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Academic year: 2021

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CAPITOLO 5

Caratteristiche chimico-fisiche,

microbiologiche e sensoriali di

formaggi vaccini a pasta semidura

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Parametri chimico-fisici

In uno studio del 1998, Buchin et al. si sono proposti di determinare l'influenza di alcuni fattori, tra cui il trattamento di pastorizzazione del latte, sul profilo biochimico e sensoriale di un formaggio a pasta semidura (Morbier).

Dai risultati è emerso che i formaggi a latte crudo, pur presentando un differente profilo microbico, non mostravano valori significativamente diversi a livello di composizione in acidi grassi e di proteolisi, come mostrato dai valori dell’azoto solubile in acqua e dell’azoto solubile in acido fosfotungstico. Nettamente differente è risultata invece la concentrazione di vari composti volatili, determinata in gas cromatografia accoppiata a spettrometria di massa. In linea generale i formaggi a latte crudo presentavano più elevate quantità di alcooli, acidi e composti contenenti zolfo e minori quantità di aldeidi e chetoni, a parte il 2-butanone.

In un altro studio Giaccone et al. (2016) hanno valutato l'effetto della termizzazione del latte (63- 65°C per 15 secondi) e del sistema di produzione (estensivo/intensivo, in inverno e in estate) sul profilo sensoriale e sulla composizione in acidi grassi di un formaggio tradizionale in condizioni di produzione reale.

Il formaggio valutato è stato il Raschera DOP, che viene prodotto nel nord-ovest dell’Italia, i campioni di formaggio sono stati raccolti in estate e in inverno da aziende lattiero-casearie che utilizzano latte crudo o termizzato, prodotto da allevamenti intensivi, o da latte crudo proveniente da allevamenti estensivi.

Il Raschera DOP è un formaggio a pasta pressata, prodotto tradizionalmente con latte vaccino crudo intero nel territorio della provincia di Cuneo. Il territorio è altamente eterogeneo, di conseguenza i sistemi di allevamento variano notevolmente, e vanno dai sistemi intensivi, con ampio utilizzo di insilato di mais, nella zona di pianura del Po, ai vasti allevamenti in cui le mandrie pascolano sui pascoli montani delle Alpi durante l'estate. Il numero limitato di impianti caseari di produzione del Raschera ha permesso agli autori di campionare il formaggio da quasi tutti i produttori, e di stabilire le variazioni nelle condizioni di produzione di quasi tutto il formaggio prodotto.

L'alimentazione al pascolo è conosciuta per portare ad un aumento dei sapori e degli odori di foraggio ed erba, ma anche per dare generalmente al formaggio un colore più giallo, rispetto al formaggio prodotto con latte derivato da animali alimentati con foraggi conservati e concentrati (Coppa et al., 2011; Bonanno et al., 2013; Esposito et al., 2014).

Il formaggio che deriva da un'alimentazione a erba fresca è anche più ricco in acidi grassi Omega 3, acido linoleico coniugato (CLA) e acidi grassi polinsaturi (PUFA), e più povero di acidi grassi saturi (SFA) e Omega 6 (Revello-Chion et al., 2010; Hurtaud et al., 2014; Coppa et al., 2015), con conseguenti implicazioni per la salute umana e sulle proprietà sensoriali (Givens, 2010;

Farruggia et al., 2014).

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Sulla base dei risultati di Giaccone et al. (2016) è stato ottenuto un profilo in acidi grassi distintivo nei formaggi prodotti con il latte crudo di animali allevati in allevamento estensivo nel periodo estivo: essi hanno in particolare mostrato un quadro compositivo più favorevole per la salute umana rispetto agli altri. Il sistema di alimentazione ha avuto quindi un'influenza significativa sul profilo degli acidi grassi del formaggio estivo. Il formaggio da allevamento estensivo ha mostrato la tipica composizione in acidi grassi del latte ottenuto da diete a base di fieno e pascolo, con alte concentrazioni di CLA cis9trans11, C18:1trans11, C18:3n-3, PUFA, OCFA e BCFA, e basse concentrazioni di SFA e C18:2n-6, come riportato anche da Dewhurst et al. (2006) e Shingfield et al. (2013). Nel sistema di allevamento intensivo, la mancanza di erba fresca nella dieta degli animali ha fatto sì che il profilo in acidi grassi delle produzioni estive fosse simile a quello delle produzioni invernali (Borreani et al., 2013). In queste produzioni anche il ricorso a latte crudo o pastorizzato non ha determinato differenze significative. Infine,in generale, in inverno il sistema di allevamento non ha influenzato significativamente la composizione in acidi grassi del formaggio. Questo è in linea con quanto rilevato da altri autori, come Ferlay et al. (2008), che hanno trovato solo minime differenze tra sistemi di alimentazione a diete miste con insilato di mais, foraggi insilati e fieno il analizzando il latte di massa.

