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Capitolo 1 CONFLICT ARCHAEOLOGY Introduzione

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Capitolo 1

CONFLICT ARCHAEOLOGY

Introduzione

Considerata superficialmente, un’archeologia dedicata al conflitto e alle sue varie manifestazioni nel tempo e nelle modalità può sembrare un vicolo cieco: per molti periodi della storia umana, per molti conflitti l’abbondanza di fonti diverse da quelle materiali fa di queste ultime un surplus inutile – alle volte anche pericoloso – e dunque da scartare. Lo studio di altre epoche, specialmente le più remote, può invece avere una certa avversione verso il conflitto – troppo spesso è stato l’unico protagonista della comprensione storica del passato – e preferire, pertanto, altri temi di ricerca. A rincarare la dose di una certa diffidenza ci sono poi gli ambienti di “non addetti ai lavori” per molti dei quali fare archeologia è trovare tanti tesori e oggetti curiosi e studiare i conflitti è portarsi a casa qualche frammento di granata e un paio di decorazioni militari scovati con il metal detector.

Considerando poi la situazione economica c’è da chiedersi se un’archeologia del genere non sia in fin dei conti una “aberrante attrazione da circo lasciata a inadeguati fantasisti che non hanno mai messo da parte i soldatini di stagno”1, uno di quegli specialismi che rasentano la comicità, in grado di spremere risorse da una società che fatica a tirare avanti.

Sono però in crescita le esperienze di studio che possono indurci ad approfondire la questione di un’archeologia dedicata ai conflitti. Si aprono nuove prospettive.

Homo bellicus

Approfondire lo sguardo su questa archeologia ha come necessaria premessa la “definizione” di archeologia come disciplina che studia l’uomo (dunque disciplina antropologica), l’uomo del passato nelle sue scelte e nelle sue dinamiche

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comportamentali; queste ultime sono ricostruibili grazie alla traccia materiale che hanno lasciato e che ci è pervenuta nel tempo.

I conflitti sono parte di questa umanità che l’archeologia si propone di studiare. Riconoscere il conflitto come fenomeno umano complesso2 non è un semplicistico giustificarne l’esistenza o una pessimistica presa di coscienza per facili pacifismi3, ma può diventare l’inizio di un cammino nuovo di comprensione e studio.

L’uomo nella sua storicità – cioè nel suo essere immerso e parte di un flusso temporale complesso fuori dal quale è esclusa ogni sua comprensione – è “conflittuale”4: è doveroso ammettere che la storia non è fatta di sole guerre e battaglie come ce la presentava una storiografia semplicistica, ma altrettanto è necessario riconoscere i conflitti tra le primarie forze che hanno mosso la storia5. Pertanto uno studio onesto e quanto più approfondito dei conflitti è necessario e non può che aiutare la comprensione della porzione di umanità sotto esame. Compito dell’archeologia è lo studio dell’uomo “conflittuale” attraverso i resti materiali di questo.

Conflitti, guerre e battaglie

È doveroso interrogarci su cosa sia questa parte dell’agire umano che andiamo a studiare con l’archeologia, pur riconoscendo ad altre sedi la competenza per esaminare più nel dettaglio la questione. Ci limitiamo a dare alcune linee di lettura, guardando in particolare alle considerazioni del Clausewitz, sempre attuali6.

Gestire i numerosi – quasi naturali – attriti che si generano all’interno e tra comunità umane è sempre stato un problema delicato e dalle svariate “soluzioni”. Una di queste è il caso in cui le parti scelgono di imporre la propria volontà all’avversario senza possibilità di scendere a compromessi; il ricorso alla violenza diventa l’unico

2 Scott & Bleed 2011, p. 42; anche Pieri 1986, p. 12 pur non essendo uno studio di antropologia né

tanto meno di archeologia.

3 Leed 1985, p. 143.

4 Propongo qui l’uomo come homo bellicus. Attenzione però a non cadere nella semplificazione di un

determinismo biologico e/o psicologico dell’aspetto violento dell’uomo: per evitare questo molto utile, anche se per alcuni aspetti è un po’ datato, Malinowski 1941; inoltre anche Leed 1985, pp. 14-22.

5 Löndahl 2001, p. 225. Anche Malinowski 1941.

6 In particolare Clausewitz 1830, pp. 1-91: il generale prussiano approfondisce la guerra in particolare,

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mezzo per conseguire questo fine. Il conflitto è quella situazione umana in cui almeno due volontà di gruppi umani si contrappongono ricorrendo alla violenza. Una delle manifestazioni di conflitto è la guerra: fenomeno umano, essa nasce e si svolge come una risposta culturale complessa a forme collettive di sentimenti e di valori7; essa è violenza sempre legata a una situazione politica, cioè a una realtà sociale umana calata in un contesto spazio-temporale e con una organizzazione complessa8. “Atto di violenza, essa ha necessarie attinenze col sentimento”9, non è puro istinto bensì una triade di istinto, razionalità e caso/probabilità10.

I momenti più salienti di una guerra sono i combattimenti, le battaglie11. Tre aspetti caratterizzano – almeno per una parte della storia umana – una battaglia12: è un evento che obbedisce alla regola drammatica dell’unità di tempo, luogo e azione; è un’intensa attività umana in un periodo relativamente corto su un terreno ristretto o per lo meno circoscrivibile; ha il carattere di decisività. Uno sguardo più ampio aggiunge13: la violenza organizzata, la funzione e lo scopo ben chiari, la presenza di elementi rituali.

Il campo di battaglia, inteso non solo più come neutro palcoscenico su cui si svolgono azioni di guerra ma come dinamica e complessa realtà composta da elementi naturali e antropici – in una parola, inteso come paesaggio14 –, diviene luogo di comprensione dell’umanità. Accanto al campo di battaglia propriamente detto vi sono altrettanti luoghi di comprensione dell’uomo “conflittuale”: dai campi di prigionia alle fosse comuni di genocidi, dalle fabbriche d’armi alle città bombardate. Tutto il contorno alla battaglia vera e propria è utile a comprendere le scelte e i comportamenti umani in occasione del conflitto15.

7 Malinowski 1941, pp. 540-541.

8

“ […] war as a function of particular forms of social and political organization and particular

stages of historical development […]” Ellis 1986.

9 Clausewitz 1830, p. 21.

10 ivi, p. 40. Interessante sarebbe approfondire la razionalizzazione della guerra nata con Machiavelli

e soprattutto con il Clausewitz. In merito si veda uno spunto di riflessione nell’introduzione a Clausewitz ad opera di C. Jean, p. XIX.

11 Clausewitz 1830, p. 251.

12 Keegan 2004, p. 16 (molto valido per la storia antica, un po’ vacillante per epoche vicino a noi);

Carman 2005, p. 217-218.

13 Carman & Carman 2006, p. 15.

14 Per qualche accenno di più sul problema, mi permetto di rinviare a Dutto 2009, pp. 11-13. 15 Scott & Bleed 2011, pp. 49-53.

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Punti di vista

È bene fare un’ultima e rapida precisazione che può parere scontata in questa fase iniziale, ma urgente e quasi mai ricordata in stadi finali di studi sui conflitti, siano essi di carattere archeologico o meno.

La prospettiva dalla quale cerchiamo di comprendere un conflitto e gli uomini ivi coinvolti è sempre esterna.

Innanzitutto ogni possibile idea che ci faremo, ogni possibile teoria a cui giungeremo non sarà che una mera ricostruzione, quanto più realistica possibile ma mai uguale a ciò che fu realtà.

Una seconda osservazione possiamo proporre, valida però non in maniera generale. Da uomini occidentali del XXI secolo dobbiamo riconoscere di avere la “fortuna” di non avere mai vissuto un conflitto in maniera diretta: ci avvieremo allo studio di scelte e comportamenti umani che la maggior parte di noi non avrà mai veduto né – auspicabilmente – vedrà mai16.

Inoltre i conflitti a noi contemporanei sono vissuti in maniera alle volte radicalmente diversa: una battaglia tra falangi di due città stato greche è qualcosa di inconcepibile per noi, tanto quanto una guerra di trincea; i nostri conflitti li seguiamo ai telegiornali o ce li ritroviamo in casa sotto forme del tutto nuove e inconcepibili. Le nostre guerre sono “necessario” prodotto del contesto temporale, culturale, sociale, economico, politico, tecnologico – insomma, umano – a noi contemporaneo17.

Numerose sono quindi le differenze di cui bisogna accorgersi per evitare di scivolare in facili approssimazioni poco utili. Un unico filo rosso, colore tristemente appropriato, rimane e necessita però di attenzione: la morte degli uomini è tale al di là delle svariate differenze che possono sussistere tra i conflitti. Di questa siamo chiamati al rispetto.

