• Non ci sono risultati.

Capitolo 4 – MOPSA THE FAIRY DI JEAN INGELOW 4.1 Jean Ingelow

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo 4 – MOPSA THE FAIRY DI JEAN INGELOW 4.1 Jean Ingelow"

Copied!
27
0
0

Testo completo

(1)

Capitolo 4 – MOPSA THE FAIRY DI JEAN INGELOW

4.1 Jean Ingelow

Poetessa acclamata durante il diciannovesimo secolo sia in Inghilterra che negli Stati Uniti, Jean Ingelow, la maggiore di dieci figli, nacque nel 1820 a Boston nel Lincolnshire e fu educata a casa dalla madre scozzese e da una zia. In seguito al fallimento degli affari del padre banchiere, la famiglia si trasferì a Ipswich e poi a Londra. Già da ragazzina, Ingelow contribuì a giornali con poesie e racconti sotto lo pseudonimo di Orris, ma la sua prima raccolta, A Rhyming Chronicle of

Incidents and Feelings, fu pubblicata anonima nel 1850, quando lei aveva già

trent’anni; sebbene non avesse riscosso molto successo di pubblico, fu apprezzata da Tennyson, che la giudicò promettente. L’anno successivo pubblicò un romanzo di tema religioso, Allerton and Dreux; or, the War of Opinion; poi, dal 1852, contribuì regolarmente allo Youth Magazine, che diresse per un breve periodo. Nel 1860 diventò membro della Portfolio Society, un gruppo di discussione in cui le donne potevano scambiarsi e presentare le proprie opere poetiche e dipinti; nello stesso anno uscì la raccolta di racconti moraleggianti per bambini Tales of

Orris, corredata dalle illustrazioni di John Everett Millais, ma la consacrazione

come poetessa arrivò con Poems del 1863, che riscosse il consenso di Tennyson e Ruskin, così come negli Stati Uniti, e le valse trenta ristampe. Nel 1864 cominciò a dedicarsi anche alla prosa, in particolare a quella per bambini, e pubblicò Studies

for Stories, anch’esse illustrate da Millais, e l’anno successivo Stories Told to a Child, ampliando una precedente raccolta di racconti didattici. Nel 1867 uscì la

sua seconda raccolta di poesie, A Story of Doom and Other Poems, in cui la principale composizione, nonché la più lunga, narra la storia biblica di Noè in

blank verse. Dopo essersi trasferita a Kensington, tornò a dedicarsi alla letteratura

per bambini con A Sister's Bye-Hours del 1868 e, soprattutto, con l’acclamata fiaba Mopsa the Fairy del 1869. Tre anni dopo, pubblicò il romanzo Off the

(2)

popolari, soprattutto in America, ma non raggiunsero i livelli dei due romanzi successivi, Sarah de Berenger, del 1879, e Don John, del 1881. Nel 1886 Ingelow pubblicò John Jerome, ma dopo la morte dell’amato fratello nello stesso anno, smise di scrivere, continuando comunque a pubblicare vecchi manoscritti fino all’anno della sua morte, avvenuta nel 1897.120

4.2 Mopsa the Fairy: romanzo fantasy

Quando, nel 1869, Jean Ingelow pubblicò Mopsa the Fairy, lei era già una poetessa acclamata, apprezzata dalla critica e da illustri colleghi. Non fu solo l’amico Tennyson a riconoscerle dei meriti, ma anche Christina Rossetti che, nella recensione de Poems, la definì “a formidable rival to most men, and to any woman.”121 Alcuni intellettuali americani presentarono una richiesta alla regina Vittoria affinché Ingelow fosse eletta primo poeta laureato donna in Inghilterra ma, molto probabilmente con grande sollievo della riservata scrittrice, la richiesta non venne accolta.

Le sue opere sono caratterizzate da una continua ricerca di una sorta di paradiso perduto, che la scrittrice identificava con ritratti idilliaci di paesaggi naturali; il raggiungimento di un mondo ideale, auspicato nelle sue storie, si poneva in forte contrasto alle immagini corrotte del mondo reale del suo tempo, che ella non mancò di criticare fortemente anche nella sua produzione per l’infanzia.

Mopsa the Fairy racconta il viaggio di un bambino, Jack, attraverso un buco,

che scopre in un tronco d’albero; qui Jack trova un nido di fate che lo spingono a chiamare un albatros, Jenny, che lo porta nel Paese delle Fate. Giunto qui, Jack bacia una delle fate trovate nel tronco d’albero, Mopsa, dando inizio alla crescita della piccola creatura e portandola a diventare la regina delle fate. Jack, attraverso

120 Si veda Some Recollections of Jean Ingelow and Her Early Friends, London, Wells, Gardner, Darton, and Co., 1901.

121 L.M. PACKER (ed.), The Rossetti Macmillan Letters, London, Cambridge Universiy Press, 1963, p. 19.

(3)

incredibili avventure, esplora varie regioni del Paese delle Fate, porta in salvo la regina regnante e accompagna Mopsa nel suo futuro regno. Mopsa diventa regina ma Jack, rimpiazzato da un clone, viene esiliato e costretto a tornare a casa dove dimentica tutto ciò che ha vissuto nel Paese delle Fate.

Solo quattro anni prima, Lewis Carroll aveva dato alla luce Alice’s

Adventures in Wonderland e non furono, e tuttora non sono, pochi i critici a

considerare Mopsa the Fairy una mera imitazione del capolavoro di Carroll. Effettivamente è innegabile la presenza di espedienti simili nei due romanzi, tuttavia, ad una lettura più approfondita, definire l’opera di Jean Ingelow un tentativo di emulare quella di Carroll è superficiale poiché sono molte le divergenze, i ribaltamenti e gli spunti di riflessione alternativi, rispetto alle vicende di Alice, che questo romanzo fantasy fa emergere.

4.2.1 L’ingresso nella Fairyland

Come da copione carrolliano, la fiaba inizia entro la cornice di una merenda su un prato che viene interrotta quando Jack ode un curioso rumore proveniente da un tronco di biancospino. Rispetto al testo di Carroll, però, la dipartita di Jack verso il Paese delle Fate è molto diversa da quella di Alice; laddove questa, cadendo nel buco, comincia subito a vedere un mondo senza senso in cui le leggi fisiche non esistono, il mezzo attraverso cui Jack entra nel mondo fatato è, sì, il tronco d’albero,122 ma il viaggio, pur ai limiti del reale, avviene in groppa di un albatros ragionevolmente richiamato da un fischio. In questo contesto, quindi, non stupisce molto il fatto che Jack non sia molto sorpreso di trovarsi catapultato in questa singolare avventura.

Mopsa the Fairy appartiene al mondo del fantasy, attingendo quindi

liberamente a elementi sovrannaturali, tuttavia il romanzo di Ingelow fin dalle primissime righe pone l’attenzione su una dicotomia che si riproporrà per tutto il

122

Si noti l’eco dell’opera di Carroll: mentre Alice scende nelle profondità di un buco nel terreno alla ricerca del coniglio bianco, Jack sale fino a uscire dal tronco d’albero grazie a un albatros femmina.

