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Sindrome da Encefalopatia posteriore reversibile (PRES) in pazienti pediatrici sottoposti a Trapianto di Cellule Staminali Ematopoietiche: esperienza dell’U.O. di Oncoematologia Pediatrica di Pisa e revisione della letteratura

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Scuola di Specializzazione in Pediatria Generale e Specialistica

Tesi di Specializzazione

Sindrome da Encefalopatia posteriore reversibile

(PRES) in pazienti pediatrici sottoposti a

Trapianto di Cellule Staminali Ematopoietiche:

esperienza dell’U.O. di Oncoematologia

Pediatrica di Pisa e revisione della letteratura

Relatore:

Prof. Diego Peroni

Correlatore:

Dr.ssa Mariacristina Menconi

Candidata:

Dr.ssa Chiara Iurato

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In tempi duri dobbiamo avere sogni duri,

sogni reali, quelli che,

se ci daremo da fare, si avvereranno”

C. Pinkola Estés (Donne che ballano coi lupi)

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SOMMARIO

RIASSUNTO ANALITICO ... 1

INTRODUZIONE Trapianto di Cellule Staminali Ematopoietiche e PRES ... 2

CAPITOLO 1 Il Trapianto di Cellule Staminali Ematopoietiche ... 4

1.1 Definizione e nozioni generali ... 4

1.2 Candidatura del paziente, scelta della fonte di CSE e del donatore... 4

1.3 Work-up pre-trapiantologico. ... 8

1.4 Regime di condizionamento e infusione di CSE ... 8

1.5 Fase dell’aplasia profonda e dell’attecchimento ... 10

1.6 Graft versus host disease e graft versus leukemia ... 10

1.7 Follow-up post-trapiantologico ... 11

CAPITOLO 2 Le complicanze del TCSE ... 13

2.1 Accenni alle complicanze precoci e tardive post-TCSE ... 13

2.1.1 Complicanze precoci ... 13

2.1.2 Complicanze tardive ... 14

2.2 Introduzione alle complicanze neurologiche post-TCSE ... 15

2.3 Complicanze neurologiche precoci ... 16

2.4 Complicanze neurologiche della fase intermedia ... 17

2.5 Complicanze neurologiche tardive ... 18

CAPITOLO 3 La PRES ... 21

3.1 Definizione e incidenza ... 21

3.2 Ipotesi eziologiche ... 22

3.3 Setting biologico della PRES ... 24

3.4 PRES e infezioni ... 26

3.5 PRES e GVHD ... 27

CAPITOLO 4 Farmaci usati durante il TCSE associati a PRES ... 28

CAPITOLO 5 Presentazione clinica della PRES ... 30

CAPITOLO 6 Strumenti diagnostici per la diagnosi della PRES ... 33

6.1 Esami strumentali ... 33

6.2 Proposta di algoritmo procedurale e diagnosi differenziale ... 36

CAPITOLO 7 Terapia della PRES ... 40

CAPITOLO 8 Prognosi e follow-up ... 42

CAPITOLO 9 Presentazione della casistica pisana ... 44

9.1 Obiettivo dello studio ... 44

9.2 Materiali e metodi ... 44

(4)

9.3.1 Popolazione in esame ... 45

9.3.2 Caratteristiche del TCSE cui sono stati sottoposti i pazienti ... 45

9.3.3 Fattori di rischio per PRES in esame in questa popolazione ... 46

9.3.4 Caratteristiche cliniche della PRES nella popolazione in esame ... 47

9.3.5 Analisi del quadro neuroradiologico ... 48

9.3.6 Analisi del quadro elettroencefalografico ... 48

9.3.7 Provvedimenti terapeutici specifici per il trattamento della PRES ... 48

9.3.8 Outcome e reliquati dopo PRES ... 49

9.4 Discussione ... 55

9.5 Limiti dello studio ... 57

CONCLUSIONI ... 58

RINGRAZIAMENTI ... 59

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RIASSUNTO ANALITICO

Il Trapianto di Cellule Staminali Ematopoietiche (TCSE) è una terapia efficace per una vasta gamma di patologie neoplastiche e non. Si tratta di una procedura complessa che espone il paziente a numerose complicanze che possono coinvolgere vari organi ed apparati tra cui anche il sistema nervoso centrale e possono essere causa di morbilità e mortalità.

Tra le complicanze neurologiche del paziente sottoposto a TCSE c’è la Posterior Reversible Encefalopathy Syndrome (PRES).

Essa presenta nella maggior parte dei casi carattere di reversibilità anche se più raramente può essere associata a complicazioni potenzialmente letali.

Con l’aumento delle conoscenze in ambito trapiantologico e con l’incremento del numero di pazienti pediatrici sottoposti a trapianto, tale sindrome sta diventando sempre più documentata e studiata anche in ambito pediatrico. Attualmente esistono pochi studi effettuati sulla popolazione pediatrica e in particolare su bambini di età inferiore a 6 anni per cui non vi sono a disposizione molti dati che permettano di comprendere la presenza di eventuali peculiarità cliniche, radiologiche e prognostiche in questa fascia d’età.

In questo lavoro sono stati raccolti i casi di PRES che si sono presentati tra i pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali ematopoietiche presso l’U.O. di Oncoematologia Pediatrica di Pisa dal 2003 al 2020.

Da questo lavoro è emersa l’evidenza di una correlazione statisticamente significativa tra la presenza di quadri neurologici “atipici” di presentazione della PRES e il rischio di sviluppare reliquati a lungo termine.

I dati raccolti sono stati parzialmente utilizzati per uno studio multicentrico sulla PRES in età pediatrica che ha coinvolto altri reparti oncoematologici pediatrici italiani (Bologna, Brescia, Padova, Roma).

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INTRODUZIONE

TRAPIANTO DI CELLULLE STAMINALI EMATOPOIETICHE E PRES

Il trapianto di cellule staminali ematopoietiche (TCSE) è una terapia efficace per una vasta gamma di patologie neoplastiche e non neoplastiche. Si tratta di una procedura complessa che espone il paziente a complicanze di vario genere, queste possono coinvolgere vari organi tra cui anche il sistema nervoso centrale e possono essere causa di morbilità e mortalità. A secondo della fase in cui si presentano, la patogenesi può essere legata a vari fattori: uso di farmaci neurotossici nel regime di condizionamento, pancitopenia, complicanze infettive, uso di farmaci immunosoppressori, presenza di graft versus host disease (GVHD) primitiva del sistema nervoso o come complicanza di GVHD a coinvolgimento di altri organi o comparsa di secondi tumori [1-2-3]

Tra le complicanze neurologiche del paziente sottoposto a TCSE c’è la Posterior Reversible Encefalopathy Syndrome (PRES).

Questa sindrome è stata descritta per la prima volta nel 1996 da Hinchey et al. Può presentarsi in ogni epoca del percorso trapiantologico. È caratterizzata da segni e sintomi neurologici focali e/o generalizzati di vario genere ed entità (crisi epilettiche, cefalea, vomito, alterazioni della coscienza, disturbi visivi…). Le neuroimmagini mostrano caratteristicamente la presenza di edema cerebrale della sostanza grigia e bianca con coinvolgimento delle regioni posteriori del sistema nervoso centrale. Essa presenta nella maggior parte dei casi carattere di reversibilità anche se più raramente può essere associata a complicazioni potenzialmente letali.

L’esatta patogenesi della PRES non è ancora del tutto chiarita ma vi sono evidenze che alla base di tale patologia vi sia una disfunzione della barriera ematoencefalica con conseguente edema vasogenico. Con l’aumento delle conoscenze in ambito trapiantologico e con l’incremento del numero di pazienti pediatrici sottoposti a trapianto, tale sindrome sta diventando sempre più documentata e studiata anche in ambito pediatrico. Attualmente esistono pochi studi effettuati sulla popolazione pediatrica e in particolare su bambini di età inferiore a 6 anni per cui non vi sono a disposizione molti dati che permettano di comprendere la presenza di eventuali peculiarità cliniche, radiologiche e prognostiche in questa fascia d’età. Non è chiaro inoltre quando sia determinante la presenza di eventuali fattori infettivi (sepsi e/o riattivazioni virali) nella presentazione della PRES [4-5].

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In questo lavoro sono stati raccolti i casi di PRES che si sono presentati tra i pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali ematopoietiche presso l’U.O. di Oncoematologia Pediatrica di Pisa dal 2003 al 2020.

Tali dati sono stati parzialmente utilizzati per uno studio multicentrico sulla PRES in età pediatrica che ha coinvolto altri reparti oncoematologici pediatrici italiani (Bologna, Brescia, Padova, Roma).

