo comma dell’art. 6, il lavoratore a tempo parziale avrebbe dovuto essere calcolato ad unità ove il suo orario fosse risultato superiore al 50% di quello normale, posto che la norma successiva non può essere qualificata come interpretativa della precedente ma modificativa, con la conseguenza della sussistenza del requisito soggettivo di 200 dipendenti e l’ulteriore conseguenza della necessità di accogliere l’opposizione. La società fallita ritiene inoltre che avrebbero dovuto essere considerati i dipendenti di tutte le società collegate, avrebbe dovuto essere considerata la media dei lavoratori dipendenti e avrebbero dovuto essere considerate le due addette alle

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dell’Ufficio del lavoro di Lucca. La società fallita sostiene, inoltre, che l’impugnazione ex d.lgs. n. 270/1999 avrebbe dovuto essere ritenuta autonoma, con la conseguenza che non avrebbe potuto essere applicato il principio della consumazione dell’impugnazione attinente a quella fallimentare.

4.6. La posizione della curatela in appello

Si costituisce l’appellata Curatela, la quale ritiene che per quanto riguarda il primo motivo di appello con cui si censura la mancata conversione del fallimento in amministrazione straordinaria; la questione deve essere vista nell’ottica e nello spirito della direttiva europea la quale incentiva il lavoro a tempo parziale, rendendolo equivalente a tutti gli effetti al lavoro a tempo pieno.

Per quanto riguarda la mancata considerazione dei lavoratori appartenenti al gruppo, si segnala la Cass. 26 febbraio 2000, n. 2188 che esclude che ad integrare il suddetto requisito in capo all’impresa ammessa all’amministrazione straordinaria siano computabili anche gli addetti delle imprese del gruppo.

Per quanto attiene al secondo motivo di appello e con riferimento alla tempestività dello stesso, si rileva già nella comparsa di costituzione che la conoscenza legale determinata dall’impugnazione della sentenza si verifica anche con riferimento ad un diverso e concorrente mezzo di impugnazione della stessa.

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4.7. La decisone delle Corte d’appello rispetto ai due motivi dedotti dall’appellante

La Corte di appello di Firenze in ordine al primo motivo di appello, attinente al criterio di calcolo dei lavoratori a tempo parziale, osserva che ai sensi dell’art. 6, 1° comma, d.lgs. n. 61 del 2000 “ In tutte le ipotesi in cui, per disposizione di legge o di contratto collettivo, si renda necessario l’accertamento della consistenza dell’organico, i lavoratori a tempo parziale sono computati nel numero complessivo dei dipendenti in proporzione all’orario svolto, rapportato al tempo pieno così come definito ai sensi dell’art. 1, con arrotondamento dell’unità della frazione di orario superiore alla metà di quello pieno”. La norma è ripetitiva di quella precedente ( abrogata dall’art. 11 dell’indicato d.lgs. n. 61 del 2000) di cui all’art. 5, comma 12°, d.l. n. 726-84, convertito nella legge 863-84, che reca lo stesso inciso, salvo la parola “normale” in luogo della parola “pieno”, e con riferimento a quest’ultima la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 11750-1999, ha statuito che l’inciso indicato, ai fini del computo dei lavoratori a tempo parziale, va interpretato nel senso che il singolo lavoratore va calcolato in misura pari ad un’unità se il suo orario di lavoro è superiore alla metà di quello pieno o normale, mentre va calcolato in misura pari ad una frazione se il suo orario è inferiore alla metà di quello pieno o normale.

Il Collegio ritiene di condividere il principio enunciato dalla Corte di Cassazione. Ne deriva che, in applicazione del principio di calcolo enunciato, nell’ultimo anno antecedente alla dichiarazione del fallimento la fallita aveva un numero di lavoratori subordinati

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del d.lgs. n. 270/1999. Quindi, la fallita era in possesso, al momento della dichiarazione della sua insolvenza, dei requisiti soggettivi dimensionali per l’avvio della procedura di amministrazione straordinaria.

Il motivo, in quanto fondato, va accolto, con dichiarazione della sussistenza del requisito soggettivo in esame.

