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ORIGINE ED EVOLUZIONE STORICA DELLE AUTORITÀ DOGANALI CAPITOLO I

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CAPITOLO I

ORIGINE ED EVOLUZIONE STORICA DELLE

AUTORITÀ DOGANALI

1. La nascita delle dogane

Fin dai tempi antichi, il vocabolo “dogana” richiama nella memoria collettiva un’imposta che deve essere versata al personale degli uffici delle dogane, costantemente in contrasto con coloro che esercitavano contrabbando, nascondendo le varie merci sotto ampi mantelli. La sede doganale è sempre stata un luogo d’incontro tra individui provenienti da territori diversi, con differenti lingue parlate e con monete completamente diverse.

Le dogane nacquero con i primi scambi e, conseguentemente con essi, anche i dazi, che rappresentano il più antico tributo inventato dall’uomo. La presenza di una frontiera ha sempre avuto una duplice funzione: inizialmente era vista come una fonte di ricchezza per le casse dello Stato, ma in seguito, si manifestarono

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anche delle finalità protezionistiche, con lo scopo di difendere i prodotti del proprio territorio.

Il pagamento del dazio o della tariffa altro non era che la notificazione del pagamento di una somma di denaro, elevata dal soggetto predisposto alla riscossione al commerciante, il quale doveva corrispondere detto ammontare per il trasferimento della merce da un territorio ad un altro1.

Gli antichi doganieri esercitavano un ruolo molto differente da quello svolto dagli attuali funzionari preposti: essi, infatti, dovevano svolgere oltre ai compiti fiscali anche attività di difesa per coloro che entravano nel territorio. Con il pagamento dei diritti di pedaggio e di transito si otteneva il diritto alla protezione lungo le strade carovaniere, contro assalti di banditi e saccheggiatori, attraverso una vera e propria scorta esercitata dalle guardie armate dal confine fino al luogo di destinazione.

La prima struttura risale al tempo dei Greci, i quali all’inizio del V secolo a.C. ebbero la prima forma, molto rudimentale, di organizzazione doganale. Infatti pare che nel porto del Pireo le merci, sia destinate all’esportazione che all’importazione, pagassero

1 Passalacqua M., Le tariffe dei servizi pubblici tra price cap e bisogni sociali, in E. BANI (a cura di), Giusto prezzo tra Stato e Mercato, Torino, Giappichelli, 2009, pp. 17-53.

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una tassa “ad valorem” che si aggirava intorno al 2% del valore

della merce stessa − definita pentecostè − che fu aumentata nel giro

di pochi decenni al 10 %2.

I Romani presero spunto da questo tipo di struttura, e le loro riscossioni riguardavano due tipi di dazi, vale a dire i portoria ed i

vectigalia: i primi venivano incassati nei porti, mentre i secondi si

esigevano sui trasporti e sugli oggetti trasportati. Con il passare del tempo si accomunarono i due tipi di entrate, inglobando la seconda all’interno della prima.

I dazi, come già detto, avevano lo scopo di far aumentare i prezzi delle merci provenienti da altre parti dell’Impero, per favorire la produzione locale e scoraggiare le importazioni. Il dazio doganale non era uniforme in tutto il territorio dell’Impero Romano,

in quanto esso era diviso in 12 circoscrizioni doganali3,

caratterizzate da differenti imposizioni. Ad esempio, in Sicilia le merci venivano tassate al 5%, mentre in Asia e in Gallia l’aliquota era del 2,5%. L’unificazione paritaria del dazio avvenne solo nel IV secolo a.C. con un aumento notevole dell’imposizione (12%), a

2 Cfr. A. Nicali e G. Favale “Storia delle dogane - Profili storici della politica doganale

italiana” in http://www.agenziadogane.it/wps/wcm/connect/3a95000044225361af74bf4e7 aaa0be0/storia.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=3a95000044225361af74bf4e7aaa0be0.

3 Le 12 circoscrizioni erano: Italia, Sicilia, Spagna, Gallia, Britannia, Illirico, Asia, Bitinia, Ponto, Siria, Egitto e Nord Africa.

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testimonianza delle difficoltà finanziarie di Roma nel periodo del Basso Impero.

Nei decenni successivi, con l’espansione territoriale dell’intero Impero Romano ed il contestuale aumento del traffico commerciale, si impose la creazione di un adeguato servizio doganale: la novità fu quella di appaltare i dazi, e gli appaltatori furono chiamati “pubblicani”4.

L’organizzazione delle dogane romane fu correlata alle province, a ciascuna delle quali venne delegato un promagister, mentre i singoli uffici furono retti da un impiegato. Il preposto agli uffici aveva ai suoi ordini numerosi schiavi (detti portitores milites) ai quali erano affidate mansioni diverse, e numerose guardie armate (gli stationarii milites) che formavano una milizia, con l’incarico di proteggere gli uffici contro i briganti e di vigilare contro i contrabbandieri.

Le principali leggi che regolavano l’intera materia doganale

erano contenute nel Digesto Romano5 che costituiva l’elemento

basilare della legislazione doganale e conteneva i principi del

4 Nome derivante dal termine tecnico “publicum populi romani” che individuava i dazi doganali.

5 Il Digesto è una parte del Corpus iuris civilis, una raccolta di materiale normativo e giurisprudenziale, tratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Digesto.

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daziamento “ad valorem”, le norme sulle responsabilità dei pubblicani, i privilegi del fisco e il regime delle azioni delittuose.

In quest’ultima materia venne fissata la distinzione tra “crimina” (delitti pubblici) e “delicta” (delitti privati). Un riferimento al criterio della maggiore punibilità dell’azione dolosa in contrabbando si ebbe nella Lex Aquiliae, dove venne stabilito che l’actio è applicata “in simplum” (solo pagamento dei diritti) contro colui che confessa e “in duplum”, contro colui che nega.

A tali norme vanno aggiunte una serie di leggi di politica doganale, emanate sia in epoca repubblicana che imperiale, con le quali vennero istituiti, modificati e soppressi i diritti doganali nelle varie città e province. Si deve ricordare che nel 199 a.C., i censori Publio Cornelio Scipione e Publio Elio Peto, stabilirono il

portorium (un’antica imposta doganale) a Castrum, Capua e

Pozzuoli. Nel 179 a.C. i censori Marco Emilio Lepido e Marco Fulvio Nobiliore, imposero nuovi portoria, mentre nel 60 a.C. si ebbe la “Legge Cecilia”, proposta dal pretore Cecilio Metello Nepote, con la quale vennero soppressi i portoria in Italia; questa legge venne successivamente abolita da Cesare, che stabilì nuovi diritti doganali sulle merci di provenienza estera. Infine, durante il

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regno dell’imperatore Claudio, si limitò la riscossione dei dazi da

parte delle società di pubblicani e si diede inizio

all’amministrazione diretta delle dogane da parte dell’Impero. Fu creato un corpo di funzionari, su imitazione del termine greco,

vennero chiamati “telonari’’6.

Il Medio Evo fu caratterizzato dalla caduta dell’autorità centrale e da un esponenziale aumento delle barriere doganali, dovuto alla nascita di numerosi piccoli territori indipendenti: balzelli e pedaggi gravavano sul passaggio delle merci, rendendo i commerci ed i traffici molto complessi e onerosi, arrivando talvolta ad impedirli. Le imposte furono divise in due categorie, quelle sugli scambi e quelle sul transito. Le prime erano divise tra dazi doganali, definiti siliquaticum, e imposte sui consumi, dette plateaticum. Le seconde, comunemente chiamate teleonei, prendevano il loro nome dal luogo in prossimità del quale erano riscosse: portatica nei porti,

pontatica nei ponti, rotatica sulle strade e ripatica sui fiumi7.

Il diritto di riscossione implicava originariamente l’obbligo di fornire delle contropartite: inizialmente si trattava genericamente di

6 Cfr. A. Nicali e G. Favale “Storia delle dogane - Profili storici della politica doganale

italiana” in http://www.agenziadogane.it/wps/wcm/connect/3a95000044225361af74bf4e7 aaa0be0/storia.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=3a95000044225361af74bf4e7aaa0be0.