16 Freeman 2001, p. 2; anche Keegan 2004, p. 17 e Audoin-Rouzeau 2002, p. XXXVIII. Segnalo una

suggestione interessante in González-Ruibal 2009, p. 205: spesso a essere disposti a studiare un conflitto non sono gli uomini coinvolti che per colpa o volontà sono inclini a voler dimenticare, bensì i nipoti.

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Una prima conclusione: Battlefield o Conflict Archaeology?

Anche il nome di una disciplina, infine, ha il suo peso nella comprensione della medesima: per il momento l’italiano non può che guardare all’ambito anglosassone, dove, peraltro, la scelta di due termini nasconde sottigliezze non trascurabili.

Orientandoci verso “Battlefield Archaeology”, come del resto gran parte anche del grande pubblico anglosassone ormai è abituato a fare, incontriamo alcune questioni che potrebbero limitare di molto il campo d’azione. Se infatti la pensiamo come studio archeologico dei soli campi di battaglia, tagliamo fuori quelle situazioni di conflitto che non sono propriamente delle battaglie: le ricerche effettuate su alcune fosse comuni tedesche del Neolitico18 o lo studio degli impianti della Guerra Fredda dal muro di Berlino19 ai siti missilistici20 sono relegate a un limbo non ben chiaro; per di più escludiamo lo studio di tutta quella parte di umanità che sta dietro e a monte di un conflitto (lo stesso vale per ciò che sta dopo) come per esempio l’intelligence21 o i civili stessi.

“Conflict Archaeology” è invece un termine più corretto e completo per la nostra disciplina, lascia aperti gli orizzonti prima citati e molti altri ancora22. Non è traducibile in italiano come “archeologia militare” per il semplice fatto che quest’ultima rappresenta solo una parte dell’archeologia dei conflitti. Pur occupandoci spesso di campi di battaglia – cosa che il grande pubblico apprezza anche molto più facilmente – l’archeologia che andiamo a esaminare e proporre è bene nominarla “Conflict Archaeology”.

18 Sutherland 2005, p. 2; Scott & McFeaters 2011, p. 111. 19

Klausmeier & Schmidt 2006.

20 Cocroft 2006. 21 Lake 2006.

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Verso una definizione metodologica

“Archaeology and war have an enduring and ambiguous relationship: both create in the very act of destroying”23.

Preludi

Addentrandoci verso un’archeologia dedicata al conflitto, non possiamo fare a meno di considerare alcuni aspetti che richiamano e alle volte preludono la “nascita” della disciplina sotto esame.

Non è novità introdotta dal metodo propriamente archeologico quella dello studio dei resti materiali al fine della ricostruzione del passato: da sempre l’uomo ha intuito l’immensa mole di informazioni che le tracce materiali possono procurare e se ne è servito in vari ambiti della vita, dalla caccia24 alla guerra. In ambito militare la ricognizione effettuata a posteriori sul luogo di uno scontro è un caso interessante e ci ricorda da vicino l’operare dell’archeologo: il fine può essere molteplice, dal dare sepoltura ai caduti al recupero di tutto ciò che può essere ancora riutilizzato, dal cercare superstiti alla bonifica del terreno di scontro, dal carpire informazioni circa l’armamento, le posizioni e le tattiche degli avversari – la fotografia aerea nasce proprio in occasione della Prima Guerra Mondiale25 – al cercare di comprendere le dinamiche dello scontro. In tutte queste operazioni si ha a che fare con i resti materiali lasciati sul terreno di scontro, che diventano utili indizi. Caso limite, di cui forniamo due esempi, è quando si cerca di indagare uno scontro in cui non ci sono superstiti e non si dispone di fonti affidabili. La battaglia di Little Bighorn (25 giugno 1876, Montana, USA) fu ricostruita in maniera del tutto arbitraria dalle fonti ufficiali del governo statunitense: infatti l’unico sopravvissuto delle fila americane era un cavallo, i resoconti indiani non potevano di certo essere seguiti e la frettolosa sepoltura sul posto dei resti dei caduti non aveva lasciato spazio ad alcuna osservazione. Solo nel passato secolo indagini archeologiche, di cui si parlerà più avanti, fecero luce sulla situazione e dimostrarono invece come molto attendibili i resoconti dei nativi americani. È invece archeologicamente attestata, oltre che

23 Saunders 2002, p. 101. 24 Ginzburg 1979, pp. 66-69. 25 McCullagh 2011.

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riportata da Tacito26, la ricognizione sul sito della battaglia di Teutoburgo (9 d.C., Germania): solo nel 15 le truppe romane guidate da Germanico giungono al luogo dello scontro, facilmente individuabile dalla grande quantità di ossa sbiancate in attesa di una degna sepoltura. Dopo il passaggio di Germanico il sito cadrà nell’oblio fino alle recenti ricerche archeologiche27.

Spostandoci poi verso l’orizzonte della nostra disciplina, si ha una curiosa reciprocità: occasionalmente l’archeologia – non dedicata ai conflitti – incontra campi di battaglia; d’altro canto i conflitti hanno incontrato e incontrano tutt’oggi siti di interesse archeologico.

Gli scavi effettuati a Dura Europos non hanno potuto evitare di imbattersi nelle tracce del pesante assedio a cui la città fu sottoposta nel 256 della nostra era: a occidente il circuito murario era stato rinforzato dai difensori in previsione dell’attacco poi avvenuto ad opera dei Sasanidi. Questi usarono una rampa d’assedio tra le torri 14 e 15 (ancora oggi ben visibile; si veda fig.1) e destabilizzarono in molti punti le fortificazioni mediante tunnel (fig.2). In risposta, i romani tentarono di intercettare le operazioni avversarie nel sottosuolo mediante gallerie che venivano poi incendiate: una di queste, incendiata forse per errore e collassando, divenne la tomba di una ventina di soldati romani e custodì fino alle indagini archeologiche i resti di quei guerrieri (fig.3)28. Numerose altre occasioni hanno permesso di raccogliere qui e in svariati siti del bacino mediterraneo molti manufatti legati a scontri, soprattutto proiettili di varia dimensione e utilizzo, da ghiande per le fionde a pesanti proiettili di macchine d’assedio29; ma tutti questi dati non sono stati utilizzati al fine di chiarire le dinamiche degli scontri.

Le ricerche archeologiche di ambito gallo-romano o medievale nelle regioni nord-occidentali della Francia spesso si imbattono in siti più o meno pesantemente disturbati dai resti della Grande Guerra: da semplici tracciati per cavi telefonici (come ad esempio in fig.4) a vere e proprie trincee, con l’aggiunta di tanto in tanto di residuati bellici inesplosi30.

Di qui l’altra faccia della medaglia: durante il primo conflitto mondiale, la guerra di trincea portò al rinvenimento di moltissimo materiale archeologico un po’ su tutti i fronti. Il fronte occidentale è quello che ci fornisce più dati: entrambi gli

26 Annales, I, 61-62. 27

Aßkamp 2009; Wilbers-Rost 2009; Rost 2009; Bocchiola 2005; Wells 2003; Coulston 2001.

28 Coulston 2001, p. 37-41; Hopkins 1947, pp.253-256. 29 Coulston 2001, p. 32.

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schieramenti hanno spesso la fortuna di contare nelle proprie fila esperti di antichità che, ove possibile, studiano con cura i rinvenimenti e si preoccupano di mandare il materiale a istituzioni in patria per successivi studi ed esposizioni31. Così accadde per esempio a Bucy-le-Long (Francia) nel 1915 col rinvenimento di alcune sepolture galliche parte di una necropoli indagata poi dagli anni ’7032. In casi meno fortunati i ritrovamenti diventavano parte dei souvenir dei soldati o degli ufficiali: così nella sezione dell’Imperial War Museum di Londra dedicata alla Grande Guerra e in molti memoriali su suolo francese di tanto in tanto si trovano asce neolitiche e selci, testimoni di incontri curiosi di due generazioni di guerrieri tanto distanti33.

Ancora oggi la guerra spesso intacca siti archeologici e di interesse culturale: il problema della gestione del patrimonio culturale in caso di conflitto non è mai stata risolta e, nonostante i numerosi tentativi tutt’altro che deprecabili, bombe intelligenti e follie integraliste continuano a danneggiare preziose tracce di umanità.

Dalle origini a oggi

Gli aspetti accennati precedentemente non sono di per sé le origini della Conflict Archaeology, osservabili invece guardando al cammino della disciplina all’interno del mondo scientifico internazionale.