(4)

prosieguo della storia: quello tra mondo reale e mondo fantastico. Il primo capitolo, come quasi tutti gli altri quindici, si apre con una poesia, in questo caso di Ingelow stessa:

“And can this be my own world? ’Tis all gold and snow, Save where scarlet waves are hurled

Down yon gulf below.” “’Tis thy world, ’tis my world,

City, mead, and shore, For he that hath his own world

Hath many worlds more.”123

Qui troviamo una sorta di dialogo riguardo al mondo della fantasia in cui il primo interlocutore si domanda come esso sembri diverso da quello vero, mentre il secondo lo rassicura dicendogli che il mondo nuovo non deve sembrargli tanto sconosciuto. In questo modo l’autrice invita anche il proprio pubblico a riconoscere lo strano come parte delle proprie esperienze, unificando il fantastico e il reale come parti coesistenti di uno stesso mondo.

Non appena scoperto il nido di fate, Jack si adopera come loro nutrice, accogliendole nella tasca del suo gilet e preoccupandosi di farle mangiare. Già dal primo capitolo, emerge un dettaglio, all’apparenza di poca importanza, che arricchisce la caratterizzazione di questo personaggio; una delle piccole fate trovate nel nido di cui ancora non si conosce il nome, allo stupore di Jack di fronte alla crescita del grembiulino che indossa, afferma: “Don’t argue with me; I am older now than you are,− nearly grown up, in fact”124 e, incurante, “Jack laughed, put her in, and pulled out another.”125 La fata in questione, Mopsa, cresce infatti a vista d’occhio nel giro di pochi minuti e Jack, pur accorgendosene, non presta molta attenzione alla spiegazione datagli.

Sempre in questa parte iniziale, si può notare un riferimento intertestuale molto rilevante; nel secondo capitolo, dal titolo emblematico di “Captain Jack”, il

123

J. INGELOW, Mopsa the Fairy, Boston, Little, Brown, and Company, 1919, p. 1. 124 Ibidem, p. 7.

(5)

ragazzino arrivato nel Paese delle Fate grazie a un albatros di nome Jenny, nota che il mare è pieno di navi appartenenti all’Armata Spagnola e ai romani con “all their sails set, but they cannot sail because there is no wind.”126 Jenny ci tiene a precisare che il fatto che non ci sia vento è una punizione per le cattive azioni compiute dai marinai. Ebbene non ci vuole molto a ricondurre questa situazione alla punizione subita dai marinai dopo aver ucciso l’albatros in The Rime of the

Ancient Mariner di S.T. Coleridge.

Di lì a poco, l’attenzione si sposta nuovamente sulla scarsa attenzione che Jack presta non solo agli avvertimenti di Jenny, ma alle informazioni che gli vengono trasmesse in generale. L’albatros si raccomanda più volte su come fare perché lei possa tornare da Jack in caso di bisogno, ma più volte viene ribadito che Jack “was not attending;”127 allo stesso modo Jenny informa Jack sul da farsi nel caso fosse affamato, ma gli raccomanda di mangiare con moderazione altrimenti potrebbe pentirsene, cosa che succede proprio poco dopo. Jack si configura quindi come un ragazzino di scarsa attenzione nei confronti delle raccomandazioni e dei racconti che gli vengono rivolti e questa sarà una caratteristica che si riproporrà anche nel prosieguo della trama.

4.2.2 L’attacco all’Inghilterra vittoriana: scenari di un mondo mercificato

Il terzo capitolo offre un ritratto satirico e a tratti inquietante dell’utilitarismo ottocentesco: Jack, dopo aver viaggiato per un po’ lungo il fiume delle meraviglie, decide di fermarsi pensando di essere giunto nel Paese delle Fate, ma si rende presto conto che quello non è altro che un paese confinante. Qui prima incontra delle lavandaie al fiume, la cui occupazione primaria è prendersi cura e rimettere in salute dei poveri cavalli che, in vita, la vita del mondo reale da cui proviene Jack, sono stati sfruttati e maltrattati dagli uomini. Contrariamente a quanto accade nel mondo reale, in questo universo fantastico in cui il passare del tempo

126 Ibidem, p. 15. 127 Ibidem, p. 17.

(6)

sembra avere un effetto benefico, ma dove comunque c’è chi viene sfruttato per il bene di qualcun altro, sono i cavalli a dare gli ordini alle persone; inoltre Jack scopre che esse non sono esseri umani ma creature meccaniche che devono essere ricaricate ogni giorno dalla loro regina.

“What is that woman doing?” said he to Faxa, who was standing close to him.

“Winding us up, to be sure,” answered Faxa. “You don't suppose, surely, that we can go forever?” “Extraordinary!” said Jack.

“Then are you wound up every evening, like watches?”

“Unless we have misbehaved ourselves,” she answered; “and then she lets us run down.”128

In questo universo parallelo, quindi, i corpi incarnano letteralmente il tempo e allo stesso tempo l’incapacità di poterlo gestire da soli. Oltre alla evidente critica della società industrializzata che svilisce il valore delle persone riconducendole a cifre e quindi a denaro, tuttavia si può estrapolare anche un discorso sul ruolo delle donne nella società vittoriana. Le donne erano destinate a una vita di moglie e madre; la società industrializzata offriva loro un’alternativa nelle fabbriche ma a caro prezzo. Il comune denominatore era che, comunque sia, esse erano fatte per lavorare per gli altri. Scoprire che qui esse sono delle vere e proprie macchine costrette al lavoro continuato spaventa Jack al punto da farlo fuggire all’istante da quella terra; questa reazione è spia di un’ansia verso il mondo industrializzato che trasforma in automi sfruttati non solo gli uomini più poveri, ma soprattutto le donne e i bambini.129

Un’ambientazione del tutto diversa accoglie il capitolo successivo, che comunque porta avanti questo discorso: Jack stavolta arriva in un paese in cui è allestito una specie di mercato zingaro. Qui, tra tende e carretti, la pratica vigente è quella del baratto e i prodotti sono frutto del lavoro artigianale di uomini e donne in un contesto precedente alla Rivoluzione industriale. Nel momento in cui

128

Ibidem, p. 38-39.

129 Cfr. J. CADWALLADER, “Political Economy and Women’s Work in Jean Ingelow’s Mopsa

(7)

Jack tenta di entrare a far parte di questo sistema economico cercando di comprare del pan di zenzero con una moneta, egli riceve un rifiuto dalla donna della bancarella:

The little woman put her hands behind her, “I do not like it,” she said; “it’s dirty; at least, it’s not new.”

“No, it’s not new,” said Jack, a good deal surprised, “but it is a good sixpence.”

“The bees don’t like it,” continued the little woman. “They like things to be neat and new, and that sixpence is bent.”130

La risposta di Jack è quella che avrebbe dato il tipico uomo borghese, ma i venditori di questo paese operano fuori dal sistema economico inglese del tempo e, fuori da quel contesto, la risposta che definisce la moneta “sporca” e “piegata” è effettivamente e ragionevolmente plausibile. Con la sua reazione la donna rifiuta l’intero sistema che utilizza un mezzo di scambio che non ha un effettivo valore materiale e che però viene visto in maniera quasi feticista nella società capitalista e definito good da Jack.

