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SULL’ACROPOLI AT ENIESE I SANTUARI DI ARTEMIDE A BRAURON E CAPITOLO I

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Academic year: 2021

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CAPITOLO I

I SANTUARI DI ARTEMIDE A BRAURON E

SULL’ACROPOLI ATENIESE

I.1 IL SITO DI BRAURON: GLI SCAVI E I RITROVAMENTI PIU’ ANTICHI

L’antico sito di Brauron si trova lungo la costa orientale dell’Attica, alla foce del fiume Erasino non lontano dal mare (fig.1). Il santuario sorge alle pendici di una collina,

al cui fianco una cavità rocciosa delimita a sud l’area sacra. A ridosso del fianco setten-trionale della collina, dominante la terrazza del tempio, sorge la cappella di Agios Geor-gios, del XV secolo d.C. Una sorgente d’acqua, elemento essenziale per il paesaggio cul-tuale del santuario, sgorga a nord-ovest della suddetta terrazza, costituendone il limite oc-cidentale fino a ricongiungersi, più a nord, al fiume Erasino.

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Le prime notizie riguardanti il sito risalgono alla seconda metà dell'Ottocento quando, da sporadici ritrovamenti e riusi nella piccola chiesa di Agios Georgios, si pensò che questi resti appartenessero al santuario di Artemide Tauropolos. Per l’inizio dei primi scavi sis-tematici bisognerà attendere la metà del Novecento, quando la Società Archeologica di Atene affida a J. Papadimitriou il compito di esplorare la zona posta tra la collina e il fiume Erasino. Le campagne di scavo, svoltesi in due momenti dal 1948 al 1950 e dal 1955 fino alla morte di Papadimitriou nel 1963, hanno interessato un’area piuttosto vasta, non limitandosi soltanto a portare alla luce ciò che fu poi identificato con il santuario di Artemide Brauronia. Sulla sommità della collina, infatti, gli scavi hanno portato alla luce un villaggio preistorico, i cui materiali datano dal Neolitico alla tarda età del Bronzo e che mostrano un abitato ricco e florido. A questo era associata una necropoli, individuata presso la collina di Chamolia, a sud-est del santuario di Brauron, che ha restituito ricchi corredi1. Alla fine dell’età del Bronzo il sito fu abbandonato, fino alla prima metà dell’VIII secolo a.C., data a cui rimandano i materiali più antichi del santuario, frammenti ceramici e figurine in terracotta, rinvenuti presso la sorgente, nello spazio aperto ad est del tempio (dove sorgerà in età successiva l’altare) e nelle vicinanze della grotta2.

Le prime attestazioni cultuali sono quindi concentrate in due luoghi specifici, che attira-rono fin da subito i fedeli: la sorgente d’acqua e la fenditura rocciosa, a ridosso della col-lina3. Nonostante siano assenti elementi architettonici, è comunque nei pressi di questi luoghi naturali che si praticava il culto e si andava componendo il nucleo di ciò che sa-rebbe, poi, diventato il santuario di Artemide Brauronia, in maniera conforme a quanto avviene per i luoghi di culto di età geometrica, dove l’attività principale consisteva in sa-crifici alla divinità, seguiti da pasti comuni4.

1 Per gli scavi dell’abitato preistorico di Brauron si veda DAUX 1956 p.247; Id. 1957 p.521; PAPADIMITRIOU 1963 pp.111-112; GIUMAN 1999 pp.21-22.

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DAUX 1960 p.671 segnala alcuni ritrovamenti dal riempimento del muro di terrazzamento nord del tem-pio, datati dal VII al V secolo a.C.; Id. 1962 p.679; PAPADIMITRIOU 1963 p.115; KAHIL 1983 p.232 fa riferi-mento ad un bothros riempito con ceramica geometrica datata alla prima metà dell'VIII secolo a.C.; Id. 1988 p.800; GIUMAN 1999 p.22; EKROTH 2003 p.103. I ritrovamenti più antichi, al di sotto dei muri di fon-dazione del tempio attuale, sono stati ricondotti da Lippolis (LIPPOLIS ET ALII 2007 p.582) ad una fase I del tempio, datata al VII secolo a.C.

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PAPADIMITRIOU 1963 p.115; GIUMAN 1999 p.27; THEMELIS 2002 p.109; EKROTH 2003 pp.102-104. 4

LIPPOLIS ET ALII 2007 pp.44-45. Per i più antichi santuari greci, rappresentati dall'elemento naturale pre-dominante, si veda anche HELLMANN 2006 pp.155 e sgg.

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I.2 NASCITA E SVILUPPO DEL SANTUARIO DI BRAURON

Le prime evidenze materiali che permettono di datare l'inizio della monumentaliz-zazione dell’area risalgono all’età arcaica, ed in particolare all’interesse mostrato dal ti-ranno Pisistrato per il suo demo d’origine. È durante questo periodo che si costruisce il primo tempio in pietra, e la terrazza su cui sorge è delimitata da muri di terrazzamento5. Ad un uso cultuale è destinata la grotta a sud del tempio (fig.2 n.7), all’interno della quale sono state rinvenute offerte votive, tracce di focolari e fondazioni di ambienti dalla fun-zione incerta. La sorgente d’acqua (fig.2 n.2) rimane uno dei luoghi più sacri dell’intero santuario, dal momento che su di essa è costruita una piattaforma, dalla quale i fedeli po-tevano gettare i propri ex-voto e le proprie offerte: infatti qui sono stati portati alla luce numerosissimi materiali, datati dal VII secolo al 480 a.C., anche di notevole pregio, tra cui molti specchi in bronzo6. L’accrescersi dell’importanza del nuovo polo cultuale fece sì che fosse costruito, tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C., un ponte in pietra (fig.2 n.13), che permettesse di attraversare il corso d’acqua che sgorgava dalla sorgente, uno dei pochissimi esempi di questa architettura dell’età arcaica in Grecia.

Il santuario non fu risparmiato dalle devastazioni dell’esercito persiano, che distrussero l’antico tempio pisistrateo e trafugarono lo xoanon ligneo raffigurante Artemide per por-tarlo a Susa7. Dalla seconda metà del V secolo a.C. si ha un rinnovamento dell’intero spa-zio sacro, con la costruspa-zione di un nuovo tempio (fig.2 n.1), un piccolo sacello a sud (n.6), all’ingresso della grotta divenuta inutilizzabile a causa di un cedimento della volta, ed infine, alla fine del V secolo a.C., della stoa dorica a nord (n.11). L’interesse pubblico mostrato in quegli anni verso questo santuario è testimoniato, inoltre, dall’opera di Euri-pide, che nella sua Ifigenia in Tauride del 412 a.C., presenterà, tramite l’intervento di Atena, le origini del culto brauronio e del vicino santuario di Halai Araphenides. Il

5 Phot. s.v. Brauronia. 6

PAPADIMITRIOU 1963 p.113. 7

Paus. 3, 16, 7-8. Si tratta della statua di Artemide portata via da Ifigenia e Oreste, dalla terra dei Tauri. Sullo xoanon ligneo di Artemide Taurica, Pausania riporta diverse tradizioni: secondo alcuni sarebbe stato custodito nel Brauronion ateniese (1, 23, 7); secondo altri a Brauron, dove lo avrebbe lasciato Ifigenia, prima di giungere ad Atene e poi ad Argo, che pure ne reclamava il possesso (1, 33, 1). La tradizione più veritiera, secondo Pausania, è che l’immagine taurica fosse custodita a Sparta, presso il santuario di Arte-mide Orthia, portata lì da Oreste, che una volta fu re (3, 16, 7-8). Euripide (IT, 1458-1461) colloca l’immagine ad Halai Araphenides, dove Oreste istituirà il culto di Artemide Tauropolos. Come afferma Co-le: “many sanctuaries of Artemis must have had such a portable image of the goddess”, che per il suo po-tere era trattata con timore e reverenza (cfr. COLE 2004 p.200).

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getto non fu però mai completato e l'intero complesso fu usato per brevissimo tempo, probabilmente a causa delle esondazioni del vicino fiume Erasino, come mostrano gli strati di fango, depositato in antico, che ricopre alcuni degli elementi architettonici. A ciò si deve aggiungere la preparazione della spedizione in Sicilia da parte di Atene, del 412 a.C., che ridusse notevolmente i fondi disponibili per eventuali riparazioni.

A partire dal IV secolo a.C. inizia la fase di declino, a cui si ascrive il mancato completa-mento della stoa dorica, l'ultimo grande progetto del santuario. Un tentativo di ridare vita all'area sacra è testimoniato dall'iscrizione dei Nomoteti del III secolo a.C., rinvenuta nel 19618, contenente la proposta di un cittadino privato del demo di Philaidai, a cui Brauron apparteneva, ma approvata dall'assemblea ateniese tramite decreto: nell’iscrizione sono elencati tutti gli edifici, utensili e quant’altro necessitasse di riparazioni, ma anche in que-sto caso i lavori non furono portati a termine.

Nei secoli successivi tutta l'area verrà abbandonata, anche se non dimenticata dal momen-to che nella sua periegesi Pausania descriverà Brauron come la sede dell'antica statua lig-nea trafugata da Ifigenia9. Nel II secolo d.C. la zona era diventata ormai sede di battute di caccia degli aristocratici ateniesei tra cui Erode Attico che ricorderà lì, con una stele fune-raria, uno dei suoli allievi prediletti, Polydeukion10. Ogni rifermento al passato religioso di Brauron e alle pratiche cultuali che vi si svolgevano era ormai perduto e di tutto non rimaneva che qualche rovina.