Molti studiosi sono ormai concordi nell’individuare nel lavoro di E. Fitzgerald sul campo di battaglia di Naseby (1645, UK) un pioneristico studio di archeologia dei conflitti: nel 1842 lo studioso britannico – al soldo di uno storico – raccolse una grande mole di dati topografici e toponomastici a cui aggiunse un attento esame di manufatti e loro luoghi di ritrovamento; infine tentò una serie di scavi (ben lontani certo da nostro concetto di paziente scavo stratigrafico) che gli fruttarono la scoperta di una fossa comune della battaglia34. Anche un lavoro del grande Mommsen si inserisce felicemente in questo ambito: a fine ‘800 il sito della sconfitta romana a Teutoburgo era oggetto delle più svariate teorie vista l’effettiva sterilità delle fonti storiche a riguardo; lo storico, notando l’elevata densità di ritrovamenti romani (per lo più manufatti non riferibili alla battaglia se non per cronologia) in una zona a nord di Osnabrük (Germania), propose l’identificazione del sito con quello del famoso

31

Un caso curioso, citato più avanti, è presentato da Price 2011, p. 106.

32 Ivi pp. 18-21.

33 Saunders 2002, pp. 102-103.

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disastro di Varo, tesi poi confermata solamente un secolo dopo35. Al di là di questi due esempi e pochi altri, per gran parte dei due secoli passati lo studio archeologico dei resti materiali di un conflitto restò sopito sotto l’ombrello della storia al più limitandosi all’archeologia militare.

Accanto all’interesse per i manufatti e le strutture legati alle battaglie, nel XX secolo si intuisce l’importanza di comprendere e ricostruire il terreno, lo spazio, il paesaggio teatro dello scontro: distaccandosi da molti suoi contemporanei, il lavoro di F. R. Twemlowe del 1912 sulla battaglia di Blore Heath (1495, UK) è il primo che si muove in questo senso, cercando di redigere una mappa della zona così come doveva essere nel XV secolo36.

Tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta, il governo militare del Portogallo, volendo esaltare il passato militare del paese, promosse gli studi sul sito della battaglia di Aljubarotta (1385): i lavori, che prevedevano anche la realizzazione di un monumento e un museo, chiarirono alcuni aspetti della battaglia e rivelarono una fossa comune ma restarono incompiuti e mal pubblicati37.

Risultati più interessanti li raggiunse P. Newman nel 1970 sulla battaglia di Marston Moor (1644, UK), utilizzando ricognizioni di superficie estensive e lo studio della topografia storica e dei manufatti trovati; unico grande limite, non pubblicò con chiarezza le metodologie usate38. Contemporaneamente uno studio geologico sul sito della battaglia di Maldon (991, UK), curato da G. e S. Petty, testimoniava ancora una volta la necessità di comprensione del paesaggio di conflitto quale effettivamente era all’epoca dello scontro39.

Nel 1987 J. Laffin pubblicò “Battlefield Archaeology”: segno di correnti di pensiero tutt’altro che bendisposte alla nuova disciplina e ben radicate ancora oggi in numerosi ambiti, il libro arriva a giustificare l’attività di tombaroli, appassionati, cacciatori di reliquie e archeologi dilettanti nei riguardi dei campi di battaglia; infatti “a battlefield visitor needed only a guide book to become an ‘archaeologist’” (Laffin 1987, p. 120). Il mondo accademico non lo degnò né di considerazione né di critica40.

35 Wilbers-Rost 2009, p. 121. 36 Foard 2009, p. 137. 37

Carman 2005, p. 216; Scott & McFeaters 2011, p. 106;

38 Foard 2001, p. 88; Sutherland 2005, p. 13; Carman 2005, p. 106. 39 Carman 2005, p. 106.

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È solo con la pubblicazione dei risultati delle ricerche sul campo di battaglia di Little Bighorn nel 198941 che la Conflict Archaeology emerse per la prima volta nel panorama “ufficiale” delle discipline archeologiche. Nel 1983 un incendio aveva eliminato gran parte della vegetazione arbustiva che copriva l’area, permettendo lo svolgersi di ricognizioni con e senza l’ausilio scientifico del metal detector (finora strumento dei clandestini) e anche qualche saggio di scavo; le ricerche sono poi continuate con lo studio dei manufatti ritrovati, in particolare modo proiettili e cartucce con l’applicazione di tecniche tipiche dell’ambito investigativo, che hanno permesso di ricostruire finalmente in maniera affidabile le dinamiche dello scontro. Per la prima volta si riesce a dimostrare la validità e l’utilità di un approccio archeologico a un campo di battaglia.

La nuova disciplina si presenta da subito aperta ai contributi di altre scienze, da quelle forensi a quelle umanistiche; inoltre si avvale ben presto di tutte le tecnologie disponibili per la raccolta, la gestione, lo studio e la valorizzazione dei dati (GIS, foto aeree e immagini satellitari, georadar, ricostruzioni 3D).

Negli Stati Uniti le ricerche sono presto numerose soprattutto sui campi di battaglia della Rivoluzione e della Guerra Civile e riescono ad accattivarsi il favore del pubblico grazie a efficaci opere di valorizzazione dei siti e al coinvolgimento, da parte degli accademici, di gruppi di appassionati42. Sul vecchio continente gli studi faticano leggermente di più: all’avanguardia il Regno Unito che, grazie a un’apposita legislazione43, a centri di studio dedicati44 e a un database disponibile su internet45, riesce a tutelare e studiare archeologicamente numerosi campi di battaglia (ad esempio Towton del 1461). A seguire la Francia: l’attenzione archeologica ai campi di battaglia e siti di conflitto ha preso da subito la scia dell’archeologia d’urgenza che si trova dagli anni ’90 ad avere a che fare con le trincee e le fosse comuni della Prima Guerra Mondiale46; inoltre ci sono i numerosi interventi di tutela e cura dei vari memoriali che coinvolgono sia le istituzioni francesi sia quelle straniere47.

41

Scott & Fox 1989.

42 Esemplare il lavoro a Camden (1780, South Carolina, USA) in Legg & Smith 2009, pp.214-220. 43 Si tratta dell’ English Heritage Register of Historic Battlefield creato nel 1995 (Sutherland 2005, p.

16).

44

Importantissimo è il Centre for Battlefield Archaeology di Glasgow.

45 http://www.battlefieldstrust.com/resource-centre/battlefieldsuk/ 46 Balbi 2011 (a), pp. 222-223.

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Nel 2000 a Glasgow si svolge il primo congresso internazionale di Battlefield Archaeology e tutte le pubblicazioni che seguiranno48 continueranno ad accrescere il patrimonio metodologico e di conoscenze della nuova disciplina. Nello stesso anno in Francia ha luogo un workshop da cui si svilupperà la “Vimy Declaration for the Conservation of Battlefield Terrain”49. Sempre col nuovo millennio la Spagna comincia a guardare alla propria Guerra Civile con gli occhi dei nipoti, disposta cioè a comprendere un passato scomodo nell’ambito di una vera democrazia: in questo percorso, oltre allo studio dei documenti d’archivio, si inserisce a pieno titolo l’archeologia con l’esumazione delle vittime della guerra e del regime e con lo studio delle zone di combattimento50. La Francia prende coscienza delle problematiche e delle metodologie dell’archeologia dei conflitti con il colloquio internazionale del settembre 2007 a Suippes (Marne)51.

Dal 2005 molti studi trovano pubblicazione sul Journal of Conflict Archaeology. Oggi i lavori archeologici sui conflitti spaziano abbastanza agilmente ovunque e in qualunque periodo del passato; è il momento adatto, secondo Scott52, per sviluppare un vocabolario concettuale raffinato e adatto per uno studio sintetico e sistematico del conflitto; questo può essere fatto partendo dal patrimonio concettuale degli studi militari, mediati però dal dato archeologico.

Uno sguardo al fronte italiano

L’Italia, come del resto anche altri paesi europei53, è rimasta un po’ defilata in merito allo studio archeologico dei conflitti. Sicuramente la densità e la continuità di vita elevatissime del territorio della penisola non aiutano le ricerche: queste sono orientate più felicemente sia verso altri periodi storici54 sia verso altri temi55. A

48 Tra cui Freeman & Pollard 2001.

49

Bull & Panton 2001; una prima bozza è presente ivi, p. 270-273; all’indirizzo http://www.vac-acc.gc.ca/remembers/sub.cfm?source=memorials/battlefield se ne può trovare una ulteriore bozza.