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CAPITOLO 1

IL TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMATOPOIETICHE

1.1 DEFINIZIONI E NOZIONI GENERALI

Il trapianto di cellule staminali emopoietiche rappresenta un’importantissima chance terapeutica per molti pazienti affetti da gravi patologie neoplastiche e non.

Si tratta di una procedura complessa effettuata tramite il prelievo di cellule progenitrici emopoietiche da un donatore, che vengono infuse per via endovenosa ad un ricevente che ha perso la funzionalità midollare, a causa o meno di un disordine neoplastico.

La procedura trapiantologica è molto complessa e si struttura in diverse fasi che si possono così schematizzare:

- candidatura del paziente al TCSE, scelta della fonte di CSE e del donatore in base alla patologia

- work-up pre-trapiantologico per la valutazione della idoneità alla procedura - regime di condizionamento

- infusione delle CSE - fase di aplasia profonda - fase dell’attecchimento

- gestione della graft versus host disease - fase del follow-up a breve e lungo termine

La popolazione dei pazienti sottoposti a trapianto è molto eterogenea e il tipo di procedura cui sottoporre il singolo paziente utilizza protocolli che necessitano di attenta personalizzazione.

1.2 CANDIDATURA DEL PAZIENTE, SCELTA DELLA FONTE DI CSE E DEL DONATORE Le cellule staminali emopoietiche (CSE) possono derivare da tre fonti principali:

 midollo osseo: in questo caso il prelievo delle CSE viene effettuato in anestesia generale, mediante agoaspirazioni multiple dalle creste iliache posteriori, raccogliendo una quota di sangue pari a circa 20 ml per ogni kg di peso corporeo;

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 sangue periferico: il prelievo delle CSE periferiche avviene tramite aferesi previa opportuna mobilizzazione per aumentare il numero di progenitori emopoietici circolanti;

 cordone ombelicale: attraverso l’impiego di sangue placentare adeguatamente caratterizzato in termini immunogenetici e criopreservato.

Ognuna di queste fonti presenta caratteristiche peculiari.

La scelta del tipo di CSE si basa su un accurato bilancio tra diversi fattori: il tipo di patologia da trattare, l’urgenza con la quale si deve effettuare il trapianto, il miglior donatore reperibile e l’esperienza del centro trapianti che effettuerà la procedura.

Il TCSE può essere:

• autologo: in questo caso le CSE vengono prelevate al paziente che deve essere sottoposto a trapianto, esse vengono conservate e poi reinfuse. In questo caso, dopo che il paziente ha eseguito cicli chemioterapici standard viene scelta una finestra in cui viene effettuata la raccolta delle CSE dopo mobilizzazione. Il paziente viene quindi sottoposto ad un ciclo chemioterapico massimale che ha effetto aplastizzante per la cura della patologia oncologica di base e il fine della infusione di CSE è quello di favorire la risoluzione della aplasia midollare.

• allogenico: in questo caso donatore e ricevente non coincidono. Il donatore può essere un gemello monozigote, che condivide lo stesso genoma col paziente (“singenico”), un fratello HLA-identico, genotipicamente compatibile, che condivide con il paziente gli stessi aplotipi (Matched Related Donor); un familiare non HLA-identico, o aploHLA-identico, che condivide un intero aplotipo con il paziente, un donatore volontario non correlato (Matched Unrelated Donor, MUD), reperito tramite i Registri di Midollo Osseo.

Come descritto sopra TCSE può essere autologo o allogenico.

La scelta tra queste due modalità di trapianto dipende dalla patologia di base essendo il loro fine diverso.

L’obiettivo del TCSE autologo è la massimizzazione dell’effetto antineoplastico dei farmaci citostatici, mediante l’aumento della dose dei chemioterapici, Il paziente viene quindi sottoposto ad un regime radio/chemioterapico definito di "condizionamento", durante il quale

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si utilizzano dosi molto più elevate rispetto alle dosi standard, ciò induce uno stato di mieloablazione completa.

Successivamente, al fine di superare la profonda aplasia midollare, instaurata a causa del regime di condizionamento, vengono infuse al paziente le cellule staminali autologhe, precedentemente raccolte dal paziente stesso in un tempo precedente l’inizio del trattamento ad alte dosi, e crioconservate ai fini di mantenerne l’integrità per la successiva reinfusione. Come detto in precedenza le CSE vengono prelevate perifericamente con tecnica aforetica, solo in casi più rari di mancata mobilizzazione si rende necessario un prelievo di CSE midollari. C’è poi il caso in cui il paziente presenta un’alterazione severa del pool staminale. Ciò può accadere per presenza di patologia oncologica o in caso di patologie ematologiche non tumorali congenite o acquisite.

In questi casi si fa ricorso al trapianto allogenico, nel quale, a seguito di un trattamento mediante regime mieloablativo, vengono infuse al paziente cellule staminali prelevate da un donatore estraneo ad esso.

Ci sono essenzialmente tre grandi gruppi di condizioni che richiedono l’utilizzo di tale procedura:

• riduzione quantitativa del compartimento staminale, come nelle aplasie midollari acquisite e congenite;

• difetti congeniti selettivi che possono interessare la linea eritropoietica (es. Talassemia), la linea granulo-monocitomacrofagica (es. sindrome di Kostmann, malattia di Chediak-Higashi), la linea megacariocitaria e la linea linfopoietica (immunodeficienze combinate gravi o altre alterazioni importanti dell’immunità T o B), deficit enzimatici (patologie del metabolismo, mucopolisaccaridosi);

• alterazioni qualitative del compartimento staminale: leucemie ed altre neoplasie del sistema emopoietico. Nei primi due gruppi di patologie, il trapianto ha come scopo la ricostituzione emopoietica o immunologica del sistema del paziente.

Nei primi due gruppi di patologie, il trapianto ha come scopo la ricostituzione emopoietica o immunologica del sistema del paziente.

Nel caso di una malattia neoplastica, il trapianto ha come fine l’eradicazione della malattia con l’utilizzo di alte dosi di chemio/radioterapia. Tale attività antineoplastica si completa con un effetto immunomediato, esercitando un’azione Graft versus Leukemia, “trapianto contro la leucemia”, grazie alla quale i linfociti T del donatore svolgono un’azione antitumotrale, protettiva nei confronti di una recidiva di malattia.

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Una delle più grandi sfide del trapianto di cellule staminali è già nella prima fase della procedura ed è quella di avere la disponibilità di un donatore.

L’algoritmo di selezione prevede che si cerchi innanzi tutto un donatore HLA identico tra i familiari, ma la possibilità di trovarlo, per il paziente, è inferiore al 30%.

In mancanza di un donatore familiare compatibile, si può effettuare una ricerca tramite i Registri Internazionali di donatori di midollo osseo, Bone Marrow Donor Worldwide (BMDW) Registry o le banche cordonali ed in questo caso, relativamente anche all’etnia cui il paziente appartiene, la possibilità di identificare il donatore compatibile aumenta fino al 60%-70%. Gli straordinari progressi che si sono effettuati nel campo degli allo-trapianti hanno permesso di avere un’ulteriore opzione anche per quei pazienti per i quali sono risultate negative sia le ricerche in ambito familiare, che quelle dei donatori MUD.

È infatti possibile ricorrere anche ad un familiare parzialmente compatibile, definito appunto “aploidentico”, e garantire l’effettuazione della procedura, con ottimi risultati, anche in quel 40% di pazienti, spesso appartenenti ai paesi in via di sviluppo, poco rappresentati nei Registri, che altrimenti non avrebbero chances. Un esempio è l’uso di questo tipo di procedura in paesi in via di sviluppo dove sono molto diffuse patologie legate alla consanguineità come le talassemie.

Una volta individuato il donatore, si procede quindi con gli accertamenti per l’idoneità (analisi del sangue, infettivologiche, esami strumentali, rischio anestesiologico) e poi si sceglie la via di prelievo delle cellule staminali.

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1.3 WORK-UP PRE-TRAPIANTOLOGICO

Consiste di esami ematochimici e strumentali per valutare l’idoneità del paziente al TCSE. Tale procedura rappresenta un momento molto importante, infatti, tutti gli esami eseguiti in questa fase divengono punto di riferimento durante le fasi successive dell’intero percorso trapiantologico.

Dal work-up possono emergere informazioni riguardo la presenza di condizioni anatomiche congenite che potrebbero costituire un rischio durante il TCSE. Si può avere ad esempio il riscontro di malformazioni vascolari cerebrali il che può predisporre il paziente ad eventi vascolari acuti per cui verrà posta molta attenzione al controllo della pressione arteriosa e, all’insorgere di eventuali sintomi di allarme, si sarà in possesso di informazioni anamnestiche importanti al fine di guidare le scelte diagnostiche e terapeutiche.