7 Cfr. E. Varese e F. Caruso “Commercio internazionale e dogane”, Torino, Giappichelli, 2011, pag. 22.

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una protezione, mentre più tardi fu previsto che il personale doganale effettuasse delle prestazioni vere e proprie. Tali imposte, generalmente di lieve entità, furono però numerosissime e i proventi di esse avevano un uso vincolato. Infatti, le riscossioni presso ponti e strade servivano per la loro manutenzione, quelle riguardanti la navigazione servivano per la sollevazione dei ponti mobili o per l’ottenimento dell’autorizzazione di approdo e per l’ancoraggio, infine i dazi di mercato trovavano legittimazione nell’agevolazione del funzionamento della piazza di mercato, garantendo la sicurezza degli scambi.

All’inizio del X secolo la politica, come dimostrato dall’ordinamento doganale di Raffelstetten8, il quale stabiliva le

tariffe per il passaggio del Danubio presso Enns (Austria settentrionale), la politica favorevole al commercio, legata a controprestazioni, cedette il posto a pratiche restrittive. Le aliquote doganali furono differenziate e si iniziò sempre più ad esigere pedaggi per il transito.

Le caratteristiche principali di questo periodo furono, da una parte, la nascita di numerosissime zone franche (territori di

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proprietà di conventi ed abbazie e le città governate dai vescovi), dei veri e propri paradisi doganali caratterizzati da regimi privilegiati. Queste zone franche − definite anche “territori delle immunità” − consistevano nella riduzione, o addirittura nella soppressione temporanea dell’imposizione doganale. Dall’altra parte vi era la creazione di alcuni particolari istituti, tra cui il Manifesto di bordo9, a cui facevano riferimento gli statuti delle

Repubbliche Marinare, ed ancora le franchigie ed i depositi doganali, dove le merci venivano verificate e sistemate nei luoghi delle contrattazioni, presso i quali venivano accertati i diritti doganali.

Questa grande frammentazione di dogane cittadine e di pedaggi di transito spinse le grandi città mercantili, per cercare di non danneggiare i traffici commerciali, a stipulare degli accordi, basati per lo più sulla reciprocità, con lo scopo di ottenere il libero transito delle merci e anche per una riduzione dei dazi.

Con l’intensificarsi degli scambi commerciali, le imposte sugli scambi commerciali incominciarono a perfezionarsi, così come fu affinato il metodo di esazione dei vari dazi in entrata e in uscita.

9 È una forma primitiva del attuale “manifesto di carico”, documento doganale utilizzato per qualsiasi trasporto.

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Accanto alla più antica forma “ad valorem” attribuita ad alcuni tipi di merce, come per esempio le stoffe di lana, cominciarono ad essere applicati dei dazi speciali, con modalità diverse in base alla qualità e alla provenienza delle merci. Inoltre, in quel periodo i

sempre più importanti contatti commerciali portarono

all’acquisizione, soprattutto in quei Paesi soggetti alla dominazione mussulmana (come Spagna, Portogallo e Sicilia) di alcune parole di origine araba, quali dogana (da diwani) e tariffa (da tarifa), che sono ancora di primaria importanza nel nostro attuale linguaggio doganale.

Ci fu un tentativo nell’XI secolo, da parte di Federico II, di riformare il sistema doganale di allora, sopprimendo i numerosissimi dazi interni e creando un’unica dogana di confine, che però non andò a buon fine a causa della tendenza all’autonomia delle città e dei poteri locali, caratterizzati da sistemi doganali indipendenti. I comuni italiani godettero di completa autonomia doganale, e sotto le dipendenze del podestà o dei consoli furono istituite milizie municipali (definite guardatores, servitores, famuli o ministeriales) che svolgevano compiti doganali, oltre ad altre svariate incombenze.

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Dall’opera di Andrea da Isernia10 “Ritus super universis

dohanorum et aliarum Regni Siciliae gabellarum”, sono

rintracciabili i vari tipi di tributi che si riscuotevano in Sicilia, ma anche verosimilmente nelle altre formazioni statali della penisola: erano gli ius plateaticum, ius passium, ius portuus, ius falangagi,

ius anchoragi.

Grande interesse ebbe anche il sistema organizzativo doganale delle vecchie Repubbliche Marinare, in particolar modo quelle di Venezia e di Genova, caratterizzate da una netta suddivisone dei compiti di vigilanza, di confine e di esazione doganale. Particolarmente severe furono le pene inflitte ai contrabbandieri, che andavano dal taglio della mano all’uso del ferro rovente, arrivando anche – nei casi più gravi – alla prigione a vita e alla pena di morte.

Grazie alla sua posizione strategica nel Mar Adriatico, Venezia traeva dai proventi doganali la fonte preponderante delle sue entrate. In virtù di questo, già nel XII secolo, era tutelata da un’importante organizzazione di vigilanza sul mare per la difesa

10 Andrea da Isernia (Isernia, 1230 ca. – Napoli, 1316) è stato un giurista italiano di epoca basso medioevale che divenne noto per i suoi studi sul diritto feudale.

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degli interessi finanziari ed economici, composta da equipaggi armati a bordo di imbarcazioni (le saettie11).

Dopo aver ottenuto il dominio sull’intero Adriatico, il servizio di vigilanza marittimo fu ampliato e potenziato, così che tra il 1250 e il 1260 fu istituita la carica di “Capitano di Golfo”, al cui comando era sottoposta una flotta composta da dodici galee, con il compito di rendere sicure le acque. A chiunque avesse tentato di commettere frodi o contrabbando, venivano confiscate le navi. A questi stessi anni (1256) risale il primo documento attestante l’esistenza degli “Officiali alla Dogana da Mar”, che dovevano riscuotere i dazi imposti sulle merci importate via mare. La Repubblica, inoltre, aveva stabilito una serie di limiti per la navigazione delle navi commerciali, consistenti nell’obbligo imposto ai navigli carichi di determinate merci di fare scalo a Venezia, di dichiarare il carico ed il luogo di destinazione, di sottoporsi ai controlli delle navi di guardia, di pagare i diritti doganali e di ancoraggio, di fornirsi di licenza per il trasporto ed il transito, di non mutare la rotta assegnata.

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Successivamente, intorno al 1500, con l’intensificarsi del commercio, furono istituiti i primi “Provveditori sopra dazi”, consistenti in una Magistratura indipendente ed autorevolissima, con l’incarico di custodire e difendere il Golfo (come veniva denominato l’alto Mar Adriatico) ed il Po. Fu attribuita loro anche la giurisdizione e la sorveglianza dei pubblici ufficiali, perché adempissero alle mansioni in materia di dazi.

Particolare fu l’ordinamento della Repubblica di Genova, che per procurarsi i fondi necessari alle spese degli armamenti di terra, di mare e delle imprese coloniali, dovette ricorrere a continui prestiti: le cosiddette Compere. Per ottenerli, concedette come pegno ai suoi creditori − i Comperisti − l’esazione dei tributi ed il ricavato delle gabelle. Una sorta di indebitamento dello Stato con le famiglie genovesi, che diede origine alle istituzioni commerciali, bancarie e marittime della Repubblica, le quali si fusero in quell’ente che prese il nome di Banco di San Giorgio. Tale istituto ebbe la gestione delle dogane genovesi e delle 76 gabelle esistenti a Genova, ed accanto ad esso sorsero il porto franco, i magazzini generali e la dogana.

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Il Banco di San Giorgio ebbe anche giurisdizione civile e criminale, ed il diritto di emanare leggi, compreso lo “ius gladii” (= diritto della spada) fino alla pena di morte, per tutte le materie relative alla sua giurisdizione, potendo mantenere una forza armata, istituire tribunali e nominare giudici.

Per la vigilanza del territorio la Repubblica dispose di “Capitani di terra”, ai quali fu affidata una circoscrizione territoriale, e dai quali dipendevano i Bargelli12 con le rispettive “squadre di famigli”, con sede nelle località più importanti.