D'altra parte, alcuni autori (Ferlay et al., 2006; Hurtaud et al., 2009; Coppa et al., 2015) hanno riportato differenze significative tra i sistemi di alimentazione invernale per quasi tutti gli acidi grassi. In particolare, in studi controllati, elevate percentuali di insilato di mais e concentrati sono state associate con alte concentrazioni di C18:2n-6, e acidi grassi saturi nel latte, e con basse concentrazioni di BCFA, C18:3n-3 e CLA cis9trans11, rispetto a diete d'erba (Ferlay et al., 2006;

Vlaeminck et al., 2006; Hurtaud et al., 2009).

La somiglianza dei profili degli acidi grassi durante l'inverno nel lavoro di Giaccone et al. (2016) potrebbe essere attribuibile all'uso di insilati di mais nelle diete degli allevamenti estensivi.

Inoltre, entrambi i sistemi di allevamento sono comunemente integrati con un'alta percentuale di concentrati, che probabilmente ha ridotto le differenze tra i due sistemi.

Anche l’utilizzo di fieno di bassa qualità (tagliato in ritardo, a volte seccato sul campo durante i giorni di pioggia), può ridurre le differenze di composizione degli acidi grassi tra il formaggio invernale intensivo ed estensivo (Ferlay et al., 2006; Coppa et al., 2015). Il fieno di bassa qualità è spesso usato in sistemi estensivi per alimentare le razze a duplice attitudine con basse esigenze di alimentazione, mentre la sua qualità è appena sufficiente per vacche da latte ad alta produzione.

Il lavoro di Giaccone et al. (2016) ha anche dimostrato una correlazione significativa tra la

concentrazione di alcuni acidi grassi nel formaggio e l'intensità dei descrittori sensoriali. Alcuni

autori (Cornu et al., 2009; Coppa et al., 2011) hanno ipotizzato che i composti volatili

organoletticamente attivi possono derivare dall'ossidazione degli acidi grassi, in particolare dai

PUFA. I PUFA sono presenti in concentrazioni più elevate in prodotti lattiero-caseari derivati dal

pascolo, rispetto a quelli da foraggi e concentrati (Shingfield et al., 2013; Coppa et al., 2015), e

hanno una minore stabilità verso l'ossidazione rispetto agli acidi grassi saturi (Kirstensen et al.,

2004). L'ossidazione dei PUFA in alcoli, esteri, aldeidi e chetoni può dare ai prodotti lattiero-

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caseari aromi intensi di insilato, verde, erba, pungente, acido, bruciato, amaro, affumicato e note tostate (Moio et al., 1993; Bendall, 2001; Mounchili et al., 2005).

Le correlazioni significative che sono state trovate nel presente studio tra i principali acidi grassi e i descrittori dell'analisi sensoriale potrebbero contribuire a rafforzare l'ipotesi dell'origine di una parte degli odori attivi dall'ossidazione degli acidi grassi, e in particolare dai PUFA, in quanto questi acidi grassi evidenziano i più elevati coefficienti di correlazione con i descrittori sensoriali di note forti. Anche se questo studio non consente l'identificazione di un'origine diretta, la significatività delle correlazioni rafforza l'ipotesi di un possibile contributo di una parte degli acidi grassi al profilo sensoriale del formaggio, come riportato in precedenza per il latte (Moio et al., 1993; Bendall, 2001).