In ordine al secondo motivo di appello attinente alla dedotta insussistenza dei requisiti per la dichiarazione di fallimento, si osserva che l’appellante ha proposto tale motivo di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento con atto distinto e diverso rispetto a quello con cui ha chiesto la conversione del fallimento in amministrazione straordinaria, sedici giorni dopo, quindi oltre il termine di legge, sicché deve essere confermata la statuizione del primo giudice che ne ha dichiarato l’inammissibilità per tardività, con rigetto del motivo di appello, in quanto infondato.

Per concludere, la Corte d’appello di Firenze, con sentenza n. 1047 del 2002, accoglie parzialmente l’appello proposto da Renzo Pozzo, nella qualità di legale rappresentante ed azionista di riferimento della Sec s.p.a., avverso la sentenza del Tribunale di Lucca in data 10 aprile-3 maggio 2001, n. 517, ed in parziale riforma dell’indicata sentenza, dichiara che alla data del 24 novembre 2000, in cui è stato dichiarato il fallimento, la Sec s.p.a. aveva i requisiti soggettivi di cui all’art. 2, lett. a) del d.lgs. n. 270 del 1999 per essere ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria, ai fini della conversione del fallimento in amministrazione straordinaria di cui al n. 3 dell’art. 35 del detto decreto legislativo.

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4.8. Ricorso in Cassazione, le motivazioni del ricorso della curatela

La sentenza che conclude il giudizio in appello e che quindi dispone la conversione del fallimento in amministrazione straordinaria, viene impugnata dalla curatela, la quale propone ricorso in cassazione sulla base delle seguente motivazioni:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.lgs. 25 febbraio 2000 n. 61, con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la corte affermato che ciascun dipendente part time con orario superiore alla metà di quello pieno deve essere considerato un’unità.

Secondo la difesa della curatela, i lavoratori a tempo parziale devono essere computati sommando l’orario di lavoro settimanale di ciascuno di essi, e dividendo il totale per l’orario settimanale a tempo pieno; il resto vale 1 se superiore alla metà dell’orario a tempo pieno; altrimenti vale 0.

Secondo la corte d’appello, invece, ciascun lavoratore a tempo parziale con orario superiore alla metà del tempo pieno vale un intero; per gli altri si opera la somma e si divide secondo il meccanismo sopra indicato.

Tale interpretazione si rivela, secondo la difesa, in contrasto con lo spirito del d.lgs. 61 del 2000.

La Corte d’appello fa leva anche sulla pretesa natura innovativa del d.lgs. 100/2001, il quale ha modificato l’art. 6, la norma di cui si discute.

L’art. 6 è stato formalmente sostituito, ma ciò non significa che per ciò solo la norma precedente dovesse avere una portata normativa difforme da quella che la sostituisce.

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Per la curatela l’unica soluzione da adottare è quella di sommare tutte le ore dei dipendenti a tempo parziale, dividere per il monte ore settimanale, ed arrotondare solo il resto.

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c., per avere la corte omesso di esaminare anche gli altri motivi proposti dalla curatela a fondamento della richiesta di rigetto dell’opposizione.

La curatela chiede l’annullamento dell’impugnata sentenza.

Resite in controricorso Pozzo che propone altresì ricorso incidentale. Con l’unico motivo di ricorso incidentale Pozzo deduce la violazione dell’art. 887 c.p.c. da parte della sentenza impugnata laddove ha confermato la sentenza del giudice di primo grado concernente la causa riunita n. 4097/00 Tribunale di Lucca di inammissibilità per tardività dell’atto di citazione notificato il 14-12-2000 in opposizione alla decisione di revocare l’ammissione alla Sec spa all’amministrazione controllata e dichiarare il fallimento.

4.9. L’infondatezza dei motivi di ricorso della curatela

Il primo motivo di ricorso è infondato.

Questa Corte ritiene che i lavoratori a tempo parziale devono essere computati nel numero complessivo dei dipendenti in proporzione all’orario svolto riferito alle ore lavorative ordinarie effettuate in azienda con arrotondamento all’unità della frazione di orario superiore alla metà di quello normale.