50 Morín 2004; González-Ruibal 2007; Ayán Vila 2008. Renshaw 2010. Accanto a questo aspetto,

l’archeologia comincia a interessarsi di campi di battaglia antichi, come ad esempio il lavoro sul sito della battaglia di Baecula (208 a.C.) condotto però nell’ottica di riconferma delle fonti storiche (Bellón 2009).

51 Si veda il rendiconto disponibile in rete (Cazals & Prouillet). 52 Scott & Bleed 2011, pp. 47-53.

53

Tra cui anche l’Austria (Stadler 2011, p. 82).

54 In Italia, parlando di archeologia non viene in mente che lo studio di resti di epoche remote al più

medievali e questo accade non solo tra il pubblico di non addetti ai lavori ma, purtroppo, anche a volte in ambiente scientifico e di responsabilità civile.

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livello legislativo, alcuni dei resti materiali di conflitti sono sotto la tutela comune a tutti i beni archeologici: restano però esclusi dalla tutela (anche perché, ripeto, non esiste una ricerca che ne faccia sentire la necessità) la realtà complessa e delicata dei paesaggi di conflitto e i resti materiali di conflitti più recenti. Non è nemmeno così diffusa nella cittadinanza una coscienza del valore di bene culturale che qualsiasi sito e reperto di qualsiasi conflitto (da quello più scandaloso a quello più “giusto”) possiede; oscillando poi tra volontà di memoria di solo alcuni aspetti del passato conflittuale italiano e volontà di oblio di altri, non sempre si riescono a convogliare energie e fondi per ricerche nuove. Vanno poi segnalate le attività dei cercatori di metalli: credendo di rendere preziosi servigi alla storia e, chissà, anche di fare dell’archeologia, se ne vanno in giro nel tempo libero a dissotterrare bottini metallici senza una chiara metodologia né, spesso, senza uno studio serio56. In aggiunta è necessario sottolineare che i resti dei conflitti più recenti richiedono spesso l’intervento delle forze dell’ordine e di reparti specializzati in esplosivi vista la permanente pericolosità.

La situazione non è del tutto tragica: non sono poche le associazioni di volontari e gli appassionati (soprattutto nel nord est del paese) che si impegnano in ricerche storiche e sul territorio per cercare di valorizzare le tracce soprattutto delle due ultime guerre, offrendo alle volte lavori pregevoli e intuizioni interessanti57. Negli anni del nuovo millennio anche il mondo accademico e scientifico, molto timidamente, esce allo scoperto con alcuni studi e progetti alcuni dei quali di scala non trascurabile. Diversi i casi da segnalare: l’attività del SIGGMI (Società Italiana di Geografia e Geologia Militare) che ha in corso d’opera un progetto di studio topografico dell’immenso campo di battaglia di El Alamein (1942, Egitto) in collaborazione con ex militari e con docenti dell’Università di Padova58; il Web GIS sulle operazioni militari dell’esercito italiano in Russia (1941-1943) che è l’ottimo risultato di un lungo lavoro di ricerca di carattere topografico condotto da alcuni membri del CNR59; le

55 Anche per quello che riguarda i periodi più studiati dall’archeologia italiana (preistorico,

antico/classico e medievale), non esiste una vera attenzione allo studio archeologico del conflitto: ci sono studi su armi, fortificazioni, rappresentazioni di conflitti, ma non con l’orizzonte metodologico che stiamo proponendo in questo lavoro. Unica eccezione mi sembra il lavoro di Russo (2005) sulle tracce della conquista sillana di Pompei (89 a.C.), ma resta un caso isolato.

56 Tristemente doveroso segnalare Girotto 2008, articolo fuori luogo in una rivista che vuole occuparsi

di archeologia.

57

Un esempio ritengo sia il censimento di alcune delle iscrizioni della Grande Guerra (Scrimali 2007).

58 Segnaliamo qui il sito (http://www.siggmi.it/), Bondesan & Vergara 2011 e Bondesan &

Amatobene 2011.

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attività di recupero e di studio di alcuni resti della Grande Guerra restituiti dai ghiacci che si ritirano sulla Punta Linke e sul Piz Giumella60 e il “Progetto Grande Guerra” della provincia autonoma di Trento61; il convegno internazionale62 tenutosi a Luserna (Trento) nel giugno del 2006 di cui sono stati pubblicati – non con poco ritardo – gli atti63; la pubblicazione di due numeri della rivista “Archeologia della Grande Guerra, cultura materiale-epigrafia-restauro” che segue parte dell’attività della SSGB (Società Storica per al Guerra Bianca); la pubblicazione recentissima dell’attività del SIGGMI nella rivista “Geologia dell’ambiente”; un intervento, per quanto breve, di riflessione teorica da parte del prof. Milanese64. Anche nel campo legislativo alcuni passi sono stati fatti: inizialmente con leggi regionali e poi con la legge n. 78 del 2001 a tutela del patrimonio storico della Prima Guerra Mondiale65.

Come opera la Conflict Archaeology

Il lavoro archeologico su un sito di conflitto può essere articolato secondo quattro punti così riassumibili66:

localizzazione del sito;

ricostruzione del paesaggio al momento dell’episodio di conflitto e lettura della successiva evoluzione;

caratterizzazione dei gruppi umani coinvolti nel conflitto e attivi in quel determinato sito (nel caso si tratti di un campo di battaglia, qui si inserisce la ricostruzione delle posizioni iniziali e delle manovre);

convalida, approfondimento o smentita delle precedenti ricostruzioni del conflitto.

È l’evidenza materiale nelle sue dimensioni antropica (strutture, manufatti e resti umani) e naturale (aspetti della geomorfologia del territorio) il nucleo da cui

60 Balbi 2011 (a), pp. 231-233. 61

Flaim 2011.

62 Importante segnalare l’internazionalità perché mi sembra sia il primo caso di confronto diretto con

esperti stranieri in materia di archeologia dei conflitti come Saunders e Desfossés.

63 Vedi in bibliografia. 64

Milanese 2008.

65 Vedi il secondo capitolo per un approfondimento.

66 Desunto e modificato da Foard 2009, p. 133; più che fasi consequenziali, i quattro punti, sarebbero

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l’archeologo parte per la comprensione delle scelte e dei comportamenti umani sul sito di conflitto. Lo studio delle fonti storico-documentarie, decisamente utile soprattutto per periodi vicini al nostro, non è da trascurare, grazie all’enorme mole di informazioni che può fornire per la contestualizzazione del conflitto sotto esame: attenzione però perché la ricerca archeologica non diventi una semplice caccia alla conferma di teorie storiche precostituite67.

Comprendere innanzitutto il paesaggio di conflitto non è un aspetto sottovalutabile: i conflitti, in quanto comportamenti umani, si sono svolti in “luoghi”68 i quali non poco hanno influenzato le scelte degli uomini. A tal proposito, l’esperienza turistica del campo di battaglia delle Termopili (480 a.C., Grecia) è spesso deviata: il mare, che rendeva il sito tatticamente e strategicamente importante per i Greci del V secolo, ormai dista alcuni chilometri, rendendo poco comprensibile il contesto naturale del famoso scontro a meno di abili guide o studi appropriati (cfr. fig.5)69. Capire le scelte strategiche in alcuni punti del fronte nel primo conflitto mondiale (Gallipoli, 1915, Turchia; Salonicco, 1915-1917, Grecia; Beaumont Hamel, battaglia della Somme, 1916, Francia) può risultare arduo se non si analizza con attenzione la situazione geomorfologica70.

Dati interessanti circa il contesto ambientale del passato sotto esame possono certo venire da fonti storico-documentarie e iconografiche ma a questi dati si possono aggiungere ben più sicure analisi palinologiche e paleobotaniche come è stato fatto per Teutoburgo71. Ricognizioni di superficie, analisi di fotografie aeree e di immagini satellitari, studio della toponomastica possono inoltre apportare utili informazioni circa il contesto paesaggistico di cui è parte la situazione di conflitto sotto esame.

67 Haecker 2009 è un esempio di questo “errore”: tutta una vasta introduzione storica finalizzata a

creare una certa aspettativa dal campo di battaglia; questo ragionare a priori può essere rischioso in quanto può rendere ciechi all’effettiva realtà materiale che si trova o a una interpretazione più onesta dei ritrovamenti. Banks 2007 p. 24 sostiene, più moderatamente, che la forza di questa archeologia sta nell’investigare l’accuratezza dei resoconti storici e non tanto nel creare dal nulla dei resoconti storici. Inoltre si veda per ulteriori riflessioni la conclusione di questo lavoro (pp.130 e ss.).

68 vedi nota 14.