Un altro aspetto fondamentale è la ricerca di infezioni in atto o di condizioni predisponenti a rischio infettivo. Come descritto sopra, il paziente andrà incontro ad un periodo di profonda aplasia, per cui occorre correggere tutte quelle condizioni che predispongo a rischio infettivo. Inoltre tramite lo screening anticorpale sarà possibile individuare i pazienti più a rischio per eventuali riattivazioni virali.

Durante il work-up inoltre si acquisiscono dati riguardo la funzionalità di vari organi e apparati e ciò diventa importante per fissare un “punto zero” da utilizzare come termine di paragone durante il follow-up post-trapiantologico al fine di valutare l’eventuale insorgenza di complicanze e la loro progressività a breve e a lungo termine.

1.4 REGIME DI CONDIZIONAMENTO E INFUSIONE DELLE CSE

Il regime preparatorio alla infusione delle CSE prende il nome di “regime di condizionamento”. Esso consiste nella somministrazione di farmaci chemioterapici ad alte dosi in associazione, o meno, alla TBI (Total Body Irradiation). La scelta del tipo di regime da adottare dipende dalla patologia di base e necessita poi di personalizzazione sul singolo paziente.

Gli obiettivi del regime di condizionamento sono:

- distruggere il sistema emopoietico del paziente, con lo scopo di eliminare radicalmente il clone neoplastico nel caso di patologia tumorale;

- sopprimere il sistema immunitario del paziente, per evitare il rigetto - creare le condizioni idonee a favorire l’attecchimento.

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Il regime di condizionamento può essere: mieloablativo, non-mieloablativo e a intensità ridotta.

Il primo è utilizzato allo scopo di eliminare tutte le cellule tumorali e di creare la condizione d’immunosoppressione, necessaria per il trapianto: sono usati, soprattutto, l’irradiazione totale del corpo e la ciclofosfamide oppure quest’ultima associata al busulfano.

Se lo scopo è di indurre solo immunosoppressione si utilizzano regimi non mieloablativi, in cui le dosi dei chemioterapici adoperate sono inferiori: si sfrutterà, quindi, l’effetto dei linfociti alloreattivi del donatore per l’eliminazione delle cellule tumorali residue. In questo caso vi è minore tossicità correlata alla terapia. Infine si può optare per un regime a intensità ridotta che ha un effetto mieloablativo e immunosoppressivo intermedio: sono somministrati fludarabina, melfalan, globulina antitimocitica e busulfano.

Dopo il regime di condizionamento vengono infuse le CSE.

Tale procedura consiste nella somministrazione delle unità di CSE per via endovenosa per messo di un accesso venoso centrale.

Nel caso del TCSE allogenico la reinfusione delle cellule staminali allogeniche può essere effettuata a “fresco” cioè nelle ore immediatamente successive all’espianto, oppure previo scongelamento nel caso in cui le cellule staminali fossero state criopreservate (es. le cellule staminali cordonali o in tale periodo pandemico da Sars-COV2).

Nel caso in cui si effettua un TCSE autologo le CSE sono sempre reinfuse dopo un periodo di criopreservazione dopo scongelamento.

Le procedure di congelamento e scongelamento producono una riduzione delle cellule staminali vitali di circa il 20%.

Durante l’infusione delle CSE sia “a fresco” che non, occorre un attento monitoraggio del paziente per la valutazione dei parametri vitali, potrebbero infatti manifestarsi reazioni avverse dovute ad esempio all’aumento dei volumi ma anche alle sostanze utilizzate per la preservazione cellulare (es. Dimetilsulfossido).

Le cellule staminali, dopo essere state infuse nel torrente circolatorio, hanno un breve soggiorno in circolo e successivamente, sotto l’influsso di fattori di crescita e in presenza delle cellule stromali, colonizzano il midollo (fenomeno di homing).

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1.5 FASE DELL’APLASIA PROFONDA E DELL’ATTECCHIMENTO

Nella fase successiva al regime di condizionamento e alla infusione delle CSE si assiste ad progressivo calo dei valori all’esame emocromocitometrico fino al raggiungimento di una fase di profonda aplasia. Ciò è dovuto all’effetto dei farmaci utilizzati. Questa rappresenta una fase molto delicata.

Dovranno essere messe in pratica tutte le misure necessarie per far fronte ai rischi connessi all’anemizzazione, alle emorragie ed alle infezioni.

Tali misure comprendono la trasfusione di emocomponenti (globuli rossi concentrati, piastrine, plasma fresco congelato), l’isolamento in ambiente a bassa carica microbica e la profilassi o terapia delle infezioni con farmaci antibiotici a largo spettro, antivirali ed antimicotici.

Un supporto nutrizionale e metabolico è inoltre importante per evitare una eccessiva perdita di peso corporeo, di fluidi e di elettroliti, per migliorare lo stato di salute generale del paziente e migliorare la sopravvivenza.

Dopo la fase di profonda aplasia si assiste ad un progressivo incremento dei valori che spesso nelle fasi inziali si manifesta anche con una migliore resa del supporto trasfusionale.

L’attecchimento consta di tre fasi successive:

- take per i polimorfonucleati: presenza di un numero assoluto di neutrofili > a 500 per due valutazioni consecutive

- take per le piastrine: presenza di un numero di piastrine stabilmente ≥ 20.000 e successivamente stabilmente ≥ 50.000 a distanza di almeno una settimana da procedura trasfusionale

- take per globuli rossi: presenza di valori di emoglobina stabilmente ≥ a 10 g/dl a distanza di almeno una settimana da procedura trasfusionale

1.6 GRAFT VERSUS HOST DISEASE E GRAFT VERSUS LEUKEMIA

La GVHD interessa i pazienti sottoposti a TCSE allogenico e può essere definita come una sindrome clinica caratterizzata dal danno sostenuto dalle cellule T del donatore a carico dei tessuti del ricevente in quanto le cellule del donatore riconoscono come estranee le cellule del ricevente.

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A secondo dell’esordio la GVHD può essere definita acuta qualora insorga entro i primi 100 giorni dall’infusione di CSE oppure cronica se insorge successivamente.

Esiste anche la possibilità di avere una GVHD acuta “tardiva” ovvero che si manifesta oltre i 100 giorni mentre in alcuni casi è possibile avere anche dei quadri di sovrapposizione.

La GVHD acuta e cronica non si differenziano solo per i tempi di esordio ma anche per le caratteristiche cliniche che le rendono peculiari.

La GVHD acuta è caratterizzata da un danno cutaneo più o meno esteso che si manifesta con iperemia, presenza di lesioni maculo-papulari più o meno rilevate e confluenti spesso pruriginose. Oltre alla cute possono essere coinvolti anche altri organi e apparati come in tratto gastroenterico con insorgenza di diarrea e malassorbimento, il fegato, l’apparato respiratorio o l’occhio. Al fine di valutarne la gravità e la progressione è possibile utilizzare delle scale che permettono di distinguere 4 gradi.

Nel caso della GVHD cronica possono essere interessati gli stessi organi e apparati descritti per la GVHD acuta ma in questo caso il danno cronico determina la comparsa di fibrosi.

La GVHD rappresenta un potenziale rischio per la prognosi a breve a lungo termine del paziente in quanto può essere causa di disfunzione organica e, se non controllata, può mettere a rischio la vita del paziente o causare delle gravi complicanze.

Nell’ambito del regime di condizionamento vengono utilizzati dei farmaci per la prevenzione della GVHD e inoltre dal giorno precedente l’infusione viene iniziata terapia con inibitori delle calcineurine che verrà proseguita per diversi giorni successivi al trapianto al fine di controllare la GVHD. Tali provvedimenti possono essere potenziati con terapia steroidea (che espone il paziente a rischio di ipertensione, iperglicemia, riattivazione virale) o con tecniche di linfofotoaferesi.

Come già detto precedentemente, nel caso di patologia neoplastica, la presenza di GVHD controllata in modo da non essere lesiva per il paziente, può esercitare una importante azione antitumorale per il fenomeno della Graft versus Leukemia, grazie alla quale i linfociti T del donatore svolgono una azione contro eventuali cellule tumorali residue proteggendo dalla recidiva di malattia.

1.7 FOLLOW-UP POST-TRAPIANTOLOGICO

Se da un lato infatti il TCSE rappresenta una importante strategia terapeutica esso espone il paziente ad una serie di complicanze.

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Per tale ragione il paziente sottoposto a TCSE deve essere sottoposto ad attento follow-up clinico e strumentale a breve e a lungo termine.

Questo è vero soprattutto nella popolazione pediatrica dove i vari organi, apparati e sistemi sono plastici ma anche fragili.

Nel follow-up post-trapiantologico è molto importante tenere presente come punto di riferimento la condizione pretrapiantologica del paziente valutata al work-up, ciò permette uno studio dinamico della evoluzione di eventuali disfunzioni cardiache, polmonari, neurologiche o endocrinologiche che possono colpire tali pazienti [6].

