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Capitolo II Il glocalismo come “ponte” fra il localismo del diritto penale e il fenomeno della globalizzazione.

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Capitolo II

Il glocalismo come “ponte” fra il localismo del diritto

penale e il fenomeno della globalizzazione.

Sommario: Introduzione. 2.1. Il localismo del diritto penale. 2.2. La “non-neutralità culturale” del diritto penale. 2.3. Il fenomeno della globalizzazione e le ricadute nel diritto. 2.4. Il glocalismo: un ponte fra i due poli.

Introduzione.

La trattazione sui reati culturalmente e religiosamente orientati impone una riflessione sulle connotazioni proprie del diritto penale. La presenza di una pluralità di culture all’interno del territorio italiano pone una serie di “sfide” per il diritto penale; fra queste assume rilievo, per i fini che qui si perseguono, l’analisi della possibile reazione del diritto penale ai reati culturalmente e religiosamente motivati.

A tal fine occorre preliminarmente focalizzare l’attenzione su due tradizionali tratti caratteristici del diritto penale: il suo localismo e la sua “non-neutralità culturale”1.

1 Cfr. F. Basile, Immigrazione e reati culturalmente motivati. Il diritto penale nelle

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43 2.1. Il localismo del diritto penale.

Con l’espressione “localismo” si intende far riferimento al fatto che il diritto penale italiano – e presumibilmente quello di molti altri Stati del mondo – si configura come una sorta di “prodotto tipico locale”2. Questa caratteristica è dovuta al fatto che il diritto penale nasce all’interno di uno Stato, cosicché ad ogni Stato corrisponde un determinato ordinamento giuridico penale, destinato ad una “consumazione” solo in loco3.

In ogni Stato è possibile rinvenire un determinato catalogo di reati che, pur potendo assomigliare, non può quasi mai coincidere con quanto previsto da altri Stati4: “ciò che è reato qui, potrebbe non esserlo in un

altro luogo, o viceversa”5.

Come sottolinea Fletcher, l’omogeneità di principi condivisi dello ius

commune medievale di origine romanistica oggi è in gran parte

smarrita, risultando difficile individuare ordinamenti penali che, seppur geograficamente limitrofi, possiedano lo stesso sistema di reati; si assiste oggi, come egli sottolinea, ad “un’accentuata provincializzazione del diritto penale” 6.

Le origini del fenomeno del localismo sono da rinvenire nell’epoca della formazione degli Stati. Si avvertiva da un lato l’esigenza di localizzazione delle leggi, ossia che queste fossero plasmate in modo da aderire il più possibile alla concreta situazione locale; dall’altro, si

2 F. Basile, Il diritto penale nelle società multiculturali: i reati commessi per una

“motivazione culturale” dagli immigrati, in Ragion pratica n. 2/2012, rivista online,

pp. 357-366.

3 Cfr. F. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale, vol.1, Giuffrè, Milano,

1999, introduzione.

4 Cfr. F. Basile, op. cit., p. 78.

5 E. Mezger, Kriminologie: ein studienbuch, C.H. Beck, München-Berlin, 1951, p.

4, trad. it. consultata in F. Basile, Immigrazione cit., p. 78, nota 6.

6 G. P. Fletcher, Basic Concepts of Criminal Law, Oxford University Press, New

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individuava nella legge lo strumento per legalizzare il diritto, conferendo certezza e determinatezza alle norme giuridiche7.

In tale ottica si può affermare che, se il diritto è quello che è contenuto nella legge e se questa promana dallo Stato, ad una pluralità di Stati corrisponderà una pluralità di diritti locali8.

Tale processo di statualizzazione, che abbraccia tutti i rami del diritto, risulta accentuato in ambito penale per due ragioni. In primo luogo, le esigenze di determinatezza delle norme giuridiche erano – e sono - particolarmente avvertite in ambito penale, come ci ricorda Cesare Beccaria sottolineando l’importanza della certezza della pena affinché essa “non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino”9.

Posto che il diritto penale prevede pene che comportano spesso una sensibile limitazione della libertà personale, si può individuare un maggiore rilievo della statualizzazione nell’ottica di una più ampia tutela del reo; la previsione di una pena determinata sviluppa al meglio anche la sua funzione preventiva, non risultando come una condanna ingiustificata bensì esemplificatrice.

In secondo luogo il diritto penale, inteso come il diritto di punire, rappresenta la principale espressione della violenza fisica legittima, il cui monopolio per Weber costituisce il tratto essenziale di ogni Stato10; nel processo di nascita di uno Stato questo reclama il monopolio del diritto penale come espressione della sua sovranità11.

7 Cfr. A. Padoa - Schioppa, Storia del diritto in Europa: dal medioevo all’età

contemporanea, Il Mulino, Milano, 2007, p. 296 ss.

8 Cfr. F. Basile, Il diritto penale nelle società multiculturali: i reati culturalmente

motivati, in Ragion Pratica n.1/2013, rivista online., p. 17.

9 C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, a cura di F. Venturi, Torino, Einaudi, 2007,

cap. XLVII.

10 In argomento, v. M. Weber, Politik als Beruf, Colonia, Anaconda Verlag, 2014,

einleitung, trad. it. a cura di C. Donolo, La politica come professione, Anabasi, Milano,1994, introduzione.