In generale, la concentrazione in acidi grassi risulta collegata alla composizione della dieta della vacca e quindi in grado di autenticare un determinato sistema agricolo (Coppa et al., 2013;

2015). Riguardo a ciò, Coppa et al. (2013) hanno sviluppato equazioni predittive per la dieta: ad esempio la concentrazione nel latte di C18:2n-6 è stata correlata positivamente con proporzioni di granturco insilato e concentrati nella dieta delle vacche, e il rapporto n-6/n-3 è stato correlato negativamente con la percentuale di erba fresca nella loro dieta. Di conseguenza, assumendo gli acidi grassi come indicatori di composizione della dieta della vacca, la significativa correlazione trovata tra la composizione degli acidi grassi e i descrittori sensoriali in questo studio, suggerisce una relazione indiretta tra le proporzioni dei vari alimenti nella dieta mucca degli animali e il profilo sensoriale del formaggio.

Parametri microbiologici

E’ noto che le microflore, in particolare lattiche, presenti in un formaggio hanno un ruolo fondamentale nel determinarne le caratteristiche organolettiche attraverso le loro numerose e differenziate attività enzimatiche. Tali microflore possono derivare dal latte e dall’ambiente di produzione, oltre che dall’utilizzo di starter, siano essi naturali (lattoinnesti, sieroinnesti) o commerciali. Ovviamente il trattamento termico della materia prima, sia esso un vero e proprio trattamento di pastorizzazione o un più blando intervento di termizzazione, condurrà inevitabilmente ad un impoverimento della componente lattica autoctona (Grappin e Beuvier, 1998). Analogamente, l’utilizzo di starter selezionati condurrà ad un’interferenza nei confronti della biodiversità di partenza, con un suo più o meno parziale depauperamento (Steele e Unlu, 1992; Wouters et al., 2002). Di questo andrà tenuto conto nei diversi contesti, anche se non avrà necessariamente come effetto quello di ottenere prodotti di scarso pregio. Infatti, il ricorso a una materia prima di pregio, anche in relazione a particolari contesti ambientali, e ad una tecnologia produttiva attenta e mirata al rispetto dei metodi tradizionali, come nel caso del formaggio oggetto di questa tesi, può sicuramente condurre alla produzione di formaggi di elevata qualità.

Dopo questa necessaria premessa, si prenderanno di seguito in considerazione i lavori presenti in

letteratura a proposito di formaggi vaccini del nord Italia o francesi a pasta semicotta, di

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produzioni a latte crudo, che serviranno comunque da riferimento relativamente alle microflore lattiche prevalenti ed alle loro dinamiche evolutive.

Con particolare riferimento alla particolare ricchezza in biodiversità di questi formaggi quando prodotti a latte crudo e senza starter, in uno studio del 2015 sulla microflora di formaggi a latte vaccino della tipologia “Nostrano”, prodotti in provincia di Trento, Franciosi et al. hanno preso in considerazione 1.059 isolati di batteri lattici costituenti la normale microflora di questi prodotti, che sono stati successivamente raggruppati in 583 cluster utilizzando una RAPD-PCR.

Le specie più frequentemente isolate sono state Lactobacillus paracasei, Streptococcus thermophilus e Leuconostoc mesenteroides. Gli isolati provenivano sia da formaggi ottenuti da latte prodotto da animali in stabulazione fissa (periodo da ottobre a maggio) che prodotti con latte d’alpeggio (periodo da giugno a settembre). Per quanto riguarda l’andamento delle cariche delle diverse categorie di batteri lattici, i cocchi termofili hanno raggiunto i più alti conteggi dopo 24 ore dalla produzione (valori medi di 8,5 log ufc/g), i cocchi mesofili hanno raggiunto i più alti conteggi dopo 2 mesi di maturazione (valori medi di 8,1 log ufc/g), mentre gli enterococchi non sono stati mai dominanti e hanno raggiunto il più alto numero dopo 15 giorni di maturazione (valori medi di 6,2 log ufc/g). I lattobacilli (conta su MRS a 45 e 30°C) hanno raggiunto il loro massimo livello dopo 1 mese di maturazione. La dinamica di crescita dei diversi gruppi microbici è stata diversa, la conta dei cocchi termofili (su M17 a 45°C) è risultata dominante nelle prime 24 ore; dopo 15 giorni hanno cominciato a prevalere i lattobacilli mesofili, che hanno mantenuto il loro predominio fino al termine della maturazione (6 e 8 mesi), insieme ai cocchi mesofili eterofermentanti (Leuconostoc).