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CAPITOLO 2

LE COMPLICANZE DEL TCSE

2.1. ACCENNI ALLE COMPLICANZE PRECOCI E TARDIVE POST-TCSE

Come esposto in precedenza il periodo successivo al trapianto può essere gravato da complicanze, sia precoci, che si sviluppano nell’immediato post-trapianto (nei primi 100 giorni), sia tardive, che possono avere una latenza molto maggiore.

2.1.1 COMPLICANZE PRECOCI

Le complicanze precoci sono dovute all’effetto delle alte dosi di chemioterapia ed eventualmente anche di radioterapia cui il paziente viene sottoposto nel periodo del condizionamento. Esse possono interessare vari organi e apparati e possono avere caratteristiche molto variabili per presentazione clinica e per gravità.

Tra le complicanze precoci, oltre a quelle più comuni come le mucositi, si annoverano:

- Cistite emorragica: può essere ad esordio precoce, in genere durante o entro 2 giorni dopo la fine del condizionamento o più tardivo e avvenire di solito nel periodo di attecchimento dei polimorfonucleati; è dovuta all’effetto tossico diretto dei farmaci utilizzati sulla mucosa vescicale cui si sovrappone la presenza simultanea di trombocitopenia, mentre nei casi più tardivi in genere vi può essere il coinvolgimento di agenti patogeni virali come il Polyomavirus BK, l’Adenovirus o il Citomegalovirus - Complicanze di origine vascolare: rappresentano un gruppo di patologie molto

eterogeneo e sono accomunate dalla presenza di danno endoteliale e, se non opportunamente trattate, possono essere causa di disfunzione multiorganica (MOF). Tra le complicanze di origine vascolare ricordiamo: la malattia vonocclusiva epatica (VOD), la Capillary Leak Syndrome (CLS), la sindrome da attecchimento, l’emorragia diffusa endoalveolare (DAH), la microangiopatia trombotica (TAM).

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- Complicanze infettive: in questa fase esse sono legate allo stato di profonda neutropenia dovuta alla aplasia indotta dal regime di condizionamento e al deficit di immunità cellulomediata; tra queste ricordiamo le sepsi batteriche, le infezioni micotiche tra cui sicuramente la più temibile è quella da Aspergillus, e le infezioni virali (prime infezioni o riattivazioni)

- Complicanze neurologiche: esposte in un capitolo dedicato - GVHD acuta

- Rigetto del materiale trapiantato

- Perdita dell’attecchimento per ricomparsa della patologia oncologica di base

2.1.2. COMPLICANZE TARDIVE

Grazie al miglioramento delle tecniche trapiantologiche la sopravvivenza dei pazienti sottoposti a TCSE è molto migliorata ma questa popolazione di pazienti è esposta a diverse complicanze a lungo termine.

Tra le complicanze tardive ricordiamo: - GVHD cronica

- Complicanze oculari: cataratta per effetto della terapia corticosteroidea e/o radiante), cheratocongiungivite dovuta a terapia radiante o ad insorgenza di GVHD oculare

- Complicanze cardiologiche: cardiomiopatia restrittiva/dilatativa, disturbi del ritmo per effetto cardiotossico/aritmogeno di alcuni farmaci o per effetto della terapia radiante - Complicanze a carico dell’apparato respiratorio: disturbi cronici restrittivi/ostruttivi

polmonari dovuti ad esiti di infezioni polmonari, effetto pneumotossico di alcuni farmaci e/o della radioterapia, insorgenza di GVHD polmonare

- Complicanze epatiche: esiti di infezioni virali epatiche, cirrosi epatica dovuta a sovraccarico marziale, insorgenza di GVHD epatica, Sindrome da vanificazioni dei dotti biliari dovuta ad effetto tossico di alcuni farmaci in pazienti predisposti

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- Complicanze ossee: osteopenia/osteoporosi dovuta ad uso di steroidi, immobilizzazione prolungata, disturbi endocrinologici come ipovitaminosi D o ipogonadismo; nescrosi avascolare ossea dovuta a terapia steroidea e/o radiante

- Complicanze a carico del cavo orale: stomatiti croniche per effetto di terapia radiante e/o insorgenza di GVHD; disturbi dentali

- Complicanze intestinali: per insorgenza di GVHD intestinale o di disturbi immunologici con quadri simili a quelli delle patologie infiammatorie croniche intestinali

- Complicanze endocrine: ipotiroidismo ed insufficienza gonadica per effetto tossico dei chemioterapici e della terapia radiante; diabete iatrogeno in caso di terapia steroidea ad alte dosi e per periodi prolungati

- Complicanze cutanee: insorgenza di GVHD cronica

- Complicanze infettive: in questa fase sono dovute a deficit di immunoglobuline che in molti pazienti residua anche per lunghi periodi dopo il trapianto

- Insorgenza di secondi tumori: rischio 6/7 volte maggiore di sviluppare una seconda neoplasia, in particolare disordini linfoproliferativi, leucemie, linfomi, melanoma, neoplasie cerebrali, tiroidee e della testa e del collo.

- Complicanze neurologiche: esposte in un capitolo dedicato [6].

2.2 INTRODUZIONE ALLE COMPLICANZE NEUROLOGICHE POST-TCSE

Negli ultimi dieci anni i tassi di sopravvivenza a lungo termine in bambini e adolescenti sottoposti a TCSE sono molto migliorati.

Tuttavia le complicanze a carico del sistema nervoso centrale sono tuttora un’importante causa di morbilità e contribuiscono in modo significativo alla mortalità [7].

Secondo alcuni studi le complicanze neurologiche si verificano, a secondo delle casistiche nell’8 - 65% dei casi dopo TCSE [6].

Uno studio autoptico effettuato da Bleggi-Torres et al. su 180 pazienti deceduti dopo TCSE ha dimostrato la presenza di segni di complicanze a carico del sintema nervoso centrale nel 90% dei casi. Tra i reperti maggiormente segnalati in questo studio vi sono gli eventi emorragici subaracnoidei e intraparenchimali (58,7%), le infezioni micotiche e la toxoplasmosi con interessamento cerebrale [8].

Nella popolazione pediatrica le complicanze neurologiche sono maggiormente associate al TCSE allogenico con un incremento della morbilità a lungo termine e della mortalità e ciò è

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probabilmente legato alla profonda immunodepressione iatrogena per la prevenzione della GVHD oltre che ad alcune specifiche condizioni come la Leucemia Mieloide Acuta come patologia di base e la presenza di GVHD di grado II o maggiore [2-9-10].

Queste evidenze suggeriscono che bisogna porre molta attenzione nel cogliere la presenza di segni e sintomi neurologici di allarme al fine di potere intervenire tempestivamente nel modo più appropriato ed effettuando quindi una buona diagnosi differenziale.

È inoltre importante conoscere i fattori di rischio pre-trapiatologici specifici del singolo paziente, quelli legati al regime di condizionamento e quelli post-trapiantologici.

Le complicanze neurologiche al trapianto si possono presentare in ogni sua fase.

Ognuna di esse presenta delle caratteristiche peculiari che devono essere considerate per giungere ad una corretta diagnosi e pensare ad una opportuna strategia terapeutica.

In qualunque momento si presenti una complicanza bisogna certamente tenere presente la storia clinica del paziente considerando l’eventuale presenza di fattori di rischio congeniti come ad esempio l’esistenza di anomalie vascolari cerebrali, la sua esposizione a fattori di rischio neurologici iatrogeni come nel caso di pazienti che si sono già precedentemente sottoposti a chemioterapie con uso di farmaci potenzialmente neurotossici.

Tra le complicanze neurologiche al TCSE vi è la PRES che può presentarsi in ogni fase del percorso trapiantologico ed è dunque importante conoscere con quali altre patologie del sistema nervoso centrale può andare in diagnosi differenziale a secondo dell’epoca di comparsa dei sintomi.

2.3 COMPLICANZE NEUROLOGICHE PRECOCI

Le complicanze neurologiche precoci si possono manifestare nel periodo del condizionamento e nel primo periodo post-infusione (-7 - +30 giorni post-TCE).

In questa fase l’eziologia è spesso attribuita alla chemioterapia ad alte dosi, all’uso di farmaci per la profilassi della GVHD, alla radioterapia (TBI) quando compresa nel protocollo del condizionamento, all’antibioticoterapia usata come profilassi/cura dei processi infettivi in neutropenia.

Sicuramente oltre all’azione neurotossica del singolo farmaco è da considerare anche l’interazione tra i vari farmaci che in questa fase vengono cosomministrati [2-6].

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Nella prima fase del TCSE allogenico, vengono somministrati dei farmaci immunosoppressori al fine di controllare gli effetti della GVHD e questi sono spesso coinvolti nell’insorgenza di complicanze neurologiche.