In altri termini questa Corte ritiene che ai fini della qualificazione dell’azienda in riferimento alle diverse ipotesi previste dalla legge, ogni singolo lavoratore a tempo parziale deve considerarsi come

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un’unità se il suo orario di lavoro supera la metà delle ore normalmente lavorate dai dipendenti a tempo pieno.

Ad avviso di questa Corte, tale interpretazione non è in alcun modo in contraddizione con la direttiva comunitaria 97/81/CE. Tale direttiva ha come scopo quello di incrementare l’intensità occupazionale della crescita, in particolare mediante una organizzazione più flessibile del lavoro che risponda sia ai desideri dei lavoratori a tempo parziale che alle esigenze della competitività e in conformità a tale scopo mira alla eliminazione di discriminazioni verso i lavoratori a tempo parziale ed a contribuire allo sviluppo delle possibilità di lavoro a tempo parziale su basi accettabili sia ai datori di lavoro che ai lavoratori. In tal senso la direttiva riconosce il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo parziale e quelli a tempo pieno.

Secondo la Corte di Cassazione, al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, la normativa comunitaria non contiene alcuna disposizione o riferimento in ordine alla neutralità che dovrebbe derivare dalla scelta di tale rapporto per evitare effetti distorsivi tra le imprese, dal momento che la direttiva è priva di ogni riferimento al mercato ed alla concorrenza.

In ogni caso il meccanismo di calcolo dei dipendenti previsto dal decreto legislativo in esame tende a creare un equo contemperamento delle diverse situazioni in quanto prevede che i lavoratori che prestano la loro opera per un periodo di tempo inferiore alla metà dell’orario di lavoro pieno vengono considerati ai fini della consistenza dell’impresa in proporzione al tempo lavorato mentre quelli che eccedono tale metà sono equiparati ai lavoratori a tempo pieno in base ad una valutazione di equivalenza delle diverse prestazioni.

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La tesi dei ricorrenti non può trovare accoglimento anche seguendo, sotto il profilo interpretativo, la successiva evoluzione normativa. La circostanza che il decreto legislativo 61/2000 abbia integralmente riportato il testo del precedente art. 5 del d.l. 726/84 tranne la sostituzione dell’espressione “tempo normale” con quella “tempo pieno” dimostra che il decreto legislativo in esame altro non ha fatto che riprodurre la legislazione previgente adattandola a quanto stabilito dalla direttiva 97/81/CE.

Ciò rende del tutto evidente che il successivo intervento effettuato dal legislatore con il decreto legislativo n. 100/2000, con cui si è stabilito il diverso principio secondo cui “l’arrotondamento del tempo parziale opera per le frazioni di orario eccedenti la somma degli orari individuali a tempo parziale corrispondente a unità intere di orario a tempo pieno”, abbia avuto un carattere modificativo della precedente legislazione e non già interpretativo. Questo carattere innovativo emerge non solo dalla intestazione del provvedimento “disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 25-02-2000 n. 61” ma anche dal titolo dell’articolo 1 che fa espressamente riferimento a “modificazioni” che vengono apportate al precedente decreto legislativo.

Il secondo motivo è infondato.

La Corte territoriale nel rigettare in toto l’appello, ha implicitamente rigettato anche la questione della non conformità della legislazione italiana alla raccomandazione comunitaria che in tema di grandi imprese stabilisce a 250 il numero minimo dei dipendenti necessario per essere considerati tali.

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Per quanto concerne la questione di legittimità costituzionale la stessa in quanto implicitamente riproposta in questa sede deve essere esaminata dalla Corte.

La questione concerne il limite dell’indebitamento minimo, stabilito dall’art. 2 del d.lgs. n. 270/1999 quale requisito per l’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria, ma la pronuncia dei giudici di merito non riguarda questo aspetto ma si concentra esclusivamente sulla questione relativa al numero dei dipendenti.