A 6 e 8 mesi, Lb. paracasei era la specie dominante, seguita da St. thermophilus e Ln.

mesenteroides. Una diversa specie dominante a diversa epoca di sviluppo è stata osservata nei formaggi a diversa maturazione: St. thermophilus era sempre dominante nelle prime 24 ore e una delle specie codominanti fino a 2 mesi di maturazione; Lc. lactis è risultato codominante nel formaggio a 24 ore di maturazione con St. thermophilus.

Streptococchi ed enterococchi sono stati registrati in abbondanza nei primi tre mesi ma sono largamente diminuiti dopo sei mesi e al termine della maturazione. Dallo studio non si sono evidenziate differenze nella distribuzione delle specie tra i formaggi campionati nel mese di febbraio e luglio, le stesse specie sono state registrate sia nella stagione fredda che nella stagione estiva.

Come si trova comunemente in molti formaggi a latte crudo, la composizione dei microorganismi ha visto prevalere i Lb. paracasei come la specie più abbondante (31,9% degli isolati), seguita da St. thermophilus e Ln. mesenteroides (18,1% e 16,3%, rispettivamente).

Queste specie sono state tra i microorganismi dominanti in tutte le fasi di produzione; in

particolare, come già detto, St. thermophilus ha dominato dopo 24 ore fino a 2 mesi di

maturazione, mentre Lb. paracasei e Ln. mesenteroides hanno raggiunto i loro livelli più elevati

nel formaggio dopo 15 giorni e sono rimasti su livelli elevati fino a 3 mesi di stagionatura con un

andamento simile tra loro. Dopodiché hanno iniziato a diminuire dopo i 6 mesi di maturazione,

probabilmente come risultato dell'autolisi microbica.

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Tutte le specie identificate sono molto comuni nell'ambiente lattiero-caseario, con l'eccezione di Lb. acidipiscis, che è una specie già descritta da Tanasupawat et al. (2000) e isolata dal pesce fermentato oltre che, più recentemente, da formaggi tradizionali greci.

Le specie più rappresentate nei diversi caseifici (Lb. paracasei, Lb. rhamnosus, e Ln.

mesenteroides)rappresentano verosimilmente una parte della flora microbica endemica, non necessariamente proveniente dal latte, ma più probabilmente frutto della selezione della pratica casearia, della maturazione, e del microclima locale, caratterizzato da condizioni ambientali specifiche per le Alpi Trentine. Questi aspetti suggeriscono che ciascun impianto di produzione può anche essere caratterizzato da una popolazione microbica peculiare.

Buchin et al. (1998), nel già citato studio su alcuni formaggi a pasta semidura francesi, mirato a stabilire se ci fossero differenze sensoriali tra formaggi prodotti a latte crudo o con latte pastorizzato, hanno evidenziato come tutti i gruppi di microrganismi autoctoni siano stati drasticamente ridotti dalla pastorizzazione del latte, come dimostrato dalla conta effettuata dopo 20 ore dal trattamento termico. Al termine della maturazione, i coliformi, i lattobacilli eterofermentanti facoltativi e gli enterococchi sono rimasti molto più bassi nei formaggi a latte pastorizzato rispetto ai formaggi a latte crudo, mentre le Micrococcaceae hanno raggiunto lo stesso livello nei due tipi di formaggi.

Dai risultati è emersa, in parallelo alla diversa presenza di microflore autoctone, una differenza nell’equilibrio dei composti volatili tra i formaggi a base di latte pastorizzato e crudo per cui in ultima analisi il trattamento termico ha influenzato il sapore dei formaggi.

Marino et al. nel 2003 hanno effettuato una caratterizzazione microbiologica del formaggio Montasio DOP, un formaggio vaccino a pasta semidura prodotto nel nord-est italiano e maturato almeno 6 mesi. La produzione presa in considerazione era a latte termizzato (62°C per 15 secondi) con utilizzo di lattoinnesto naturale termofilo. In linea con lo starter utilizzato, St.

termophilus è risultata la specie predominante, anche se ha presentato un decremento tra 30 e 60 giorni di maturazione. Nel formaggio di 2 mesi, le cariche prevalenti erano rappresentate da cocchi e lattobacilli mesofili. Questi ultimi, in particolare, sono i più resistenti nei confronti di un ambiente reso ostile dal progredire della maturazione, con basso pH, elevato contenuto di sale, scarsità di carboidrati e tendenzialmente anaerobio. Essi resistono in parte ai trattamenti subiti dalla materia prima o rappresentano in parte dei contaminanti post-trattamento.