Tra questi farmaci ricordiamo il metotrexate, il rituximab, gli inibitori delle calcineurine (ciclosporina e tacrolimus).

Gli inibitori delle calcineurine vengono somministrati dal giorno prima dell’infusione fino a diversi mesi dopo il TCSE.

Proprio gli inibitori delle calcineurine sono considerati una concausa della PRES che può presentarsi in questa fase [2-3-6].

In questo periodo inoltre, a causa della terapia di condizionamento, prima dell’attecchimento, il paziente va incontro ad un periodo più o meno prolungato di profonda aplasia midollare. A questo si correla il rischio di sviluppo di processi infettivi di natura batterica, micotica o virale (prime infezioni o riattivazioni) che possono coinvolgere il sistema nervoso in maniera diretta, come localizzazione primaria o secondaria, o in maniera indiretta per la presenza di disfunzione multiorganica e uso di farmaci potenzialmente neurotossici [2-3-6].

Inoltre, la piastrinopenia indotta nella fase di aplasia può esporre il paziente allo sviluppo di emorragie anche a carico del sistema nervoso centrale [2-3-6].

Nei primi trenta giorni dal TCSE durante la fase di attecchimento si può assistere allo sviluppo di GVHD acuta di grado variabile. Di norma viene coinvolta la cute con presenza di rash più o meno evidenti, ma possono essere coinvolti tutti gli organi, tra cui anche il sistema nervoso centrale [2-3-6].

2.4 COMPLICANZE NEUROLOGICHE DELLA FASE INTERMEDIA

Si manifestano nel periodo compreso tra 2 e 6 mesi dopo il trapianto (da +31 a +180) e sono legate alla immunodeficienza che predispone allo sviluppo di infezioni opportunistiche e infezioni virali (prime infezioni o riattivazioni).

Le infezioni fungine invasive rappresentano una importante causa di morbilità e mortalità nei pazienti pediatrici sottoposti a TCSE.

Tra gli agenti patogeni più temuti vi è l’Aspergillus che può causare serie complicanze in pazienti con prolungati periodi di neutropenia.

La sede primaria dell’infezione è di solito nelle vie aeree superiori e/o inferiori. Da qui questo patogeno può diffondere per via ematogena coinvolgendo il sistema nervoso centrale e

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interessando in particolare le strutture della fossa cranica posteriore e il corpo calloso. Nel sospetto di una infezione da Aspergillus il dosaggio del galattomannano su sangue periferico è molto affidabile e il riscontro di elevati valori permette di iniziare la terapia tempestivamente. Alla rachicentesi esplorativa il liquor appare limpido e acellulare e alle neuroimmagini possono essere riscontrati ascessi, aree di compromissione vascolare con presenza di aneurismi, vasculite, ed emorragia sub aracnoidea. La terapia si basa sull’uso di amfotericina B, voriconazolo o caspofungina ma il tasso di mortalità rimane elevato [2-3-13].

Un’altra infezione opportunistica e potenzialmente mortale, anche se più rara, è l’infezione da Toxoplasma gondii che può coinvolgere il sistema nervoso centrale.

Per tale motivo è importante nell’ambito del work-up pretrapiantologico sia nel paziente che nel donatore, ricercare l’eventuale positività degli anticorpi anti-Toxoplasma e nel caso di riscontro di segni di infezione recente o in atto viene attivato attento monitoraggio e viene eventualmente impostata una terapia specifica. [2-3]

Anche le infezioni virali, intese come prime infezioni o riattivazioni virali, possono essere una causa importante di morbilità e mortalità. Schmidt-Hieber et al. hanno condotto uno studio su 2628 pazienti sottoposti a TCSE allogenico studiando i casi di encefalite virale e hanno riscontrato che nel 28% dei casi era coinvolto l’Herpes virus tipo 6, nel 19% dei casi l’Epstein-Barr virus, nel 13% l’Herpes virus, nel 9% il JC polyomavirus, nel 6% il virus Varicella-Zoster e nel 3% l’Adenovirus. L’infezione da JC virus è inoltre associata ad una grave compromissione del sistema nervoso centrale causando la Leuceoencefalopatia Multifocale Progressiva a prognosi infausta [2-3-14-15].

Infine, tra le complicanze neurologiche non infettive, anche in questa fase può presentarsi la PRES.

2.5 COMPLICANZE NEUROLOGICHE TARDIVE

Si manifestano dopo 6 mesi dal trapianto e possono essere legate alla patologia di base o alla procedura trapiantologica.

La GVHD interessa i pazienti sottoposti a TCSE da donatore familiare o da banca e può essere acuta (entro i primi 100 giorni dal trapianto) o cronica (dopo 100 giorni). Essa coinvolge generalmente la cute ma può interessare direttamente anche l’apparato gastroenterico, il fegato, il polmone, gli occhi o il sistema nervoso. Il sistema nervoso può essere coinvolto in

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maniera diretta se è presente una GVHD che lo coinvolge come sede primitiva, o in maniera indiretta come complicanza di GVHD a carico di altri organi.

Il coinvolgimento primitivo del sistema nervoso centrale è raro e si può presentare da alcuni mesi ad anni dopo il trapianto con una presentazione clinica che può variare dalla vasculite con alterazioni delle pareti vasali fino alla rottura e conseguente emorragia, all’encefalite linfocitica focale con effetto massa, encefalopatia demielinizzante acuta o con quadro di sofferenza del sistema nervoso centrale con anomalie non specifiche alle neuroimmagini [2-3-15-16].

Un’altra complicanza è l’insorgenza di secondi tumori a carico del sistema nervoso centrale. Da alcuni studi effettuati su coorti numerose di bambini sopravvissuti a neoplasia e sottoposti a procedura trapiantologica è emerso che in questa popolazione vi è un incremento del rischio di sviluppo di secondi tumori. Questo è da correlare alla storia clinica del paziente e in particolare all’uso di chemioterapici ad alte dosi per l’eradicazione della neoplasia. Emerge inoltre un aumento del rischio rispetto alla popolazione generale nei pazienti che sono stati sottoposti a terapia radiante [17-18].

Non deve essere trascurato l’ambito dello sviluppo cognitivo, la scarsa sopravvivenza alla procedura trapiantologica negli anni precedenti non ha permesso di approfondire questo aspetto su cui però negli ultimi anni si pone sempre più attenzione.

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IMMAGINI RM ENCEFALO RELATIVE

AD ALCUNE COMPLICANZE NEUROLOGICHE

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CAPITOLO 3

LA PRES

3.1 DEFINIZIONE E INCIDENZA

Tra le complicanze neurologiche che possono insorgere nel percorso trapiantologico c’è la PRES, una sindrome con specifiche caratteristiche clinico-radiologiche.

Nel 1996, Hinchey et al. hanno identificato un gruppo di pazienti che presentavano un disordine neurologico con carattere di reversibilità e caratteristicamente, allo studio neuroradiologico, mostravano leucoencefalopatia posteriore da cui è derivato il nome di tale sindrome [19-20]. Le conoscenze oggi a nostra disposizione permettono di definire la PRES come una “sindrome clinica e radiologica caratterizzata da edema parietale e occipitale posteriore corticale e subcorticale, con manifestazioni cliniche variabili che frequentemente includono cefalea, alterazione dello stato di coscienza, disturbi visivi e convulsioni”.

Seppure storicamente alla PRES venisse attribuita una prognosi benigna associata alla reversibilità delle lesioni, oggi sono molto frequenti le descrizioni di casi con severe complicanze che possono anche mettere a repentaglio la vita [21].

In età pediatrica la PRES si può osservare in diversi scenari clinici come in caso di gravi patologie renali, autoimmunitarie o ematologiche come la linfoistiocitosi emofagocitica, tuttavia viene più frequentemente descritta come complicanza alla chemioterapia e al TCSE [7-22].

L’incidenza della PRES dopo un TCSE è descritta in letteratura con una variabilità che va dall’1 al 22% a secondo della casistica [23].

Questo è sicuramente dovuto al fatto che la PRES si presenta in vario modo e gli studi attuali sono retrospettivi e quindi soggetti a bias di campionamento, inoltre i criteri diagnostici non sono univoci soprattutto per ciò che concerne le neuroimmagini in casi di PRES con caratteristiche atipiche.

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3.2 IPOTESI EZIOLOGICHE

La PRES è stata descritta come una sindrome in relazione ad ipertensione arteriosa, insufficienza renale, eclampsia, patologie autoimmuni, sepsi, TCSE, uso di farmaci neurotossici. Tuttavia il meccanismo fisiopatogenetico che vi è alla base rimane non del tutto chiarito [23-24].

Esistono attualmente diverse teorie patogenetiche.