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Si deve osservare, d’altra parte, che, soprattutto sul finire del diciottesimo secolo, in Europa si è andata formando una cultura giuridica comune12.

Tuttavia tale comunanza non portò mai all’adozione di codici penali unitari capaci di introdurre soluzioni comuni in tutti i Paesi di applicazione, bensì “un’intensissima circolazione di idee e tecniche”13, variamente recepite e poi rielaborate a livello locale14.

Fino al ventesimo secolo è rimasta infatti inalterata la concezione del diritto penale come “prodotto tipico locale”, destinato quindi ad essere applicato entro i confini statuali.

Solo a seguito della Seconda Guerra Mondiale si è sviluppato in Europa un fenomeno di progressivo stemperamento dell’originario localismo; si assiste ad un processo di riavvicinamento degli ordinamenti giuridici penali promosso sia dal Consiglio d’Europa15

che dall’Unione Europea16.

Per mezzo del Consiglio d’Europa ci si proponeva di rafforzare i vincoli tra i paesi del vecchio continente al fine di evitare il ripetersi dei tragici conflitti appena superati; si ritemeva infatti che essi fossero scaturiti in primo luogo dal clima di contrapposizione frutto dell’intolleranza reciproca tra gli Stati europei.

In tale ottica, su impulso del Consiglio d'Europa, sono state varate numerose convenzioni in materia penale; esse, oltre a predisporre strumenti giuridici di cooperazione internazionale per contrastare il crimine, sono indirizzate anche ad armonizzare gli ordinamenti penali nazionali su due fronti.

12 Cfr. A. Padoa-Schioppa, op. cit., p. 9.

13 A. Cavanna, La codificazione penale in Italia. Le origini lombarde, Giuffrè,

Milano, 1987, p. 6 ss.

14 Cfr. F. Basile, Immigrazione cit., pp. 84-85.

15 Cfr. M. Delamas Marty, Studi giuridici comparati e internazionalizzazione del

diritto, Giappichelli, Torino, 2004, p. 17.

16 In argomento, v. C. Sotis, Il diritto senza codice. Uno studio sul sistema penale

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Da un lato sono volti a costruire una prospettiva di tutela comune dei diritti fondamentali, dall’altro ad unificare le legislazioni nazionali nella lotta contro fenomeni criminali di rilievo europeo, quali il terrorismo, riciclaggio, la bioetica.

Fra tutte le convenzioni elaborate assume un certo rilievo la Convenzione europea per la tutela dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) firmata a Roma il 4 dicembre 1950.

La convenzione predispone un insieme di principi e di regole che, essendo prevalenti sulle norme penali interne precedenti e successive costituiscono di fatto una lex superior rispetto alle leggi ordinarie degli Stati.

Si realizza così una sorta di “giustizia costituzionale sovrannazionale”17, che si affianca alle forme di controllo previste

dalle costituzioni dei vari Stati; sorge un “diritto comune delle garanzie” cui il diritto penale dei singoli Stati deve conformarsi18.

Questa dimensione “europea” del diritto penale, che nasce con il Consiglio d’Europa, assumerà successivamente profili più netti con l’avvento e l’evoluzione dell’Unione Europa.

La Comunità economica europea – che successivamente si trasformerà in uno dei tre pilastri dell’Unione Europea – sorge infatti per “assicurare mediante un'azione comune il progresso economico e sociale” dei Paesi membri, “eliminando le barriere che dividono l'Europa”19.

Tuttavia, risulta ancora lontano l’obiettivo di armonizzazione dei settori del diritto penale. Questo è probabilmente dovuto all’assenza di competenza diretta delle Istituzioni comunitarie in materia penale20.

17 M. Cappelletti, Giustizia costituzionale soprannazionale, in Rivista di diritto

processuale, vol. XXXIII, n. 1/1978, p. 1 ss.

18 Cfr. A. Bernardi, L'europeizzazione del diritto e della scienza penale,

Giappichelli, Torino, 2004, pp. 8-9.

19 Preambolo del Trattato istitutivo CEE, Roma, 25/03/1957.

20 Cfr. R. Sicurella, Diritto penale e competenze dell’Unione Europea. Linee guida

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Mentre si è riusciti a creare un’unione monetaria e doganale e ad unificare la normativa relativa a tali materie, si assiste ancora oggi ad una difficoltà nel superare l’accentuata frammentazione localistica dei sistemi penali21.

Le notevoli difficoltà riscontrate hanno portato la stessa Corte europea dei Diritti dell’Uomo ad elaborare la dottrina del “margine nazionale di apprezzamento”, creata al fine di “prendere in considerazione le diversità, soprattutto culturali e religiose, che esistono all’interno di una regione peraltro abbastanza omogenea”22.

Nonostante i progressi degli ultimi decenni, il diritto penale continua ad essere un prodotto contrassegnato dal marchio di produzione del Paese di origine. Ancora oggi tra i vari Stati cambia la fisionomia dei reati, così come il relativo catalogo e le pene comminate.

A titolo di esempio del perdurare di tale frammentazione localistica del diritto penale basti pensare alla diversa disciplina riservata dai vari Stati a fatti quali l’eutanasia, i rapporti omosessuali fra adulti consenzienti o l’adulterio.

