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QUARTIERE 
 SPINE 
 BIANCHE, 
 MATERA 
 (1955 
 – 
 1959): 
 NOTE 
 PER 
 UNA 
 LETTURA 
 CRITICA

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 SPINE 
 BIANCHE, 
 MATERA 
 (1955 
 – 
 1959): 
 NOTE 
 PER 
 UNA 
 LETTURA 
 CRITICA"

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(1)

QUARTIERE 
SPINE 
BIANCHE,
 MATERA 
 (1955
 – 
1959):
 NOTE
 PER 
UNA 
LETTURA 
 CRITICA

Mario
Losasso

Il
quartiere
Spine
Bianche
fu
progettato
e
realizzato
negli
anni
immediatamente 
 successivi 
 allo 
 sgombero 
 degli 
 antichi 
 rioni 
 dei 
 Sassi, 
 quando 
 Matera 
 divenne 
 un’autentica 
 città‐laboratorio 
 con 
 la 
 legge 
 speciale 
 “De 
 Gasperi” 
 del 
 1953, 
 che 
 prevedeva
la
realizzazione
di
sette
tra
borghi
e
quartieri
per
dare
abitazioni
e
servizi 
 ai
residenti
dei
malsani
rioni
Sassi.
A
tal
fine
venne
istituita
una
Commissione
di 
 studio
promossa
dall'Unrra‐Casas,
che
era
stata
istituita
da
Adriano
Olivetti,
con
la 
 presenza 
 del 
 sociologo 
 Frederick 
 Friedmann 
 ed 
 altri 
 consulenti 
 in 
 urbanistica, 
 paleoetnologia, 
 sociologia. 
 La 
 richiesta 
 dei 
 bandi 
 di 
 concorso 
 prevedeva 
 una 
 progettazione
urbana
innovativa,
con
ampie
dotazioni
di
spazi
pubblici,
di
servizi
e 
 attrezzature,
senza
tuttavia
determinare
una
cesura
con

i
modelli
di
vita
sociale
dei 
 Sassi.


Il
quartiere
Spine
Bianche
è
un'opera
di
grande
importanza
nel
passaggio
decisivo
da 
 un
neorealismo
di
tipo
organico,
come
nel
caso
del
quartiere
la
Martella
di
Ludovico 
 Quaroni,
verso
una
tendenza
più
aperta
ma
guidata
da
una
posizione 
razionale 
 aperta
e
spinta
verso
lo
standard
senza
rinnegare
il
rapporto
con
la
storia
e
la 
 tradizione. 
 Per 
 Manfredo 
 Tafuri 
 il 
 quartiere 
 rappresenta 
 un 
 tentativo 
 di 
 razionalizzazione
degli
etimi
populisti

1

.

Secondo
Gregotti,
con
Spine
Bianche
si
attua
 un
dialogo
tra
la
tradizione
del
razionalismo
milanese
e
la
ricerca,
propria
della 
 generazione
di
Aymonino,
di
un
realismo
critico
capace
di
affrontare,
sul
concreto 
 del
contesto
italiano,
le
migliori
tradizioni
del
progetto
moderno.
Il
progetto
esprime 
 il
passaggio
verso
la
modificazione
significativa,
come
consapevolezza
di
essere
nella 
 storia
senza
dipendervi.

Nel 
 secondo 
 dopoguerra 
 si 
 sviluppa 
 il 
 complesso 
 fenomeno 
 del 
 neorealismo, 
 relazionato
alla
scoperta
dell’architettura
spontanea
delle
varie
regioni
italiane.
Il 
 fenomeno 
 è 
 tuttavia 
 articolato 
 perché, 
 come 
 afferma 
 Aldo 
 Rossi, 
 nelle 
 varie 
 esperienze
progettuali
di
quartieri
e
residenze
“non
esiste
similarità
di
realizzazione 
 ma
affinità
concettuale
di
impostazione”.
Verso
la
metà
degli
anni
’50
si
sviluppa 
 inoltre
una
critica
ai
quartieri
della
“prima
generazione”,
fra
cui
il
Tiburtino
(Quaroni 
 e
Ridolfi)
per
l’articolazione
sinuosa
e
irregolare
dei
corpi
di
fabbrica
riferibile
alle 
 borgate,
che
restituisce
un
carattere
“grossolanamente
paesano”.

A
partire
da
tali
critiche
si
sviluppano
nuovi
tentativi
di
composizione
spaziale
ed 
 urbanistica.
In
particolare
alcune
esperienze
si
misurano
con
il
tema
dell’abitazione
a 
 corte
sviluppando
due
linee
di
ricerca
sul
progetto
urbano:

‐ la
prima,
basata
sull’idea
di
corte
e
sulla
ricostituzione
di
una
unità
di
vicinato 


analoga
a
quella
delle
comunità
agricole
e
degli
abitati
storici;

(2)

‐ la
seconda,
riferita
alla
possibilità
di
ricreare,
anziché
una
unità
statica
di
corte, 
 una
unità
dinamica
attraverso
il
tentativo
di
rifusione
fra
elementi
viari
e
corpi 
 edilizi,
recuperando
il
tema
della
strada
tradizionale
che
si
relazione
con
le 
 abitazioni.

Abbandonata
così
l’idea
di
corte
statica,
in
Italia
nella
seconda
metà
degli
anni
’50 
 sulla 
 articolazione 
 del 
 concetto 
 di 
 strada 
 si 
 sono 
 basati 
 molti 
 quartieri, 
 fra 
 cui 
 Soccavo
Canzanella
a
Napoli
(M.
Fiorentino)
e
Spine
Bianche
a
Matera
(C.
Aymonino 
 e
altri).
Si
cercano
di
definire
nuovi
ruoli
dei
quartieri
all’interno
dei
tessuti
urbani: 


trasformare
i
punti
di
rottura
e
di
lacerazione
in
punti
di
sutura.