Con il passare dei secoli e l’allargamento dei confini territoriali, fino ad allora sconosciuti, avvenuti nella seconda metà del XV secolo, iniziò l’era del commercio oceanico che, fino al termine del Cinquecento, fu caratterizzato dal periodo Ispano-Portoghese. L’Italia, a causa di una elevata frammentazione in territori regionali, non condivise lo sviluppo politico-economico del resto dell’Europa, caratterizzato per lo più dall’assolutismo. Il declino colpì inaspettatamente anche le Repubbliche marinare di Venezia e Genova, che fino ad allora avevano vissuto una fase di forte sviluppo, diventando i nuclei centrali del commercio

12 Nel Medioevo, bargello era il nome attribuito al capitano militare incaricato di mantenere l'ordine durante periodi di rivolta avendo, sovente, funzioni dittatoriali di reggente.

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marittimo e non solo. Come conseguenza ci fu un forte incremento dell’attività di contrabbando, fenomeno che si protrasse fino a tutto il Settecento, a causa sia della necessità di sopravvivenza della popolazione meno agiata, sia dell’eccessiva onerosità del sistema doganale e gabellario. La causa di tutto questo fu la posizione, divenuta periferica per i commerci marittimi con l’Oriente, se paragonata alle rotte atlantiche praticate dopo le grandi scoperte geografiche.

Dal punto di vista legislativo, nei porti franchi, per combattere il contrabbando si adottò il Decreto del 1° febbraio 1697. I Protettori della Repubblica di Genova dovettero statuire che: “Chi

avesse frodato la Gabella introducendo nella città robe di Porto Franco senza le spedizioni ed i pagamenti dovuti, deve, oltre che essere condotto in carcere secondo i Decreti vigenti, restare condannato a pagare tanto che valesse quattro volte il prezzo delle robe medesime”.

Due anni dopo, con Decreto del 21 agosto 1699, in seguito ai tentativi di frode a mezzo di religiosi, si proibiva a questi, nonché alle donne, di entrare in Porto Franco.

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Una importante svolta nel sistema doganale si ebbe agli inizi dell’Ottocento, perché si ritiene che la moderna amministrazione doganale sia nata subito dopo la Rivoluzione francese. Fu abolita la modalità di riscossione dei dazi attraverso il sistema degli appalti concessi a privati e di conseguenza furono soppresse le società appaltatrici e le guardie gabellarie, assegnando tutto allo Stato.

Con il diffondersi del dominio francese, grazie a Napoleone, in Italia furono estesi i principi legislativi ed organizzativi francesi, che sono alla base del nostro diritto amministrativo attuale. Nelle

province direttamente annesse alla Francia13 venne estesa

l’amministrazione doganale francese, mentre nei due Stati satelliti14

vennero instaurate amministrazioni doganali autonome, organizzate sul modello francese.

Con la caduta dell’Imperatore francese, vennero ricostruite le entità statali preesistenti e ripristinate le vecchie barriere doganali e tariffarie; tuttavia, rimase l’idea che la gestione delle dogane dovesse essere effettuata dalla pubblica amministrazione e non dai privati.

13 Piemonte (1802), Liguria (1805), Ducati di Parma, Piacenza e Guastalla (1805), Toscana (1808), Lazio ed Umbria (1809).

14 Il Regno Italico, governato in nome di Napoleone dal Viceré Eugenio e comprendente Lombardia, Veneto, Romagna, Marche e parte dell’Emilia, ed il Regno di Napoli, affidato a G. Murat, comprendente Campania, Abruzzi, Puglia e Calabrie.

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Le ultime disposizioni degne di nota in materia tariffaria, prima dell’unità nazionale, furono la prima Tariffa doganale completa, pubblicata con Manifesto Camerale del 4 febbraio 1815, dal titolo “Tariffa dei diritti di Dogana in entrata, uscita e transito

negli antichi Stati di Sua Maestà”. Essa comprendeva tre differenti

tariffe: una riguardante i dazi in entrata, molto dettagliata e ad impronta fiscale, una per i dazi in uscita, anch’essa vasta, ma più ridotta della prima, ed una terza comprendente i dazi di transito. Successivamente, di altrettanta rilevanza fu l’emanazione del nuovo Regolamento Doganale, annesso al Regio Editto del 4 luglio 1816.

Un altro provvedimento, più di carattere amministrativo, fu la riorganizzazione ordinata dal Conte di Cavour, dell’Azienda delle Gabelle15, che da quel momento entrò a far parte integrante della

struttura del Ministero delle Finanze, con la denominazione di Direzione Generale delle Gabelle e delle Privative. Fino ad allora essa rappresentava un’amministrazione autonoma, con una propria politica gestionale.

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2. Le dogane in Italia dopo l’Unità

In Italia, l’unità doganale si realizzò dopo quella politica. L’unificazione politica italiana avvenne attorno al Regno di Sardegna, e anche quella commerciale e doganale fu la stessa precedentemente attuata in Piemonte. Essa si rifaceva ad un moderato liberalismo inglese, anche se caratterizzata da una stretta unione di scambi con la Francia.

Il 9 luglio 1859 il Principe Eugenio di Savoia-Carignano −

Luogotenente generale di Sua Maestà Vittorio Emanuele II − firmò

il Decreto con il quale venne emanata la nuova Tariffa Doganale del Regno di Sardegna. Lo stesso fu controfirmato dal Primo Ministro Camillo Benso di Cavour, e fu esteso alle province italiane via via annesse, diventando, con la proclamazione del Regno d’Italia (1861), la prima Tariffa doganale italiana. Inoltre, vennero ritenuti abrogati tutti i trattati commerciali stipulati dai singoli Stati annessi, e vennero estesi ad essi i numerosissimi accordi esistenti fra il Regno di Sardegna e gli altri Paesi europei ed extra europei.

Un problema, non di poco conto, fu la netta differenza economica tra le varie parti d’Italia. Si riteneva che questa fosse

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esclusivamente dovuta alla divisione politica ed al protezionismo doganale, e che sarebbe bastata l’applicazione del libero scambio per provocare un rapido sviluppo economico, così come era successo in Piemonte dopo le riforme doganali attuate nel 1851 e nel 1859. Venne ignorato, però, che il Piemonte era passato al libero scambio solo quando fu ritenuto abbastanza forte per sostenerlo, e dopo che ci fu uno studio per valutarne le conseguenze, cosa che non avvenne nel resto dello stivale. Ancora oggi questa impossibilità di unificazione “paritaria” economica e l’arretratezza di alcune aree sono argomenti di stretta attualità, come se nonostante i numerosi tentativi dall’unificazione ad oggi, non si sia ancora trovata una soluzione ed una strategia idonea.

La politica tariffaria italiana si trovò ben presto ad un bivio. Infatti, la necessità di integrare la nostra economia in un contesto internazionale, dove prevaleva un regime più liberista di matrice anglosassone, spingeva da un lato a mantenere le impostazioni già esistenti nel Regno di Sardegna, mentre la necessità di bilancio e le esigenze di protezione di un’industria ancora agli albori spingevano

in senso opposto. Il contrarsi del gettito dei dazi16 in un momento di

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rilevanti difficoltà finanziarie, provocò una parziale modifica del regime doganale vigente.

Ci fu una riduzione dei dazi di importazione (con Regio Decreto del 18 agosto 1861) sui tessuti di lana, seta e cotone; venne revocato il diritto di esportazione dalle regioni meridionali (Regio Decreto del 28 agosto 1862) di alcuni prodotti agro-alimentari. Più radicali furono gli interventi successivi, con i quali furono abrogate le franchigie fiscali di cui godevano i porti franchi e, per accrescere le entrate, furono innalzati i dazi sui generi coloniali con la Legge n. 2006 del 24 novembre 1864.

Già nel passato si era tentato di realizzare una sorta di unione doganale nel territorio della penisola. Un primo tentativo si ebbe nel 1847, e portò ad una unione fra Regno di Sardegna, Granducato di Toscana e Stato Pontificio. Tale unione rimase però solo sulla carta, a causa degli avvenimenti bellici del 1848. Un secondo tentativo fu invece portato avanti nel 1853, addirittura dall’Impero d’Austria, che direttamente o attraverso Stati satelliti, possedeva gran parte del nord Italia. Tale progetto, avviato dal Ministro austriaco delle Finanze, ebbe una sorte infelice per l’accanita opposizione di

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Cavour; ad esso infatti aderirono solo il Lombardo-Veneto ed i Granducati emiliani.