In proposito si può osservare come il rapporto sessuale consenziente intrattenuto da un maggiorenne con una quindicenne in Italia non costituisca reato; lo stesso fatto costituisce invece reato in Svizzera, dove la soglia minima prevista per il divieto di atti sessuali con minori è maggiore (16 anni anziché 14).

Tale localismo si riscontra altresì a livello di istituti di parte generale, quali la soglia di età per la sussistenza della capacità di intendere e volere, o il trattamento dell’errore d diritto, o ancora del tentativo idoneo23.

di interesse comune, Giuffrè, Milano, 2005, p. 102 ss. La stessa giurisprudenza della

Corte di Giustizia delle Comunità europee nega una competenza diretta: cfr. CGCE sentenza 03/05/2007, causa C-303/05.

21 Cfr. F. Basile, Immigrazione cit., p. 86. 22 M. Delmas Marty, op.cit., p. 17.

23 Cfr. V. Solnar, Difficoltà e prospettive del diritto penale in Europa, in AA.VV.,

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Infine, anche in settori, quale quello del delitto di furto, previsti in tutti gli ordinamenti, emergono differenze: anche laddove si è soliti presupporre una unitarietà di soluzioni normative si può scorgere non solo l’assoggettamento a pene diverse ma anche una configurazione legislativa discorde.

Basti pensare che in Italia il furto viene punito con la reclusione da sei mesi a tre anni congiuntamente ad una pena pecuniaria, mentre in Germania (paese oltretutto affine per tradizione giuridica e per collocazione geografica) con la reclusione da un mese a cinque anni o con la sola pena pecuniaria.

Inoltre, un elemento del fatto tipico quale l’impossessamento è ritenuto punto di riferimento per il diritto penale tedesco.

Nell’esempio appena fatto si nota una differenza che produce non pochi risvolti sul piano pratico.

Se tale discrepanza si osserva su due paesi europei affini per vari aspetti, a livello globale si amplifica inevitabilmente, essendo meno probabile rinvenire legami non solo di natura geografica ma anche di tradizione giuridica e, ancor prima, culturale24.

A tale scopo è opportuno evidenziare la connessione che il carattere del localismo del diritto penale ha con il fenomeno dei reati culturalmente e religiosamente orientati.

Il diritto, e a maggior ragione quello penale, è un prodotto culturale e conseguentemente la definizione stessa di reato è frutto di una scelta di carattere culturale. Il legislatore nel decidere di qualificare una determinata condotta come reato o meno compie una scelta culturale. Essendo il diritto penale, e i suoi contenuti, un prodotto locale, questo risente dei valori, della cultura e del modo di essere del popolo che abita quel territorio: è influenzato dal luogo in cui si origina e in cui poi viene applicato.

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Tuttavia, la società odierna ha visto gradualmente sfumare i confini geografici; le stesse leggi, fondate su un forte localismo, si trovano ad operare in un contesto dominato dal pluralismo soggettivo25.

Il diritto penale si trova a scontrarsi con una realtà che rompe le barriere statuali: diviene oggetto di applicazione in luoghi lontano da quelli di origine. Oggi il diritto penale italiano si trova a regolare situazioni fra soggetti appartenenti a “luoghi” diversi rispetto a quello per cui è stato pensato e creato.

Il contatto con culture e religioni diverse rispetto a quelle autoctone porta il baluardo del localismo del diritto penale a vacillare.

2.2. La “non-neutralità culturale” del diritto penale.

Per “non-neutralità culturale” si intende quella caratteristica per cui il diritto penale può risultare, maggiormente rispetto ad altri settori, un “diritto impregnato di cultura”. Esso subisce l’influenza della cultura diffusa all’interno dello Stato che ha elaborato quel determinato diritto: risente del popolo e degli uomini che lo hanno sviluppato26. Per cultura, in questo caso, si fa riferimento a quella egemone: all’interno di uno Stato possono certamente convivere più culture ma solo una è in grado di imporre le proprie regole fino a farle accettare come “diritto” vigente27. I valori sociali che ottengono protezione

legislativa sono quelli dei gruppi di interesse dominanti; a tal proposito Nino Levi sostiene che a plasmare la legge penale siano le “idee proprie della classe legislatrice; chiamarla dirigente o privilegiata […] è lecito […] ma l’affermare che quanto al diritto penale, vige una specie di democrazia diretta, per la quale la volontà della legge sarebbe

25 Cfr. P. Consorti, I reati cit., pp. 353-365. 26 Cfr. F. Basile, Immigrazione cit., p. 76, p. 89.

27 In argomento, v. K. Mannheim, Ideologie und Utopie, Bonn, 1929, trad. it a cura

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volontà di tutto il popolo, preso nel suo complesso, è assumere come realtà una idealità che non ha mai avuto riscontro nella pratica”28.

Il diritto penale quindi seleziona tra valori e modelli alternativi quelli provenienti da gruppi sociali e culturali che hanno un peso prevalente29.

L’idea di una certa “unità culturale” alla base del diritto penale in Italia affiora già dalla Relazione del Guardasigilli Alfredo Rocco sul codice penale del 193030.