4.10. L’accoglimento del ricorso incidentale

Per quanto concerne il ricorso incidentale, con l’unico motivo il ricorrente sostiene che la conversione del fallimento in amministrazione straordinaria prevista dall’art. 35 del d.lgs. n. 270/1999 non può in alcun modo considerarsi come impugnazione ancorché la relativa domanda debba proporsi con la forma dell’opposizione al fallimento.

L’assunto secondo cui la domanda di conversione del fallimento in amministrazione straordinaria costituisce un mezzo di impugnazione diverso rispetto all’opposizione al fallimento è errato.

La conversione del fallimento in amministrazione straordinaria disciplinata dall’art. 35 del d.lgs. n. 270/1999 è sostanzialmente diversa da quella in precedenza disciplinata dalla legge n. 95/1979. Mentre infatti quest’ultima poteva essere richiesta nel corso del fallimento senza alcun termine di decadenza dagli interessati oltre che dall’organo della procedura e dall’ufficio stesso, l’attuale conversione può essere proposta unicamente tramite l’opposizione alla sentenza

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impugnazione come si deduce dal testo dell’art. 35 del d.lgs. n. 270/1999.

Ciò comporta che la richiesta di conversione diviene un nuovo motivo di opposizione con il quale si propone un diverso profilo di censura alla sentenza di fallimento. Con la domanda di conversione si contesta il mancato accertamento da parte della sentenza di fallimento di quei presupposti che avrebbero reso possibile una diversa pronuncia che avrebbe comportato l’ammissione ad una differente procedura concorsuale.

Il ricorso incidentale è peraltro fondato sotto un diverso profilo.

Il giudice di secondo grado, dopo aver rilevato che l’opposizione alla sentenza dichiarativa del fallimento è stata proposta con atto distinto rispetto a quello di conversione del fallimento in amministrazione straordinaria, ha accertato che il primo era stato proposto dopo sedici giorni dalla prima impugnazione, oltre i termini di legge e per questo doveva essere dichiarato inammissibile per tardività.

Tale pronuncia non è corretta.

La Corte ritiene che il principio di consumazione dell’impugnazione non escluda che, fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità, possa essere proposto un secondo atto di appello, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo, sempre che la seconda impugnazione risulti tempestiva, dovendo la tempestività valutarsi in relazione al termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione.

Tale conoscenza deve desumersi dagli atti di causa.

Nel caso di specie è pacifico che non ci sono elementi atti a dimostrare il contrario, che i primi tre atti di opposizione sono stati proposti il 28-11-2000, ancor prima della notifica del dispositivo della

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sentenza senza che la parte abbia avuto conoscenza del contenuto della stessa.

In tal caso non può farsi decorrere dalla predetta data, 28-11-2000, alcun termine iniziale per la proposizione di una successiva seconda opposizione recante nuovi motivi.

Pertanto la quarta opposizione proposta il 14-12-2000 deve ritenersi nei termini in quanto effettuata entro i quindici giorni dalla notifica dell’estratto della sentenza di fallimento, occorsa il 30-11-2000 e contenete gli elementi essenziali della decisione.

4.11. Conclusioni

Il ricorso principale va pertanto respinto mentre va accolto quello incidentale. La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione al motivo del ricorso incidentale con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze.

Infine sulla base di una relazione del curatore datata 15 gennaio 2004, emerge che, nel caso di specie, difettano in atti gli elementi idonei a sorreggere una positiva valutazione circa la sussistenza di prospettive concrete di riequilibrio economico dell’impresa e che avuto riguardo all’entità dello stato passivo ( circa 280.000.000 di euro alla data della relazione del curatore) ed all’intervenuta liquidazione della quasi totalità dei beni dell’impresa, non appare apprezzabile un riequilibrio economico attraverso un programma di cessione o attraverso un programma di ristrutturazione; quindi non ricorrono le condizioni ex art. 27 d.lgs. n. 270/1999 per far luogo alla conversione del fallimento in amministrazione straordinaria. Per questi motivi il Tribunale di

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condizioni per far luogo alla conversione del fallimento della S.E.C. s.p.a. in amministrazione straordinaria.

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