Contestualmente all’unificazione dei dazi, si dovette dare un’unità legislativa ed organizzativa alla nuova amministrazione doganale nazionale. Il Ministro Sella, con il Bollettino Ufficiale dell’Amministrazione Gabellaria del 1862, fece emanare tutti i provvedimenti necessari al funzionamento delle Dogane. Un primo effetto positivo dell’unificazione fu l’eliminazione delle barriere doganali interne, con il loro insopportabile carico di limitazioni al commercio e di costi indotti.

Sotto l’aspetto amministrativo, furono apportate delle modifiche all’organizzazione territoriale ed organica, stabilita con i Regii Decreti del 9 e del 20 ottobre 1862, con dei leggeri cambiamenti nel 1863 e nel 1864 decisi dal Ministro Marco

Minghetti17, per arrivare poi nel 1867 (Regio Decreto n. 4009 del 13

ottobre) ad una profonda ristrutturazione operata dal Ministro

pro-tempore Urbano Rattazzi18. La ristrutturazione normativa era divisa

in tre provvedimenti: l’istituzione, con Decreto Ministeriale del 17

17 È stato un politico italiano, nato a Bologna l’8 novembre 1818 e morto a Roma il 10 dicembre 1886, appartenente alla destra storica. Sotto il suo secondo governo si raggiunse (nel 1876), per la prima volta in Italia, il pareggio di bilancio.

18 È stato anch’esso un noto politico italiano che ebbe un ruolo importante durante il periodo preunitario. Nacque ad Alessandria il 20 giugno 1808 e morì il 5 giugno 1873 a Frosinone.

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novembre 1867, di nuove circoscrizioni territoriali delle Direzioni compartimentali delle Gabelle, e nuovo ruolo organico del relativo personale; la ripartizione del personale fra le 22 Direzioni compartimentali e le Circoscrizioni e le sedi delle Ispezioni, avvenuta con Regio Decreto n. 4044 del 21 novembre 1867; infine, l’istituzione – con Decreto Ministeriale dello stesso giorno − di quattro Direzioni Compartimentali nelle Province venete e di Mantova, la relativa ripartizione tra loro del personale e l’approvazione delle sedi delle ispezioni. Il più importante di questi provvedimenti fu il primo, che con il Regio Decreto n. 4009/1867, individuò le sedi e le circoscrizioni territoriali delle Direzioni compartimentali delle Gabelle precisamente in ventidue, nonché l’organico assegnato alle Direzioni Compartimentali, che fu fissato in 596 impiegati.

Importante fu, inoltre, l’istituzione delle Intendenze di Finanza, a cui vennero attribuite le competenze spettanti alle

Direzioni Compartimentali esistenti nei vari rami

dell’Amministrazione finanziaria: a) Demanio e Tasse sugli affari; b) Imposte dirette, Catasto, Pesi e misure; c) Gabelle, nonché quelle delle Ispezioni distrettuali e delle Agenzie del Tesoro.

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Nello stabilire (all’art. 3) che il servizio doganale era alle dipendenze formali dell’Intendenza di Finanza, lo stesso Regio Decreto 5286/1869 prevedeva ampie eccezioni a tale norma di massima, demandando alla responsabilità dei Direttori della Dogana l’esercizio del servizio doganale e tutte le facoltà a loro riservate dal Regolamento e dalla Tariffa doganale.

La prima modifica alla Tariffa doganale italiana avvenne nel 1878, grazie al lavoro della Commissione per lo studio della situazione economica italiana19, e fu pubblicata una nuova Tariffa

generale, molto più protezionistica della precedente.

La Tariffa20 presentava una maggiore suddivisione delle voci,

una nomenclatura che favorì una più precisa classificazione merceologica, e sotto l’aspetto fiscale vi fu l’adozione di dazi specifici – commisurati alla qualità e alla quantità delle merci – per eliminare il pericolo della sottofatturazione, che rappresentava il problema più grande nella riscossione dei dazi “ad valorem”.

Dopo l’entrata in vigore della nuova Tariffa, si aprirono le trattative commerciali per giungere alla stipulazione di nuove intese

19 La Commissione, istituita nel 1870, terminò i lavori nel 1874. Dai risultati emerse una condanna al libero scambio e l’auspicio dell’avvio di una politica protezionistica.

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con gli altri Stati. Fallì la trattativa con la Francia, ma si giunse ad un vasto accordo con l’Austria-Ungheria (1878), con il quale venne favorita l’esportazione dei prodotti italiani nell’Impero austriaco. Successive trattative vennero concluse con Belgio (1882), Gran Bretagna (1883), Germania (1883), Svizzera (1883) e Uruguay (1885), accordi nei quali la parte più importante era data, più che dalle reciproche riduzioni daziarie, dalla concessione della clausola della nazione più favorita, attraverso la quale si estendevano ad uno Stato le facilitazioni concesse ad un altro.

Un decennio più tardi (1° gennaio 1888) entrò in vigore una più moderna Tariffa doganale, maggiormente articolata rispetto alla precedente. Era divisa in 17 categorie, suddivise al loro interno in 346 posizioni tariffarie, ripartite in 773 sottoposizioni. Questo consentì una migliore distribuzione dell’imposizione daziaria sui prodotti. Inoltre, venne introdotto il sistema dei “dazi differenziali”21, per le merci di quei Paesi che applicavano un

trattamento diverso a quelle italiane. La Tariffa approvata aumentò notevolmente le aliquote daziarie, e complessivamente risultò

21 Dazi particolarmente elevati che colpiscono le merci provenienti da un Paese con il quale non è stato possibile stipulare un accordo commerciale.

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essere altamente protezionistica per i prodotti industriali e molto meno per gran parte dei prodotti agricoli.

Accanto alle misure tariffarie ne vennero prese altre di carattere legislativo (modifica della legge doganale in materia di sequestro delle merci ed introduzione dell’obbligo del manifesto del carico), di carattere fiscale (regime di alcune imposte di fabbricazione), di carattere economico (denuncia di tutti i trattati di commercio in scadenza nel 1887).

Una importante innovazione si ebbe nel settore delle Guardie doganali, per le quali il Governo Cairoli propose la legge di riordinamento, che trasformò il Corpo delle Guardie doganali in Guardie di Finanza, realizzando una maggior militarizzazione dello stesso. Quindi, la Legge n. 149 dell’8 aprile 1881 promulgata da parte del re Umberto I rappresentò l’atto di nascita dell’odierna Guardia di Finanza.

Un altro avvenimento di quel periodo fu rappresentato

dall’istituzione dei Laboratori chimici della Gabella22. Il

Laboratorio, con sede a Roma, era diviso in due sezioni. La prima effettuava ricerche, analisi, esami di prodotti e procedimenti relativi

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alla manipolazione e produzione dei sali e dei tabacchi, la seconda era incaricata dei controlli di qualità sugli zuccheri esportati e delle analisi per l’esatta applicazione della Tariffa doganale e delle imposte di fabbricazione. Con la riforma della Direzione Generale

delle Gabelle effettuata dal Ministro Gagliardo23 nel 1893, il

Laboratorio chimico entrò a far parte dell’Amministrazione doganale. Al riguardo, si può affermare che la moderna merceologia è nata nell’amministrazione doganale.

Verso la fine del secolo lo sviluppo industriale ebbe un incremento notevole: l’industria cotoniera entrò in piena competizione con quella straniera, imponendosi in molti mercati mondiali; quella siderurgica e quella meccanica assursero il ruolo di grande industria e, contemporaneamente, si affermarono a livello mondiale industrie di minori dimensioni ma di primaria qualità, come quella della carta, del vetro, della ceramica, dell’oreficeria, dei mobili, delle paste alimentari, delle conserve e degli oli di oliva.