I.3 LA FASE ARCAICA: VI SECOLO - INIZI V SECOLO a.C.

Durante questa fase (fig.3: i numeri fra parentesi d’ora in avanti si riferiscono a questa figura) il santuario subisce una notevole monumentalizzazione, probabilmente in relazione all’avvento della tirannide di Pisistrato, che apparteneva al demo di Philaidai, dove si trovava il sito di Brauron. Le fonti attribuiscono a lui la costruzione del primo tempio in pietra (n.1)11. Il dato è confermato anche dai rinvenimenti archeologici, poiché

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Sul ritrovamento della stele si veda DAUX 1962 p.674. L’iscrizione è stata pubblicata da Themelis (Id. 2002 pp.112-116), con relativo commento. Sulla stele dei Nomoteti cfr. infra parag. I.5.

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Paus. 1, 33, 1. Al tempo di Pausania, infatti, dell’antico santuario non era rimasto che il ricordo mitico, associato ad Ifigenia e allo xoanon ligneo. Tutta l’area era da tempo abbandonata, ricoperta dalle alluvioni dell’Erasino, e sede di battute di caccia.

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DAUX 1962 p.681, fig.21. 11

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al di sotto dell’attuale tempio, di epoca classica, sono stati trovati resti di pavimentazione e muri trasversali che fanno presumere l’esistenza di un edificio più antico12. Di questo poco si conosce a parte il fatto che era di ordine dorico, mentre l’orientamento est-ovest e la pianta sono analoghi a quelli del tempio attuale, costituito da un pronaos, una cella suddivisa in tre navate e una camera interna (o adyton).

Il tempio sorge su di una terrazza delimitata a nord e a ovest da due strutture mura-rie, ipotizzate come muri di terrazzamento, per regolarizzarne lo spazio13. La prima (n.2), parallela al tempio, conserva alcuni gradini per un’altezza totale di 1,5 m. Il materiale rinvenuto, ceramica di inizio V secolo a.C., colloca questa struttura all’interno della fase arcaica ed è da Giuman interpretata come limite nord del temenos arcaico14. È in quest’area che gli scavi hanno messo in luce un numero consistente di frammenti di iscri-zioni di fine V - inizio IV secolo a.C., le quali riportano liste di offerte ad Artemide, col-locate su di una fila di basi in poros intagliate per il fissaggio delle stele15, in corrispon-denza del muro gradinato. A quest'ultimo si aggiunge un’altra struttura che definisce lo spazio sacro antistante al tempio, delimitandolo verso nord. Il muro (fig.2 n.10), in bloc-chi poligonali di poros e rivestito di blocbloc-chi in calcare, è lungo circa 28,5 m, con orienta-mento est-ovest, e due ali perpendicolari alle estremità. La struttura risulta posteriore al muro gradinato, dal momento che vi si appoggia, ed è datata al 500-450 a.C. 16 La terraz-za, circoscritta in tal modo, poteva essere usata dai fedeli per assistere alle celebrazioni cultuali, oppure per disporre offerte votive.

La seconda struttura (n.3), che delimita ad ovest il tempio, consiste in una piattaforma quadrangolare (16 x 8 m) in blocchi di poros, delimitante a nord, insieme all’angolo

12 PAPADIMITRIOU 1963 p.115; BOERSMA 1970 p.175 n.42; EKROTH 2003 p.105; LIPPOLIS ET ALII 2007 pp.582-583. HOLLINSHEAD 1985 pp.434-435 identifica il mikron hieron con il tempio pre-persiano, inter-pretando così l’archaios naos delle iscrizioni di IV secolo a.C.; mentre THEMELIS 1986 p.9 ritiene che il tempio pisistrateo si trovasse nel sito dell’attuale chiesa di Agios Georgios. E’ probabile quindi che il tem-pio antico sia da ricercarsi altrove, poiché le iscrizioni di IV secolo a.C. che vi fanno riferimento sono una chiara testimonianza della sua utilizzazione come deposito per le offerte votive.

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PAPADIMITRIOU 1963 pp.113-114; GIUMAN 1999 p.25; THEMELIS 2002 p.104. 14

GIUMAN 1999 pp.24-25. EKROTH 2003 p.105 n.222, colloca il muro di terrazzamento gradinato alla fine del VI secolo a.C.

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DAUX 1950 pp.298-300; HOLLINSHEAD 1985 p.434. 16

DAUX 1960 pp.666-671; BOERSMA 1970 p.160 n.17 lo data al 500 a.C.; THEMELIS 2002 p.108 (in partico-lare fig.2 n.2 p.225); EKROTH 2003 p.107. Dal riempimento di questo muro provengono alcuni materiali datati al VII secolo a.C. (vedi supra n.2).

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ovest della terrazza templare, una sorgente d'acqua, uno dei luoghi di culto più antichi del santuario17. Al suo interno gli scavi hanno portato alla luce numerosi reperti, datati tra l’VIII e gli inizi del V secolo a.C., legati in particolare alla sfera privata femminile, come specchi in bronzo, gioielli, ma anche frammenti di vasi, oltre che di iscrizioni con inven-tari di offerte votive. Le particolari condizioni di giacitura hanno permesso, inoltre, la conservazione di reperti molto fragili come scatole in legno, oggetti in osso e frammenti di vetro18.

Ad est del temenos arcaico restano tracce di muri (n.4) dalla funzione incerta, poiché obliterati e in parte riutilizzati dalla successiva costruzione della stoa. La struttura è costituita da un muro lungo circa 20 m in blocchi di poros con orientamento nord-sud, alle cui estremità si dipartono due muri ad esso perpendicolari, probabilmente un ingresso monumentale (o propylon) al santuario, in asse con il tempio e l’area dell’altare19. In quest’area, inoltre, è stato rinvenuto materiale arcaico tra cui ceramica datata tra il VII e il VI secolo a.C., figurine in terracotta, gioielli, oggetti in oro, vasellame in vetro e marmo, frammenti di iscrizioni20.

E’ in questo periodo che si colloca la costruzione del ponte (n.5) in muratura a nord-ovest, uno dei pochi esempi superstiti in Grecia di questa architettura, per l'età arcai-ca. La sua realizzazione testimonia come tra il VI e la prima metà del V secolo a.C. il san-tuario fosse oggetto di una frequentazione molto intensa, tale da richiederne la messa in opera per permettere l’attraversamento del corso d'acqua che sgorgava dalla terrazza ad ovest del tempio: da occidente giungeva, infatti, la processione da Atene. Il ponte (9,20 x

17 DAUX 1962 p.679; PAPADIMITRIOU 1963 p.115; THEMELIS 2002 p.109; EKROTH 2003 pp.80-81, 105 ri-tiene che quelli rinvenuti superficialmente potrebbero derivare dal saccheggio e dalla distruzione persiana del 480 a.C., ipotizzando inoltre che la struttura muraria venisse usata dai fedeli come terrazza da cui get-tare le offerte votive intenzionalmente nella sorgente o per assistere alle attività cultuali.

18 EKROTH 2003 p.81 n.112. 19

DAUX 1963 p.706; GIUMAN 1999 p.25; EKROTH 2003 pp.107-108 (in particolare n.234, dove si segnala la presenza di alcuni blocchi di poros che recano tracce di carri); NIELSEN 2009 p.105 ipotizza che lì vi fosse una stoa. Quest’ultimo ritiene che l’edificio fosse costituito da due settori: quello nord fungeva da pro-pylon, mentre a sud si presentava come un edificio colonnato in cui si svolgevano banchetti, e dal quale i fedeli potevano assistere alle cerimonie rituali. Infatti il rinvenimento di una base di colonna perpendicola-re al muro nord-sud ha fatto pperpendicola-resumeperpendicola-re che si trattasse di un edificio ipostilo che delimitava ad est il san-tuario in età arcaica (THEMELIS 1986 p.7 ipotizza che lì vi fosse un hestiaterion).

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GIUMAN 1999 p.25; EKROTH 2003 pp.81-82. L'autore non esclude (ivi, p.108), in base alla somiglianza con i materiali della grotta e della sorgente sacra, una funzione di magazzino o luogo di esposizione di of-ferte votive.

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9,06 m) è composto da blocchi di poros posizionati orizzontalmente, a formare il piano di calpestio, sorretti da cinque muri ad ortostati paralleli tra loro e al corso del fiume. La sua costruzione non soltanto obbedisce ad esigenze pratiche, ma dà anche risalto al passaggio dallo spazio profano a quello sacro, tramite un’evidenza architettonica. La sua funziona-lità viene in parte compromessa, alla fine del V secolo a.C., con la costruzione della stoa dorica nella parte nord del santuario, che non tiene conto dell’orientamento del ponte, già presente in quell’area21.

A sud il santuario è delimitato dalla collina rocciosa, su cui si trova attualmente la chiesa di Agios Georgios (fig.2 n.5). Lungo il fianco est è stata individuata la cavità (n.6) che in passato si presentava come una vera e propria grotta, prima che subisse, già in anti-co, il crollo della volta. I materiali ritrovati datano una prima frequentazione dell’area, a scopo cultuale, già nella seconda metà dell’VIII secolo a.C.22 La cavità rocciosa è stata identificata come il luogo di culto originario del santuario, anche per la vicinanza con un elemento naturale, la terra, a cui si associano le prime manifestazioni religiose23.