Tuttavia, nonostante il rifiuto di questo tipo di merce di scambio, il baratto riesce ad aver luogo poiché Jack dà alla donna un fischietto che le sarà utile per richiamare le api. Ingelow crea così un sistema di scambio sano in cui, al posto dell’accumulo di capitale a spese della classe operaia, i proventi dello scambio di beni vengono reinvestiti a beneficio di chi lavora, in questo caso le api, e quindi la classe operaia e quella capitalista coesistono in armonia.131

Un altro attacco alla società industrializzata si ritroverà nel tredicesimo capitolo, dove viene raccontata la storia degli abitanti di un paese della Fairyland. Essi sono di pietra e tornano esseri umani solo per due ore al giorno, come punizione per il comportamento freddo e crudele che hanno avuto in passato. Per colpa loro, questa terra è andata in malora e l’incuria l’ha resa sterile e improduttiva. Anche in questo caso Ingelow non perde occasione di fare un

130 J. INGELOW, op. cit., p. 53.

(8)

richiamo alla società inglese utilitarista, così come aveva fatto nel ritrarre il popolo che doveva farsi ricaricare l’ingranaggio per poter vivere.

Nel quinto capitolo prosegue la vicenda del pappagallo imprigionato in gabbia da una zingara e ciò avvisa Jack del pericolo di farsi ipnotizzare dal fascino particolare della donna che lo ha reso prigioniero; quando Jack la vede, ella tiene un bambino in braccio ed è anch’essa intenta alla vendita dei suoi prodotti. L’immagine è intensificata dal fatto che la zingara canta una canzone (che sembra riprendere The Goblin Market di Rossetti) e soprattutto dalla reazione che provoca in Jack:

He felt as if there were some cobwebs before his face and he put up his hand as if to clear them away. There were no real cobwebs, of course; and yet again he felt as if they floated from the gipsy-woman to him, like gossamer threads, and attracted him towards her. So he gazed at her, and she at him, till Jack began to forget how the parrot had warned him. He saw her baby too, and wondered whether it was heavy for her to carry and wished he could help her.132

Non appena udito il canto, Jack rimane come ipnotizzato e anche stavolta non tiene conto degli avvertimenti ricevuti. Viene anche posta l’attenzione sul fatto che Jack rimane colpito dal bambino che lei tiene in braccio; analogamente a quanto avviene nel primo capitolo in cui Jack sente il dovere di proteggere e accudire le piccole fate, anche qui egli desidera assumere il ruolo maschile di protettore. Tuttavia qui l’immagine si rivela falsa poiché il bambino è finto: “[…] all the people saw that it was not a real baby at all, but a bundle of clothes, and its head was a turnip.”133 La zingara ha manipolato il potere dell’immagine di una madre e un figlio per profitto, e la debolezza non sta in lei bensì in chi la osserva e come una mosca nella ragnatela di un ragno ne rimane intrappolato. Nel romanzo, la zingara attira molti acquirenti grazie al bambino che tiene in braccio e, da abile

businesswoman, sfrutta questo espediente senza ritegno. Secondo la lettura della

132 J. INGELOW, op. cit., p. 62. 133 Ibidem, p. 66.

(9)

Cadwallader,134 questo episodio serve a rafforzare l’atteggiamento critico di Ingelow, condannando una società che tratta le donne come se esse non avessero un’identità economica e che, rifiutandosi di riconoscere le donne potenti sotto le mentite spoglie di donne deboli, fa del male alla società stessa.

Il sesto capitolo vede l’arrivo di Jack in un altro paese apparentemente disabitato, dove incontra una vecchia schiava che, dopo avergli rubato le calze, lo supplica di comprarla dal momento che il suo padrone la tratta male. Dopo averla acquistata con la sua moneta più preziosa, la prima cosa che Jack vuol fare per lei è comprarle degli abiti nuovi, così le consegna uno scellino; Jack sembra così adempiere al dovere maschile di provvedere economicamente al benessere della donna, realizzando la dicotomia perfettamente vittoriana del marito che guadagna e la moglie che spende.

Questa generosità viene a mancare quando la schiava torna da Jack senza aver comprato abiti nuovi, bensì un pezzo di nastro e un pettine. Ciò naturalmente suscita l’irritazione di Jack, che ha visto sprecare i suoi soldi in due oggetti apparentemente inutili: “What do you mean by being so silly? I can’t scold you properly, because I don’t know what name to call you by, and I don’t like to say ‘slave’ because that sounds so rude. Why, this bit of ribbon is such a little bit that it’s of no use at all. It’s not large enough even to make one mitten of.”135 Jack le si rivolge come farebbe una mamma verso un figlio, quando invece la schiava potrebbe essere sua nonna. Questo diritto gli viene dato dal potere del denaro e, come un marito ben a conoscenza della vita pubblica, lui rivendica questo potere verso la schiava che, come una moglie che della vita conosce solo la parte domestica, ignora il valore dei soldi.

Tutta la sicurezza di Jack viene però messa in ridicolo immediatamente dopo, quando la schiava tirando il nastro di stoffa ne fa un meraviglioso abito e, infilandosi il pettine tra i capelli, si trasforma in una splendida fata. Così facendo, la schiava rivendica la consapevolezza dei suoi acquisti e della sfera economica in

134 Cfr. J. CADWALLADER, op. cit., p. 462. 135 J. INGELOW, op. cit., p. 97.

(10)

generale, ma la sua metamorfosi, che avviene attraverso il denaro di Jack, ne segna anche la mercificazione.

4.2.3 Il potere delle parole tra immaginazione e fascinazione

La scena della trasformazione della schiava in fata segna l’inizio della seconda parte della storia, in cui Jack esce dal mondo economico tradizionalmente maschile del mercato (anche se come abbiamo visto qui sono anche i personaggi femminili ad assumere il ruolo di affariste), per entrare in un mondo prettamente femminile.

Siamo di fronte a uno dei momenti chiave del romanzo: in seguito alla trasformazione della schiava, le tre fate che Jack ha in tasca, e che sono rimaste dormienti pressappoco per tutta la storia, saltano fuori; Jovinian e Roxaletta le si rivolgono subito con grande rispetto, mentre Mopsa rifugiatasi sulle ginocchia di Jack, arrossisce, tanto da attirare la curiosità della schiava:

“These are fairies,” said Jack’s slave; “but what are you?”

“Jack kissed me,” said the little thing; “and I want to sit on his knee.” “Yes,” said Jack; “I took them out, and laid them in a row, to see that they were safe, and this one I kissed, because she looked such a little dear.” “Was she not like the others, then?” asked the slave.

“Yes,” said Jack; “but I liked her the best; she was my favourite.”136

La preferenza di Jack per Mopsa sembra del tutto arbitraria dal momento che, quando Jack aveva scoperto le fate nel nido, esse erano tutte della stessa età e dello stesso aspetto. A questo punto, però, vengono aggiunti ulteriori dettagli riguardo al cambiamento di queste fate:

136 Ibidem, pp. 99-100.

(11)

Now, the instant these three fairies sprang out of Jack’s pockets, they got very much larger; in fact, they became fully grown,–that is to say, they measured exactly one foot one inch in height, which, as most people know, is exactly the proper height for fairies of that tribe. The two who had sprung our first were very beautifully dressed. One had a green velvet coat, and a sword, the hilt of which was incrusted with diamonds. The second had a white spangled robe, and the loveliest rubies and emeralds round her neck and in her hair; but the third, the one who sat on Jack’s knee, had a white frock and a blue sash on. She had soft, fat arms, and a face just like that of a sweet little child.