PRIMA TEORIA: IPERTENSIONE, DISFUNZIONE DEI MECCANISMI DI AUTOREGOLAZIONE CEREBRALE E IPERPERFUSIONE

Questa teoria si basa sul fatto che il primo evento scatenante sia il rapido sviluppo di ipertensione arteriosa con un superamento del meccanismo di autoregolazione dei vasi cerebrali con conseguente iperperfusione cerebrale e perdita dell’integrità della struttura endoteliale con sviluppo di edema vasogenico [19-24-25 -26].

Il sistema vascolare cerebrale ha una intrinseca capacità di autoregolazione volta a mantenere un flusso costante a protezione del sistema nervoso centrale così che i vasi cerebrali rispondono ad un calo pressorio vasodilatandosi, mentre in caso di incremento dei valori pressori si vasocostringono. Tale meccanismo è regolato dal sistema endoteliale mediante il rilascio di fattori vasolatatori (ossido nitrico) o vasocostrittori (trombossano A2, endotelina).

Circa l’80% delle resistenze cerebrovascolari sono correlate alle piccole arterie, alle arteriole e al letto capillare mentre il 20% è correlato a venule e vene. In caso di un severo incremento pressorio oltre i limiti tamponati dai meccanismi di autoregolazione, si ha una importante vasodilatazione arteriolare, comparsa di lesioni del letto capillare con edema vasogenico e iperperfusione.

A supportare questa teoria vi è il comune riscontro di ipertensione di grado moderato-severo che viene descritto nel 50-70% dei casi in alcuni lavori.

Tuttavia vi sono oggi sempre maggiori evidenze di casi di PRES in assenza di ipertensione. Studi di risonanza magnetica e angiografia hanno, a tal proposito, messo in evidenza aree di vasocostrizione cerebrale così come alcuni studi PET confermano la presenza di deficit di perfusione. [24-26].

Da alcune osservazioni è emerso addirittura che in alcuni casi l’ipertensione avrebbe un effetto protettivo e questo è stato dedotto che alcuni pazienti normotesi con PRES avessero un edema cerebrale maggiormente esteso rispetto a pazienti con valori pressori più elevati [27-28].

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SECONDA TEORIA: VASOCOSTRIZIONE, IPOPERFUSIONE, ISCHEMIA

Un’altra teoria suggerisce che il primum movens sia un difetto di perfusione con attivazione delle cellule endoteliali e delle cellule T, leukocyte trafficking (aderenza e migrazione attraverso l’endotelio vascolare) e vasocostrizione sistemica con ipoperfusione cerebrale.

Alcuni autori sostengono che l’ipertensione sistemica, quando presente, potrebbe essere una risposta reattiva dell’organismo per compensare l’ipoperfusione cerebrale e quindi conseguenza e non causa. Secondo questa teoria, la disfunzione endoteliale sarebbe causata dalla citotossicità dovuta ad agenti chemioterapici e/o immunosoppressori, o dalla presenza di infezioni o da disturbi di tipo autoimmunitario [7].

Tuttora rimane non chiarito se l’edema vasogenico presente nella PRES sia prevalentemente a genesi ischemico-vascolare o citotossica.

Diversi agenti farmacologici comunemente utilizzati in pazienti con patologie oncoematologiche hanno un effetto tossico sull’endotelio. Nel contesto trapiantologico ad esempio tra gli agenti farmacologici maggiormente correlati alla PRES vi sono gli inibitori delle calcineurine utilizzate per il trattamento e la prevenzione della GVHD: ciclosporina e tacrolimus [7].

Immagine estratta da: Masetti R, Cordelli DM, Zama D, Vendemini F, Biagi C, Franzoni E, Pession A.

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TERZA TEORIA: PRES NEL CONTESTO DI UN PROCESSO SISTEMICO

Una terza teoria, probabilmente la più esaustiva, considera la PRES parte di un processo “sistemico” caratterizzato dalla compartecipazione di più eventi: attivazione leucocitaria, rilascio di citochine, danno endoteliale, disfunzione del microcircolo con conseguente edema vasogenico [7-26].

Nel paziente sottoposto a TCSE vi sono diversi fattori potenzialmente dannosi per il sistema endoteliale: la terapia di condizionamento e, nel caso di TCSE allogenico, anche l’uso di farmaci immunosoppressori e la presenza di GVHD.

3.3 SETTING BIOLOGICO DELLA PRES

Diverse descrizioni mostrano similitudini tra i vari contesti in cui si può sviluppare la PRES, specie se quest’ultima viene inquadrata in un processo “sistemico”.

Bartynski in una review presenta una riflessione molto interessante sul setting biologico in cui si può sviluppare la PRES.

Questa si può presentare infatti non solo nel soggetto sottoposto a TCSE ma anche nei pazienti sottoposti a trapianto di organi solidi, nella preeclampsia gravidica, in corso di infezioni sistemiche con evoluzione in sepsi, in concomitanza a patologie autoimmunitarie croniche, dopo chemioterapia specie per quei tumori dove si verifica una importante lisi tumorale. L’autore coglie in tutti questi contesti patologici due aspetti comuni: sono condizioni “sistemiche” e in tutte è presente “microchimerismo” cioè la coesistenza di cellule con diverso patrimonio genetico.

In effetti una condizione di chimerismo si presenta:

-nel paziente sottoposto a trapianto, sia di CSE che di organi solidi, poiché le cellule del donatore coesistono con quelle del ricevente

-nel paziente con patologia oncologica con lisi tumorale dopo chemioterapia poiché le cellule tumorali aberranti si riversano nel torrente ematico trovandosi a stretto contatto con quelle del paziente

-nella gravidanza dove le cellule materne vengono a contatto con le cellule placentari e fetali -nel caso di infezioni sistemiche con evoluzione in sepsi in cui l’organismo patogeno invade il torrente ematico

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-nel caso di patologie autoimmunitarie in cui le cellule del paziente non “riconoscono” più il self instaurandosi così processi immunologici del tutto simili ai processi di mancata tolleranza del “non-self” [26].

In particolare, dopo un TSCE allogenico si verificano una serie di processi legati alla tossicità dei farmaci usati nel regime di condizionamento e allo sviluppo di GVHD acuta legata alla risposata mediata dalle cellule T contro l’ospite. Il sistema maggiormente colpito in tali processi è l’endotelio.

I farmaci usati nel regime di condizionamento provocano danno tossico tissutale soprattutto endoteliale con rilascio citochinico (IL-2), attivazione monocito/macrofagica (TNF, IL-1, IFN) e attivazione/danno endoteliale. In questo contesto di verifica anche adesione, consumo e degranulazione delle piastrine e si può riscontrare trombocitopenia da consumo, vasocostrizione, fluttuazioni della pressione sanguigna.

A tutto ciò si aggiunge l’uso di farmaci immunosoppressivi (ciclosporina, tacrolimus) che vengono introdotti nei giorni precedenti all’infusione al fine di limitare la GVHD. Tali farmaci inducono lesioni endoteliali sistemiche per cui si instaura vasocostrizione con alterazione della filtrazione glomerulare e danno glomerulare evidenziato da aumento della creatinina, proteinuria, perdita di magnesio, similmente a quanto avviene nella preeclampsia. Se poi la GVHD diviene cronica si istaurano processi autoimmunitari simili a quelli della sclerodermia o del lupus.

Quindi nelle prime fasi post-trapianto coesistono più fattori potenzialmente lesivi nei confronti dell’endotelio: tossicità del regime di condizionamento, GVHD acuta e uso di farmaci immunosoppressori [24-26]. Se quindi la PRES si inquadra in tale contesto si deduce che essa è parte di un processo sistemico e non una entità che riguarda selettivamente il solo sistema nervoso centrale.

Tabella estratta da: Bartynski WS. Posterior reversible encephalophathy syndrome. 2. Controversies surrounding pathophysiology of vasogenic edema. AJNR AmJ Neuroradiol 2008; 29: 1043-1049 [26]

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3.4 PRES E INFEZIONI

In letteratura vi sono alcuni lavori che mostrano una correlazione tra PRES e infezioni.

Nel caso di una grave infezione/sepsi/shock si verifica una risposta infiammatoria sistemica che coinvolge più organi fino alla disfunzione multiorganica e in questo caso la batteriemia o le endo/esotossine possono essere considerati i fattori trigger [26-29]. Se ciò si manifesta nel paziente sottoposto a trapianto il setting sarà quello di un organismo in cui già vi è in atto una potente risposta citochinica soprattutto nelle prime fasi del processo trapiantologico (regime di condizionamento e attecchimento) che sono tra l’atro le fasi in cui il paziente presenta maggiore suscettibilità ad eventi settici per lo stato di aplasia in cui si trova.