La situazione economica italiana, esistente al momento della stipulazione dei trattati commerciali (1892), era molto diversa da

23 Importante politico italiano e Senatore del Regno nato a Genova l’ 8 febbraio 1835 e morto, sempre a Genova, il 25 marzo 1899. È stato Ministro delle Finanze del Regno d'Italia nel Governo Giolitti I.

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quella esistente al momento del loro rinnovo (1902), così come era diverso l’atteggiamento doganale di quasi tutta l’Europa, in considerazione del periodo di crisi che attraversavano le agricolture nazionali. Ciò induceva gli Stati ad aumentare e perfezionare le tariffe doganali, al fine di difendere la propria produzione agricola, con gravi riflessi nei confronti di quei paesi, quali l’Italia, a prevalente esportazione agraria.

Sotto l’aspetto commerciale si venne a creare una revisione della posizione italiana ed una preparazione adeguata dei rinnovi dei trattati commerciali decennali in scadenza nel 1902-3, che spinsero il Governo a tener conto dei nuovi bisogni della produzione nazionale e dei relativi sbocchi all’estero di questa produzione. Venne quindi istituita una “Commissione per il regime

economico doganale”24. L’intenzione era quella di predisporre il

rinnovo dei trattati di commercio da una posizione più solida, rettificando le imperfezioni che la Tariffa del 1888 aveva rivelato nel corso degli anni. La Commissione esaurì i suoi lavori con la presentazione al Governo, nel 1903, di un progetto di Tariffa doganale composta da 491 voci.

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Il Governo, però, non ritenne di presentare al Parlamento la riforma proposta dalla Commissione, ma si servì delle sue conclusioni nel corso delle negoziazioni per i rinnovi dei trattati di commercio, tanto per individuare le concessioni da chiedere e da concedere, quanto per meglio indicare le voci doganali oggetto degli accordi.

Le negoziazioni più importanti si svolsero nel periodo 1904/1906 con Germania, Austria-Ungheria e Svizzera, e registrarono un clima difficile poiché la tendenza commerciale degli Stati era incline ai rialzi tariffari ed all’attuazione di meccanismi di protezione delle produzioni agricole. Ne risultò che i trattati di questo periodo furono per l’Italia meno vantaggiosi di quelli precedentemente conclusi, anche se non danneggiarono la nostra economia, la quale era ormai cresciuta ed era in grado di competere con la concorrenza, in virtù sia dello sviluppo dell’industria che

della internazionalizzazione ormai consolidata del nostro

commercio. Il complesso dei dazi negoziati con questi tre Paesi formò la struttura della Tariffa convenzionale italiana dopo il 1904, ed il modello per gli accordi successivamente stipulati.

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Nel campo degli atti normativi in materia tariffaria, emanati

nel periodo in considerazione, spicca il Testo Unico del 191025 nel

quale vennero coordinate tutte le disposizioni tariffarie uscite dopo

la pubblicazione del precedente Testo Unico del 189526.

Il periodo della prima guerra mondiale fu caratterizzato da un blocco legislativo dovuto all’attenzione data ad altri settori, ed ogni decisione in merito alla struttura della Tariffa doganale fu rinviata a fine guerra, limitando gli interventi tariffari alle preponderanti esigenze dell’economia di guerra.

Fu preso in esame il lavoro svolto dalla “Commissione Reale”, istituita nel 1913 e sciolta nel 1918, adeguandolo attraverso l’opera di un’altra Commissione incaricata di valutare le modifiche intervenute nel settore industriale (1920), modificando le aliquote daziarie originarie, e aggiornando le stesse alle mutate situazioni dell’economia internazionale ed ai mutati orientamenti politici. Il governo non ritenne però di adottare il sistema della doppia aliquota, e dispose che il progetto di Tariffa da proporre al Parlamento fosse impostato sul tradizionale sistema delle tariffe generali negoziabili. Il malcontento generato dalla Tariffa, ritenuta

25 Approvato con Regio Decreto n. 577 del 28.7.1910. 26 Approvato con Regio Decreto n. 679 del 24.11.1895.

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poco protettiva dai ceti economici, fece sì che la trasformazione della stessa in legge non avvenisse prima del 1925.

Il sistema di tassazione della nuova Tariffa era principalmente basato su dazi specifici, pur essendo presenti alcune aliquote “ad

valorem” o miste. Il decreto approvante la nuova Tariffa autorizzò

il Governo a modificare i coefficienti di maggiorazione a seconda delle differenti condizioni della produzione e dei traffici internazionali.

A livello extra-nazionale, la fine della prima guerra mondiale portò ad una situazione politica e commerciale piuttosto complessa. Erano sorti ben dieci nuovi Stati, e con essi dieci barriere doganali e dieci sistemi monetari.

Particolarmente interessanti furono gli accordi siglati (o meglio imposti) con le potenze sconfitte, che, per obbligo dei Trattati di pace, erano tenute a concedere unilateralmente la clausola della nazione più favorita e a non superare le barriere tariffarie in vigore nell’anteguerra. Alla scadenza di queste clausole si ritenne opportuno normalizzare i rapporti, ed anche con questi Stati furono stipulati regolari accordi commerciali bilaterali: con

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l’Austria e la Turchia nel 1923, con Germania ed Ungheria nel 1925.

La crisi del 1929, trascinatasi per buona parte degli anni Trenta, determinò su scala internazionale un ritorno del protezionismo, che si manifestò con aumenti daziari, inasprimento dei divieti economici, ripristino dei controlli statali sui pagamenti con l’estero, ed infine restrizioni nelle clausole degli accordi commerciali, introdotte in Italia con Regio Decreto Legge n. 1574 e n. 1680 del 1931.

Con l’aumento dei dazi doganali venne data facoltà al Governo di imporre sopraddazi − pari al 50% della Tariffa generale – sui prodotti provenienti da Paesi che ostacolavano l’importazione di merci italiane. Inoltre, si autorizzò, sempre al Governo, di imporre dazi dal 20% al 40% sulle merci provenienti da Stati non legati al nostro con accordi commerciali.

Questi provvedimenti ebbero però un’incidenza assai ridotta nell’insieme della politica amministrativa doganale, poiché, sull’esempio di quanto avveniva in Francia ed in Germania, negli anni Trenta si diffuse in tutto il mondo il sistema degli scambi bilanciati. Esso consisteva in accordi bilaterali, attraverso i quali

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due Paesi stabilivano i contingenti annuali di merci da scambiarsi, e regolavano le reciproche situazioni debitorie e creditizie con il sistema del clearing, attraverso appropriati istituti governativi. A tal fine venne creato in Italia l’Istituto Nazionale per l’Esportazione, trasformato poi in Istituto Nazionale Fascista per gli scambi con l’Estero27.

Nel periodo pre-guerra, quindi, l’Italia aveva stipulato Trattati di commercio con 72 Stati; con 55 di essi applicava la clausola della nazione più favorita, con 16 aveva negoziato accordi sulla base della Tariffa generale e con 25 aveva accordi di contingentamento, di pagamento e di compensazione.

La grande riforma legislativa doganale degli anni Quaranta, durante il periodo fascista, era stata preceduta dall’emanazione di strumenti legislativi di notevole portata giuridica e di validità tecnica tale che permise loro di produrre effetti per molti decenni dopo l’approvazione. In questo ventennio ci furono quattro riforme strutturali amministrative di vasta portata: nel 1923, nel 1927, nel 1931, nel 1940.

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Della prima, il Regio Decreto n. 1314 del 19 aprile 1923, fu

artefice Alberto De Stefani28, che come Ministro delle Finanze

portò a pareggio il bilancio, riformando il sistema tributario e l’amministrazione finanziaria. Vennero individuate la sede, l’ordine, la classe di ciascuna dogana, le vie doganali, le facoltà per il deposito, l’uscita in transito delle merci e le facoltà speciali. Successivamente vennero stabilite le Circoscrizioni doganali, le dogane secondarie, le sezioni ed i posti doganali.

La seconda ristrutturazione venne attuata con Regio Decreto n. 1349 del 30 giugno 1927, e furono individuate le Direzioni circoscrizionali, che da 19 salivano a 20, per l’aggiunta di Fiume. La terza ristrutturazione29 fu opera dell’allora Ministro Thaon di

Revel30 coadiuvato dal Direttore Generale delle Dogane, Ivo Bagli.