Dopo aver considerato lo Stato come organismo economico-sociale prima e politico e giuridico poi, il Guardasigilli si occupa dello Stato come organismo etico-religioso: “Lo Stato ci appare come la Nazione medesima, in esso organizzata, cioè come un’unità non solo sociale, ma altresì etnica, legata da vincoli di razza, di lingua, di costume, di tradizione storiche, di moralità, di religione, e vivente, quindi, non di puri bisogni materiali o economici, ma anche e sovratutto, di bisogni psicologici o spirituali, siano essi intellettuali o morali o religiosi”31. La società italiana degli anni ’30 era quindi caratterizzata da una sostanziale omogeneità culturale, perdurata negli anni nonostante l’emergere di minoranze religiose (quali gli ebrei) e linguistiche. La loro incisività non è risultata tale da sfaldare una sostanziale unità a livello culturale.

Tale Unità invece è messa maggiormente in crisi dai flussi migratori odierni; la cultura egemone italiana si trova oggi a confrontarsi con culture sensibilmente distanti che introducono un carattere di disomogeneità nel quadro antecedente.

28 N. Levi, Dolo e coscienza dell'illiceità del diritto vigente e nel Progetto, in Studi

economico-giuridici pubblicati a cura della Facoltà di giurisprudenza di Cagliari, Jovene, Cagliari, Anno XVI, 1928, p. 65 e ss.

29 Cfr. A. Baratta, Criminologia critica e critica del diritto penale. Introduzione alla

sociologia giuridico-penale, Il Mulino, Bologna, 1982, p. 73.

30 Cfr. F. Basile, Immigrazione cit., p. 91.

31 Relazione del ministro Guardasigilli al Re per l’approvazione del testo definitivo

del codice penale, in Codice penale, a cura del Ministro della Giustizia e degli Affari

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Come per il localismo, se sussiste una naturale dipendenza del diritto dai costumi e lo spirito dei singoli popoli32, a fortiori, si può individuare uno stretto legame fra cultura e diritto penale.

Lo storico del diritto Ugo Spirito in proposito scrive che il codice penale “è un po’ il codice morale di ogni nazione e vale a caratterizzare la fisionomia spirituale di essa”33; il diritto penale si presenta come la

fotografia della fisionomia della società in un dato momento storico e culturale, rappresentando il “nocciolo duro dell’identità nazionale”34.

Per verificare l’effettiva esistenza di nessi fra cultura - o meglio, un suo determinato settore, quale la morale - e diritto penale sono state formulate tre teorie35.

Una prima teoria afferma la coincidenza delle norme del diritto penale e delle norme morali: è possibile raffigurare graficamente questa situazione con due cerchi concentrici, dei quali il più ampio rappresenta le norme morali e va a racchiudere in sé il più piccolo, raffigurante le norme penali.

Raffigurazione grafica della teoria della coincidenza: il cerchio più ampio rappresenta le norme morali ed include la circonferenza più piccola che riproduce le norme penali.

32 In argomento, v. F. K. V. Savigny, Vom Beruf unserer Zeit für Gesetzgebung und

Rechtswissenschaft, Heidelberg, 1814, trad. it. a cura di Tedeschi, La vocazione del nostro secolo per la legislazione e la giurisprudenza, Forni, Bologna, 1968.

33 U. Spirito, Storia del diritto penale italiano: da Cesare Beccaria ai nostri giorni,

Sansoni, Firenze, 1974, p. 271.

34 A. Bernardi, I tre volti del “diritto penale comunitario”, in Possibilità e limiti di

un diritto penale dell’Unione europea, a cura di L. Picotti, Giuffrè, Milano, 1999, p.

42.

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Il principale sostenitore di questa teoria è Max Ernst Mayer il quale statuisce che “le norme giuridiche coincidono con le norme di civiltà”36; egli ritiene di poter dimostrare questa coincidenza a partire

da una ricostruzione storica dei rapporti fra diritto e cultura.

A suo avviso originariamente le norme giuridiche e le norme culturali non si differenziano, sono indivise; tuttavia quando il popolo si inizia a frammentare in più società, sorgono nuove comunità di interessi, creando nuovi ordinamenti. In questo processo di separazione però, sottolinea Mayer, il diritto non acquisisce nuovi contenuti, bensì una nuova forma.

Nonostante il tentato ancoraggio storico di questa teoria, essa è stata etichettata come arbitraria37 e trova nel suo stesso autore il primo

confutatore.

Egli in primo luogo, asserendo che il diritto deve atteggiarsi nei confronti della cultura non solo come mero recettore ma anche in termini produttivi, finisce per ammettere che possono esistere norme giuridiche che al momento della loro emanazione non coincidono con nessuna preesistente norma culturale.

Inoltre egli stesso sostiene che possono esistere norme che neanche in un momento successivo alla loro emanazione riescono ad inserirsi nel tessuto culturale, in quanto da essa troppo distanti.

Infine ritiene che ci siano di norme giuridiche la cui materia non viene toccata dalle norme culturali, poiché il loro contenuto risulta culturalmente indifferente: si tratta delle norme del diritto penale di polizia38.

Alla luce di tali incongruenze interne la teoria della coincidenza non può essere sostenuta39. Tale impossibilità è dimostrata anche dalla

36 M. E. Mayer, Rechtsnormen und Kulturnormen, Breslau,Schletter, 1903, p. 16,

trad. it. consultata in F. Basile, Immigrazione cit., p. 99 nota 73.

37 Cfr. G. Bettiol, R. Bettiol, Istituzioni di diritto e procedura penale, Padova,

Cedam, 2000, p. 32.