When Jack’s slave saw this, she took the little creature on her knee, and said to her, “How comes it that you are not like your companions?”

And she answered, in a pretty lisping voice. “It’s because Jack kissed me.”137

Essere la preferita di Jack sembra costituire per Mopsa una causa di ritardo nello sviluppo rispetto ai suoi simili e l’affetto che egli prova per lei, invece di liberarla, la inibisce tanto che lei stessa non riesce a dare che questa spiegazione alla sua diversità. È curioso che, subito dopo questo scambio di battute, Jack non torni a rivolgersi alla schiava per sapere di più sulla sua identità e sul perché della trasformazione ma: “he curled himself up in the bottom of the boat with his own little favorite, and taught her how to play at cat’s-cradle.”138 È la stessa schiava a far presente a Jack che è da un bel po’ che non le rivolge la parola e così Jack coglie l’occasione per dirle che “I don’t like to have a slave, […] and as you are so clever, don’t you think you can find out how to be free again?”139

Il rapporto che lega Jack alla schiava è molto diverso da quello che ha con Mopsa. Mentre ci tiene a mantenere il possesso di quest’ultima, Jack vuole liberarsi della schiava perché il rapporto che intrattiene con lei lo mette a disagio soprattutto adesso che la donna si è resa superiore a lui. Jack in qualche modo percepisce il declino della sua supremazia; la schiava è un’intrusa sulla barca che richiede da subito il rispetto dei suoi passeggeri, basti pensare alla riverenza di Roxaletta e Jovinian nei suoi confronti. Abbiamo già detto che Jack non teme il loro allontanamento, ma ha paura che anche la piccola Mopsa segua le loro orme. Oltretutto, la schiava ha raggiunto questa superiorità non solo grazie al suo denaro

137

Ibidem, pp. 100-101. 138 Ibidem, pp. 101-102. 139 Ibidem, p. 102.

(12)

ma proprio grazie agli acquisti che Jack aveva così aspramente criticato, perciò il senso di sconfitta di Jack è doppio. La schiava gli dice che anche lei desidera fortemente essere libera ma per far ciò, dal momento che Jack aveva speso la moneta più preziosa che aveva per comprarla, “I can be free if you can think of anything that you really like better than that half-crown, and if I can give it to you.”140 Jack, all’inizio, non riesce a pensare a qualcos’altro che desideri di più se non risalire il fiume per raggiungere il Paese delle Fate e avere Mopsa per sé, ma la schiava lo rassicura dicendogli che quelle sono cose che ha già e lo sprona a concentrarsi perché, finché non sarà libera, lei non potrà entrare nel Paese delle Fate. La schiava, quindi, è allo stesso tempo superiore e dipendente da un ragazzino di scarsa immaginazione, che non riesce a pensare a qualcosa in grado di renderli indipendenti l’uno dall’altra. Knoepflmacher interpreta questo passo come sintomo dell’imbarazzo di Ingelow in quanto scrittrice di talento attiva in un campo che era dominato da uomini, benché il territorio dell’immaginazione fosse femminile.141 Alla fine Jack, come a voler acquisire un po’ del suo potere e avvicinarsi al suo livello, chiede alla schiava un pezzetto della stoffa magica che ha comprato e che l’ha trasformata; in questo gesto, però, c’è anche il riconoscimento da parte di Jack della capacità creativa della donna. Knoepflmacher, anche in questo passo, vede il pezzo di stoffa come l’esemplificazione dell’immaginazione e della fantasia femminile di cui volevano appropriarsi gli scrittori, in particolare Lewis Carroll e George MacDonald, “fellow appropriators of that ‘esemplastic’ imagination that Wordsworth and Coleridge had gendered as feminine yet also equated with male desire.”142 La schiava tra l’altro non manca di dare una raccomandazione a Jack sul come usarla: “‘Now mind,’ she said, ‘I advise you never to stretch this unless you want to make some particular thing of it, for then it will only stretch to the right size; but if you merely begin to pull it for your own amusement, it will go on stretching and

140 Idem.

141

U.C. KNOEPFLMACHER, Ventures into Childland. Victorians, Fairy Tales, and Femininity, cit., p. 286.

(13)

stretching, and I don't know where it will stop.’”143 Questo avvertimento sembra rivelare la titubanza di Ingelow verso un uso esagerato dell’immaginazione, volto alla deformazione, che Carroll, ad esempio, destina alla sua Alice;144 allo stesso modo, la schiava teme che Jack possa fare un cattivo uso della stoffa magica destinandola al semplice divertimento.

Nel capitolo seguente si scopre la storia della ormai libera schiava; essa si rivela la regina delle fate che, allontanatasi dal suo popolo perché insoddisfatta, aveva deciso di vedere il mondo, ma era stata fatta accidentalmente prigioniera da un popolo con le gambe di legno. Jack si chiede come saranno preoccupati i suoi sudditi, ma la regina sostiene che loro non si sono accorti di nulla, e che dormiranno fin quando lei non tornerà a casa. Dopodiché, “she began to tell Jack a wonderful story, which he liked very much to hear, but every fresh thing she said he forgot what had gone before; and at last, though he tried very hard to listen, he was obliged to go to sleep; and he slept soundly, and never dreamed of anything, till it was morning.”145 Come nell’episodio della zingara, torna il tema della narrazione come momento di difficoltà per Jack, che non riesce a imparare qualcosa dai racconti, ma addirittura viene indotto da essi in un sonno profondo. Si ribadisce così l’importanza del potere della narrazione nel Paese delle Fate: Jack durante lo svolgersi delle vicende, talvolta, ne viene messo in guardia perché le parole provocano sempre un qualche tipo di reazione.

Da questo momento in poi Mopsa diventerà la protagonista indiscussa della fiaba, tuttavia Ingelow continua a porre l’attenzione sulle percezioni di Jack, ed egli diventa l’emblema del lettore che entrando in contatto con storie diverse si trova a doverle interpretare.

Dopodiché conosciamo un altro personaggio femminile della fiaba, la donna delle mele, già nominata dalla regina, ma proprio da lei tenuta dietro un velo di reticenza, che al banchetto organizzato in onore della regina, non manca di fare sfoggio di uno strano comportamento: alla vista della piccola Mopsa comincia a

143J. INGELOW, op. cit., p. 105. 144

Cfr. U.C. KNOEPFLMACHER, Ventures into Childland. Victorians, Fairy Tales, and

Femininity, p. 290.

(14)

piangere meravigliandosi di quanto tempo sia passato da quando ha visto un bambino l’ultima volta; di fronte a quest’immagine, anche tutte le altre fate presenti al banchetto cominciano a piangere e ringraziano la donna delle mele perché grazie a lei riescono a farlo. Alla fine del capitolo viene spiegato che le fate riescono a piangere o a ridere solo se vedono un mortale farlo, Jack non è quindi il solo essere umano nel Paese delle Fate. Il banchetto offre anche l’occasione per un momento paternalistico da parte di Jack nei confronti di Mopsa, che si sta comportando in modo alquanto maleducato a tavola. Jack, da perfetto ragazzo vittoriano, la rimprovera: “‘Mopsa,’ said Jack, ‘you are very naughty; if you behave in this way, I shall never take you out to parties again.’”146 Questo rimprovero sembra un tentativo di ribadire la superiorità di Jack rispetto a Mopsa, che però ormai ha iniziato a crescere e rimarrà per ben poco tempo sottomessa agli ordini e ai consigli del ragazzino.