Un riassetto organizzativo era parte di una più vasta riforma organica che comprendeva pure l’emanazione di una nuova Legge doganale e di un nuovo Regolamento di servizio del personale.

28 Alberto de Stefani (Verona, 6 ottobre 1879 – Roma, 15 gennaio 1969) è stato un importante economista e politico italiano. Nel 1943 venne arrestato dal duce per aver criticato il suo operato dopo l’insediamento del regime.

29 Istituita con Regio Decreto n. 1349 del 16 febbario 1931 e del Decreto Ministeriale del 1 luglio 1927.

30 Paolo Emilio Thaon di Revel, duca del Mare (Torino, 19 giugno 1857 – Roma, 24 marzo 1957), è stato un ammiraglio e politico italiano. Dopo la nomina a grande ammiraglio ricevette il titolo di primo duca del mare. Inoltre, fu anche presidente della Società Geografica Italiana dal 1921 al 1923.

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Le dogane vennero ripartite in sei classi a seconda delle operazioni che erano autorizzate a compiere; furono previste le sezioni doganali, i posti doganali e i posti d’osservazione. Fu anche stabilita la ripartizione dei servizi e degli Uffici Doganali, e vennero istituiti i Compartimenti doganali d’ispezione con compiti ispettivi sulle dogane comprese nelle rispettive delimitazioni territoriali.

Il quarto e ultimo riordinamento portò una riforma legislativa dell’ordinamento doganale, che fu originata da un disegno di legge presentato il 23 aprile 1940 dal Ministro delle Finanze Thaon di Revel e dal Ministro per gli scambi e valute Riccardi. L’approvazione del testo avvenne nel corso dello stesso anno, e la Legge Doganale fu emanata come Legge n. 1424 del 25 settembre 1940. La riforma fu completata con l’emanazione del Regolamento di servizio del personale delle Dogane, nel quale venivano delineate le competenze del personale ispettivo addetto agli istituendi Compartimenti doganali ed al Servizio ispettivo del Ministero, nonché quelle di tutte le altre categorie del personale doganale e di quello assegnato ad incarichi particolari.

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Con l’inizio della seconda guerra mondiale entrò in applicazione la Legge di Guerra31, la quale proibiva, nel territorio dello Stato ed in quelli occupati, l’importazione ed il transito di merci di origine e provenienza nemica, nonché l’esportazione e il transito di merci destinate a Paesi nemici. Ma, con la fine di essa, venne definito uno scenario completamente diverso, dove l’Italia era prostrata e totalmente dipendente dall’aiuto americano.

Sotto l’aspetto amministrativo deve essere ricordata l’opera di

riorganizzazione che l’allora Ministro Ezio Vanoni32 realizzò

nell’intera Amministrazione finanziaria, e che nel settore doganale fu principalmente rappresentata dal Decreto Ministeriale del 1° settembre 1949 con il quale vennero istituite alcune Circoscrizioni doganali che si aggiungevano a quelle già previste dal Decreto Ministeriale del 1° febbraio 1942.

A livello internazionale, sotto la spinta degli Stati Uniti d’America, si assistette alla ricostruzione economica su scala mondiale, la cui strategia era già stata elaborata nella conferenza

31 Istituita con Regio Decreto n. 1415 dell’8.7.1938.

32 Ezio Vanoni (Morbegno, 3 agosto 1903 – Roma, 16 febbraio 1956) è stato un economista e politico italiano. È stato Ministro delle Finanze (1948-1954) e del Bilancio (1954-1956) in parecchi Governi De Gasperi. Nel 1956 è stato insignito della medaglia d'oro al valor civile. Gli è stata inoltre intitolata la Scuola Superiore dell'Economia e delle Finanze, un organo tecnico del Ministero dell'Economia e delle Finanze avente il compito di curare la formazione e l'aggiornamento del personale dell'Amministrazione Finanziaria.

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monetaria di Bretton Woods33, ed alla progressiva liberalizzazione del commercio mondiale, dove gli USA favorirono la liquidazione degli imperi coloniali inglese e francese. Aveva così inizio un periodo di internazionalizzazione e di globalizzazione dei rapporti commerciali.

Vennero superate le motivazioni e l’utilità degli accordi commerciali bilaterali, e prese avvio l’epoca dei grandi accordi multilaterali, con l’istituzione di nuovi organismi tesi allo sviluppo e alla liberalizzazione del commercio internazionale. Il primo di questi organismi fu l’International Trade Organization (ITO) −

entrato in funzione nell’ambito dell’ONU − che preludeva alla

costituzione del General Agreement on Tariffs and Trade (GATT) e non solo. Le attività di liberalizzazione e gli accordi multilaterali furono numerosi, e i più importanti verranno approfonditi nei prossimi capitoli.

33 La conferenza di Bretton Woods si tenne dal 1º al 22 luglio 1944 nell'omonima località nei pressi di Carroll (Stati Uniti) per stabilire le regole delle relazioni commerciali e finanziarie tra i principali Paesi industrializzati del mondo.

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3. L’evoluzione comunitaria

In un contesto mondiale di internazionalizzazione e di velocizzazione dei traffici, l’abolizione dei controlli all’interno del territorio doganale Ue, a seguito del Mercato Unico, e i crescenti cambiamenti della società hanno modificato profondamente il ruolo e il campo di attività delle dogane.

I primi passi a livello comunitario si sono mossi nel periodo post-seconda Guerra Mondiale, con la stipula del Trattato istitutivo della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, meglio

conosciuto come CECA34. Questo organismo fu originato dalla

famosa dichiarazione rilasciata dall’allora Ministro degli Affari

Esteri francese Robert Schuman35, che propose la produzione

franco-tedesca sotto un’Alta Autorità comune, organizzata in maniera da lasciare le porte aperte agli altri Paesi europei. La sfida fu raccolta, oltre che dalla Germania, dall’Italia e dai tre Paesi del Benelux (Lussemburgo, Olanda e Belgio).

34 Entrato in vigore il 24 luglio 1952 aveva una durata di 50 anni, ed il 23 luglio 2002 è giunto a scadenza.

35 Jean-Baptiste Nicolas Robert Schuman, nacque in Lussemburgo nel 1886, è stato un politico francese e nella sua celebre dichiarazione specificò che la circolazione del carbone e dell’acciaio doveva essere esente da qualsiasi dazio doganale e che non poteva subire nessuna tariffa di trasporto differenziale. Morì a Scy-Chazelles il 4 settembre 1963.

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Il Trattato, firmato a Parigi il 18 aprile 1951, creò la prima idea di mercato comune a livello comunitario, introducendo la libera circolazione di questi prodotti, senza diritti doganali, provvedimenti discriminatori o pratiche restrittive. Il mercato comune era infatti un mercato “coordinato”, in cui avvenivano gli scambi tra gli Stati membri sebbene sopravvissero i singoli mercati interni agli Stati nazionali.

L’Italia, aderendo e diventando parte integrante di questa associazione, aprì la via ad una progressiva liberalizzazione delle sue politiche commerciali. Tale impostazione si evidenziò più che altro nella seconda metà degli anni Cinquanta, in concomitanza con l’adesione al Trattato di Roma, dato che la Tariffa doganale italiana in vigore, adottata con Decreto del Presidente della Repubblica n. 453 del 8 luglio 1950, era uno strumento di politica doganale molto protezionistico.

Visto l’inaspettato successo, pochi anni dopo fu estesa la cooperazione ad altri settori dell’economia, e nel marzo 1957 furono firmati i cosiddetti “Trattati di Roma”. Il primo istituì la Comunità Economica Europea - la CEE, il secondo invece, la

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Comunità Economica dell’energia atomica – l’EURATOM: entrambi entrarono in vigore il 1° gennaio 1958.

La CEE prevedeva un’unione doganale e delle politiche comuni, abolendo i dazi tra gli Stati membri ed i contingenti tra le merci scambiate. Gli artt. 2-3 del Trattato affrontavano direttamente questi temi.