All’interno della grotta (fig.4), lunga circa 25 m e ampia 5 m, sono stati individuati alcuni vani connessi tra loro da un corridoio trasversale. Presso queste stanze di piccole dimen-sioni24 sono state rinvenute tracce di focolari e fosse contenenti ceneri, terreno scuro e materiale votivo, tra cui frammenti di ceramica di VI-V secolo a.C., resti di vasellame in marmo, figurine in terracotta e molti esemplari di specchi in bronzo. La presenza di

21 DAUX 1962 p.677; Id. 1963 p.704; BOERSMA 1970 p.62, 225 n.107 data il ponte al 450 a.C.; CORSO 1986 pp.169-170.

22 KAHIL 1983 p.232 parla del ritrovamento di alcuni frammenti di ceramica geometrica all’interno di un bothros “near the site of the future temple of Artemis and the heroon of Iphigeneia”; EKROTH 2003 p.77 con relativa bibliografia.

23 HOLLINSHEAD 1985 p.434; GIUMAN 1999 p.27; THEMELIS 2002 p.109. Hollinshead (ivi, n.25 pp.425-426) relaziona la grotta con le nascite, per l’associazione tra l’antro roccioso, oscuro, e il ventre materno, a di-mostrazione di come a Brauron un culto “kourotrofico” fosse già presente sin dalle prime attività cultuali. All’interno di queste cavità scavate nella roccia venivano venerate divinità femminili o ninfe, legate alla fertilità e preposte alla tutela della donna partoriente: cfr. Ustinova Y., Caves and the ancient Greek mind, 2009, pp.3-4 con bibliografia.

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Le stanze misurano in lunghezza da un massimo di 5 ad un minimo di 2,05 m, mentre l’ampiezza varia da 3 a 1,98 m. La struttura risulta incerta dal momento che solo le fondazioni si sono conservate, ma sembra che fossero costruzioni piuttosto modeste e semplici: DAUX 1957 pp.520-521; Id. 1958 p.678, lì Papadimi-triou ritenne di aver trovato la tomba di Ifigenia, e che tutte le strutture all’interno della grotta facessero parte di un santuario.

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chi o pire, associate a ceneri e terreno scuro, ha permesso ad Ekroth25 di ipotizzare che originariamente questo luogo fosse adibito al consumo di pasti durante le cerimonie sacre. Questa ipotesi sembrerebbe avvalorata anche dalla presenza di un canale di scarico riem-pito di terreno scuro e frammenti di ceramica, utilizzato per facilitare la pulizia dei pavi-menti ed eliminare i resti dei pasti. Non è da escludere che questi ambienti custodissero le offerte votive26.

All’estremità sud-est della cavità rocciosa, gli archeologi hanno individuate i resti di due ambienti (fig.4 n.2) costituiti da un’anticamera quadrata (6,35 x 6,35 m) ed una cella stretta (6 x 2,5 m). L’edificio fu definito inizialmente “casa sacra” (Hiera oikia), poiché si ipotizzò che fosse la casa delle sacerdotesse di Artemide, preposte al culto di Brauron. Dai ritrovamenti le strutture sono state datate al periodo arcaico, tra il VII-VI secolo a.C., e quindi in relazione con i resti all’interno della grotta, anche se apparentemente non comunicanti. E’ stato ipotizzato che l’edificio fosse un recinto a cielo aperto, dal momen-to che non sono state trovate tracce di una copertura o di un tetmomen-to, mentre il muro di fondo consiste nella parete rocciosa della grotta27.

Durante questa fase di monumentalizzazione del santuario si può collocare uno sbancamento nella collina a sud (fig.2 n.4), in quanto il taglio nella roccia, su cui ora sorge la chiesa di Agios Georgios, è in realtà dovuto ad un intervento antico. La chiesa, del XV secolo d.C., ingloba resti pertinenti al santuario che fanno pensare alla presenza, su questa piattaforma artificiale, di un edificio cultuale o dell’altare stesso28. La localizza-zione di quest’ultimo è assai dibattuta in quanto resti certi non ve ne sono, ma

25 EKROTH 2003 p.83. 26

GIUMAN 1999 pp.26-27; EKROTH 2003 pp.79, 82, 84. 27

LIPPOLIS ET ALII 2007 pp.583-584; si vedano inoltre THEMELIS 2002 p.108; EKROTH 2003 pp.74-75, 85. Ekroth ipotizza che la cella a sud, non comunicando con la grotta e non avendo nessun tipo di ingresso costituisse un rinforzo per la parete rocciosa della grotta e interpreta l’anticamera come sala per banchet-ti. Infatti egli ritiene che durante l’età arcaica siano mutate le funzioni degli ambienti interni alla grotta, che avrebbero assunto il ruolo di magazzino per le offerte votive, mentre la consumazione dei pasti sareb-be stata trasferita nel nuovo edificio, la cosiddetta “casa sacra” (ivi, pp.84-85).

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PAPADIMITRIOU 1963 p.113 attribuisce i resti rinvenuti all’altare; THEMELIS 1986 p.9, ritiene che l’opera di terrazzamento debba mettersi in relazione con il tempio pre-persiano; GIUMAN 1999 p.29; EKROTH 2003 p.106.

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mente è da cercarsi ad est del tempio, sulla terrazza antistante29. Attorno ad esso doveva-no svolgersi alcuni importanti rituali del culto brauronio come si evince nelle scene rap-presentate sui crateriscoi, dove giovani ragazze corrono o danzano attorno o verso l’altare, su cui talvolta brucia una fiamma30. Si presume quindi che si trovasse in uno spa-zio sufficientemente ampio, tale da permettere lo svolgimento delle cerimonie religiose e la presenza di fedeli che vi assistevano. Un’ulteriore conferma della sua posizione deriva da un frammento di crateriscos (fig.5), datato alla prima metà del V secolo a.C., in cui si nota la raffigurazione di un altare a volute ioniche e a lato due colonne sormontate da tra-beazione31: si tratta in questo caso del tempio, dal momento che la stoa non era ancora stata costruita all’epoca della realizzazione del vaso.

Questa seconda fase si conclude con il saccheggio operato dai Persiani di Serse, nel 480 a.C. con la distruzione del tempio e di altri edifici del santuario. A seguito di ciò si avran-no lavori di ristrutturazione del complesso.

I.4 LA FASE CLASSICA: SECONDA METÀ V SECOLO - IV SECOLO a.C.

In questa fase si assiste alla ricostruzione del tempio in pietra, danneggiato dal saccheggio del 480 a.C., i cui resti sono tutt'ora visibili. Il tempio (19,90 x 10,35 m; fig.2 n.1) sorge sulla medesima terrazza del tempio arcaico, il fulcro dell’intero complesso. L’edificio, prostilo in antis e con orientamento Est-Ovest, è costituito da un pronaos, una cella suddivisa in tre navate da due file di colonne e un adyton. Lo scavo ha portato alla luce parte delle fondazioni del tempio, costituite da piccole pietre, e qualche elemento dell’alzato, tra cui fusti di colonne in poros, triglifi, e frammenti di metope in marmo32. La cronologia dell’edificio risulta incerta, ma si fa risalire, in base agli elementi architet-tonici rinvenuti, alla prima metà del V secolo a.C. circa33.

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DAUX 1960 pp.666-671; GIUMAN 1999 p.25; THEMELIS 2002 p.108; EKROTH 2003 pp.106-107 (in parti-colare n.228); NIELSEN 2009 p.105 riporta la presenza di tracce cospicue di ceneri, da relazionare alla pre-senza dell’altare.

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Sui crateriscoi si veda in particolare KAHIL 1965; Id. 1976; Id. 1977. 31

KAHIL 1977 p.87; Id. 1988 p.806. 32

DAUX 1950 pp.298-300; HOLLINSHEAD 1985 p.432. 33

PAPADIMITRIOU 1963 p.115 propone poco prima del 500 a.C.; BOERSMA 1970 p.51, 175 n.42; GIUMAN 1999 p.22; EKROTH 2003 p.109.

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L’adyton è stato ricondotto alla presenza di Ifigenia a Brauron, di cui alcune fonti parla-no34, poiché questo ambiente viene talvolta associato allo svolgersi di culti ctoni. E’ pro-babile, in realtà, che la parte più interna della cella, il cui accesso era riservato al perso-nale addetto al culto, fosse utilizzata come deposito di offerte votive di particolare pregio e di materiali preziosi, identificandosi con il parthenon citato nelle iscrizioni di IV secolo a.C. e nell’iscrizione dei Nomoteti di III secolo a.C.35 Questo era infatti un luogo non ac-cessibile a tutti e ritenuto inviolabile in quanto spazio sacro, perciò adatto alla funzione di deposito.