Ad esito dell’intervento di termizzazione sul latte, coliformi e stafilococchi coagulasi-positivi presentavano cariche quasi nulle, ed anche enterococchi e lieviti risultavano abbastanza contenuti.

Dolci et al. (2008) hanno focalizzato la loro attenzione sulle microflore lattiche indigene di un

altro formaggio a pasta semidura, il Raschera DOP, prodotto in Piemonte, prendendo in

considerazione in particolare formaggi prodotti a latte crudo in assenza di starter. In questo modo

le microflore lattiche naturali hanno potuto estrinsecare tutto il loro potenziale raggiungendo

cariche molto elevate, dell’ordine di 10

9

ufc/gin formaggi esaminati a tre giorni dalla salatura e a

15 giorni dalla produzione. Grazie all’uso del latte crudo, anche microflore accessorie, come

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notevoli (oltre 10

7

ufc/g per i lieviti, intorno a 10

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ufc/g per gli altri). Lactococcus lactis subsp.

lactis è risultata la specie più rappresentata, accompagnata da Lactobacillus paracasei nei formaggi maturati più a lungo (70 giorni).

Facendo riferimento in particolare all’areale di produzione del formaggio preso in esame in questa tesi, esistono due formaggi DOP prodotti in Valtellina, il Valtellina Casera e il Bitto. Il primo è un formaggio semigrasso di latteria, prodotto a fondo valle tutto l’anno e maturato per almeno 70 giorni. Morandi et al. nel 2004 ne hanno studiato la tecnologia di produzione e le caratteristiche microbiologiche, prendendo in considerazione 13 aziende della provincia di Sondrio, mettendo in evidenza la presenza di una ricca microflora lattica. In uno studio del 2011, pubblicato nei Quaderni della Ricerca della regione Lombardia ed avente come responsabile scientifico Milena Brasca (Brasca, 2011), è stata effettuata una caratterizzazione quanti- qualitativa di tali microflore lattiche in produzioni sperimentali effettuate a latte crudo e senza starter allo scopo di isolare ceppi da inserire in miscele starter autoctone. I vari raggruppamenti di cocchi e lattobacilli mesofili e termofili hanno raggiunto a 70 giorni dalla produzione valori di circa 10

7

ufc/g, con i picchi massimi raggiunti dai cocchi mesofili. Anche gli enterococchi si sono rivelati importanti,aumentando di circa tre cicli logaritmici da cagliata a formaggio maturo.

Il Bitto si differenzia dal Valtellina Casera per essere un formaggio tipicamente d’alpeggio. E’un formaggio grasso, a pasta cotta tra 48 e 52°C, semidura-dura. La stagionatura ha una durata minima di 70 giorni ma può essere protratta anche per anni senza compromettere le caratteristiche organolettiche e strutturali. Sempre nello studio sopra citato del 2011 è stata anche effettuata una caratterizzazione del Bitto prodotto senza starter e sono stati selezionati ceppi da usare come starter autoctoni. Le cariche lattiche dei formaggi hanno ottenuto per i vari raggruppamenti valori tra 10

7

e 10

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ufc/g, nel formaggio a 70 giorni, con prevalenza dei lattobacilli mesofili (8,02 log ufc/g), che sono risultati appartenere alle specie Lb. paracasei, Lb.

fermentum, Lb. casei, Lb. brevis, Lb. delbrueckii subsp. bulgaricus.

Parametri sensoriali

La qualità sensoriale dei formaggi stagionati è determinata dall’insieme dei parametri tecnologici, dalle microflore presenti e dalle caratteristiche iniziali della materia prima.