Dopo che i gazebo che ospitavano il banchetto si sono magicamente dissolti, Jack viene nuovamente messo in guardia, stavolta dalla donna delle mele, poiché la regina sta per iniziare a raccontare una delle sue storie, così, tornato alla barca, egli decide di farsi un riparo per la notte. La prima cosa che gli viene in mente è proprio il pezzo di seta donatogli dalla allora schiava per affrancarsi da lui:

“[…] I can stretch the bit of purple silk to make a canopy over head,―a sort of awning,―for I should not like to sleep in tents or palaces that are inclined to melt away.”

So the hound with his teeth, and Jack with his hands, pulled and pulled at the silk till it was large enough to make a splendid canopy, like a tent;147

Così, aiutato da un cane diventato suo compagno di viaggio nei precedenti capitoli, Jack trasforma la stoffa in una costruzione molto similare a quella in cui era stato fino a pochi minuti prima. Allo stesso tempo, Jack emula e disprezza la creazione magica del mondo delle fate perché essa si è dissolta nel nulla, e questo è per lui motivo di disorientamento e senso di inadeguatezza. Giustificando la

146 Ibidem, p. 119. 147 Ibidem, pp. 122-123.

(15)

creazione del rifugio come sistemazione per la notte, Jack cerca di immunizzarsi dai cambiamenti inaspettati e, per farlo, si serve proprio della stoffa della fata regina in un vano e goffo tentativo di far rimanere tutto com’è; ma l’escamotage infantile di Jack è fragile e non potrà arrestare la crescita di Mopsa, né impedire i cambiamenti o prolungare il puerile senso di onnipotenza del ragazzo.148

A questo punto Jack decide di misurare Mopsa ma la donna delle mele comincia a piangere rivelando la sua storia: anche lei è un’umana e non fa parte di quel mondo. Ci è venuta di sua spontanea volontà molto tempo prima e lì ha potuto avere tutto ciò che voleva dalla regina; poi, però, è sopraggiunto il ricordo dei suoi figli che le ha impedito di essere felice e così ha smesso di chiedere cose alla regina e si è messa a vendere mele. Tuttavia, lei stessa ammette che, anche potendo, avrebbe molta paura a tornare a casa perché lì c’è povertà e i suoi figli potrebbero essersi dimenticati di lei. A quel punto, sopraggiunge la regina che, come in trance, è di nuovo intenta a raccontare storie. La donna delle mele allora avverte Jack di non farsi vedere parlare con lei, altrimenti la regina si immaginerà che la donna delle mele gli abbia rivelato qualcosa che non avrebbe dovuto. Poi, per evitare che Jack oda il racconto della regina, la donna delle mele, come a voler operare da antidoto ai racconti delle fate, inizia a cantare dei versi che appartengono al mondo da cui viene Jack. Nonostante ciò, alla fine della canzone Jack confessa che ha udito un pezzo del racconto della regina ed esso sembrava proprio parlare di lui e Mopsa:

[…] she said, “He was very good to me, dear little fellow! But Fate is the name of my old mother, and she reigns here. Oh, she reigns! The fatal F is in her name, and I cannot take it out!”

“Ah!” replied the apple-woman, “they all say that, and that they are fays, and that mortals call their history fable; they are always crying out for an alphabet without the fatal F.”

“And then she told how she heard Mopsa sobbing too,” said Jack; “sobbing among the reeds and rushes by the river side.”

“There are no reeds, and no rushes either, here,” said the apple-woman, “[...] I don’t think much of that part of the story.”149

148

Cfr. U.C. KNOEPFLMACHER, Ventures into Childland. Victorians, Fairy Tales, and

Femininity, cit., p. 290.

(16)

La donna delle mele informa Jack che i racconti della regina riguardano avvenimenti futuri, tuttavia non bisogna dar credito a tutto ciò che dice, in particolare a ciò che non ha mai visto in quel paese. In questo passo la donna delle mele anticipa il definitivo fallimento di Jack che dà il titolo all’ultimo capitolo. Rifiutandosi di credere in ciò che non ha fisicamente mai visto, ella nega anche la possibilità di dare un’interpretazione ai racconti; così dimostra come il lettore possa fraintendere una verità se non pone fiducia in quello che legge o ascolta. Al lettore, praticamente, viene richiesto una specie di atto di fede, una suspension of

disbelief attraverso la quale si riesca a concepire il mondo fantastico e il mondo

reale come uno solo. La donna delle mele però si rifiuta di fare questo sforzo interpretativo perché non trova ammissibile che ciò che ha udito possa essere vero.

La regina, col suo modo di raccontare storie, ricorda molto il marinaio di Coleridge: entrambi sono abili e affascinanti oratori e questo ha degli effetti molto forti sui loro ascoltatori, che faticano a non dar loro adito e ne vengono quasi stregati. Questo passo introduce anche un’altra problematica poiché se, fino a questo momento, i personaggi femminili di questo mondo trasmettevano potere e sicurezza, adesso viene gettata un’ombra sull’inevitabilità del loro destino comandato dalla “fatal F,”150 che, tra le altre interpretazioni, potrebbe rappresentare i cardini di questo mondo: fate, femininity, fairy. Raccontando il futuro, la regina preannuncia il graduale imprigionamento di Mopsa in un destino che l’ha già eletta regina e che la sua crescita non fa che rendere sempre più vicino. La mattina seguente, infatti, la piccola fata si sveglia molto più alta del giorno prima, suscitando la prima reazione esplicita di Jack: “‘But I hope you will not go on growing so fast as this,’ said Jack, ‘or you will be as tall as my mamma is in a week or two,―much too big for me to play with.’”151

Il capitolo successivo, dal titolo “Mopsa learns her letters”, è molto legato a questo percorso di crescita e di maturazione che Mopsa ha intrapreso. Allo stesso

150 Ibidem, p. 131. 151 Ibidem, p. 132.

(17)

modo in cui Jack precedentemente aveva insegnato le buone maniere alla piccola fata, adesso desidera insegnarle una cosa elementare come l’alfabeto, che lei ancora ignora (e quindi ancora non conosce neppure la F fatale); cosa che fa vergognare il diligente ragazzino vittoriano. In questo regno fantastico in cui le parole sembrano essere tutto poiché stabiliscono il destino delle persone e hanno persino il potere di farle cadere in uno stato onirico, Mopsa ha l’obbligo di imparare le lettere per poter entrare a far parte del sistema, ma Jack, che gliele insegna, ne ignora lo scopo. Di lì a poco, il discorso si capovolge ed è proprio Mopsa a informare Jack di concetti ben più importanti riguardo al Paese delle Fate. Il paradigma insegnante-allievo si ribalta in modo sovversivo dal momento che è la piccola fata, ignara persino dell’alfabeto, a insegnare qualcosa al ragazzino più grande, che poco prima aveva provato commiserazione per lei. Jack dice di avere molti interrogativi riguardo al mondo in cui si trova, così Mopsa rivela qualcosa non solo a lui, ma anche al lettore, sul mondo delle fate e il mondo “reale” di Jack:

“It’s the same world that you call yours,” continued Mopsa; […] “If it’s our world,” said Jack, “why are none of us in it, excepting me and the apple-woman?”