Alcuni interventi riguardano la grotta a sud del santuario. In questa fase si verifica il crollo della volta, che seppellisce le strutture interne rendendole non più agibili. L’ingresso nord-ovest viene così occupato da un nuovo edificio a due vani (fig.2 n.6), che Papadimitriou identificò inizialmente come l’heroon di Ifigenia36. Questo ha l’aspetto di un piccolo naiskos (7,75 x 4,65 m), con un’anticamera e una cella quasi quadrata, all’interno della quale si osserva una traccia cospicua di focolare. Gli scavi hanno portato alla luce le fondazioni in poros, mentre l’alzato era probabilmente realizzato in mattoni crudi, come dimostra la notevole quantità di terra rossa emersa a causa della loro decom-posizione. La cronologia dell’edificio si fa risalire alla metà del V secolo a.C.37 Diverse sono le ipotesi riguardanti la sua funzione: il rinvenimento nel vano più interno di tracce

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Euphor. fr. 91 Powell (riportato anche da Schol. Ar. Lys. 645a) in cui si dice che il cenotafio di Ifigenia è a Brauron; Phanod. FGrHist 325 F14 dove Ifigenia è sostituita da un’orsa; schol. Ar. Lys. 645a-b riporta il sa-crificio di Ifigenia a Brauron e non in Aulide; Eur. IT, vv.1462-1467. In particolare lo studio di Travlos, “Treis naoi tes Artemidos Aulidias, Tauropolou kai Brauronias”, in Neue Forschungen in griechischen Heiligtü-mern (Tübingen), 1976, pp.197-205, mette in rapporto tra loro i tre templi di Artemide ad Aulide, Halai Araphenides e Brauron in quanto accomunati dalla presenza dell’adyton, interpretato in rapporto con il culto ctonio di Ifigenia. Secondo HELLMANN 2006 p.71, l’adyton si diffonde a partire dall’alto arcaismo in Grecia «sans association privilégiée à un culte en particulier».

35 HOLLINSHEAD 1985 pp.434-435, 438-439; GIUMAN1999 pp.35-36; COLE 2004 p.200 ipotizza che all’interno dell’adyton fosse custodita l’immagine lignea di Artemide, non accessibile a tutti, in quanto sacra e dotata di un potere “pericoloso”. Per le iscrizioni cfr. infra n.54.

36

DAUX 1950 p.300; PAPADIMITRIOU 1963 p.115 dove identifica le strutture interne alla grotta e il piccolo tempio come tomba di Ifigenia; THEMELIS 2002 p.108. Per le fonti riguardanti Ifigenia a Brauron si veda supra n.34.

37

BOERSMA 1970 pp.62, 238 n.132 (identifica il mikron hieron con la tomba di Ifigenia); CORSO 1986 p.169, data il piccolo tempio dopo il 450 a.C., quando avviene il crollo della volta della grotta, al cui interno si svolgevano culti in onore di Ifigenia; PEPPAS DELMOUSOU 1988 p.326 propende per una cronologia alta (VI secolo a.C.) ritenendo che l’edificio debba collegarsi agli interventi di Pisistrato nell’area del santuario; così anche GIUMAN 1999 p.26.

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11

di focolare ha fatto pensare ad un uso cultuale e rituale, oltre che di deposito per le offerte votive38.

Uno degli interventi maggiori che il santuario subisce in questa fase, è la costruzione di una grande stoa a nord, che ne muta sensibilmente il paesaggio, divenendo punto focale dell’intera area sacra.

I.4.1 LA STOA DORICA

Della stoa (fig.2 n.11; fig.6) restano lo stilobate in marmo, i capitelli e le metope, e parte dell’alzato in arenaria locale. L’intero complesso (75 x 55 m), ch, sulla base dello stile e alla tecnica usata è stato datato al 420-415 a.C.39, è composto da portici su tre lati, che racchiudono una corte centrale, e da undici ambienti distribuiti lungo il lato ovest e nord. L’ingresso avveniva lateralmente dall’ala ovest tramite un propylon bipartito. Tra gli ambienti, nove di questi misurano 6,10 x 6,10 m, mentre le rimanenti due stanze han-no dimensioni differenti: la prima è localizzata all’estremità meridionale del lato ovest, mentre la seconda all’estremità occidentale del lato nord; si tratta probabilmente di am-bienti di servizio40. Le altre nove stanze, invece, erano ammobiliate con undici letti in legno (klinai) e sette tavoli marmorei (trapezai), di cui alcuni ancora in situ, capaci di os-pitare novantanove persone. L’interpretazione ad oggi più plausibile della funzione della stoa è quella di hestiatorion41, ovvero il luogo in cui si svolgevano banchetti a seguito di

38

Ciò è desumibile dal rinvenimento nei pressi del piccolo tempio di un numero elevato di frammenti di iscrizioni di IV secolo a.C. riportanti liste di offerte ad Artemide, che dovevano essere deposte nelle imme-diate vicinanze. HOLLINSHEAD 1985 p.434, identifica il mikron hieron con il vecchio tempio (archaios naos) citato nelle iscrizioni, che è usato, dopo la costruzione del tempio post-persiano, come magazzino per of-ferte di particolare pregio; GIUMAN 1999 pp.26-27; EKROTH 2003 pp.86-87, 110 ipotizza che questo edifi-cio fosse usato come hestiatorion da un gruppo diverso di persone rispetto a chi partecipava ai banchetti presso la stoa, quando la casa sacra, adibita anch’essa secondo lo studioso a sala da banchetto, alla fine del V secolo a.C. non era più in uso.

39 DAUX 1959 p.596; PAPADIMITRIOU 1963 p.120; BOERSMA 1970 pp.91, 214 n.90; COULTON 1976 p.227. Durante gli scavi è stata rinvenuta in situ una stele la cui iscrizione fa riferimento all’arcontato di Arimne-stos permettendo così di datare la conclusione dei lavori al 416-415 a.C. (THEMELIS 1986 p.8; GIUMAN 1999 p.32). Sull’iscrizione di Arimnestos si veda inoltre PEPPAS-DELMOUSOU 1988 pp.323-346.

40

La stanza dell’ala occidentale è stata interpretata come magazzino, e il secondo ambiente come portine-ria: THEMELIS 2002 pp.104-105; COULTON 1976 p.42.

41

COULTON 1976 pp.42-43; THEMELIS 1986 pp.6-11, ipotizza che le sale da banchetto ospitassero funzio-nari e magistrati provenienti da Atene, in occasione di cerimonie, come i Brauronia; GIUMAN 1999 pp.31-32; THEMELIS 2002 p.104; PARKER 2005 p.230. Tra chi lì era ospitato, Brule’ ipotizza vi fossero anche i pa-dri delle ragazze che partecipavano al rito dell’arkteia, e che il banchetto dovesse svolgersi di notte: cfr. BRULE’ 1990 p.71.

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cerimonie rituali e sacrifici, riservato ad ospiti particolari. Il portico settentrionale era in-oltre utilizzato per disporre le offerte dei fedeli, come dimostrano i numerosi materiali rinvenuti in quest’area, tra cui frammenti di iscrizioni, rilievi, statue di bambine e bambi-ni.

A ridosso dell’ala nord vi è un corridoio aperto (fig.2 n.12; fig.7), orientato Est-Ovest, comunicante con la corte centrale tramite uno stretto passaggio situato tra la terza e la quarta camera. Alle due estremità vi sono due ingressi simmetrici, ad est e a ovest, dotati ognuno di una colonna rivolta verso l’esterno: il propylon occidentale conduceva alla strada per Atene e verso l’interno dell’Attica, mentre da quello orientale si dipartiva la strada per il porto ed il santuario di Halai Araphenides. Lungo il lato nord del corridoio si trova uno stretto e allungato portico (47 x 2,75 m) con dodici colonne in pietra, aperto verso sud. Al suo interno sono stati rinvenuti trentasette blocchi in calcare, posizionati in fila uno di fianco all’altro, con una solcatura interna (0,80 x 0,17 m) per l’inserzione di tavole di legno. Non è chiaro quale fosse la natura di questa struttura: alcuni studiosi ri-tengono che lì fossero esposte su supporti di legno (pinakes) le offerte votive del santua-rio, in particolare gli abiti donati dalle donne di cui si ha testimonianza nelle liste degli inventari brauroni. Lo stretto e allungato portico verrebbe così ad identificarsi con la pa-rastas più volte citata nelle iscrizioni mentre il toichos coinciderebbe con il muro di fondo (pros toi toichoi) sul quale erano appese le offerte in metallo prezioso42. Ma come sos-tiene Linders, la parastas non è un edificio o una stanza bensì un pilastro, lo stipite di una porta o le ante di un vestibolo a cui erano appese le offerte in oro43. Dal momento che si tratta di materiale prezioso e di valore è poco probabile che fosse custodito nella stoa

42 Per la parastas cfr. IG Il2 1517, 52-53; 1524, 118, 123; per il toichos IG Il2 1514, 23-24 (= 1515, 15-16; 1516, 3-5); 1517, 43. COLE 1985 p.20; BRULE’ 1987 p.236; GIUMAN 1999 p.33. Contro questa ipotesi si pone THEMELIS 1986 n.8 pp.9-10 e 2002 pp.105-107, che identifica la struttura a nord della stoa come stalla per cavalli di proprietà del santuario, dove le trentasette basi in poros costituirebbero le basi per il fissaggio delle mangiatoie.

43

LINDERS 1972 pp. 57, 72 n.33. Cfr. Liddell - Scott s.v. παραςτάσ, in cui si intende anche lo spazio racchiu-so tra due parastadi, come il vestibolo di un tempio (ad esempio in Eur. IT, 1159) o di una casa. Dal mo-mento che le offerte in metallo prezioso sono conservate all’interno del parthenon, identificato con l’adyton del tempio, è probabile che pros tei parastadi vada riferito al tempio stesso. Inoltre il toichos è citato nello stesso luogo in cui si trovano le statue (attorno a cui erano posti gli indumenti): perciò si tratta di un unico edificio, forse la cella del tempio. Cfr. LINDERS 1972 pp.14-15, 17.