L’attivazione citochinica (TN1, IL-1-) gioca un ruolo chiave nello sviluppo del processo infiammatorio sistemico. Il rilascio di tali sostanze porta ad attivazione endoteliale con up-regulation degli agenti di superficie (P-selectina, E-selectina, ICAM-1) con adesione dei leucociti, alterazioni del tono vascolare, della permeabilità vasale e della coagulazione. Da tale disfunzione origina instabilità vascolare che può essere significativa nel 50% dei pazienti settici. Tra i vari agenti patogeni riscontrati in infezioni associate a PRES vi sono i Gram-positivi. Nella sepsi da GRAM-positivi vi è un’attivazione di cellule T e un rilascio citochinico maggiore rispetto a quanto si verifica nelle sepsi da altri agenti patogeni [24-26-30].

Bartynsky et al. in uno studio retrospettivo hanno evidenziato la correlazione tra sepsi e PRES. Essi hanno studiato una popolazione di 106 pazienti, di questi, 25 (21,6%) ha sviluppato una PRES in associazione ad un episodio settico. Della suddetta popolazione il 46,2% aveva subito procedura trapiantologica ed era in terapia immunosoppressiva con ciclosporina o tacrolimus. I segni clinici della sepsi sono stati sempre precedenti o concomitanti con quelli neurologici della PRES e del 72% dei casi (18/25), quest’ultima si è manifestata in coincidenza con l’insorgenza di una insufficienza multiorganica (MOF). Le emocolture effettuate hanno mostrato per la maggior parte positività per cocci GRAM-positivi [31].

In un altro studio retrospettivo Fugate et al. hanno analizzato i dati relativi a 113 pazienti con segni clinici e radiologici suggestivi per PRES e di questi il 7% mostravano in concomitanza una sepsi e questa popolazione presentava una compromissione maggiore del sistema nervoso centrale se paragonati al resto della popolazione in esame [32].

Sicuramente sono necessari studi con ampie casistiche per potere meglio definire il rapporto tra sepsi e PRES. Inoltre sarebbe interessante lo sviluppo di studi su pazienti sottoposti a trapianto volti a valutare una eventuale correlazione tra sviluppo di PRES e riattivazioni virali.

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3.5 PRES E GVHD

La GVHD può essere definita come una “distorsione della risposta cellulare” contro il ricevente mediata dai linfociti T del donatore, si tratta di un processo multisistemico che coinvolge più frequentemente la cute ma che può riguardare ogni organo e apparato. Come esposto in precedenza, essa può essere acuta o cronica. In entrambi i casi, si verifica un danno endoteliare e una risposta infiammatoria con rilascio citochinico e, nel caso della GVHD cronica, si vengono a strutturare processi immunologici molto simili a quelli descritti per patologie autoimmuni come la sclerodermia o il lupus con formazione di autoanticorpi antiendotelio e antifosfolipidi. La GVHD si controlla con l’uso di farmaci immunosoppressori, tra questi i più usati sono la ciclosporina o il tacrolimus. Come spiegato il danno endoteliale e la risposta infiammatoria ad esso legata può essere considerato processo fondamentale nello sviluppo della PRES. Anche l’uso di inibitori delle calcineurine è descritto come fattore di rischio per PRES. Ne consegue che nel paziente affetto da GVHD acuta o cronica si sia costretti ad usare farmaci immunosoppressori e che entrambi questi fattori concorrano allo sviluppo della PRES [26-33].

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CAPITOLO 4

FARMACI USATI DURANTE IL TCSE ASSOCIATI A PRES

Durante il percorso trapiantologico vengono usati farmaci potenzialmente neurotossici. Inoltre anche le interazioni tra farmaci possono essere causa comune di neurotossicità [6]. I pazienti che vengono sottoposti a trapianto per il trattamento di patologia oncologica, vengono prima trattati con diversi cicli chemioterapici più o meno aggressivi per raggiungere la remissione clinica di malattia quindi, in questo caso, bisogna considerare che alcuni effetti tossici di tali farmaci si possono sommare e potenziare a quelli dei farmaci usati nel regime di condizionamento e nel periodo post-trapiantologico. Per tale ragione il work-up pre-trapianto è utile perché permette che venga posta attenzione su fattori di rischio costituzionali o iatrogeni del singolo paziente [2].

Una considerazione approfondita deve essere fatta a proposito degli inibitori delle calcineurine. La ciclosporina (CSA) e il tacrolimus (FK506) sono farmaci immunosoppressori fondamentali nella prevenzione del rigetto e nel controllo della GVHD dopo trapianto allogenico.

La CSA e il FK506 bloccano la trascrizione dei geni delle citochine nei linfociti T, previa interazione con una proteina citoplasmatica chiamata ciclofilina A o FKBP12. Questo complesso farmaco-recettore inibisce poi la proteina fosfatasi 2B, chiamata anche calcineurina, che defosforila il fattore di trascrizione NF-AT (fattore nucleare dei linfociti T attivati) permettendone l'entrata nel nucleo. Se l'NF-AT non viene defosforilato, non può entrare nel nucleo e innescare l'espressione genica di certe citochine come l'interleuchina 2. Per tale meccanismo d'azione sia la CSA che il FK506 sono definiti entrambi come inibitori della calcineurina.

Nella nostra esperienza è molto comune l’uso della CSA piuttosto che del tacrolimus.

La somministrazione di CSA viene iniziata il giorno prima dell’infusione per via endovenosa e poi, dopo l’attecchimento, viene somministrata per via orale. È fondamentale mantenere un dosaggio ematico adeguato alle esigenze del paziente per cui la dose efficacie da somministrare andrà personalizzata in base alle esigenze cliniche.

La CSA può avere diversi effetti collaterali ed è noto il suo effetto tossico sull’endotelio e sul sistema nervoso. Tra gli effetti collaterali ricordiamo il danno renale, lo sviluppo di ipertensione, la cefalea, la comparsa di tremori fini distali e anche la PRES.

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Gli inibitori delle calcineurine sono associati a complicanze neurologiche nel 25%-59% dei casi di TCSE allogenico a secondo delle casistiche [1-6-15-23-24-34]. La calcineurina è anche un mediatore di alcune funzioni neuronali e la neurotossicità dei suoi inibitori sembra essere legata oltre che al danno endoteliale anche a disregolazione della barriera ematoencefalica e dei meccanismi di vasoregolazione cerebrale [15].

Come già detto prima, l’uso di CSA è associato ad insorgenza di PRES.

Alcuni studi suggeriscono che l’insorgenza della PRES associata a CSA sia indipendente dai livelli di ciclosporinemia [23-24].

La tossicità da inibitori delle calcinerurine è associata inoltre all’ipomagnesiemia a sua volta correlata al danno renale indotto sia degli inibitori delle calcineurine che da altri farmaci usati nel paziente sottoposto a trapianto e dall’interazione tra di essi.

A tal proposito Schmidt et al hanno condotto uno studio retrospettivo su un gruppo di pazienti sottoposti a TCSE che avevano sviluppato PRES e, tra i vari fattori osservati, hanno preso in considerazione anche i valori di magnesiemia. Essi hanno osservato bassi livelli di magnesio ematico in 4 su 7 pazienti ma, come dimostrato in altri lavori, essi affermano che il rilievo di ipomagnesiemia non può essere considerato un prerequisito assoluto per lo sviluppo della PRES, inoltre, studi condotti su pazienti sottoposti a supplementazione continua di magnesio con raggiungimento di valori normali hanno dimostrato che anche questo non rappresenta un provvedimento preventivo sicuro per la PRES [24-35-36].

In conclusione si può affermare che il monitoraggio dei valori ematici degli inibitori delle calcineurine così come della magnesiemia e la loro eventuale correzione è un provvedimento utile ma il mantenimento di livelli entro i limiti di normalità non può essere considerato un fattore assolutamente preventivo dato che la PRES può manifestarsi a prescindere dalla normalità di questi valori.

L’assetto genetico può sicuramente giocare un ruolo importante nello sviluppo degli effetti collaterali ai farmaci. In particolare, è stato descritto uno specifico polimorfismo nel gene MDR1 (ABCB1) che sembra essere associato allo sviluppo di PRES [34-37].

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CAPITOLO 5

PRESENTAZIONE CLINICA DELLA PRES

La sintomatologia della PRES è variabile e aspecifica essendo simile ad altre complicanze neurologiche che si possono presentare nel paziente sottoposto a trapianto. Per tale motivo, alla presentazione di sintomi di allarme bisogna porre il sospetto clinico e avviare un attento percorso di diagnosi differenziale.