“That’s because you’ve got something in your world that you call TIME,” said Mopsa; “so you talk about NOW, and you talk about THEN.” [...] “You know,” said Mopsa, “that your people say this was a time when there were none of them in the world,―a time before they were made. Well, THIS is that time. This IS long ago.”152

La spiegazione di Mopsa è estremamente chiarificatrice ed è sorprendente che proprio lei, che fino ad ora era stata considerata e descritta come una bambina timida e indisciplinata, sveli la verità sul mondo delle fate. Jack, tuttavia, continua a non capire come ha fatto a finire lì, così Mopsa spiega: “when the albatross brought you, she did not fly with you a long way off, but a long way back, hundreds and hundreds of years. This is your world, as you can see; but none of

152 Ibidem, pp. 134-135.

(18)

your people are here, because they are not made yet. I don’t think any of them will be made for a thousand years.”153

In un certo senso, le affermazioni di Mopsa sembrano voler dire che il mondo reale e il mondo delle fate sono un tutt’uno e quindi realtà e fantasia (o immaginazione, in qualsiasi modo la si voglia chiamare), sono parte di una stessa realtà. Ascoltando le rivelazioni di Mopsa, Jack stavolta è sopraffatto dalla stessa sensazione provata di fronte ai racconti della regina:

as he looked at her, he felt that a sleep was coming over him, and he could not hold up his head. He felt how delightful it was to go to sleep; and though the apple-woman sprang to him, when she observed that he was shutting his eyes, and though he heard her begging and entreating him to keep awake, he did not want to do so; but he let his head sink down on the mossy grass, which was as soft as a pillow, and there [...] he had this dream:[…]154

La reazione di Jack non fa altro che avvalorare il fatto che la crescita di Mopsa (non solo in statura ma anche nei poteri) stia andando in una direzione ben precisa, il che preannuncia che la piccola fata è destinata a diventare anch’essa una regina. Come in una scatola cinese, Jack, attraverso il sogno, entra in un ennesimo mondo fantastico, un mondo primitivo antecedente all’uomo, in cui dei giganteschi elefanti pelosi combattono con degli ippopotami agitando le acque del fiume che Jack e Mopsa stavano navigando. A questo punto, Mopsa chiama in soccorso il Kraken, un mostro marino leggendario dalla forma di serpente gigantesco, il cui mito aveva preso campo soprattutto fra Sette e Ottocento, grazie al quale riescono a continuare la navigazione. Evocando queste creature Ingelow qui attua una specie di fusione di credenze religiose, leggende e teorie evoluzionistiche; l’era vittoriana, infatti, stava vivendo un periodo in cui le scoperte scientifiche cominciavano a incrinare le salde convinzioni in un universo immobile e comprensibile all’intelletto, soprattutto attraverso la spinta di The

Origin of Species di Charles Darwin che era stato pubblicato nel 1859, pochi anni

prima che Ingelow scrivesse Mopsa the Fairy.

153 Ibidem, p. 136. 154 Ibidem, p. 135-136.

(19)

Di fronte all’immagine impressionante del mostro marino, Jack “felt extremely glad that this was a dream and [...] thought to himself, ‘It’s only a fabled monster.’”155 Mopsa però lo corregge rispondendo: “No, it’s only a fable to these times.”156

Ingelow quindi sostiene che le creature mitologiche esistevano proprio come quelle preistoriche; le prime sono diventate leggende solo perché è passato molto tempo. Le storie hanno il potere di far coesistere la storia, la leggenda e il fantastico nonostante il tempo li abbia separati l’uno dall’altro. I racconti che hanno indotto Jack ad addormentarsi, e quindi di conseguenza i sogni, sono il mezzo per accedere a mondi fantastici o immemori che il tempo ha separato. Per dimostrare che il sogno non è stato un’illusione, Ingelow scrive che al risveglio “Jack felt very tired indeed, ― as much tired as if he had really been out all day on the river;”157 perciò il sogno non è un momento di riposo, bensì un modo per avere accesso all’immaginazione. Ingelow, ricollegandosi alla poesia iniziale del romanzo, chiede ai suoi lettori uno sforzo di interpretazione per poter ammettere le leggende e le fiabe come parte integrante della loro realtà e della loro vita. Allo stesso tempo, quindi, mette in guardia dal rischio di ignorare i racconti che ci vengono narrati e che il tempo e lo scetticismo hanno reso quasi leggende, proprio come afferma la donna delle mele in un passo precedente: “mortals call their history fable”158

Al risveglio di Jack, la regina lì presente è stupefatta di non essere stata lei a indurre Jack al sonno, mentre la donna delle mele, piuttosto alterata con lei, dice di non volere più storie per la giornata. Dopo essersi ristorato, Jack decide di misurare nuovamente Mopsa “and found that she had grown up to a higher button. She looked much wiser too, and when he said she must be taught to read she made no objection, so he arranged daisies and buttercups into the forms of the letters, and she learnt nearly all of them that one evening.”159

155 Ibidem, p. 141. 156 Idem. 157 Ibidem, p. 144. 158 Ibidem, p. 130. 159 Ibidem, p. 144.

(20)

Dopo aver appurato che la fata è nuovamente cresciuta, osserviamo finalmente la realizzazione del desiderio che Jack aveva espresso all’inizio del capitolo, quello di insegnare a Mopsa l’alfabeto, che lei riesce ad apprendere in una sola sera. Per l’ennesima volta, quindi, Jack è sopraffatto dalle capacità della piccola fata. Alla luce di questa analisi, si può dunque concordare con l’affermazione di Talairach-Vielmas, secondo il quale “female education is a linguistic journey where words shape the female body […] ostensibly dangerous and exhibiting female power, words are, nonetheless, double-edged.”160

4.2.4 Il fallimento del non-eroe

Il capitolo successivo, dal titolo “Good morning sister” (esternazione che Mopsa rivolge alla regina delle fate a conferma del fatto che è anch’essa destinata a diventare una regina), vede l’entrata in scena di un ennesimo personaggio femminile dalla indubbia autorità: la Madre Fato, che viene evocata in un discorso della regina e la cui esistenza era già stata menzionata nel nono capitolo. Apprendiamo che questa misteriosa entità superiore ha implicitamente comunicato alla regina che Mopsa dovrà andarsene in un altro regno poiché “There cannot be two Queens in one hive.”161

A rimescolare la gerarchia sociale di questo mondo compare quindi un personaggio senza volto dal nome inequivocabile; il fato, il destino assumono la forma di una vecchia donna che tiene in mano le sorti e le vite degli abitanti del paese, e non c’è modo di sottrarsi al suo volere. Mopsa infatti afferma subito che non vuole che Jack se ne vada, prevedendo già che questa sarebbe stata una conseguenza dei fatti. Il capitolo seguente porta la conferma tangibile di questo messaggio: la regina arriva accompagnata da una cerva e dichiara che essa è venuta dal suo paese per offrire la corona a Mopsa. A questo punto è proprio la piccola fata a prendere la parola,

160 L. TALAIRACH-VIELMAS, op. cit., p. 26. 161 J. INGELOW, op. cit., p. 151.

(21)

“I don't want to be a queen,” said Mopsa, pouting; “I want to play with Jack.”