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stretta e allungata, priva di porte e isolata rispetto al resto del santuario. Inoltre in quest’area non sono emersi materiali votivi tali da far presumere che fossero lì esposti44. Escluso quindi che le trentasette basi in poros potessero ospitare le offerte votive del san-tuario, rimane da capire quale fosse la loro funzione. Altri studiosi hanno proposto di re-lazionare quest’area del santuario con il rituale dell’arkteia: la strada che giungeva a Brauron da Atene conduceva direttamente al portico tramite il propileo occidentale. In questo luogo, quindi, terminava la solenne processione che avveniva durante i Brauronia ed è forse in quest’occasione che le bambine abbandonavano la famiglia, per un certo pe-riodo, per servire Artemide a Brauron. La stoa stretta e allungata poteva esporre le tavole lignee ricoperte di gesso bianco (leukomata) infisse all’interno delle trentasette cavità, su cui probabilmente erano riportati i nomi delle ragazze che partecipavano al rituale, in età classica sicuramente un gruppo ristretto in rappresentanza di tutte le ragazze ateniesi ap-partenenti alla medesima classe d’età45. Sarebbe comprensibile così la scelta di porre le tavole lignee all’interno del portico dove erano al riparo dalle intemperie e dalla pioggia che avrebbe rovinato la superficie ricoperta di gesso.

La stoa, ad eccezione del portico settentrionale, non fu mai completata. Le cause sembrano essere diverse: tra queste le frequenti esondazioni del fiume Erasino, come hanno dimostrato gli strati di fango che ricoprono parte delle strutture46. A ciò si deve ag-giungere che i lavori di costruzione sono di poco precedenti alla spedizione in Sicilia del 412 a.C., il cui esito probabilmente non permise di terminare il progetto. E’ proprio in seguito ai danneggiamenti causati dalle esondazioni del fiume che fu emanato un decreto da parte dei Nomoteti nel III secolo a.C. per nominare una commissione incaricata di re-gistrare i danni subiti dal santuario e procedere alle riparazioni.

44 Si vedano al riguardo le cronache di scavo in DAUX 1961 p.639; Id. 1962 p.677. Inoltre le basi in poros sono adiacenti l’una all’altra rendendo in tal modo impraticabile il muro di fondo interno del portico ed è difficile immaginare come le offerte votive fossero annualmente controllate dagli epistatai in uno spazio così ristretto.

45

LINDERS 1972 p.10 n.16; EKROTH 2003 pp.87-93. Le leukomata riportavano notizie pubbliche all’interno di un santuario, ad esempio relative al culto, nomi di sacerdoti, sacrifici e feste; nel santuario di Anfiarao ad Oropos i neokoroi avevano il compito di trascrivere i nomi degli incubanti che venivano ricoverati: i ne-okoroi erano presenti anche a Brauron a fianco degli epistatai negli inventari (IG II2 1517, 179; 1524, 95-101): cfr. EKROTH 2003 p.91 con relativa bibliografia. Sul carattere selettivo dell’arkteia si veda BRULE’ 1987 pp.206-207; SOURVINOU-INWOOD 1988 pp.113-116; DOWDEN 1991 p.41; GIUMAN 1999 pp.115-116; PARKER 2005 p.233.

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L’interesse per il santuario extra-urbano di Brauron da parte di Atene rimane costante nel tempo e la sua ristrutturazione monumentale dimostra come la città intendesse affermare il suo predomino sull’Attica anche attraverso il restauro dei suoi principali santuari47. L’attenzione pubblica verso il culto di Artemide Brauronia è osservabile anche nell’opera di Euripide, Ifigenia in Tauride, del 412 a.C., dove sono svelate le origini dei culti di Ha-lai Araphenides e di Brauron attraverso l’intervento della stessa Atena48: è proprio in quegli anni che viene portato avanti il progetto della grande stoa dorica, rimasto incompi-uto a causa della spedizione in Sicilia.

La ricchezza del santuario è testimoniata anche dai cospicui rinvenimenti avvenuti du-rante le diverse campagne di scavo: si tratta di oggetti riferibili alla sfera femminile, come moltissimi specchi in bronzo, gioielli in oro, vasellame e manufatti legati all’attività della tessitura e filatura. Numerose sono le statue e le teste di fanciulle e fanciulli, donati ad Artemide come ringraziamento per la buona riuscita del parto (tante infatti potevano es-sere le complicanze che potevano portare alla morte del bambino e della madre) e per la nascita di figli sani.

Una frequentazione quindi intensa ed attiva da parte non solo dei molti fedeli che giunge-vano al santuario per chiedere la protezione della dea e donare offerte come ex-voto, ma anche di coloro che partecipavano alle feste quinquennali dei Brauronia, attraverso la processione sacra che da Atene arrivava al santuario, e al rituale dell’arkteia, con il quale si preparavano le ragazze in età puberale al ruolo che avrebbero assunto nella società ate-niese: quello di mogli e madri.

47

Che il culto brauronio fosse sotto il controllo dello Stato ateniese è testimoniato dall’Athenaion Politeia di Aristotele (LIV, 6-7), in cui sono elencate le feste più importanti amministrate da un consiglio di dieci ieropoioi, estratti a sorte. Si veda in particolare MONTEPAONE 1979 pp.352-353.

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I.5 IL III SECOLO a.C. E IL DECLINO DEL SANTUARIO

È verso la fine del IV secolo a.C. che inizia la fase di declino del santuario, dimo-strata tra l’altro dalla generale contrazione delle offerte votive nel III secolo a.C. Tra i motivi del declino, oltre alle esondazioni dell’Erasino, si possono annoverare ragioni poli-tiche, come la perdita di importanza dei demi a partire dalla seconda metà del IV secolo a.C.49

È proprio verso la metà del III secolo a.C., com’è stato già detto, che si colloca l’iniziativa volta a ridare vita al santuario di Brauron, testimoniata dal decreto dei Nomo-teti che ha permesso di gettare nuova luce sulla topografia di tutta l’area. L’iscrizione frammentaria è stata rinvenuta nei pressi dell’ala ovest durante la campagna di scavo del 196150. Nel decreto, emanato su proposta di un cittadino del demo di Philaidai, si stabi-lisce di nominare una commissione, composta dagli exetastai del consiglio (έξεηαζηαί ἐκ ηῆρ βοςλῆρ) e i tamiai degli altri dei (ηαμίαρ ηῶν ἂλλων θεῶν), con il compito di verifi-care lo stato degli edifici, elenverifi-care tutti gli ex-voto, il numero delle stanze, delle porte e dei tavoli, tutto ciò che era presente in quel momento nel santuario. L’elenco doveva es-sere affidato agli epistatai, i funzionari incaricati di amministrare il santuario, i quali avrebbero nominato un “architetto delle cose sacre” (ἀπσιηέκηονα ἐπὶ ηὰ ἱεπά) che dove-va, come prima cosa, prendersi cura della statua della dea e redigere l’elenco delle ripara-zioni da effettuare, con i relativi costi. Gli edifici riportati in testa all’iscrizione sono:

ὁ νεώρ ὅ ηε ἀ[πσαῖορ καὶ ὁ Πα]πθένων, [ζηέγωζιν] καὶ οἱ οἶκοι ηό ηε ἀμθιπολεῖον ἐν ὧι [αἱ ἄπκηοι] διαιηῶνηαι καὶ ηὰ ὑπεπῶια ηὰ ἐπί ηοῦ ἀμθιπολείος καὶ [ηὸ γςμν]άζιον καὶ ἡ παλαίζηπα καὶ οἱ ἱππῶνερ καὶ ηἆλλα πάνηα [ὃζα ἡ] πόλιρ οἰκοδομήζαζα ἀνέθηκεν ηῆι θεῶι ὑπέπ ζωηηπίαρ ηο[ῦ δ]ήμος ηοῦ Αθηναίων.

Dal momento della sua scoperta si è cercato di trovare una corrispondenza tra gli edifici elencati e i resti venuti alla luce durante gli scavi. Il primo edificio ha posto pochi problemi in quanto si tratta del tempio di Artemide, quello post-persiano, mentre l’integrazione proposta, ὅ ηε ἀπσαῖορ, farebbe riferimento all’archaios naos, andato

49

GIUMAN 1999 p.37. Sula cronologia riguardante l’abbandono del santuario cfr. DAUX 1951 p.111; Id. 1960 p.669; Id. 1962 p.683; PAPADIMITRIOU 1963 p.120.

50

Per la cronaca della scoperta cfr. DAUX 1962 p.674. L’iscrizione è stata pubblicata integralmente per la prima volta in THEMELIS 2002 pp.112-116; il testo qui riportato è un estratto delle prime otto righe della stele, le cui integrazioni seguono il testo di Themelis.