69 Dore 2001, pp. 285-286; Kraft 1987. A questo si aggiunga che il turista medio non tiene

assolutamente conto dei numerosi successivi scontri avvenuti nella medesima area (ricordiamo solamente le date: 480 a.C.; 353 a.C.; 279 a. C.; 207 a.C.; 191 a.C.; 267 d.C.; 1821; 1941 a cui si aggiunge un’azione dei partigiani greci nel 1942)

70 Doyle 2001.

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I resti materiali, raccolta e interpretazione

Le evidenze materiali occupano la maggior parte del lavoro archeologico sul sito di conflitto: raccolte con estrema precisione, il loro studio non differisce dall’archeologia applicata ad altri, ben più comuni contesti72. Grazie all’analisi delle evidenze materiali si può gettare uno sguardo alle condizioni fisiche del combattimento, ai comportamenti in battaglia e scorgere le tracce dei motivi che hanno indotto quegli uomini a restare e combattere; gettare cioè uno sguardo alla diretta esperienza degli individui al momento del massimo pericolo. I resti materiali diagnostici di una situazione di conflitto sono generalmente di tre categorie73: strutture di chiaro scopo militare o con chiare tracce di violenza, manufatti legati alle manifestazioni della violenza, in particolare armi74, e resti umani con traumi legati a episodi di violenza.

Strutture

Per il grande pubblico, le strutture afferenti a situazioni di conflitto sono la parte più attraente e di più immediata comprensione; il lavoro archeologico ovviamente non si ferma al “bello” e al “grande” (dai castelli ai circuiti murari cittadini, ma anche le fortificazioni sulla Manica o i campi di sterminio) ma va ben al di là, dedicandosi anche a resti pressappoco evanescenti.

La ricerca distingue innanzitutto due grandi categorie: strutture intenzionalmente funzionali al fenomeno di conflitto e strutture non funzionali al fenomeno di conflitto ma che in qualche modo sono rimaste coinvolte in questo e ne hanno riportato traccia; un circuito murario rientra nel primo caso, le abitazioni civili che questo protegge nel secondo. L’assedio è l’esempio più banale di situazione di conflitto che può lasciare non poche strutture sul territorio, ma non trascuriamo l’importanza di strutture anche in battaglie campali. In quest’ultima circostanza spesso sono strutture civili o religiose che rimangono coinvolte nello scontro, tanto per motivi tattici (allora subiranno adattamenti o almeno rifunzionalizzazioni di spazi, come ad esempio le fattorie di Waterloo) quanto per motivi culturali: scegliere se e come portare lo

72 Ricorda, in alcuni casi, le indagini effettuate sulla scena di un crimine, indagini che, per altro, negli

Stati Uniti possono essere portate avanti da reparti di polizia con l’ausilio di veri e propri archeologi specializzati.

73 Lambert 2002, pp. 209-211.

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scontro in determinati ambienti (terreni sacri, strutture religiose, strutture di ausilio come ospedali e sanatori, alcune strutture civili particolari) sono importanti indizi antropologici per noi, utili cioè a ricostruire azioni e comportamenti degli uomini sotto esame75.

Accanto allo studio delle caratteristiche e della funzionalità di una struttura (che già ci fornisce dati importanti sugli uomini coinvolti nel conflitto sotto esame, per intenderci studiando il materiale e le tecniche costruttive risaliamo ai costruttori)76, possiamo anche registrare vere e proprie “cicatrici”77 lasciate dal conflitto, che ci mettono in grado di leggere quindi come realmente queste strutture siano state utilizzate dai combattenti. Le informazioni utili alla ricostruzione del passato si ricavano non solo da come è stata costruita una torre, ma anche da quali segni questa ha riportato in seguito a un evento violento.

Gli esempi sono numerosi: alcune sezioni delle mura di Dura Europos nei pressi della torre 14 e la stessa torre sono state trovate parzialmente collassate ad opera dei persiani che, per costruire in sicurezza la rampa d’assedio, hanno eliminato le difese degli arcieri romani (cfr. fig. 6)78.

Le armi da fuoco trasformano le mura – per assorbire meglio l’energia del proiettile servono la terra e una parete non perpendicolare79; poi si arriverà a pesanti strati di cemento armato – e anche i segni su di esse: a Bomarsund (1854, isole Ǻland, mar Baltico) la facciata nord ovest della fortezza principale è stata trovata butterata dall’impatto dei proiettili di fucili con una densità media di 31 colpi per metro quadro intorno alle feritoie dell’artiglieria, segno dell’accanirsi del fuoco degli assalitori (fig.7)80. Lo stesso si vede su alcune porte della cinta muraria tardo medievale di Gerusalemme in conseguenza dell’ultimo scontro in cui fu coinvolta la città recentemente (fig.8): il conflitto non ha riguardo per monumenti o opere architettoniche, che spesso troviamo danneggiate o distrutte. La città di Berlino porta

75 Si veda in particolare la curiosa consuetudine dell’immunità di cui alcuni luoghi, per lo più sacri,

hanno goduto dall’epoca greca fino a tutto il medioevo. Carman & Carman 2009, p. 47; Carman & Carman 2006, pp. 19-22; Carman 2001.

76 Questo è uno dei cavalli di battaglia dell’archeologia militare, ramo già presente in Italia, che si

trova a studiare le strutture militari indipendentemente dal loro coinvolgimento in uno scontro.

77 de Meyer & Pype 2009, p. 359. 78

Hopkins 1947, pp. 256-257; Coulston 2001, p. 38.

79 Courtney 2001, p. 105.

80 Löndahl 2001, p. 223. Per armi di grande calibro uno studio sui crateri di impatto può fornire molte

informazioni: la tipologia di arma e di proiettile, la direzione da cui proviene il tiro e dunque la dislocazione delle bocche da fuoco (Scott & Haag 2009, pp. 115-117; Carlson-Drexler 2009, pp. 63-73). Soprattutto durante la Grande Guerra – quando i crateri arrivano a dimensioni spropositate come ad esempio il Lochnagar Crater nella Somme – i crateri possono essere riutilizzati come fosse comuni (Desfossés 2008, pp. 75-76) o discariche (Landolt & Decker 2009, pp. 33).

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ancora oggi i segni del secondo conflitto mondiale – sono infatti pochissimi i palazzi storici ancora in piedi – e di un dopoguerra tutt’altro che pacifico con la costruzione del “Muro”81, di cui una triste riproposta è tutt’ora in atto in Israele. La Spagna è rimasta segnata dalla Guerra Civile con un proliferare di monumenti ed edifici di chiara propaganda franchista, dalle piccole fontane dei villaggi agli archi di trionfo della capitale82.

Oltre a segni di distruzione, le strutture conservano tracce anche della vita: sono numerosi i graffiti e i disegni dei soldati dalla Grande Guerra in poi lasciati sulle murature o sulle pareti delle cavità naturali presenti un po’ su tutti i fronti83.

Finito il conflitto, molte strutture vengono abbandonate a se stesse: alcune diventano cava di materiale84, altre vengono pressoché dimenticate o utilizzate come nascondigli 85 fino alla valorizzazione del sito e a una sua successiva rifunzionalizzazione come sito di memoria collettiva.

Le modalità e le metodologie di studio sono simili a quelle usate per la ricerca archeologica più conosciuta: ricognizioni di superficie segnalano e studiano i resti emergenti, contemporaneamente si cercano informazioni dalle fonti documentarie di vario genere (documenti storici, rapporti militari, disegni, ma anche – per epoche recenti – progetti, fotografie, filmati e testimonianze); le indagini geofisiche, ciascuna secondo la propria specificità, in genere sono molto utili per avere un’idea delle potenzialità di informazioni da resti di strutture sepolti. Da ultimo è applicato, dove è possibile, lo scavo stratigrafico (estensivo o per saggi), metodo ben consolidato anche per registrare i sottili e apparentemente inconsistenti strati legati a periodi più recenti. Tutta la mole dei dati può poi essere riportata in GIS e

81 Klausmeier & Schmidt 2006. 82

González-Ruibal 2007, pp. 216-219.

83 Molto ben studiato e ben presentato al pubblico è il caso delle cave di gesso e di altri sotterranei

della città francese di Arras che ha visto lo spiegamento di ingenti truppe coloniali alleate durante la Grande Guerra. Altri studi si orientano invece sull’approfondimento, la registrazione e la tutela di murales più recenti, afferibili alla Guerra Fredda (Buchinger 2006). Inoltre si veda Cocroft 2004 per linee guida su questi argomenti in ambito inglese.

84 È il caso per esempio della fortezza di Bomarsund (Löndahl 2001, p. 224), di moltissime cinte

murarie cittadine; dopo la prima Guerra Mondiale sul fronte italiano molti punti fortificati in cemento armato lungo le trincee vengono fatti saltare per mano dei recuperanti con esplosivi improvvisati per recuperare il ferro.