Nella nostra esperienza, in maniera concorde a quanto descritto in letteratura, i sintomi più comuni sono:

- cefalea che può essere tensiva o pulsante e più o meno localizzabile, nella nostra esperienza alcuni pazienti riferivano dapprima dolore nucale che si irradiava al vertice e poi evoluzione in cefalea olocranica

- crisi epilettiche generalizzate tonico-cloniche o parziali con evoluzione in alcuni casi in stato di male epilettico

- stato confusionale fino al sopore e al coma

- disturbi del visus: diplopia, scotomi, amaurosi mono-bilaterale, offuscamento visivo, risposta alterata al riflesso fotomotore

- nausea o vomito

- deficit neurologici focali: deficit dei nervi cranici, ipostenia simmetrica o asimmetrica agli arti accompagnata talvolta da deficit sensitivi tattili o parestesie

- difficoltà nell’eloquio [2-6-15-23].

Come già detto in precedenza, spesso la PRES si associa a ipertensione, ma sempre più casistiche descrivono casi di PRES con valori pressori nella norma nel 20-30% dei casi, per cui tale sintomo non può essere considerato patognomonico di tale patologia [26].

Ad oggi esistono pochi studi eseguiti in maniera specifica su popolazioni pediatriche e in particolare su bambini di età inferiore ai 6 anni per cui non è chiaro se vi siano o meno delle caratteristiche cliniche diverse o peculiari a seconda dell’età di presentazione.

In uno studio effettuato nel 2014 da Siebert et al. sono state messe a confronto le caratteristiche cliniche e radiologiche in base all’età di insorgenza della PRES. In questo studio retrospettivo la popolazione in esame era composta da 91 adulti e 19 pazienti pediatrici (età inferiore a 18 anni) che avevano presentato PRES come complicanza a svariate patologie, solo pochi pazienti erano stati sottoposti a trapianto.

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È però interessante notare che sono emerse delle differenze cliniche età-dipendenti come ad esempio il fatto che nella popolazione pediatrica il sintomo di esordio era la comparsa di crisi convulsive mentre per gli adulti la presenza di disturbi visivi.

Per quanto riguarda l’aspetto radiologico è emersa una differenza nella topografia cerebrale interessata dalle lesioni. Nella popolazione pediatrica infatti è stata osservata una maggiore compromissione delle regioni frontali superiori mentre negli adulti le lesioni cerebrali erano localizzate più caratteristicamente nelle regioni parieto-occipitali. Inoltre l’edema cerebrale è descritto di grado superiore negli adulti [38].

Un altro studio retrospettivo effettuato da Habetz et al. si basa sulla comparazione tra le caratteristiche della PRES in adulti e bambini. In questo caso, i pazienti pediatrici (età <18 anni) erano 19 e gli aduli 100.

È emerso che nella popolazione pediatrica vi fosse una maggiore correlazione della PRES con una compromissione multiorganica (MOF) e che, radiologicamente, vi fosse un maggiore coinvolgimento delle zone temporali e minore estensione a livello cerebellare rispetto agli adulti [39].

Questi studi, a mio parere, mostrano il limite di considerare come pediatrica una popolazione molto eterogenea comprendendo tutti i soggetti di età inferiore a 18 anni. Bisogna considerare che le caratteristiche cerebrali di un bambino di pochi anni sono ben diverse da quelle di un ragazzo che si avvicina all’età adulta. Purtroppo non vi sono studi focalizzati su popolazioni strettamente pediatriche eccetto uno studio multicentrico retrospettivo, attualmente in fase di pubblicazione, che ha posto attenzione sulle caratteristiche cliniche della PRES in età pediatrica, ponendo l’attenzione sul gruppo di bambini di età inferiore ai 6 anni, a tale studio ha partecipato anche il nostro centro con apporto di parte della casistica descritta anche in questo lavoro.

In questo lavoro è stata analizzata una casistica di 111 casi di PRES in pazienti di età inferiore ai 18 anni, 29 dei quali con un’età inferiore ai 6 anni. Tali pazienti hanno ricevuto diagnosi di PRES tra il 2000 e il 2018 presso sei reparti ospedalieri pediatrici italiani: Bologna, Brescia, Padova, Pavia, Pisa e Roma.

I pazienti di età inferiore ai 6 anni differiscono dai pazienti di età superiore sia per presentazione clinica che per severità.

Venti pazienti presentavano patologia oncologica e quattordici erano stati sottoposti a TCSE. Tra i bambini di età inferiore ai 6 anni l’ipertensione è stata riscontrata nella maggior parte dei casi (23/29) ed è stata considerata come iatrogena essendosi presentata in seguito a terapia con chemioterapici o con steroidi.

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In 105/111 pazienti la PRES ha esordito con comparsa di crisi epilettiche. Lo stato di male epilettico (almeno 30 minuti di attività convulsiva) e lo stato di male non convulsivo (continua o intermittente attività epilettica in assenza di convulsioni per almeno 30 minuti, con evidenza elettroencefalografica di crisi) sono stati molto più frequenti nei bambini più piccoli e questo potrebbe essere in relazione ad una più severa neurotossicità correlata alla maggiore permeabilità di una barriera ematoencefalica immatura e / o ad una aumentata suscettibilità alle crisi epilettiche in un encefalo ancora in fase di sviluppo.

In conclusione, si può affermare che, con l’aumento della conoscenza di tale patologia, sicuramente saranno sempre più le evidenze che permetteranno di definirne le caratteristiche anche in base all’età.

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CAPITOLO 6

STRUMENTI DIAGNOSTICI PER LA DIAGNOSI DELLA PRES

6.1 ESAMI STRUMENTALI

Se per porre il sospetto di PRES la clinica è fondamentale, per porre diagnosi è indispensabile avvalersi delle neuroimmagini e dell’EEG.

Per la diagnosi il gold standard è certamente la RM cerebrale.

In alcuni casi, se non vi fosse l’immediata possibilità di eseguire una RM, si potrà eseguire una TC in urgenza che può permettere di escludere altre complicanze acute come ad esempio la presenza di emorragia/ischemia, lesioni cerebrali compressive e comunque può permettere di mettere in evidenza elementi che possono fare sospettare la PRES come la presenza di alterazioni della sostanza bianca che appare ipodensa.

Rimane comunque univocamente condiviso che solo la RM è il gold standard per porre diagnosi di PRES e stadiarne l’entità [6-11-31]

In particolare è patognomonica la presenza di edema vasogenico della sostanza bianca subcorticale con frequente coinvolgimento della corteccia. In genere vengono interessate simmetricamente le regioni posteriori dell’encefalo come il cervelletto, la regione occipitale, i lobi temporali con estensione talvolta alle regioni parietali e frontali più raro è il coinvolgimento di altre regioni come il ponte [11-31].

Bartynski e Boardman hanno definito quattro distinti pattern di distribuzione dell’edema usando come riferimento le aree di distribuzione delle arterie cerebrale anteriore, media e posteriore:

1) modello oloemisferico con coinvolgimento frontale, occipitale e in parte temporale 2) modello del solco frontale superiore con coinvolgimento variabile dei lobi occipitali e

parietali

3) modello parieto-occipitale dominante, descritto inizialmente come patognomonico per PRES

4) parziale o asimmetrico coinvolgimento delle zone descritte nei modelli precedenti Gli stessi Autori hanno creato anche una scala dell’edema vasogenico in cui vengono identificati 5 gradi di gravità crescente:

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- Grado 1: edema corticale, edema limitato alla sostanza bianca subcorticale o entrambi; regioni coinvolte non confluenti; lieve effetto massa corticale localmente/distorsione conseguenti all’edema

- Grado 2: edema della sostanza bianca leggermente maggiore rispetto a quello corticale; l’edema della sostanza bianca si estende profondamente; non ampia estensione mediale-laterale; alcune regioni coinvolte possono confluire; effetto massa/distorsione corticale locale conseguente all’edema

- Grado 3: edema della sostanza bianca sostanzialmente maggiore rispetto all’edema della corteccia; alcune zone limitate e focali coinvolgenti la superficie ventricolare; ampia estensione mediale -laterale dell’edema; parziale confluenza delle zone coinvolte; effetto massa/distorsione corticale locale di moderata entità conseguente all’edema

- Grado 4: edema della sostanza bianca sostanzialmente maggiore rispetto all’edema della corteccia; le regioni coinvolte si estendono in maniera importante sulla superficie ventricolare; coinvolgimento diffuso mediale-laterale; regioni coinvolte quasi del tutto confluenti; non evidenza di distorsione del profilo ventricolare dovuta all’edema

- Grado 5: edema della sostanza bianca molto importante e dominante rispetto all’edema corticale; regioni coinvolte pienamente confluenti e contigue; estensione mediale-laterale diffusa; estensione su tutta la superficie ventricolare; deformazione del profilo ventricolare dovuta all’edema [31-39].

La RM encefalo è uno strumento utile anche nella valutazione della evoluzione delle lesioni cerebrali a breve e a lungo termine.

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