L'influenza della microflora autoctona del latte sulle proprietà sensoriali dei formaggi a latte

crudo rispetto a quelle di formaggi a base di latte pastorizzato o microfiltrato è stata recensita da

Grappin e Beuvier (1997), che hanno analizzato in generale gli effetti determinati dalla

pastorizzazione e dalla microfiltrazione del latte sul processo produttivo e sulla qualità sensoriale

dei formaggi stagionati. Ricerche specifiche hanno evidenziato come formaggi a pasta dura e

semi-dura a base di latte crudo abbiano un sapore più intenso e comunque diverso rispetto a

formaggi qualitativamente analoghi a base di latte pastorizzato o microfiltrato (Buchin et al.,

1998).In particolare gli stessi autori, nel corso di una ricerca già citata a proposito del profilo

compositivo, incentrata su formaggi vaccini a pasta semidura francesi, hanno valutato le

differenze sensoriali presenti tra formaggi prodotti con latte crudo o con latte pastorizzato;

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prendendo in considerazione l'odore (valutazione da parte del naso, per annusamento), l'aroma (valutazione da parte del naso con l'introduzione in bocca), e il gusto.

Dai risultati è emerso che la pastorizzazione ha influenzato alcune caratteristiche di odore e aroma: i formaggi a latte crudo in generale differivano sia per intensità aromatica che per qualità del profilo sensoriale ed in particolare avevano punteggi più elevati per aroma di crosta, speziato, animale, latte acido, aglio, chimico, rancido, amaro e pungente e minori punteggi per latte e frutta. Queste differenze probabilmente sono causate principalmente dalla riduzione della microflora indigena nel latte pastorizzato.

Nel già riportato studio di Giaccone et al. (2016), sono stati valutati, come già detto, l'effetto della termizzazione del latte e del sistema di produzione sul profilo sensoriale e sulla composizione degli acidi grassi del Raschera DOP.

Analizzando il profilo sensoriale dei formaggi a latte crudo, provenienti da sistema di allevamento estensivo ed intensivo, quelli di provenienza estensiva prodotti in estate differivano dagli altri per 8 attributi di odore, 7 di aroma ed uno di gusto. Questi formaggi presentavano i più bassi valori di odore di crema di latte e odore ed aroma di burro, a fronte dei più alti valori di odore ed aroma di tostato, insilato, fieno, verdura bollita e affumicato, così come il più alto valore di aroma di nocciola ed erano i più amari. Gli odori di aglio e burro, e il forte sapore di tostato, insilato, fieno e verdure bollite hanno mostrato una correlazione significativa con i principali acidi grassi: C18:1trans11, C18:2n-6, C18:3n-3, CLA cis9trans11, acidi grassi a catena ramificata (BCFA), e rapporto tra C18:2n-6e C18:3n-3, e si sono riscontrati maggiormente nei formaggi prodotti in allevamento estensivo nel periodo estivo.

Nei formaggi prodotti in inverno sia a latte crudo che termizzato, provenienti da entrambi i sistemi di allevamento (intensivo ed estensivo), presi in esame, gli aromi e gli odori di affumicato, nocciola e erba odori sono risultati sotto la soglia di percezione.

Questo potrebbe essere attribuibile all'utilizzo di insilato di mais e concentrati anche in diete invernali. D'altra parte, il formaggio estivo proveniente dalle aziende estensive è stato caratterizzato da maggiori intensità dei descrittori sensoriali di sapori e odori forti, come tostato, fieno, aglio e descrittori di insilato. Questo potrebbe essere dovuto all'effetto dell'erba fresca nella dieta delle vacche, che è noto per aumentare i punteggi delle note floreali e vegetali, e di diminuire le note di burro e panna (Carpino et al., 2004).

Inoltre, molti altri studi (Agabriel et al., 2004; Coppa et al., 2011; Esposito et al., 2014) hanno

dimostrato che il formaggio estivo proveniente da animali al pascolo aveva note più forti di

quello prodotto in inverno o da vacche alimentate a fieno o insilati. Il profilo sensoriale tipico dei

prodotti caseari estivi da allevamenti estensivi, in base all'utilizzo dei pascoli, è anche stato

correlato, da diversi autori, con l'abbondanza di altri composti di odore attivi, come indoli

(responsabili delle note di animale e fieno), composti di zolfo e toluene (bruciato, affumicato e

note tostate) o terpenoidi (note di verde e di erba) (Moio et al., 1993; Bendall, 2001; Mounchili

et al., 2005).

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