85 I bunker della Grande Guerra e altri siti fortificati sono stati spesso rifugio per i partigiani durante il

secondo conflitto mondiale. Dopo il ’45 moltissime strutture usate in guerra hanno attirato prima la curiosità e i giochi di bambini e ragazzi, poi purtroppo anche le attenzioni di malintenzionati in cerca di “nascondigli”: non è raro che gli accessi a queste strutture siano stati chiusi o per lo meno

controllati e che, in caso contrario, si incontrino per terra bottiglie, frammenti, resti di focolari, angoli maleodoranti, siringhe e così via. Anche queste sono tracce di comportamenti umani.

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programmi di ricostruzione 3D, di utilità scientifica ma anche, se pensati adeguatamente, adattabili a un pubblico più vasto.

Due esempi di lavori su strutture molto diverse tra loro: lo studio della Pointe-du-Hoc (6 giugno 1944, Francia)86; il rinvenimento e lo studio dei tunnel della fuga di 79 prigionieri di guerra Alleati dal campo di prigionia Stalag Luft III (marzo 1944, Polonia)87.

Manufatti

Sono il reperimento e lo studio dei manufatti che occupano la maggior parte di molti lavori archeologici su siti di conflitto: in sé, i singoli manufatti non sono che oggetti alle volte muti tanto sono rovinati o distanti dalle nostre conoscenze, ma, se messi in relazione tra loro e con il contesto archeologico, forniscono informazioni preziosissime relative all’attività umana sotto indagine.

Due le grandi “famiglie” in cui possiamo raggruppare i manufatti88: * militari: - equipaggiamento standard

- armi * non militari

Sono diagnostici, cioè utili a individuare un sito di conflitto, principalmente i manufatti militari. Una loro assenza o una loro scarsità – dovuta a svariati motivi89 – non pregiudica però del tutto la possibilità di individuazione e studio del sito di conflitto.

Guardando più nel dettaglio, l’equipaggiamento standard è composto da tutti quegli oggetti forniti dalle forze combattenti ai propri uomini in maniera pressoché omogenea (uniformi, vestiario, strumenti di lavoro, insegne etc.90); in relazione al

86 Burt 2009.

87 Pringle 2007; Doyle 2009. Si tratta della famosa “Grande Fuga” a cui si ispirò l’omonimo film del

1963. Lo studio è interessante perché si è trovato di fronte a strutture molto evanescenti e danneggiate. Solo con l’ausilio di GPR e attento scavo stratigrafico si è riusciti a leggere un evento di per sé legato ormai ai racconti dei sopravvissuti e al mito che ne derivava.

88 Schema desunto da Pratt 2009, p. 9. 89

Mi permetto di rimandare a Dutto 2009, pp. 19-23 per uno sguardo su fattori che influiscono la conservazione dei siti conflitto.

90 Anche le armi quasi sempre rientrano in questa categoria, ma le consideriamo a parte per la grande

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loro ritrovamento, può poi essere distinto in equipaggiamento individuale, che difficilmente si trova lontano dal soldato a cui era stato affidato (per esempio parte di vestiario e insegne), ed equipaggiamento generico, generalmente strumenti di lavoro o armi (comunque facilmente trasportabili), che non sono in uso esclusivo del singolo soldato e pertanto possono essere trovati distanti dai singoli corpi91. Sotto la categoria “armi” facciamo rientrare tutti quei manufatti appositamente creati o utilizzati al fine di violenza interpersonale (andiamo dalle pietre affilate ai missili intercontinentali non dimenticando i veicoli di qualunque genere, proiettili di qualunque tipo e ordigni rudimentali fabbricati in “casa”)92.

Nella seconda categoria inseriamo tutti gli altri manufatti ritrovabili su un sito di conflitto ma le cui funzioni non rientrano direttamente nell’ambito della violenza: sono gli oggetti della vita quotidiana, strettamente personali o legati ad un ambito più ampio, che seguono gli uomini anche nel conflitto.

I metodi di raccolta dei manufatti non sono diversi da quelli usati nelle normali indagini archeologiche, con una particolare attenzione alla collocazione spaziale e alla raccolta anche del più minuscolo frammento93. Vengono in aiuto i metal detector, un tempo incubo dell’archeologia accademica: opportunamente utilizzati, anche coinvolgendo appassionati che altrimenti rimarrebbero solo clandestini94, sono gli unici strumenti utili a individuare oggetti metallici di dimensioni anche ridotte a scarsa profondità come per esempio proiettili o schegge. Per le altre tipologie di materiali quali vetro, tessuti, legno, pietra, plastica e quant’altro, sono necessarie la ricognizione di superficie e lo scavo stratigrafico. Soprattutto se gli oggetti ritrovati sono armi e proiettili, è più che mai importante segnalare con estrema precisione la loro posizione di ritrovamento: grazie alla lettura della distribuzione di questi particolari manufatti si possono ricostruire e comprendere alcuni aspetti essenziali di un conflitto. Nello scavo della città di Olinto (abbandonata dopo l’assedio dei Macedoni del 348 a.C.) sono state recuperate e studiate con attenzione moltissime

91

Questa distinzione viene proposta da Rost 2009, p. 54 in merito allo studio dei resti romani a Kalkriese che avevano subito operazioni di sciacallaggio.

92 Paz 2001, p. 6: qui si segnala la difficoltà, per periodi molto antichi, nel distinguere chiaramente

quali manufatti siano effettivamente armi e quali strumenti quotidiani “pacifici”. Per intendersi con un paragone recente, un fucile da caccia può essere usato anche come arma da parte di guerriglieri e l’archeologo può quindi avere difficoltà a individuarne il preciso uso.

93 Ciò è dovuto al fatto che questa archeologia – come anche l’archeologia preistorica – si trova a

studiare spesso contesti molto poveri di tracce, nei quali ogni piccolezza diventa importante. La causa di questa scarsità, a differenza del sito preistorico, è dovuta al lasso di tempo molto breve in cui si sono prodotte le tracce.

94 Così è accaduto nel già citato studio della campo di battaglia di Camden (Legg & Smith 2009,

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ghiande missili usate dai frombolieri di ambo le parti: messi in pianta (fig.9), i ritrovamenti hanno permesso di “visualizzare” il dilagare delle truppe leggere degli assedianti per le vie principali della città e di scoprire l’uso della fionda anche in ambienti chiusi95. Ancora, lo studio della distribuzione dei proiettili di artiglieria può venire utile per determinarne la provenienza e dunque la posizione delle bocche di fuoco96.

Accanto alla mappatura dei ritrovamenti, c’è lo studio dei medesimi che porta dati davvero interessanti.

Avendo a che fare molto spesso con le armi, le informazioni che un singolo proiettile può darci sono moltissime, entra quindi in campo la Firearms Identification Analysis (FIA), settore scientifico molto vasto usato per lo più in ambito forense97: gli scienziati ricostruiscono tutta la vita del proiettile, dalla fabbricazione alla canna dell’arma da fuoco fino alla mano dell’archeologo. In alcuni fortunati casi, come lo è stato Little Bighorn, con lo studio dei proiettili si ricostruiscono anche i percorsi di alcune armi sul terreno di scontro, arrivando a seguire quindi direttamente le tracce degli uomini che le portavano98. Da quando le armi da fuoco utilizzano cartucce in metallo, necessariamente spesso dimenticate sul sito una volta utilizzate, anche queste ultime forniscono molte informazioni: attraverso lo studio tipologico di queste e di particolari segni su di esse si risale alle tipologie e al numero minimo di armi usate. L’attribuzione dei proiettili a una o all’altra parte in conflitto può risultare problematica, anche se alle volte è facilmente deducibile proprio per la differenza di culture tecnologiche e di possibilità economiche che le parti hanno99.

Un fenomeno molto diffuso nelle zone di conflitto e ben attestato per le due guerre mondiali è la rifunzionalizzazione di manufatti militari: armi, proiettili, equipaggiamento, ogni genere di materiale viene lavorato e riutilizzato per nuovi scopi; siamo di fronte a un vero e proprio artigianato che alle volte sfiora l’artistico100. Per primi sono i militari stessi a creare con i materiali a disposizione “nuovi” manufatti (da oggetti legati alla sfera religiosa a quelli più pratici come lanterne, scatole etc.), direttamente sul campo di scontro: su un tratto del fronte

95 Lee 2001; Cahill 2002. 96

Le artiglierie fino al XIX secolo si basavano infatti sul principio dell’intervisibilità tra la bocca di fuoco e l’obbiettivo: ricostruita la tipologia di arma che possa aver sparato i proiettili ritrovati, se ne stimano la gittata e la visibilità e il gioco è presto fatto. Un esempio è lo studio fatto sullo scontro di Wilson’s Creek (1861, Missouri, USA) in Carlson-Drexler 2009, pp. 64-72.