38 Cfr. M. E. Mayer, op. cit., p. 25 e ss. 39 Cfr. F. Basile, Immigrazione cit., p. 107.

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realtà degli ordinamenti vigenti in cui “le proposizioni del costume etc. […] sono proposizioni extra-giuridiche”40, andando al di là di quanto

previsto dal diritto.

Una seconda tesi sostiene invece totale separazione dei due insiemi di norme, ponendosi in una posizione diametralmente opposta alla precedente teoria. In tal caso l’immagine esemplificatrice risulta essere quella di due circonferenze autonome che si toccano solo casualmente in alcuni punti.

Raffigurazione grafica della teoria della separazione: le due circonferenze, raffiguranti le norme penali e le norme morali, si toccano casualmente solo in alcuni punti.

Levi, nel criticare la posizione diametralmente opposta di Mayer, afferma che il rapporto “coscienza popolare” e diritto penale in epoca moderna “si fa sempre più indiretto e meno rigoroso fino a raggiungere un netto distacco”.

Tuttavia nella stessa opera Levi non nega la sussistenza di un legame tra il diritto penale e le correnti culturali: anzi, sottolinea l’importanza della “moralità media del popolo” come “limite all’attività legislativa”.

40 E. V. Beling, Die Lehre vom Verbrechen, Mohr, Tübingen, 1906, p. 33, trad. it.

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Egli ritiene che non si possano imporre norme che si discostino eccessivamente dalla moralità media di coloro che sono tenuti alla loro osservazione; tali norme sarebbero facilmente violate e porrebbero in pericolo l’esistenza dell’aggregato politico41.

Questa teoria, al pari della precedente, finisce per scontrarsi con la realtà degli ordinamenti penali vigenti: essi mostrano innegabili nessi tra norme penali e culturali42.

Un’ultima teoria si colloca in una posizione intermedia rispetto alle precedenti, affermando un rapporto di “reciproca implicazione”43 fra

norme morali e norme penali.

Se da un lato nega che le norme penali ricalchino necessariamente delle norme culturali preesistenti, dall’alto nega anche che esista una sorta di barriera che impedisca il contato fra le due classi di norme. In tal caso la rappresentazione grafica consiste in due cerchi che si intersecano.

Raffigurazione grafica della teoria della reciproca implicazione: le due circonferenze, raffiguranti le norme penali e le norme morali, si intersecano.

41 N. Levi, op. cit., p. 57.

42 Cfr. F. Basile, Immigrazione cit., p. 115. 43 F. Basile, Immigrazione cit., p. 98.

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Pulitanò afferma che “autonomia formale dei sistemi normativi (penale e culturale) non significa […] isolamento del fenomeno giuridico dal contesto in cui e per cui il diritto si è posto”44.

In base a tale tesi si può affermare che esista un collegamento tra i due ordinamenti normativi, anche se in settori limitati; tra questi si può citare a titolo di esempio l’elemento del “comune sentimento del pudore”, a cui ricorre il legislatore nella definizione di atti e oggetti osceni (art. 529, I c.p.).

In questo caso per stabilire se un atto o un oggetto possa ritenersi osceno l’interprete deve far riferimento a quelle norme culturali che delineano il “comune sentimento del pudore”.

Oltre a norme penali, come nell’esempio appena fatto, che impiegano elementi normativi culturali, si possono rinvenire nell’ordinamento penale italiano anche disposizioni “impregnate” di cultura45.

In questo ambito si può prendere come esempio il concetto di “prostituzione” che assume rilievo per varie fattispecie criminose, quali quelle previste dall’articolo 600 e seguenti del codice penale. La dottrina ritiene che si tratti di un “concetto normativo-sociale” che necessita di una “eterointegrazione con il richiamo alle regole etico-sociali o di costume presenti in un determinato contesto storico”46.

Dimostrato che il diritto penale risulta impregnato di cultura, occorre riflettere sul ruolo svolto da tale caratteristica rispetto ai reati culturalmente orientati.

Ai soggetti formatisi nelle loro culture di origine e che immigrano in Italia, le norme culturali qui presenti non possono trasmettere i messaggi percepiti dalla cultura egemone del luogo; conseguentemente la forza della prevenzione generale e speciale insita

44 D. Pulitanò, L'errore di diritto nella teoria del reato, Giuffrè, Milano, 1976, p.

139.

45 Cfr. F. Basile, Immigrazione cit., p. 144 e ss.

46 G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale: parte speciale, vol. II, Zanichelli, Bologna,

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nelle norme penali risultano depotenziate rispetto a chi è estraneo alle norme culturali del paese d’arrivo.

Si può concludere che la “non- neutralità culturale” del diritto penale sia concausa, insieme al suo localismo, dei reati culturalmente e religiosamente orientati. Quantomeno si può affermare che queste due caratteristiche creino condizioni favorevoli alla commissione di tali reati47.

2.3. Il fenomeno della globalizzazione: ricadute nel diritto.

Per globalizzazione si intende “un insieme assai ampio di fenomeni, connessi con la crescita dell’integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del mondo”48.

I processi di globalizzazione, che con la loro struttura “pluritentacolare” tendono a toccare ogni aspetto dell’esperienza umana, interessano anche la sfera del diritto.

Nel settore giuridico le correnti globalizzanti portano alla graduale affermazione dell’esigenza di superamento delle barriere normative nazionali; allo stesso tempo si registra una parallela apertura dei vari ordinamenti statuali verso valori giuridici sopranazionali49.