“You are a queen already,” answered the real Queen; “at least, you will be in a few days. You are so much grown, even since the morning, that you come up nearly to Jack’s shoulder. In four days you will be as tall as I am; and it is quite impossible that any one of fairy birth should be as tall as a queen in her own country.”162

Tuttavia l’irruzione della donna delle mele, che la avverte che il paese che la reclama come regina è abitato da fate malvagie che una volta hanno rinchiuso la loro precedente sovrana in una torre, fa fuggire immediatamente Jack e Mopsa, i quali, saltati sulla barca, prendono il largo seguendo il corso del fiume. Giunti in un altro paese, la donna delle mele spiega loro come oltrepassare le montagne viola e loro le chiedono nuovamente di unirsi a loro. Questo punto sancisce un momento fallimentare che anticiperà quello finale di Jack: la donna delle mele, pur avendo una famiglia nel mondo reale e non amando la regina, decide comunque di restare nel Paese delle Fate, non perché qui abbia trovato qualcosa a cui legarsi ma semplicemente perché dice di avere paura di essere stata dimenticata e “she had no heart for work now, and could not bear either cold or poverty.”163 La spiegazione è la stessa addotta nei capitoli precedenti, la paura di dover affrontare qualcosa di doloroso spinge la donna a rimanere lì, in stato di completa apatia, come imprigionata dalla sua superiorità rispetto alle fate che si nutrono della sua capacità umana di commuoversi.164

Il titolo del quattordicesimo capitolo, “Reeds and rushes” richiama il racconto che Jack aveva udito dalla regina e a cui la donna delle mele non credeva del tutto poiché vi si narravano eventi che lei non aveva mai visto con i propri occhi. Dopo aver avvistato un castello, Mopsa spera di poter regnare lì e Jack trova ovvio che lui sarà re al suo fianco, tuttavia, giunti al portone,

162

Ibidem, pp. 159-160. 163 Ibidem, p. 177.

(22)

“There is my home that I shall live in,” said Mopsa; and she came close to the door, and they both looked in, till at last she let go of Jack’s hand, and stepped over the threshold.

The bell in the tower sounded again more sweetly than ever, and the instant Mopsa was inside there came from behind the fluted columns, which rose up on every side, the brown doe, followed by troops of deer and fawns!

“Mopsa! Mopsa!” cried Jack, “come away! come back!” But Mopsa was too much astonished to stir, and something seemed to hold Jack from following; but he looked and looked, till, as the brown doe advanced, the door of the castle closed,–Mopsa was shut in, and Jack was left outside.

So Mopsa had come straight to the place she thought she had run away from.165

Il fato ha disposto ciò che era stato stabilito e Mopsa ha dovuto lasciare la mano di Jack. Inoltre, come a voler ribadire il potere delle parole, giunto all’interno del castello, Jack nota un tappeto recante l’iniziale della sua amata fata, che ritrova di lì a poco nientemeno che tra le braccia di un’altra fata:

Mopsa woke: she was rather too big to be nursed, for she was the size of Jack, and looked like a sweet little girl of ten years, but she did not always behave like one; sometimes she spoke as wisely as a grown-up woman, and sometimes she changed again and seemed like a child.

Mopsa lifted up her head and pushed back her long hair: her coronet had fallen off while she was in the bed of reeds; and she said to the beautiful dame,–

“I am a queen now.”

“Yes, my sweet Queen,” answered the lady, “I know you are.”

“And you promise that you will be kind to me till I grow up,” said Mopsa, “and love me, and teach me how to reign?”

“Yes,” repeated the lady; “and I will love you too, just as if you were a mortal and I your mother.”

“For I am only ten years old yet,” said Mopsa, “and the throne is too big for me to sit upon; but I am a queen.”166

In questa immagine la donna si è sostituita a Jack nel ruolo di nutrice ed educatrice della piccola Mopsa e, come se non bastasse, fa il suo ingresso il doppio di Jack, un sosia identico che si fa anche chiamare come lui, ma che, a differenza sua, è perfettamente integrato nel Paese delle Fate. Il sosia sarà l’erede, vale a dire il re che regnerà a fianco di Mopsa, aggravando ulteriormente la

165 J. INGELOW, op. cit., pp. 191-192. 166 Ibidem, pp. 199-200.

(23)

posizione di inferiorità di Jack. Alla richiesta di spiegazioni di Jack riguardo all’accaduto, Mopsa risponde così:

Mopsa laughed. “That’s because you don’t know how to argue,” she replied. “Why, the thing is as plain as possible.”

“It may be plain to you,” persisted Jack, “but it’s no reason.”

“No reason!” repeated Mopsa, “no reason! when I like you the best of anything in the world, and when I am come here to be queen? Of course, when the spell was broken he took exactly your form on that account; and very right too.”

“But why?” asked Jack.

Mopsa, however, was like other fairies in this respect,–that she knew all about Old Mother Fate, but not about causes and reasons. She believed, as we do in this world, that

That that is, is;

but the fairies go further than this; they say:–

That that is, is; and when it is, that is the reason that it is. This sounds like nonsense to us, but it is all right to them.167

Mopsa ha fatto un passo avanti perché ha capito che Jack, con la sua immaturità e con la sua continua tendenza a cercare una spiegazione ai motivi per i quali accadano certe cose in quel mondo, non è adatto a farle da compagno e l’unica concessione per Mopsa è avere accanto un clone per ricordare per sempre quel periodo di spensieratezza infantile. Ma essi appartengono a mondi separati e Mopsa, ormai adulta, pur dolorosamente, rifiuta il desiderio irrazionale di avere accanto un bambino come compagno. Rifiutando un’infanzia immobilizzata nel tempo, Ingelow opera la più forte sovversione del testo di Carroll e, alla luce di questo, tutti i precedenti rimandi al testo appaiono come nient’altro che effetti giocosi volti a un netto ribaltamento finale.

Come si può osservare, la storia si sviluppa intensificando di pagina in pagina la tensione emotiva di Jack, che cerca fino alla fine di essere giusto per Mopsa e per quel mondo, ma che, ad ogni suo tentativo, viene spinto un passo indietro fino all’epilogo dell’ultimo capitolo dal titolo esemplare di “Failure.” È a questo punto che Mopsa, ormai più grande di Jack, a malincuore lo informa che è giunto il

167 Ibidem, pp. 204-205.

(24)

momento “to give you back your kiss,”168 così che il bacio che Jack aveva dato inizialmente alla piccola e indifesa Mopsa diventa il simbolo del suo ritorno a casa; è il mondo stesso delle fate a stabilire una distanza da Jack, allontanandolo irrimediabilmente dal castello incantato e ricordandogli il nome dell’albatros che, come una sorta di surrogato della madre, lo rassicura e lo riporta a casa. Il tono malinconico però lascia presto il posto ad una sensazione di sollievo:

As Jack’s feet were lifted up from Fairyland he felt a little consoled. He began to have a curious feeling, as if this had all happened a good while ago, and then half the sorrow he had felt faded into wonder, and the feeling still grew upon him that these things had passed some great while since, so that he repeated to himself, “It was a long time ago.”169

Questa sensazione diventa ancora più concreta non appena Jack mette piede nel giardinetto di casa sua e sente sua madre che sta leggendo ad alta voce: “Jack listened as she read, and knew that this was not in the least like anything that he had seen in Fairyland, nor the reading like anything that he had heard, and he began to forget the boy-king, and the apple-woman, and even little Mopsa, more and more.”170

Il ritorno a casa, insieme alla voce della madre, porta Jack a reprimere i ricordi del suo viaggio. Trovando la casa come l’aveva lasciata, si rende conto che i suoi genitori non sembrano essersi minimamente accorti della sua assenza. In definitiva questo ritorno è, contrariamente alle sue aspettative, molto confortante, e il rassicurante abbraccio del padre gli fa capire “what a great thing a man was; he had never seen anything so large in Fairyland, nor so important; so on the whole, he was glad he had come back, and felt very comfortable.”171 Ciò che sembra trasparire è che Jack, ora, sminuendo il mondo delle fate e cercando di autoconvincersi di quanto sia migliore la sua vita reale, tenta di reprimere il dolore per la separazione da Mopsa e la frustrazione per essere stato bandito dal suo 168 Ibidem, p. 234. 169 Ibidem, p. 237. 170 Ibidem, p. 239. 171 Ibidem, p. 240.