Art. 2: "La Comunità ha il compito di promuovere, mediante

l'instaurazione di un mercato comune e il graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche nell'insieme della Comunità, un'espansione continua ed equilibrata, una stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita e più strette relazioni fra gli Stati che ad essa partecipano".

Art. 3: “Ai fini enunciati all’articolo precedente, l’azione della

Comunità importa, alle condizioni e secondo il ritmo previsto dal presente Trattato: a) l’abolizione fra gli Stati membri dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative all’entrata e all’uscita delle merci, come pure di tutte le altre misure di effetto equivalente,b) l’istituzione di una tariffa doganale comune e di una politica

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l’eliminazione fra gli Stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali…”.

Il Trattato istitutivo della CEE è stato modificato più volte, arrivando alla creazione di un vero e proprio mercato unico nel 1992, con la stipula del Trattato di Maastricht. Infatti, lo sviluppo dell’evoluzione doganale comunitaria, così come riportato anche dalla pubblicazione edita dalla Commissione Europea, dal titolo

“La politica doganale dell’Unione europea”, si può suddividere in

tre fasi che vanno dai primi passi, ad una fase intermedia compresa tra il 1968 ed il 1993, arrivando al passato più recente.

La grande novità dei “primi anni” fu la creazione di un’Unione tariffaria36, avvenuta nel 1968, che oltre all’eliminazione dei dazi doganali interni, introduceva appunto la Tariffa doganale comune da applicare alle merci provenienti dai Paesi terzi. Questa politica favorì talmente tanto i commerci tra gli Stati membri, che nel periodo tra il 1958 ed il 1972, mentre il volume del commercio mondiale triplicò, gli scambi intracomunitari aumentarono di nove volte. Da questo evento in poi non si parlò più di politica doganale statale, bensì di politica doganale comunitaria.

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Nella cosiddetta “fase intermedia” furono gradualmente create, oltre che uno sviluppo della normativa riguardo all’unione tariffaria anche una legislazione doganale con lo scopo di garantire che le merci importate in qualsiasi parte della Comunità fossero soggette non soltanto alle stesse norme tariffarie, ma anche alle stesse disposizioni doganali, in modo che l’applicazione della tariffa fosse uguale dovunque.

L’obiettivo è sempre stato la realizzazione del Mercato unico entro il 1992 ed il rafforzamento della coesione economica e sociale tra gli Stati membri, in previsione dell’Unione Economica e Monetaria (UEM).

Per affrontare l’adeguamento dell’Italia all’evoluzione europea, dopo una serie di tentativi per risolvere il problema della struttura doganale, nel 1984 vennero emanati una serie di provvedimenti. Sostenuto da uno studio elaborato dal Comitato Nazionale Economia e Lavoro (CNEL) e da proposte specifiche avanzate dalla Commissione per la legiferazione istituita presso la Presidenza del Consiglio, il Ministro delle Finanze Bruno

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Visentini37 ritenne necessario approfondire i problemi, al fine di dar

vita ad un provvedimento che tenesse in particolare evidenza la realizzazione al 1° gennaio 1993 dell’obiettivo comunitario.

Venne nominata una commissione di studio, definita

“Commissione Anelli”38 dal nome del suo presidente, per la verifica

dell’attuale rispondenza alle esigenze della produzione dei traffici da parte delle organizzazione dei servizi doganali e delle procedure di accertamento e controllo delle relative operazioni. Fu inoltre ottemperata la necessità della sicurezza fiscale e la valutazione dell’adeguatezza dell’attuale ordinamento del personale ai nuovi compiti e responsabilità.

Tornando a livello europeo, l’evoluzione della Comunità attirò tanti altri Stati europei ed i primi ad unirsi al progetto di unificazione furono la Gran Bretagna, l’Irlanda e la Danimarca nel 1973, poi la Grecia nel 1981, i Paesi iberici (Spagna e Portogallo) nel 1986, e a seguire tutti gli altri. L’ultima ad unirsi è stata la

37 Bruno Visentini (Treviso, 1º agosto 1914 - Roma, 13 febbraio 1995) è stato, oltre che un politico, anche un imprenditore italiano. Fu per due volte ministro delle Finanze, rinnovando la struttura amministrativa del ministero e riformando profondamente il sistema fiscale. A lui si deve la disciplina delle società per azioni, l'obbligatorietà dello scontrino fiscale e la spinta all'introduzione di una normativa antitrust anche in Italia.

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Croazia il 1° luglio 2013, portando attualmente a 28 il numero dei

Paesi membri dell’Unione Europea39.

Particolare rilievo ha avuto, per la semplificazione doganale,

l’azione del Consiglio di Cooperazione doganale40 che ha permesso

la realizzazione di una nuova nomenclatura per la classificazione delle merci, sulla quale è stata redatta la vigente Tariffa Doganale Comunitaria, emanata con Regolamento Comunitario n. 3816/86 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1988.

L’anno storico per quanto riguarda la politica doganale comunitaria è stato però il 1992, anno in cui in una piccola cittadina olandese venne firmato il trattato di Maastricht, che fu il coronamento dello sforzo degli Stati membri e che ha segnato definitivamente il passaggio dall’unione tariffaria ad un’effettiva unione doganale. Il Trattato si basa sulle quattro libertà, che sono quella della circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone. Esso ha modificato anche la denominazione da “Comunità Economica Europea – CEE” in “Comunità Europea – CE”.

39 La conseguenza è stata l’approvazione dei Criteri di Copenaghen (nel 1993), i quali individuano i requisiti (criterio politico, criterio economico e l’adesione all’acquis comunitario) che devono avere in fase di pre-adesione i Paesi candidati a far parte dell’Unione Europea. Attualmente sono in lista d’attesa per entrare nella UE la Turchia, che ha fatto richiesta nel 1987 ma non ha ancora i requisiti per diventare Paese membro, la Macedonia, l’Islanda, il Montenegro, la Serbia e per ultima l’Albania.

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Il Trattato fu seguito pochi anni dopo da un’altra importantissima novità: l’entrata in vigore dell’Accordo di Schengen41, che ha permesso l’abolizione dei controlli sistematici

delle persone alle frontiere interne dello spazio dei Paesi firmatari. Il progetto consiste nel rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne dello spazio Schengen, con una collaborazione delle forze di polizia e la possibilità di intervenire in alcuni casi anche oltre i propri confini territoriali (per esempio durante gli inseguimenti di malavitosi). Sotto l’aspetto della sicurezza, è molto importante il coordinamento degli Stati membri nella lotta alla criminalità organizzata di rilevanza internazionale, e l’integrazione delle banche dati delle forze di polizia (il Sistema di informazione Schengen, detto anche SIS). La Convenzione firmata il 19 giugno 1990 dagli stessi cinque Stati membri, e successivamente entrata in vigore solo nel 1995, ha completato l'accordo, definendone le condizioni di applicazione e le garanzie inerenti all'attuazione della libera circolazione.

41 L'accordo fu firmato a Schengen il 14 giugno 1985 fra il Benelux, Francia e Germania con il quale si intendeva eliminare progressivamente i controlli alle frontiere comuni e introdurre un regime di libera circolazione per i cittadini degli Stati firmatari, degli altri Stati membri della Comunità o di Paesi terzi.

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L'Accordo e la Convenzione di Schengen, con tutte le regole adottate sulla base dei due testi e gli accordi connessi formano il cosiddetto “Acquis di Schengen” che, dal 1999, è integrato nel quadro istituzionale e giuridico dell'Unione Europea in virtù di un protocollo allegato al Trattato di Amsterdam.

Prima dell’entrata in vigore del mercato interno, la libera circolazione delle merci nella Comunità non era una realtà. Vi erano molte formalità doganali alle frontiere, ad esempio a causa del sistema di riscossione dell’IVA e delle imposte sui consumi. Anteriormente a questa data tutti i trasportatori venivano fermati alle frontiere interne della Comunità per le pratiche doganali, fiscali e per le ispezioni. Le croniche code di autocarri alla dogana ostacolavano il commercio intracomunitario, con alti costi in termini di tempo e denaro per le imprese commerciali comunitarie.