La globalizzazione sembra determinare il superamento del localismo del diritto penale: si allentano le maglie dello stretto rapporto originario tra diritto e territorio.

Fino agli anni 90 – anni che vedono l’avvento della globalizzazione – il legislatore godeva del monopolio dei poteri normativi su un determinato territorio; il territorio statale costituiva la misura del diritto, oltre che del potere.

47 Cfr. F. Basile, Il diritto penale cit., p. 360.

48 Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti,

Roma, 2008.

49 P. Lillo, Globalizzazione del diritto e fenomeno religioso. Saggi di riflessione,

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Si era così inaugurata una fase di “segmentazione del diritto” in ragione delle varie territorialità: si era interrotta la tendenza universalista del diritto di matrice romanistica50.

Questa coincidenza diritto-territorio non trovava smentita neanche nel diritto internazionale: esso era diretta espressione della volontà statuale a creare impegni all’esterno del proprio territorio.

Con la globalizzazione però si insidia questo equilibrio fondato sulla piena sovranità statuale.

Il diritto come “prodotto locale” non viene meno ma viene sottoposto ad una duplice tensione, interna ed esterna.

Sul versante interno, si assiste ad una penetrazione di istanze e valori di carattere globale all’interno del diritto statuale; questo fa sì che i singoli Stati si prestino al servizio della globalizzazione, dando vita ad un diritto che fa capo ad una ratio globale piuttosto che locale51. Sul fronte esterno invece si ha la nascita di nuove forme di diritto che non sono più prodotti dagli Stati, o almeno non esclusivamente. La maggiore variabilità dei confini territoriali produce tuttavia maggiore incertezza per il diritto, sviluppando difficoltà in merito alla distinzione interno/esterno: se lo Stato “chiuso, con la sua sovranità chiara e tagliente”52 aveva eliminato i chiaroscuri giuridici propri del

medioevo, oggi ci troviamo di fronte una giuridicità fatta di zone grigie53.

50 M. R. Ferrarese, La globalizzazione del diritto: dalla “teologia politica” al diritto

“utile”, in Saggi sulla globalizzazione giuridica e il pluralismo normativo. Estratti

da Il tramonto della modernità giuridica. Un percorso interdisciplinare, a cura di M. Vogliotti, Giappichelli, Torino, 2013, p. 51 ss.

51 Cfr. F. Galgano, La globalizzazione nello specchio del diritto, Il Mulino, Bologna,

2005, p. 87 ss.

52 C. Schmitt, Der Nomos der Erde im Völkerrecht des Jus Publicum Europaeum,

Köln, Greven, 1950, trad. it. a cura di E. Castrucci, Il nomos della terra nel diritto

internazionale dello jus publicum europaeum, Adelphi, Milano, 1991, p. 250.

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Alla luce di questa criticità si pone con urgenza la questione relativa all’atteggiamento degli ordinamenti giuridici verso quei soggetti che superano le frontiere statali e culturali.

Come gli ordinamenti vigenti possono reagire a questa mutata condizione?

Per rispondere a questo interrogativo si può far riferimento a sei diversi modelli54.

In primo luogo si potrebbe considerare lo straniero come un barbaro, così come avveniva nell’antico Oriente; in tale prospettiva lo straniero è colui che deve essere disprezzato a causa dei suoi cattivi costumi. Questo modello, basandosi sull’alterità dello straniero, arriva a negare la pretesa di godere di diritti umani. Si comprende perché tale modello non possa rispondere al nostro interrogativo, mostrando i pericoli insiti nella giustificazione dell’aggressione degli stranieri in nome della loro estraneità alla cultura locale.

Un secondo modello di riposta ci è offerto dall’Antico Testamento, dove si legge: “lo straniero che abita fra voi deve essere visto come chi è nato fra voi”55. Con questo passo del Levitico si introduce il

modello dell’eguale trattamento, in virtù del quale lo straniero non è soggetto ad un diritto particolare, bensì alle stesse leggi del luogo d’arrivo (nel caso specifico, degli ebrei).

Dietro l’apparente assoluta positività di tale risposta si potrebbe però celare un trattamento inumano: lo straniero che si trova sottoposto alle leggi del luogo di arrivo “perde il diritto di coltivare gli usi del suo paese d’origine”56. Con particolare riferimento al diritto penale, lo

straniero, se vuole evitare di rendersi passibile di pena, deve prendere le distanze dai propri usi per sottomettersi a quelli del paese di arrivo.

54 Cfr. O. Höffe, Gibt es ein interkulturelles Strafrecht? Ein philosophischer

Versuch, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 1999, trad. it a cura di S. Dellavalle, Globalizzazione e diritto penale, Edizioni di Comunità, Torino, 2001, p. 15 ss.

55 Levitico, 19:34. 56 O. Höffe, op.cit., p. 19.

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L’eguale trattamento se applicato agli stranieri rischia di trasformarsi in un’ingiustizia: alla popolazione locale è concesso coltivare i propri costumi, mentre sugli stranieri incombe il dovere di sottomettersi a costumi fino a loro sconosciuti.

L’impero romano conobbe tale dilemma giuridico, essendosi configurato come uno stato plurietnico.

In risposta a questa situazione si sviluppò lo jus gentium, che sta alla base di quello che è il terzo possibile modello di risposta: il diritto interculturale.