(25)

regno. Poiché tornare indietro è impossibile, egli si piega ad un mondo ordinario nel quale la crescita è molto più lenta. Il peso della memoria non cade su Jack quanto su Mopsa, poiché mentre lui può tornare, ancora bambino, alla vita sicura e confortante con i genitori, lei è destinata ai doveri di una vita adulta e condannata a ricordare il periodo spensierato dell’infanzia che ha condiviso con Jack e da cui solo lei si è separata. A differenza di quegli autori vittoriani, Barrie e Carroll per citare i più emblematici, che cercavano di rimandare la crescita dei loro eroi ed eroine, Ingelow inverte completamente questa tendenza, non solo rendendo adulta la sua protagonista ma anche gravandola di responsabilità, e il fatto che, pur dolorosamente, lei continui a ricordare la sua infanzia è sintomo della sua superiorità rispetto al ragazzino.

Questa capacità di dimenticare che appartiene a Jack è stata evidenziata per tutto il romanzo e, secondo Auerbach e Knoepflmacher,172 sta a sottolineare una tendenza generalizzata dell’uomo vittoriano, che dimenticava molto più facilmente delle donne quanto fossero preziose la libertà e la spensieratezza dell’infanzia visto il destino di segregazione nell’ambiente domestico che aspettava le bambine da adulte. Tuttavia, secondo questa teoria, è proprio la consapevolezza di questo destino di separazione che risvegliava le loro immense capacità immaginifiche. La separazione del maschile dal femminile è ulteriormente evidenziata dall’inserimento di testi poetici all’inizio e alla fine del capitolo; il primo è un’epigrafe in cui si richiama la separazione di Orfeo da Euridice. Alla fine, invece, è alla mamma di Jack che si affida il compito di recitare la ballata della Shepherd Lady in cui si narra la storia di una donna che, nell’attesa che l’uomo amato ritorni, ha il compito di occuparsi del gregge. Questo passo può prestarsi a diverse interpretazioni perché mette in dubbio se la mamma, con il potere della narrazione che è già stato più volte menzionato nel romanzo, stia cercando di indurre il figlio al sonno facendogli ulteriormente dimenticare le avventure passate, o se piuttosto gli stia trasmettendo il ricordo subliminale della sua separazione da Mopsa. In entrambi i casi Ingelow sembra voler dimostrare che anche una donna normale, confinata all’ambiente domestico, può entrare in

(26)

contatto con il mondo fantastico che ha conosciuto il ragazzo, e dota la donna di un doppio ruolo, quello di presenza confortante e quello di legame con un mondo guidato dall’immaginazione femminile. Secondo l’interpretazione di Auerbach e Knoepflmacher, in realtà Ingelow vuole dimostrare il “pericolo” dell’immaginazione femminile, che ha il potere di acutizzare il dolore per la separazione e la perdita della libertà delle donne. Jack, ad ogni modo, fallisce nel riconoscere nella ballata un modo per preservare i suoi ricordi sbiaditi ed è proprio la sua mancanza di fantasia e la sua inettitudine che lo mette al sicuro da queste insidie legate all’immaginazione femminile. Jack, che inizia la sua avventura assumendo su di sé il ruolo tipicamente femminile di nutrice accudendo le piccole fate, alla fine riesce a compensare la mancanza di questa parte femminile tornando dalla madre e, da bravo bambino vittoriano, se ne va a dormire dopo aver detto le sue preghiere. Per questo “Mopsa the Fairy is a highly imaginative work that rewards its hero’s lack of imagination.”173

Come se non bastasse, l’ultima parola pronunciata dallo spavaldo Jack della prima parte del romanzo è, in quest’ultimo capitolo, proprio “Mamma”174 e le ultime parole del testo sono “That’s all.”175 Il tono di queste ultime righe finali, insistendo sull’ordinarietà, sembra quasi provocatorio poiché pone una fine netta alla vicenda, senza lasciare spiragli di ritorno ai mondi fantastici ormai dimenticati. E forse è proprio così che, per chi ha abbastanza immaginazione per accorgersene, Ingelow chiede ai lettori adulti di riappropriarsi delle facoltà regressive di un bambino.

Alla luce di questa analisi, Mopsa the Fairy risulta un romanzo sicuramente non semplice perché, nella sua frammentarietà episodica, con il suo non detto e con le numerose allusioni, sono molte le problematiche che lascia aperte. Quello che è certo è che questo viaggio nella fantasia porta in superficie molti conflitti legati non solo alla tradizione fiabesca ma anche rispetto alla società vittoriana e alle opere che furono scritte in quel periodo. Molte, dunque, le chiavi di lettura del

173

N. AUERBACH - U.C. KNOEPFLMACHER (eds), op. cit., p. 213. 174 J. INGELOW, op. cit., p. 243.

(27)

romanzo, tutte suscitate, nella loro problematicità, dalla ricchezza di un testo capace di andare al di là dell’apparente dettato fiabesco-pedagogico dal sapore vittoriano.

Riferimenti

Documenti correlati

Tuttavia anche le nazioni dell’emisfero settentrionale sperimentano sempre più spesso le crisi provocate da privatizzazioni, esternalizzazione dei processi produttivi, corruzione,

• Intracrisis learning: Administrations that within a crisis enlarge and in particular deepen networks of different types (in terms of intense and good cooperation) with actors

 Svolgere gli esercizi della terza esercitazione Svolgere gli esercizi della terza esercitazione fino alla slide 21. fino alla

• How Should States Deal with Deep Religious Diversity: Can Anything Be Learnt from the Indian Model of Secularism.. in Rethinking Religion and World Affairs (ed.) Timothy

fondamentale, quello per cui le merci-segni si scambiavano tra di loro senza più alcun referente, senza più alcuna realtà a cui fare riferimento. Un poco come avviene in finanza con

Le prime due opere della collana sono L’Enfant fruitier, raccolta poetica di Jean Sénac e L’Offense, dramma di Abdelkader Hadj Hamou.. L’Enfant fruitier raccoglie 20 poesie,

Even though the text is not a general Communication on social dialogue, it is likely to find that it contains no encouragement or positive message concerning the

83 Infatti, è pacifico che l’istituzione competente dello Stato membro ospitante dei lavoratori interessati, vale a dire l’Urssaf, ha comunicato all’istituzione emittente