97

Scott & Haag 2009, pp. 102-105; Scott & Fox 1989, pp. 154-155.

98 Scott & Fox 1989, pp. 148-149. 99 Scott 2009, p. 433.

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franco-tedesco della Grande Guerra gli archeologi hanno avuto l’occasione di studiare i resti di un vero e proprio laboratorio artigianale in trincea che lavorava principalmente il metallo reperibile dagli “scarti” della battaglia (cfr. fig.10)101. Cessato il conflitto entra in campo la popolazione civile con la ricerca o il ritrovamento casuale dei manufatti bellici102, cosa che comporta non pochi rischi ma resta comunque un’attività produttiva in due sensi: si contribuisce innanzitutto alla bonifica del territorio che ritorna così sfruttabile e si raccoglie una buona quantità di manufatti riutilizzabili nelle più svariate maniere (bossoli di artiglieria diventano calici per la celebrazione eucaristica o porta candele; proiettili resi inoffensivi restano come cimeli personali o di famiglia o entrano a far parte di monumenti o musei). I manufatti non militari sono altrettanto interessanti: ci raccontano la quotidianità molto spesso banale e ignorata nelle fonti scritte, anche in quelle dei partecipanti alla situazione che stiamo esaminando 103 . Un attentissimo studio di un deposito/immondezzaio lungo il fronte tedesco nella attuale Francia centro-occidentale è servito a aprire nuovi orizzonti per quello che riguarda la conoscenza del regime alimentare del sodato tedesco all’inizio della Grande Guerra: si è affrontato lo studio delle bottiglie in vetro e di numerosissimi e diversissimi altri contenitori, nello stesso collaudato modo – ponendo le stesse “domande” – col quale si lavora con la ceramica nell’archeologia tradizionale. Saltano fuori bevande frizzanti in apposite bottiglie che conservano il gas sotto pressione, bevande imbottigliate in – prima – impensabili regioni del mondo, crono-tipologie di contenitori per mostarda e così via (si veda ad esempio fig.11)104.

Lo studio dei manufatti può venire in aiuto soprattutto nei casi di corredi funerari o più semplicemente per oggetti in relazione con resti umani: l’ausilio più scontato è quello fornito per l’identificazione del cadavere per cui entrano in gioco mostrine, bottoni e ogni sorta di oggetti piccoli che possono essere sfuggiti ai seppellitori105. Due casi interessanti possono rendere l’idea della grande quantità di informazioni che si ricava e di quanto sia delicato e non scontato il lavoro. In occasione dei lavori per una strada a scorrimento veloce tra Arras e Lens, vennero alla luce alcune sepolture tedesche della guerra del ’14-’18 nei pressi di Thélus: uno degli individui

101 Desfossés 2008, pp. 52-59.

102 Nell’Italia nord-orientale del primo dopoguerra recuperare oggetti e materiale dai campi di

battaglia diventa un vero e proprio mestiere, quello dei recuperanti.

103 Landolt & Lesjean 2009, p. 154.

104 Landolt & Decker 2009; Landolt & Lesjean 2009. 105 Lobell 2002.

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(fig. 12), visibilmente sepolto di fretta, presentava una serie di oggetti personali abbastanza ben conservati che ci lasciano intuire parte della sua vita (per rendere l’idea della fortuna del ritrovamento basti dire che sono stati recuperati un taccuino con indirizzo e parte del nome del milite e un giornaletto religioso). Curioso è stato il ritrovamento di una medaglietta con una svastica sul retro della quale, però, era scritto il nome di una marca di birra: ricerche di archivio mostrarono che la Carlsberg – birra danese in questione – aveva come simbolo di buon augurio proprio la svastica, almeno fino agli anni ’20 quando fu abbandonato a causa del nascente partito nazista tedesco. Quale sarebbe stata l’interpretazione che noi – uomini del XXI secolo – avremmo dato di questo ritrovamento se per sfortunato caso la scritta della medaglietta non si fosse conservata?106

Il secondo esempio ci arriva invece da uno scavo archeologico mirato a studiare un tratto specifico di trincea nella zona della città di Serre, tratto vissuto in particolare dal poeta di guerra Wilfred Owen: i lavori portarono alla luce i resti di tre soldati identificati solo grazie a ciò che è rimasto dell’equipaggiamento. Non solo, l’occhio attento dell’archeologo ha avuto la fortuna di ritrovare su uno dei tre – dimostratosi poi uno dei due tedeschi – un particolare manufatto che l’uomo portava nel tascapane: una piccola selce preistorica. Cosa pensarne? Il soldato tedesco ritrovato ha avuto l’occhio di raccogliere un oggetto preistorico che pochi avrebbero notato, che si sia trattato di un archeologo come numerosi se ne trovavano al fronte?107

Concludendo, il compito dell’archeologia nei riguardi dei manufatti ritrovati su un sito di conflitto è quello di tradurre tutti i dati desumibili dallo studio di questi in dinamiche comportamentali108: partendo dai dati materiali cerca di ricostruire i comportamenti che hanno portato all’evidenza attualmente studiabile.

Resti umani

Un più vicino contatto con l’umanità coinvolta nella situazione di conflitto sotto esame avviene in occasione del ritrovamento di resti umani sul sito di conflitto. Più di ogni altra traccia, i resti umani ricordano allo studioso e al pubblico che non ci si sta occupando di fenomeni astratti e asettici, ma di un incontro/scontro di concrete e

106 Desfossés 2008, p. 62-63. 107 Price 2011, pp. 105-106. 108 Scott 1994, p. 5.

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quotidiane vite umane in molto simili alle nostre109; nella ricerca entrano in gioco quindi anche fattori e problematiche non trascurabili di tipo emotivo/etico, soprattutto per quello che riguarda i conflitti recenti che hanno provocato stermini e genocidi110. Molte legislazioni nazionali e qualche organizzazione internazionale111 provano a regolamentare i comportamenti per lo studio archeologico di resti umani legati a conflitti recenti (alle volte anche al fine di acquisire prove certe riguardo i criminali di guerra112): per esempio, sul fronte occidentale della Grande Guerra i resti umani rinvenuti, una volta studiati, vanno riconsegnati alla nazionalità di competenza che provvederà a seppellirli con i dovuti onori nei cimiteri militari113.

Le informazioni che possiamo ricavare dai resti umani sono molteplici, grazie anche all’ausilio di quelle discipline usate talvolta in ambito forense. Due le circostanze di reperimento: in contesto sepolcrale oppure fuori di questo.

Il primo caso, spesso non molto lontano dal luogo dello scontro, fornisce numerose informazioni circa i costumi funerari dei combattenti: si seppellisce vicino al sito di conflitto un po’ per praticità un po’ per il legame, quasi indissolubile, che si è creato tra gli uomini e il luogo della loro morte114; altre volte si seppellisce di fretta sfruttando crateri di granata o stesse trincee e non prestando alcuna cura nel rimuovere dai cadaveri manufatti riutilizzabili115; in circostanze più fortunate i cadaveri sono riconosciuti, addirittura ricomposti alla bene e meglio, e la sepoltura in fosse comuni è curata (un esempio, come si può notare in fig. 13, è la fossa comune denominata dei Grimsby Chums, nei dintorni di Arras)116. Oltre alla sepoltura direttamente molto vicino al luogo dello scontro e della morte, alcune situazioni hanno richiesto il recupero dei cadaveri (anche mediante disseppellimento) e il trasferimento in diversa località: per la guerra del ’14-’18, come pure per la successiva, ricordiamo i grandi cimiteri/memoriali sparsi per mezza Europa; i siti di

109 Price 2011, p. 106; Balbi 2011 (a), p. 220.

110 Ivi, p. 97 ; Steele 2008, p. 417;González-Ruibal 2007, p. 213.

111 La più importante ed attiva, soprattutto riguardo alle due guerre mondiali in ambito anglosassone, è

la Commonwealth War Grave Commission. Le Nazioni Unite, invece, puntano più a uno studio di fosse comuni al fine di individuare genocidi e stermini (Steele 2008). Segnalo anche la situazione in Spagna riguardo le fosse comuni dei crimini franchisti (González-Ruibal 2007, pp. 213-216; Renshaw 2010).

112

Steele 2008.