Lo jus gentium, a differenza del diritto privato autoctono (jus civile), si presentava come una sorta di diritto privato internazionale, applicato anche agli stranieri.

Roma quindi non trattava i peregrini né secondo il diritto romano, né secondo il loro diritto di origine, ricorrendo ad un diritto comune a tutti i popoli; si decise di interpretare gli usi commerciali vigenti sul mercato internazionale come un diritto a validità universale57.

Tuttavia lo jus gentium si limitava a disciplinare le branche del diritto commerciale e del diritto privato, non ricomprendendo anche il diritto penale.

Cercando di colmare tale lacuna, Theodor Mommsen introduce un quarto modello di risposta. Per l’autore “il concetto di crimine, di quello pubblico come di quello privato, non è fondato sul cittadino, ma sull’uomo in quanto tale”58.

Viene così a cadere la differenza fra cittadino e straniero, configurandosi l’essere umano come persona di diritto: non rileva la condizione personale dell’autore di un reato, bensì la sua oggettiva colpevolezza.

In ambito penale, si affianca a questo ultimo modello il federalismo penale.

57 Cfr. O. Höffe, op. cit., pp. 21-23.

58 T. Mommsen, Römisches Strafrecht, Aalen, Scientia Verlag, 1990, pp. 118-119,

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Questo fenomeno arriva a definire alcuni delitti, così che non tutti i crimini sono riconosciuti come tali in tutti i territori. Il “federalismo dei diritti” può avere una duplice interpretazione: o non tutti i crimini hanno una dimensione universale, oppure fra di essi, pur avendo tutti una validità universale, solo alcuni sono così evidenti da essere perseguiti ovunque come tali.

Di conseguenza, per le ipotesi delittuose cui manca questa evidenza è ammesso un margine di tolleranza: nel rispetto della diversità dei costumi si sopportano quelle azioni commesse senza la consapevolezza di violare il diritto59.

Se i primi modelli hanno come minimo comune denominatore il fatto che lo straniero non può appellarsi alla sua diversità e il federalismo giuridico ammette invece che possano esistere particolarità regionali, l’ultimo modello si basa sul vivere in ragione del diritto del proprio paese d’origine.

Questo sesto modello di risposta risulta sicuramente ancora attuale: basti pensare alla Germania, in cui molte questioni relative al diritto di famiglia vengono risolte per gli stranieri lì residenti spesso secondo il diritto del loro paese. In proposito risulta esemplare una sentenza della Sezione penale del Bundesgerichtshof del 7 ottobre del 1994 (2 StR 319/94).

La Corte federale non condannò per omicidio di primo grado (ma soltanto di secondo grado) l’imputato originario dell’Anatolia orientale per il reato di omicidio a seguito delle pressioni familiari affinché fosse ristabilito l’onore. Pur sottolineando che il “criterio per la valutazione del motivo di un crimine va tratto dalle idee proprie della comunità giuridica della Repubblica Federale tedesca”, concede in via eccezionale che venga comminata una condanna solo di secondo

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grado per un omicidio per vendetta di sangue, consueto nel territorio di origine dell’imputato60.

A conclusione dell’analisi di questi sei modelli di risposta si può ribadire la difficile posizione degli ordinamenti giuridici moderni. Questi si trovano ad affrontare situazioni nuove introdotte dal fenomeno della globalizzazione, senza poter più contare sul baluardo del localismo del diritto, abbattuto dall’emergere di valori giuridici sovranazionali.

2.4. Il glocalismo: un ponte fra i due poli.

Localismo e globalizzazione appaiono ad una prima lettura in contrasto.

La globalizzazione introducendo concetti e valori che vanno oltre i rigidi confini statuali mette in crisi il dogma del localismo del diritto penale, in origine saldamente ancorato ai confini geografici dello Stato.

Questo apparente contrasto nasce dalla “tendenza a vedere il locale e l’universale in opposizione meccanica”, come se le varie culture locali e i relativi valori si fossero sviluppate come rette fra di loro parallele, destinate a non incontrarsi mai.

Le culture si presentano come un fiume che scorre senza soluzione di continuità, formandosi non solo tramite contraddizioni interne ad una data società ma anche attraverso il contatto con altre società.

Questo continuo confronto e scambio con l’esterno fa sì che il sapere locale non sia isolato dai confini geografici ma in continua apertura con impulsi altri61.

60 Bundesgerichtshof (BGH), 07/10/1994, 2 StR 319/94.

61 Cfr. W.T. Ngũugĩ, Moving the centre. The Struggle for cultural freedom, James

Currey, Oxford, 1993, trad. it. a cura di C. Nocentelli Truett, Spostare il centro del

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Dal lato opposto si deve notare come “globalizzazione non significa unificazione culturale”62.

Con la globalizzazione non si assiste ad una “cultura globale” bensì all’intrecciarsi di una pluralità di culture, dal quale si possono produrre svariate combinazioni.

Robertson sottolinea che locale e globale non sono antitetici e incompatibili bensì si richiamano a vicenda63. Se da un lato il particolare è contenuto nell’universale, dall’altro l’universale è compreso nel particolare64.

L’integrazione propria della globalizzazione e la frammentazione propria del localismo in realtà possono essere viste come processi reciprocamente complementari, o meglio, due lati dello stesso processo: la glocalizzazione.