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trutto nel saccheggio del 480 a.C. A quest’ultimo si fa riferimento anche nelle iscrizioni dei cosiddetti inventari brauroni dove l’archaios naos risulta utilizzato come deposito delle offerte votive in metallo prezioso: evidentemente quindi l’antico tempio doveva es-sere ancora funzionale nel IV secolo a.C.51

Molte le ipotesi sulla reale posizione del parthenon e del suo rapporto con il naos, con il quale spesso appare associato nelle iscrizioni52. Il significato letterale sembrerebbe indi-care la “dimora delle parthenoi”, il luogo cioè in cui le giovani arktoi vivevano durante il loro periodo di soggiorno al santuario. Papadimitriou associò i resti della stoa a pi-greco, da lui interpretata come dormitorio per le ragazze, al parthenon delle iscrizioni53. Attual-mente tale ipotesi è da escludere, in quanto le stanze arredate con letti e tavoli assolveva-no alla funzione di sale da banchetto ed iassolveva-noltre il partheassolveva-non, insieme all’archaios naos, è citato negli inventari brauroni come luogo in cui si conservavano le offerte in metallo prezioso, in particolare oro e argento54. Conseguentemente il parthenon doveva essere una struttura chiusa, non accessibile a tutti, adatta ad ospitare le offerte preziose, e perciò non identificabile con gli spazi aperti della stoa. L’area che meglio poteva svolgere questa funzione è stata identificata, da alcuni studiosi, con l’adyton del tempio, in quanto “pro-prio in virtù della sua particolare condizione sacra, unitamente al concetto di inviolabili-tà del luogo, poteva garantire al suo interno un controllo costante e un livello di

51 HOLLINSSHEAD 1985 p.434 propone il mikron hieron, il piccolo edificio situato all’ingresso della grotta, come tempio antico perché adatto a custodire le offerte sia per le sue modeste dimensioni e l’accesso limitato, sia perché vicino al tempio più recente e quindi in rapporto con esso. Inoltre al suo interno sono state rinvenute iscrizioni di inventari su stele in pietra, forse inserite negli intagli presenti nella roccia di fronte all’ingresso nord-ovest della grotta. Questa identificazione però non convince appieno dal momen-to che il piccolo tempio non sembra essere precedente il sacco persiano, anche se è assai probabile che fungesse da magazzino per le offerte votive. THEMELIS 1986 p.9, ritiene che naos e archaios naos siano la stessa cosa, e si trovassero sulla terrazza della collina sud del santuario.

52

Vedi infra n.54. 53

DAUX 1959 p.596; Id. 1961 p.639; PAPADIMITRIOU 1963 p.120. 54

IG II² 1517, 3; 1524, 41, 44 dove viene indicato il trasferimento di alcune offerte dall’archaios naos al parthenon: l’iscrizione mostra come i due edifici fossero in qualche modo correlati, ma distinti; probabil-mente anche 1517, 39-40 e 70-71.

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za adeguato a ospitare le offerte più pregiate dedicate alla divinità.”55 A sostegno di que-sta identificazione vi è un numero cospicuo di iscrizioni frammentarie, rinvenute nei pres-si del muro di terrazzamento gradinato a nord del tempio, recanti gli inventari delle offer-te, che dovevano essere custodite in edifici non lontani. Come sostiene Linders, “the ste-lai containing inventories were erected near the buildings in which the offerings were kept.”56

Pochi dubbi anche sugli oikoi, che indicano chiaramente le stanze dell’ala ovest e nord della stoa (stoa kai oikoi)57. Essi erano destinati a banchetti cerimoniali per ospiti impor-tanti come i funzionari addetti all’amministrazione del santuario e del culto e i magistrati provenienti da Atene58.

L’amphipoleion, secondo l’ipotesi di Giuman59, è un edificio destinato a custodire utensili sacri, necessari per il culto ed i sacrifici. Un’interpretazione più letterale porta a conside-rarlo come dimora degli amphipoloi, ovvero i funzionari del culto e delle feste, sacerdoti, ma anche ancelle al servizio della dea60. Per questo motivo nella lacuna adiacente di circa nove lettere Peppas-Delmousou61 ha integrato αἱ ἄπκηοι, ritenendo così questo edificio come il luogo in cui vivevano le ragazze durante il loro soggiorno presso il santuario. L’iscrizione fa menzione anche di piani superiori (ηα ςπεπῶια) dell’amphipoleion, per i

55

GIUMAN 1999 pp.35-36. Per quanto riguarda l’adyton considerato come il parthenon dell’iscrizione cfr. LINDERS 1972 pp.71-72 che considera il parthenon un edificio a sé stante, da ricercare “among the tem-ples of Brauron”, poiché è proprio all’interno dei templi che venivano conservate le offerte di valore; KA-HIL 1977 pp.96-97 ritiene che “l’expression «temple et…Parthénon» serait alors à placer sur le même plan, que celle de stoa kai oikoi”; HOLLINSHEAD 1985 pp.434-435; BRULE’ 1987 p.248; THEMELIS 2002 p.114. Diversamente EKROTH 2003 pp.115-116 considera il parthenon come il tempio recente della dea, post-persiano, d’accordo con una precedente ipotesi di Themelis (THEMELIS 1986 p.9).

56 LINDERS 1972 p.72. Tuttora sono visibili in situ le basi per il loro fissaggio lungo il muro di terrazzamento gradinato, mentre altre fessurazioni analoghe sono state individuate lungo il muro ovest dell’ala occiden-tale della stoa e di fronte al muro nord-ovest del piccolo tempio.

57 LINDERS 1972 p.72 n.32; COULTON 1976 pp.3-4, e per l’uso dell’espressione stoa kai oikoi, p.43; THE-MELIS 1986 p.9; GIUMAN 1999 p.36; EKROTH 2003 p.114.

58

THEMELIS 1986 p.7; cfr. inoltre supra n.41. 59

GIUMAN 1999 p.35, in analogia con un’iscrizione proveniente da Egina (IG IV 39) in cui si elencano stru-menti ad uso sacro depositati all’interno dell’amphipoleion. Per questa ipotesi si veda anche la ricostru-zione ipotizzata da PEPPAS-DELMOUSOU 1988 pp.336-337, dove ai piani inferiori erano custoditi strumen-ti sacri, vasellame e utensili per il culto (a cui farebbe riferimento un’iscrizione di otto linee, non pubblica-ta, rinvenuta nel 1961: cfr. DAUX 1962 p.667; THEMELIS 1986 pp.7-8), mentre i piani superiori ospitavano gli alloggi delle arktoi, in analogia con i ginecei nelle dimore private.

60

Ifigenia stessa si definisce in Eur. IT, 1114 “la vergine ministra della dea” (θεᾶσ ἀμφίπολον κόραν). 61

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quali non è possibile ammettere una loro identificazione con la stoa, dal momento che su base architettonica e archeologica è stato escluso che potesse avere un secondo piano. Di fatto l’amphipoleion non è stato riconosciuto tra i resti finora venuti alla luce e si pre-sume, perciò, che non sia stato ancora scavato62.

Allo stesso modo sono ancora da trovare gli altri edifici menzionati dall’iscrizione: il gymnasium e la palaistra63. Le scuderie (οἱ ἱππῶνερ) sono state invece recentemente iden-tificate da Themelis nella stretta e allungata stoa settentrionale64. Se così fosse, si tratte-rebbe di uno dei pochissimi esempi superstiti di questa tipologia architettonica, le cui evi-denze archeologiche scarseggiano. A sostegno di questa ipotesi sembrerebbe essere un’iscrizione frammentaria rinvenuta nel 1961, contenente un elenco di utensili sacri e l’arredamento di un edificio composto da un numero variabile di letti e tavoli, identificato da Papadimitriou con la stoa65. Nell’ultima linea si parla, infatti, di “porte delle scuderie che conducono alla città” (αἱ θύπαι ηοῦ ἱππῶνορ αἱ ππὸρ ἄζης), che potrebbero essere i propilei simmetrici del corridoio aperto, a nord della stoa, in particolare l’ingresso occi-dentale, attraverso il quale ci si immetteva nella strada che portava ad Atene. Le trenta-sette basi in poros sarebbero servite, così, per il fissaggio di tavole lignee che andavano a costituire le mangiatoie per i cavalli, di proprietà del santuario.

Da notare che tra gli edifici menzionati nell’iscrizione mancano alcuni tra quelli che sono stati scavati: ad esempio il ponte e le strutture della grotta. Ekroth ritiene che quelle anco-ra in uso nel III secolo a.C. siano implicite nella fanco-rase “e tutte le altre costruzioni che la

62 THEMELIS 1986 p.9; DOWDEN 1991 p.53; GIUMAN 1999 pp.35-36, 114; THEMELIS 2002 p.114; EKROTH 2003 p.116. Tutti gli autori escludono che si possa trattare della stoa, senza però un successivo riconosci-mento.

63 Il santuario probabilmente si espandeva ulteriormente verso est, poiché ad occidente è delimitato dal fiume Erasino, mentre a sud dalla collina con affianco la cavità rocciosa. In un sondaggio effettuato duran-te la campagna di scavo del 1962, ad est della stoa, sono staduran-te rinvenuduran-te le fondazioni di un edificio, lungo circa 30 m, su cui poco si è potuto indagare: è possibile, quindi, che sia in quest’area che vadano cercati le rimanenti strutture del santuario. Cfr. DAUX 1962 p.682; Id. 1963 p.706; THEMELIS 2002 p.115; EKROTH 2003 p.116 n.286.

64

Sul portico settentrionale a nord della stoa si veda supra parag. I.4.1. 65

L’ipotesi di Themelis è stata espressa nel lavoro Le orse di Brauron. Un rituale di iniziazione femminile nel santuario di Artemide, Gentili B., Perusino F., (a cura di), Pisa, 2002, pp.105-107. Per l’iscrizione cfr. SEG 37.35, DAUX 1962 p.671; ROBERT 1963 pp.134-135; lo stesso autore (THEMELIS 1986 pp.7-8) ritiene che le righe di questa iscrizione possano ricollegarsi alla stele dei Nomoteti del III secolo a.C., fornendo l’elenco degli arredamenti da riparare, degli utensili e strumenti sacri, così da completare il quadro d’insieme del santuario brauronio.

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città donò” (ηἆλλα πάνηα [ὃζα ἡ] πόλιρ οἰκοδομήζαζα ἀνέθηκεν)66. L’elenco aiuta anche a capire quali fossero le strutture ritenute fondamentali per la vita del santuario e quali quelle accessorie, dal momento che non vengono direttamente menzionate.