La nascita del mercato unico europeo ha portato alla creazione del Codice doganale comunitario42, con lo scopo di riunire in un

unico documento tutta la normativa, le definizioni e le procedure

42 Istituito con regolamento n. 2913/1992 del 12 ottobre 1992, le sue successive disposizioni d’applicazione sono entrate in vigore con il regolamento n. 2454/1993 della Commissione del 2 luglio 1993.

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relative agli scambi tra l’Unione europea ed i Paesi terzi, facendo decadere tutte le leggi interne in materia.

L’originale era composto da 253 articoli, che hanno disciplinato organicamente la vasta area di intervento delle dogane comunitarie, partendo dal campo di applicazione e dalle definizioni di base dell’attività doganale, fino ai principi operativi ed alle relative norme attuative. Esso ha rappresentato il risultato finale di oltre 35 anni di continuo lavoro di sperimentazione, di adeguamento e di modifica delle leggi doganali dei singoli Paesi membri. La limitazione più grande riguarda tutt’ora il regime provvisorio dell’IVA, che è in attesa dei futuri provvedimenti di armonizzazione: sono ancora applicate le aliquote differenziate nei vari Paesi membri. Per questo motivo, la riscossione dell’imposta, anziché essere eseguita all’origine viene effettuata a destino, con conseguenti controlli contabili presso le imprese acquirenti.

Il Codice ha introdotto all’articolo 12 il diritto all’informazione, che per il nostro Paese ha costituito un’importante novità per la segnalazione a livello intercomunitario di fatti operativi che potevano costituire violazione alle norme comunitarie

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ed interne sull’attività di interscambio delle merci (sistema informatico AFIS - Antifraud Information System).

Gli ultimi anni del millennio hanno portato poche modifiche: la più significativa è il Trattato di Amsterdam, approvato e firmato il 2 ottobre 1997 dagli allora 15 paesi dell'Unione Europea, che è entrato in vigore solo il 1º maggio 1999. Esso contiene innovazioni che vanno in direzione di un rafforzamento dell'unione politica, con nuove disposizioni in materia di libertà, sicurezza e giustizia, che hanno visto la nascita della cooperazione tra le forze di polizia (Europol) e gli organismi di giurisdizione penale (Eurojust). Il Trattato di Amsterdam ha incorporato all’interno del cosiddetto “primo pilastro” le disposizioni dell’Accordo di Schengen.

4. (Segue) le riforme degli anni 2000

L’avvento del nuovo millennio ha registrato una importante modifica del Codice Doganale Comunitario. Infatti, con il Codice

Doganale Aggiornato43 si precisa all’articolo 2 che le autorità

doganali conservano la responsabilità primaria della supervisione

43 Istituito con regolamento CE n. 450/2008 ed è entrato in vigore il 24 giugno 2008, ma ancora non divenuto applicabile per mancanza delle disposizioni di attuazione.

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degli scambi internazionali della UE, in modo da contribuire al commercio comunitario.

In materia amministrativa, la necessità di rendere agli operatori economici immediate risposte riguardo disposizioni doganali, accise e analisi merceologiche, ha portato all’emanazione della Legge n. 59 del 15 marzo 1997 e del successivo Decreto Legislativo n. 300 del 30 luglio 1999. Questi dispositivi di legge prevedono una riorganizzazione degli organi statali − a partire dagli anni duemila − e attribuiscono all’Amministrazione doganale una nuova configurazione giuridica.

Il riconoscimento e la consapevolezza che gli scambi economici internazionali necessitano di un’amministrazione estremamente dinamica, ha fatto sì che a partire dal 1° gennaio 2001 sia stata istituita l’Agenzia delle Dogane, ente pubblico dotato di personalità giuridica, con ampia autonomia. Uno statuto ne disciplina il funzionamento, in base al quale è stata costituita la nuova struttura centrale ed è in corso di realizzazione anche quella periferica, che vedrà l’integrazione di vari uffici.

L’Agenzia delle Dogane, derivata dal processo di riforma e di adeguamento alle esigenze del mercato unico europeo, non è ancora

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un istituto definitivo, ma auspicabilmente essa rappresenta solo una tappa di passaggio e di avvicinamento alla realizzazione della Amministrazione doganale comunitaria, in modo da poter assicurare a tutti gli operatori economici comunitari una parità di servizi resi.

La creazione del mercato interno e l’aumento del flusso degli scambi commerciali attraverso le frontiere, in seguito all’espansione del commercio mondiale, e in particolare di quello con l’Europa orientale, hanno indotto nel tempo sempre più le dogane a semplificare e accelerare le formalità burocratiche, a scapito del mantenimento di adeguati controlli.

Per arrivare a ciò, lo sviluppo si è mosso principalmente

attraverso un programma, definito “Dogana 2013”44, che ha

interessato il periodo dal 1° gennaio 2008 al 31 dicembre 2013. Esso era finalizzato ad appoggiare e ad integrare la azioni intraprese dagli Stati membri, per garantire il funzionamento del mercato interno, costituendo un fondamentale supporto per la realizzazione della dogana elettronica. Il programma, preceduto da Dogana 2000 (1996-2000), Dogana 2002 (2001-2002) e Dogana 2007

44 Approvato con Decisione n. 624/2007/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 maggio 2007.

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2007), ha individuato una serie di obiettivi di carattere generale ed una serie di obiettivi specifici.

Il più importante, così come definito dalla stessa Unione Europea (fonte www.europa.eu) è stato quello di “favorire la

creazione di una dogana informatizzata paneuropea che garantisca che le attività doganali rispondano alle esigenze del mercato interno, assicuri la tutela degli interessi finanziari della CE e rafforzi la protezione e la sicurezza”.

La strada percorsa già in passato portava verso questa direzione, dove la tecnologia informatica era sempre più usata tra le amministrazioni doganali e gli operatori. La dichiarazione doganale elettronica si riduce al minimo la durata delle formalità doganali alla frontiera. I computer non si usano più soltanto per ricevere le dichiarazioni, ma la Commissione ha messo a punto sistemi informatici che consentono lo scambio di dati tra le amministrazioni degli Stati membri e le banche dati centralizzate della Commissione.

Le dogane stanno adottando sempre più diffusamente l’idea di effettuare i controlli fisici dopo che i beni sono giunti a destinazione. Ciò facilita notevolmente il movimento delle merci,

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riducendo ulteriormente i ritardi nei porti e negli aeroporti e abbassando i costi, in quanto gli imballaggi non devono essere aperti due volte. Gli sforzi degli addetti ai controlli possono così essere concentrati maggiormente sulla lotta al contrabbando e alla frode. Con le merci arrivate a destinazione e con l’immissione delle stesse in libera pratica45, si possono applicare metodi di verifica a

posteriori. I controlli moderni saranno quindi basati sempre più sulla verifica della documentazione emessa degli operatori. Per poter agire secondo criteri di efficienza ed efficacia, si è sentita l’esigenza di informatizzare ulteriormente il settore, fino a coprire l’intero sistema delle procedure doganali.

Attualmente l’Agenzia delle Dogane dispone di banche dati informatiche di portata europea, operative nell’intera Comunità,

quali TARIC46, il sistema delle Informazioni tariffarie vincolanti, la

base dati relativa alla gestione dei contingenti ecc. Uno specifico obiettivo per i servizi doganali della Comunità, come pure per i nostri partner della convenzione relativa al transito comune, è

45 Il termine “libera pratica” è stato introdotto nel nostro ordinamento dall’art. 10 del Trattato di Roma del 25 marzo 1957, e dice: “sono considerati in libera pratica in uno Stato membro i

prodotti provenienti da Paesi terzi per i quali siano state adempiute in tale Stato le formalità d’importazione e riscossi i dazi doganali e le tasse di effetto equivalente esigibili e che non abbiano beneficiato di un ristorno totale o parziale di tali dazi e tasse”.

46 È la tariffa operativa che indica per ogni prodotto l’intera aliquota del dazio, le aliquote preferenziali e tutte le misure applicabili all’importazione.

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