113 De Meyer & Pype 2009, pp. 374-376;

114 Così a Cheronea (338 a. C., Grecia) in cui il tumulo innalzato per i caduti macedoni sottolinea

l’intenzione di modificare il paesaggio in seguito allo scontro (Ma 2008).

115

Un po’ dovunque lungo il fronte occidentale sono presenti esempi di questo genere; qui ricordiamo la fossa comune di Gavrelle in Francia, Pas-de-Calais (Desfossés 2008, pp. 75-76).

116 Anche qui abbondano gli esempi: ricordiamo lo studio sulla fossa comune dei Grimsby Chums nei

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sepoltura primaria, pur alterati irreparabilmente, conservano spesso ancora utili informazioni117. La consuetudine – tipica inglese – di seppellire i caduti vicinissimi al luogo della loro morte (e ovviamente il reperimento e lo studio di questi da parte degli archeologi), ha permesso di ricostruire nei dintorni di Arras lo svolgimento dell’azione, in particolar modo le direttrici dell’attacco: si è così notato che le cose non andarono, in quel settore, esattamente come avevano previsto i generali118. Oltre ai costumi funerari, in casi particolarmente fortunati, si riescono a ricostruire alcuni particolari di vita dei morti, grazie allo studio dei manufatti sepolti con questi.

Il secondo caso di reperimento di resti umani è quello forse più affascinante, per quanto non poco macabro: in alcune “fortunate” circostanze i resti umani sono stati ritrovati fuori da un contesto funerario, trovati cioè lì dove sono stati uccisi. Un po’ come a Pompei, questi ritrovamenti sono una fotografia della morte degli individui senza che il costume funerario intervenisse ad alterarne la nostra percezione: ricordiamo il già citato caso del tunnel romano sotto le mura di Dura Europos (fig.3)119, ma soprattutto i ritrovamenti legati ai campi di battaglia della Grande Guerra. Per questo conflitto i resti umani sono riferibili ai numerosissimi dispersi in battaglia e non è infrequente che siano solo brandelli di corpi umani, segno evidente della violenza degli scontri120.

Indipendentemente dalla giacitura, i resti umani portano su di sé numerose informazioni: le analisi sulle ossa forniscono indicazioni circa sesso, età, stato di salute degli individui ricollegabili tutti allo stile di vita dei partecipanti al conflitto; inoltre sono leggibili i traumi e le ferite che hanno lasciato traccia sul tessuto osseo distinguibili in ante mortem, peri-mortali e mortali121. Dalle caratteristiche delle ferite si possono intuire le tipologie di armi che le hanno provocate come pure i comportamenti in battaglia sia dell’individuo che ha inferto la ferita (se era destrimane o meno, se era in una posizione più elevata – per esempio a cavallo) sia di

117 Segnalo lo studio su una fossa comune vuota della Grande Guerra, sempre in Francia (ivi, pp.

89-93).

118

Ivi, pp. 82-83.

119 Vedi p. 7.

120 de Meyer & Pype 2009, p. 375; Desfossés 2008, p. 70.

121 I traumi ante mortem sono traumi, anche gravi, che non hanno portato alla morte dell’individuo ma,

pur debilitandolo anche gravemente, presentano una ricrescita del tessuto osseo. Sono traumi peri mortali quelle ferite subite poco tempo prima della morte dell’individuo ma che non sono state la causa primaria e unica della morte del medesimo (il tessuto osseo presenta una ricrescita minima osservabile al microscopio, la ferita appare aperta e non cicatrizzata); la morte può giungere per un concorso di cause: numerose ferite non necessariamente gravi ma non curate possono portare l’individuo alla morte per setticemia. Per traumi mortali si intendono quei traumi che hanno sicuramente causato la morte dell’individuo (sono in parti vitali del corpo o a carattere decisamente distruttivo).

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quello che ha subito il colpo (ferite nella parte posteriore del corpo – alla nuca soprattutto – caratterizzano soldati in rotta; ferite agli avambracci sono segni di un tentativo di difesa)122. Il caso di ferite post-mortem è interessante: sono ferite inferte in genere dal vincitore sul vinto, già cadavere, legate ad ambiti culturali precisi o a fenomeni psicologici particolari dovuti a episodi di forte stress e violenza; l’esempio più noto è lo scalpo, tipico delle tribù dei nativi americani123.

Lo studio dei resti umani non è sempre risolutivo: ci sono numerose realtà che non lasciano tracce né nelle ossa, né nella loro giacitura. L’esempio lampante – oltre all’elementare fatto che se per caso l’arma è penetrata nella carne senza intaccare alcun osso, di questo episodio noi non abbiamo alcuna traccia – è l’uso di armi chimiche/batteriologiche che possono non creare danni ossei visibili. Altro aspetto sono le malattie della mente: le guerre, specialmente quelle più vicine al nostro tempo, sono causa di un’enorme quantità di ferite non solo fisiche ma anche nelle profondità dell’animo umano124. Queste non sono ricostruibili dai resti ossei; forse l’unica via per penetrare questo aspetto, terribile ma affascinante, è l’uso delle fonti documentarie e magari lo studio archeologico delle strutture adibite alla cura di queste malattie, gli ospedali psichiatrici per i reduci di guerra.

Resti animali

In merito ai reperti ossei è bene aggiungere alcune osservazioni: non è infrequente che gli scavi su siti di conflitto incontrino ossa animali. Grazie all’archeozoologia si riescono a ricavare numerose informazioni utili a comprendere la situazione sotto esame, ovvero il livello di coinvolgimento nel conflitto e il ruolo che ricoprivano in esso: a Teutoburgo, misti alle ossa umane, sono stati ritrovati alcuni resti di animali da soma (per lo più muli) e cavalli125; i resti di tre cavalli a Braine (Francia) parlano dell’inizio della Grande Guerra come una guerra non di posizione ma ancora di movimento rapido126. In una fossa di discarica in un tratto del fronte tedesco nei

122

Gli esempi sono abbondanti. Per la battaglia di Kamakura (Giappone, 1333) uno studio ha individuato più armi utilizzate oltre alla katana, unica citata dalle fonti (Karasulas 2004). L’esercito sconfitto a Visby (1361, Svezia) porta segni evidenti della rovinosa fuga.

123 A Little Bighorn molti resti dei soldati americani ne riportano traccia (Scott & Fox 1989, pp. 247;

263;265-271).

124 Leed 1985.

125 Wilbers-Rost 2009, pp. 127-128. 126 Desfossés 2008, pp. 77-79.

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pressi di Aspach e Carspach (Alsazia) sono stati rinvenuti numerosi resti di fauna di medio e piccolo taglio, alcuni con tracce di macellazione (fig.14): il loro studio ha permesso di gettare luce sulle abitudini alimentari dei soldati tedeschi e su alcuni animali che condividevano con questi la dura vita della trincea senza essere allevati a scopi alimentari127. Per quello che riguarda poi le inumazioni (ma non solo), risultano molto utili gli apporti dell’entomologia forense, ramo dedicato allo studio degli insetti sarcosaprofagi che forniscono interessanti dati circa il periodo e le condizioni del decesso128.

Conflict Archaeology e pubblico

L’interesse del pubblico

Una disciplina che non si curi del rapporto con un pubblico un po’ più vasto della semplice cerchia di addetti ai lavori è destinata a spegnersi ben presto, fosse anche solo perché lo stanziamento di fondi può dipendere anche da quanto il pubblico sia interessato ai risultati della disciplina in questione.

Bisogna riconoscere che nel pubblico esiste un certo interesse per gli studi sui siti di conflitto, o forse, più in generale, temi di ricerca come il conflitto hanno una buona presa. Restano più vividamente impressi nel pubblico quegli studi che hanno a che fare e che riportano resti materiali, concretezze direttamente dal passato, studi e pubblicazioni cioè che facciano “toccare” con i cinque sensi ciò che resta della storia e in particolare del conflitto129. L’archeologia, quale scienza dei resti materiali, diventa in questo caso potenzialmente molto interessante per il grande pubblico.

127

Landolt & Decker 2009, pp. 43-50.

128 Galassi 2011, pp. 254-256; un caso non in contesto funerario, ma ancora in fase di elaborazione è

citato da De Guio 2011, pp. 154-157.

129 È interessante notare che, come il conflitto sotto esame dell’archeologo è stato oggetto di

esperienza sensoriale da parte dei combattenti (Hanson 2001 e Leed 1985), così nuovamente i cinque sensi possono essere d’aiuto per far comprendere e comunicare i risultati degli studi: così fare comprendere la vita in trincea diventa molto più semplice e corretto facendo attraversare una trincea (Leed 1985, p.. 108-110).

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