Successivamente all’abbandono del santuario non vi sono altre fasi di vita. Gli scavi hanno portato alla luce sporadiche tracce di età romana: le tombe rinvenute all’interno della grotta, interpretate inizialmente come sepolture delle sacerdotesse al ser-vizio della dea, risalgono in realtà al II secolo d.C.67 L’area, allora deserta, fu sfruttata sia come cimitero, come testimoniano anche i frammenti di un rilievo in marmo, ritrovato ad est della stoa e pertinente al monumento funerario di Polydeukion, allievo di Erode Atti-co, morto nel 165 d.C.68; sia per battute di caccia da parte dell’aristocrazia ateniese. In questo modo si comprende il perché Erode avesse voluto ricordare il suo allievo proprio a Brauron.

Con l’avvento del cristianesimo quello che resterà del santuario di Brauron subirà depre-dazioni e saccheggi. Alcuni materiali saranno riutilizzati per la costruzione di una strada che da ovest attraversa il propylon dell’ala occidentale della stoa per giungere al centro della terrazza dell’altare69, altri per la costruzione, nel VI secolo d.C., di una chiesa a o-vest del santuario, demolita nel secolo successivo. Al XV secolo risale, invece, la chiesa di Agios Geogios, tutt’ora visibile sulla collina a sud perpetuando, così, la funzione reli-giosa dell’area.

I.6 IL SANTUARIO DI ARTEMIDE SULL’ACROPOLI DI ATENE

Il santuario di Artemide brauronia (fig.8) si trova tra i Propilei e la Calcoteca, sul pianoro sud-occidentale dell’Acropoli. Quest’area è stata indagata per la prima volta agli inizi del secolo scorso da Versakis e poi da Stevens negli anni Trenta, durante uno studio sistematico dell’area dei Propilei di Mnesicle.

66 EKROTH 2003 p.106. 67 ivi, p.78. 68

DAUX 1962 p.681, fig.21. Cfr. Paus. 1, 33, 1, si veda supra n.9; Pomponio Mela II, 3, 46: “Thoricos et Brauronia olim urbes iam tantum nomina”.

69

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Il santuario è costituito da uno spazio trapezoidale, delimitato a sud dal muro dell’acropoli, a ovest da un tratto superstite del muro miceneo, lì spesso 6 m, ad est da un muro in blocchi di calcare confinante con la Calcoteca, ed infine a nord da un muro rea-lizzato tramite tagli perpendicolari nella roccia, al fine di ottenere una superficie verticale. Lo studio della sua topografia e delle fasi di vita è reso assai difficoltoso dalle scarne evi-denze archeologiche che comprendono qualche tratto di fondazione, blocchi in pietra e numerosi tagli nella roccia.

E’ stato comunque possibile procedere ad una ricostruzione del suo aspetto complessivo, che doveva comprendere a sud una stoa dorica con dieci colonne e due avancorpi laterali, ad est e a ovest, con ingresso sul lato nord e due semicolonne sui lati lunghi. In realtà è ancora dubbio quale fosse la reale lunghezza della stoa, se, cioè, dal limite orientale arri-vasse fino al muro miceneo, e se avesse due sacelli laterali o soltanto uno, dal momento che la zona ovest del santuario è di difficile lettura70.

70

GRECO 2010 p.93; in particolare STEVENS 1936 pp.466 e sgg.; TRAVLOS 1971 p.124; GIUMAN 1999 p.55, ritengono che la stoa si allungasse fino al muro miceneo e che per simmetria avesse due sacelli, mente RHODES-DOBBINS 1979 ipotizzano nella loro ricostruzione una sola ala est e una lunghezza complessiva di 15 m circa.

FIGURA 8. BRAURONION ATENIESE. (Stevens 1936)

Con la lettera A è indicato il muro del temenos pre-mnesicleo. le lettere A1, B, C, indicano gli interventi

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In una fase successiva è aggiunta un’ulteriore struttura ad est, identificata come una stoa a cinque colonne che si aggiunge alla già esistente stoa meridionale. L’ingresso all’area sa-cra non era dotato di un apparato monumentale ma avveniva attraverso alcuni gradini, a nord-est, intagliati nella roccia. Nello spazio centrale, che era così delineato, sembra non vi fossero strutture di alcun genere, mentre lungo il temenos settentrionale, ed in partico-lare nell’area est, sono stati riconosciuti numerosi tagli nella roccia per il fissaggio delle stele. All’interno del recinto sacro doveva trovarsi anche la statua bronzea del cavallo di Troia, descritta da Pausania71, della fine del V secolo a.C., i cui blocchi con l’iscrizione dedicatoria furono trovati ad est del muro miceneo. Allo stato attuale delle ricerche sem-bra che un edificio templare fosse assente, probabilmente perché la sede principale del culto era nel santuario extra-urbano, a Brauron.

Nonostante le difficoltà di lettura del sito, data dagli scarsissimi resti pervenuti, è stato tuttavia possibile individuare almeno tre distinte fasi cronologiche. L’introduzione del culto di Artemide Brauronia sull’acropoli sembra sia dovuta al tiranno Pisistrato, origina-rio di Brauron, a cui si deve anche la costruzione del primo tempio in pietra nel corris-pondente santuario extra-urbano72. Angiolillo, infatti, ha riconosciuto nella politica inter-na pisistratea “uinter-na costante cura per la pacificazione tra città e campaginter-na, con conse-guente importazione nella polis di culti demotici (Dioniso Eleutereo, Dioniso Leneo, Mi-steri Eleusini) […].”73 Anche se mancano evidenze archeologiche risalenti all’età arcaica, alcuni rinvenimenti confermano la presenza del culto sull’acropoli a partire da questo pe-riodo. Tra questi la scoperta di una coppia di cani in marmo, frammentari e in atteggia-mento di punta, datati al 530-520 a.C., avvalora questa ipotesi, considerando che il cane è uno tra gli animali sacri alla dea74. Inoltre dall’acropoli provengono alcuni frammenti di crateriscoi, del tipo rinvenuto a Brauron, datati da Lilly Kahil alla fine del VI secolo a.C.

71

Paus. 1, 23, 8. La scultura dedicata da Chairedemos era opera di Strongylion; cfr. STEVENS 1936 pp.460-461; GRECO 2010 p.93.

72

Phot. s.v. Brauronia; BOERSMA 1970 p.15; TRAVLOS 1971 p.124; ANGIOLILLO 1983 pp.351-354, dove discute dell’importanza del rapporto tra Pisistrato e il demo d’origine Brauron; GIUMAN 1999 p.55; HUR-WIT 1999 p.197; BURKERT 2002 p.26; GRECO 2010 p.92.

73

ANGIOLILLO 1983 p.354. 74

Per questa scultura cfr. KAHIL 1981 p.262; PAYNE, La scultura arcaica in marmo dell’acropoli. La storio-grafia della scultura greca del VI sec. a.C., Roma, L’erma di Brestchneider, 1981, p.148; ANGIOLILLO 1983 p.352; GIUMAN 1999 p.55.

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Questi frammenti appartengono ad uno o più vasi, dedicati come ex-voto ad Artemide in età arcaica75.

Incerta risulta la fase monumentale del santuario, che comprende la stoa meridionale con uno o due naiskoi ed un primo muro del temenos a nord, di cui resta solo qualche taglio nella roccia posto qualche metro più avanti rispetto al limite visibile tutt’ora. Alcuni stu-diosi ritengono che, prima della costruzione dei Propilei mnesiclei, vi sia stato nell’area l’intervento di Cimone, al quale si attribuisce il tratto sud del circuito murario dell’acropoli, a cui sembra solidale la stoa, datando, perciò, l’intero complesso76.

Altri studiosi attribuiscono, invece, l’intera sistemazione dell’area alla fase periclea, ed in particolare ai lavori di Mnesicle, eseguiti dal 437 al 432 a.C.77 Infatti l’unico elemento che può datare con certezza l’insieme delle evidenze archeologiche è l’attuale muro set-tentrionale del temenos, parallelo all’asse dei Propilei e quindi contemporaneo ad essi. Probabilmente fu Mnesicle stesso a progettare il livellamento della terrazza del santuario, con l’arretramento del muro che chiudeva a nord l’area sacra, e il corrispondente sbanca-mento verticale della roccia, rivestita poi di blocchi di poros in bugnato. È sempre in questo periodo che si realizza, inoltre, l’accesso a nord-est del santuario, con il taglio nel-la roccia di otto gradini, paralleli anch’essi all’asse dei Propilei, e mancante di qualsiasi apparato monumentale.

L’ultimo intervento è la costruzione di un'altra struttura ad est, che chiude su questo lato il recinto sacro: si tratta di una stoa dorica a cinque colonne. L’interpretazione, proposta da Stevens, considera la necessità di costruire un altro edificio per ospitare le offerte votive,

75 KAHIL 1981 pp.259, 262-263. Frammenti di crateriscoi sono stati rinvenuti in altre località dell’Attica dove sono presenti santuari dedicati ad Artemide, come Melite, demo urbano, con il santuario di Artemi-de Aristoboule, Halai con quello di ArtemiArtemi-de Tauropolos, Pireo con il santuario di ArtemiArtemi-de Mounichia, ed Eleusi, presso la grotta di Pan, dove la dea è associata alle Ninfe. Per questi ritrovamenti cfr. KAHIL 1965 pp.23-24; Id. 1977 pp.87-88.