Con il termine glocalizzazione si indica una “dinamica tipica della globalizzazione, che muove verso la reciproca contaminazione di tratti locali e globali”65; si assiste alla contemporanea presenza di elementi

locali che assumono sfumature di carattere globale e di elementi di natura globale che assumono una rilevanza di tipo glocale.

La polarità globale-locale porta con sé i caratteri essenziali della contaminazione e del compromesso: con il glocalismo si contrassegnano entrambi i poli non come universi separati caratterizzati da propri criteri. Si tratta invece di due realtà reciprocamente inclusive.

62 Cfr. B. Zygmunt, On glocalization: Or globalization for Some, Localization for

Some Others, in Thesis Eleven, n. 54/98, trad. it. a cura di E. Coccia, Sulla glocalizzazione: o globalizzazione per alcuni, localizzazione per altri, in B.

Zygmunt, Globalizzazione e glocalizzazione, Armando, Roma, 2005, pp. 342-343.

63 In argomento, v. R. Robertson, Globalization: social theory and global culture,

1992, trad. it. a cura di A. De Leonibus, Globalizzazione: teoria sociale e cultura

globale, Asterios, Trieste, 1999.

64 Cfr. W.T. Ngũugĩ, op. cit., p. 69.

65 M. R. Ferrarese, La “glocalizzazione” del diritto: una trama di cambiamenti

giuridici, in (a cura di) C. Amato, G. Ponzanelli Global law v. local law. Problemi della globalizzazione giuridica. XVII Colloquio biennale Associazione Italiana di Diritto comparato, Brescia, 12-14 maggio 2005, Giappichelli, Torino, 2006, p. 19.

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Questa interdipendenza propria del glocalismo si riflette anche nel campo del diritto, dove si assiste ad ibridazioni e combinazioni imprevedibili del diritto “tradizionale”.

In ambito giuridico il glocalismo si sta manifestando su due piani, diversi ma interconnessi.

Da un lato si sta attuando un’importante rinascita di spinte localistiche come dimostrato non solo dalle riforme in direzione federale ma soprattutto dal crescente ricorso ad usi e tradizioni in ambito privatistico66.

Su un altro piano è invece da registrare una spinta opposta ad abbondonare la frontiera della territorialità.

Questa tendenza all’ultraterritorialità si esprime innanzitutto tramite la dimensione sovranazionale che, nell’enucleare dei propri standard, aspira a renderli globali; a tal proposito si può far riferimento al diritto europeo.

Questo, da un lato, mira ad affermare la propria specificità, ma allo stesso tempo, dall’altro lato, cerca di creare standard sempre più ampi e generali.

Espressione di ciò è la cd. “costituzione europea” che appare in tensione fra globale e locale: alla volontà di assumere una valenza globale si affianca l’esigenza di rispondere ad un proprio codice locale67.

L’ultraterritorialità si manifesta anche attraverso la misura giuridica transnazionale, che rappresenta l’espressione più vicina ad un diritto propriamente globale.

Essa, essendo una creazione sostanzialmente privata, prescinde dalla logica dei confini; allo stesso tempo però nel richiedere una ricezione locale può ricevere contaminazioni di tipo localistico.

66 Cfr. F. Galgano, op. cit., p. 59 ss.

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A titolo di esempio si possono citare i vari contratti atipici della lex

mercatoria che richiedono una qualche forma di riconoscimento da

parte dei paesi che di volta in volta vi fanno ricorso. Questo perché “l’accordo su alcuni fondamentali principi comuni è indispensabile proprio come condizione del dialogo (fra i vari paesi)”68.

Si può affermare che la tensione globale-locale promuove un andamento giuridico dinamico, che prende le distanze dalla staticità tradizionale del diritto locale.

Il glocalismo si presenta come un ponte capace di collegare due fenomeni posti a due diverse estremità: la globalizzazione e il localismo proprio del diritto, a maggior ragione di quello penale. Con l’immagine di un nido d’ape Ferrarese riesce a disegnare quello che è il ruolo del glocalismo. Il diritto odierno, per l’autrice è il prodotto di un’instancabile ape, che si nutre di elementi diversi e vie di vari contatti. Il diritto cessa quindi di somigliare alla tela di un ragno, alla quale egli si radica staticamente come il diritto fa con il territorio, per muoversi incessantemente alla ricerca di nuove contaminazioni69.

La tendenza alla globalizzazione e il localismo del diritto non si pongono in un rapporto di inconciliabile contraddizione. Sono destinati ad intersecarsi costantemente, creando connessioni reciproche.

Questa prospettiva potrebbe qualificarsi come interculturale, lasciando lo spazio ad un possibile dialogo fra culture. Potrebbe aversi nel diritto, e in particolare in ambito penale, un’apertura sempre maggiore delle norme locali alle voci provenienti da culture esterne ai confini dello Stato.

Allo stesso tempo si potrebbe configurare un fenomeno uguale e contrario: le contaminazioni fra globale e locale potrebbero estendersi

68 S. Rodotà, Quale diritto per il nuovo mondo, in Glocal, a cura di F. Sedda, L.

Sossella, Roma, 2004, p. 114.

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al punto di portare ad una conoscenza globale di determinati valori, ancorché non propriamente radicati nella propria cultura e nel proprio diritto d’origine.

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