76

Per una fase cimoniana del Brauronion si veda STEVENS 1936 pp.466, 467 fig.20; GIUMAN 1999 p.55, che sottolinea il rapporto tra Cimone e il demo di Philaidai, dove si trovava Brauron, e da cui proveniva la sua famiglia per discendenza paterna.

77

Per una fase periclea del santuario si veda BOERSMA 1970 pp.72, 214 n.89 che attribuisce i lavori del santuario all’età di Pericle, poiché una fase cimoniana avrebbe una cronologia troppo alta; HURWIT 1999 p.198, che riprende gli studi di RHODES-DOBBINS 1979 (che però non danno indicazioni cronologiche), per i quali i due muri, della stoa sud e dell’acropoli, non sarebbero in relazione uno con l’altro.

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dal momento che, con il passare del tempo, la precedente stoa meridionale era diventata affollata78.

Il Brauronio rappresenta uno dei pochi esempi di un santuario satellite in ambiente urbano, che assume, in questo caso, particolare importanza per la sua posizione, dal mo-mento che poteva vantare un suo spazio sacro proprio sull’acropoli, facendone un caso unico tra i culti di origine rurale. La presenza di Artemide Brauronia sulla rocca dedicata ad Atena segna, come altri, la definitiva unificazione tra centro e periferia, i cui culti prin-cipali erano stati così assorbiti e fatti propri79.

I.7 I MATERIALI VOTIVI

Molti sono i materiali votivi e gli ex-voto rinvenuti a Brauron durante le diverse campagne di scavo. La grande ricchezza e varietà del materiale offre una testimonianza di come il santuario fosse frequentato con grande intensità, specialmente durante il V e gli inizi del IV secolo a.C., periodo al quale risale il maggior numero di offerte. È infatti questa la fase di massimo sviluppo del santuario, come si evince dal progetto di costru-zione della stoa dorica a pi-greco.

Molte delle strutture probabilmente erano state concepite come deposito o area di esposi-zione di offerte. Tra gli edifici che hanno restituito un grande numero di ex-voto sono da segnalare il portico dell’ala nord della stoa (iscrizioni, statue, rilievi marmorei tra cui il cosiddetto rilievo degli dei, e basi inscritte dedicate ad Artemide), il muro di terrazzamen-to gradinaterrazzamen-to con le stele ancora in situ, la grotta e la sorgente sacra (da cui sono emersi numerosi specchi in bronzo e gioielli, materiali in legno e osso). Proprio per tenere conto

78

STEVENS 1936 p.470; BOERSMA 1970 p.129; GIUMAN 1999 p.56; GRECO 2010 p.93. Diversamente RHODES-DOBBINS 1979 pp.334 fig.1, 337-339; HURWIT 1999 pp.197, 315 n.9 ritengono che la nuova strut-tura ad est non sia da considerare come separata dall’ala orientale della stoa meridionale, ma formi un tutt’uno con essa.

79

GIUMAN 1999 p.53; EKROTH 2003 p.112. La volontà di replicare alcuni santuari extra-urbani all’interno delle città risponde anche ad un intento politico: in questo modo, infatti, le poleis si ricollegavano alle ri-spettive periferie, in un processo che conduceva all’unità territoriale, sia politica che religiosa. Cfr. COLE 2004 p.195.

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dell’enorme quantità di materiale votivo, venivano realizzate ogni anno liste delle offerte presenti, che erano poi esposte in diversi punti dell’area sacra80.

Queste le diverse classi di materiali: inventari, statue in marmo e in terracotta, rilievi (tra cui numerosi pinakes), gioielli, strumenti per la tessitura, e ceramica tra cui in particolare i crateriscoi, cui spesso si è accennato.

1.7.1 GLI INVENTARI BRAURONI

Numerosi sono i frammenti di stele in marmo con liste di offerte ad Artemide. Questi trovano corrispondenza nei frammenti dello stesso genere rinvenuti nei pressi del Brauronion ateniese81. Tali frammenti sono stati oggetto di uno studio sistematico da parte di Tullia Linders, che ha riconosciuto almeno sei stele82.

Le stele, tutte databili al IV secolo a.C.83, sono per lo più opistografiche: in particolare, sul lato anteriore sono riportate le liste di oggetti in metallo prezioso, oro e argento, men-tre su quello posteriore le offerte di vesti e tessuti, le più numerose, seguite da oggetti in bronzo, legno, avorio e osso84. Le offerte sono registrate seguendo un ordine cronologico, dove l’anno in cui è compiuta la dedica è deducibile dal nome dell’arconte in carica. Le registrazioni sono affidate agli epistatai, amministratori del santuario, che alla fine del loro mandato annuale dovevano trasmettere le liste di offerte effettuate durante la loro

80 Tagli nella roccia e basi per stele sono stati ritrovati lungo il tratto meridionale dell’ala ovest della stoa, nel muro di terrazzamento gradinato a nord del tempio e nei pressi dell’ingresso nord-ovest del mikron hieron. Per un resoconto dei ritrovamenti nelle diverse aree del santuario si veda DAUX 1957; Id. 1958; Id. 1959 p.594; Id. 1960 pp.669-970; Id. 1961 p.639; Id. 1962 p.679; Id. 1963 pp.704, 706.

81

Prima degli scavi di Brauron ad opera di Papadimitriou, nel 1949, si riteneva che i frammenti di stele appartenessero al Brauronion ateniese, e che lì fossero custodite e disposte tutte le offerte dedicate ad Artemide Brauronia. Con le nuove scoperte è stato appurato che le liste della polis erano copie degli origi-nali depositati nel santuario centrale extra-urbano. Le iscrizioni fanno così riferimento ad edifici situati nel sito demotico. Si veda in particolare PAPADIMITRIOU 1963 p.113; LINDERS 1972 pp.70-73.

82

Le stele comprendono i frammenti dall’acropoli ateniese, da Brauron e alcuni recentemente pubblicati da Woodward 1963, Financial documents from the Athenian agora, Hesperia, 32, pp.169 e sgg.

83

LINDERS 1972 p.3, ad eccezione forse di due frammenti databili alla fine del V secolo a.C. 84

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carica, oltre al materiale già presente nel santuario, al gruppo che sarebbe subentrato l’anno successivo: per questo motivo molte delle offerte sono ripetute più volte85.

Linders ha ipotizzato che le offerte dovessero essere custodite nelle immediate vicinanze del luogo in cui erano esposte le stele di inventari86. Diversi i tagli nella roccia e le basi in poros per il fissaggio delle stele, insieme a numerosi frammenti di iscrizioni, individuati nell’area del santuario87.

Gli abiti rappresentano l’offerta più comune alla dea Artemide e sono distinti per forma, colore e lavorazione: spesso recano anche scene figurate intessute88. Sono inoltre registrate offerte di lino, lana, e filo per realizzare la trama (krokè) di un abito, conservate in apposite ceste (ad esempio un kalathiskos IG II2 1514, 57-8, e un phaskolon in 1522, 26-27). Alcune vesti recano la dicitura “sacro ad Artemide”, che può essere intessuta nell’abito, oppure ricamata in un cartellino applicato all’indumento in un secondo mo-mento. È forse per questo motivo che alcuni abiti sono detti anepigraphoi o agraphoi, cioè privi del nome del donatore andato perduto o diventato illeggibile89. La maggior parte degli abiti sono donati da donne, ma non mancano esempi di offerte da parte di uo-mini, forse mariti90. Gli indumenti offerti ad Artemide non erano realizzati appositamente per l’occasione, ma erano stati indossati e usati nella vita di tutti i giorni, dal momento che quando si tratta di un abito nuovo (καινόν) è specificato: è probabile che l’offerta di

85 Ad esempio il velo (ampechonon) di Theano in 1514, 34-6 dedicato sotto l’arcontato di Euboulos (345-4 a.C.) ricorre altre quattro volte in 1515, 26-8, 1516, 13-14, 1517, 140. La trasmissione delle offerte, sia vesti che oggetti in metalli preziosi, è detta paradosis, nella formula τάδε παρζδοςαν ἐπιςτάται. Le offerte nuove fatte nel corso dell’anno sono indicate con il termine προςπαραδιδόναι, per differenziarle rispetto alla massa delle offerte già presenti nel santuario: cfr. LINDERS 1972 pp.34, 41-43, 55, 70.

86 LINDERS 1972 pp.72-73. 87

Per i tagli nella roccia si veda supra n.80; DAUX 1949 p.527 in cui si specifica che all’interno delle cavità sono state trovate tracce di piombo e legno; Id. 1950 pp.298-300; HOLLINSHEAD 1989 p.434; EKROTH 2003 pp.87, 90 n.159. Per i ritrovamenti dei frammenti di iscrizioni inerenti liste di offerte si veda DAUX 1949 p.527; Id. 1951 p.110; Id. 1957 p.520; Id. 1958 p.678; Id. 1960 p.669.

88

IG II² 1514, 31-32, una coperta in cui al centro vi è Dioniso che versa una libagione e una donna che ver-sa vino, mentre in 1514, 33-34 al centro di una coperta vi sono delle figure che si tengono la destra. 89

LINDERS 1972 pp.9, 12-13. Sugli indumenti recanti la dedica “sacro ad Artemide” si veda 1514, 40-1, un chlaniskion per bambino; ivi, 34-6 e 52-53.

90

IG II² 1517, 48, 65 (in cui si deduce che il nome fosse Euthymachos). Sono registrati anche abiti maschili tra cui un chitoniskos, un chlanis, ed un himation, cfr. IG II² 1514, 47; 1517, 128-130; 1523, 20.

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