2

Per
il
bando
di
concorso
per
Spine
Bianche
il
progetto
vincitore
è
del
gruppo
di
C. 


Aymonino, 
 C. 
 Chiarini, 
 M. 
 Girelli, 
 S. 
 Lenci, 
 M. 
 Ottolenghi. 
 Successivamente, 
 il 
 Ministero
dei
LL.
PP.
avviò
una
collaborazione
fra
i
gruppi
premiati:
Fiorentino
e 
 Selem,
Gorio
e
Valori,
De
Carlo
e
Baldassarre,
Sangiraldi.

Alcuni
criteri
erano
individuati
nella
necessità
di
mettere
in
relazione
parti
semplici, 
 secondo 
 un 
 principio 
 che 
 è 
 individuabile 
 sia 
 nelle 
 architetture 
 del 
 Movimento 
 Moderno,
sia
nelle
architetture
spontanee
regionali.
Altro
elemento
è
individuabile 
 nella
unificazione
degli
elementi
costruttivi
e
nella
possibilità
di
ritmo
regolato
dei 
 fronti
e
una
espressione
architettonica
coerente
con
l’ambiente
locale
ma
riferita, 
 contro 
 ogni 
 formalismo 
 tecnicistico 
 o 
 folcloristico, 
 allo 
 spirito 
 della 
 società 
 contemporanea. 
 Il 
 senso 
 di 
 responsabilità 
 induceva, 
 infine, 
 a 
 conferire 
 una 
 vita 
 sociale 
 attiva 
 e 
 disposizioni 
 planimetriche, 
 sistemi 
 costruttivi, 
 materiali, 
 dettagli 
 costruttivi
e
finiture
che
contemplassero
massima
economia,
durabilità,
affidabilità, 
 sviluppo
armonico

Nel
progetto
vincitore,
vi
fu
la
scelta
programmatica
iniziale
di
far
continuare
le 
 esperienze
di
organizzazione
della
comunità
materana
dei
Sassi,
con
la
ricerca
di
far 
 sopravvivere
usanze
tipiche,
organizzazione
e
valori
sociali,
rispetto
ai
quali
magari 
 modellare
il
costruito.
A
una
prima
ipotesi
di
organizzare
il
costruito
in
corti
chiuse, 
 dove
potesse
svolgersi
la
vita
in
maniera
riservata
e
in
rapporto
alla
strada
corridoio 
 tipica
dei
paesi
meridionali,
con
tipi
edilizi
duplex
ispirati
al
“lammione”
materano,
si 
 optò
verso
una
visione
più
ottimistica,
con
la
fiducia
nella
inevitabile
evoluzione
del 
 modo
di
vivere,
con
prospezione
futura
legata
alla
meccanizzazione
domestica,
alla 
 circolazione
dei
veicoli,
dell’assistenza,
dell’istruzione.
Nella
proposta
architettonica 
 che 
 conteneva 
 un 
 modello 
 di 
 emancipazione 
 sociale 
 “a 
 tutto 
 tondo”, 
 la 
 prima 
 versione
del
progetto
del
gruppo
Aymonino
individuava
uno
spazio
verde
collettivo, 
 sentieri
 pedonali, 
 corti 
 residenziali. 
 Ogni 
 edificio 
 era 
 al
 centro 
 di 
 un 
 sistema
 di 
 circolazione
e
di
distribuzione
dello
spazio
e
definiva
un
rapporto
graduale
con
la 
 città
nel
passaggio
dalle
case
a
3
piani
fino
a
quelle
più
alte.
In
questo
le
scelte
erano 
 significativamente
aperte
al
dibattito
internazionale
in
cui
l’edificazione
non
era
più 
 contrapposta,
come
borgo,
alla
città
ma
tendeva
a
riproporsi
in
relazione
alla
città
e 
 come
parte
della
dialettica
urbana,
con
attenzione
alle
proporzioni
e
ai
rapporti
con 
 gli
spazi
aperti
e
ai
rapporti
fra
edifici
bassi
ed
edifici
più
alti.


2

(3)

Nella 
 revisione 
 del 
 progetto 
 1° 
 classificato, 
 l’edilizia 
 è 
 stata 
 approfondita 
 negli 


“aspetti
tecnologici,
ambientali
e
distributivi”,
come
ricorda
Sergio
Lenci
nel
numero 
 di 
 Casabella 
 Continuità 
 n. 
 231. 
 Fu 
 attuata 
 una 
 tipizzazione 
 degli 
 elementi 
 della 
 costruzione 
 che 
 determinò 
 una 
 facilitazione 
 costruttiva, 
 finiture 
 durevoli 
 (tamponature 
 mattoni 
 a
 faccia 
 vista),
 manutenzione 
 minima
 per 
 case 
 che 
 tutto 
 sommato
erano
ultrapopolari,
con
il
costo
di
“sole”
375.000
£
a
vano.
La
scelta
fu 
 ancora
più
radicale
nella
proposizione
del
“cambio
dello
stile
di
abitare:
alla
perdita 
 della
intimità
del
piccolo
vicinato,
corrisponde
una
nuova
libertà
di
contatti
su
di
un 
 piano
che
è
ella
scelta
delle
relazioni
umane
fatte
sulla
base
delle
affinità
che
i
luoghi 
 di
incontro
collettivi
(posti
di
lavoro,
attività
politiche,
ricreative,
culturali)
faranno 
 nascere
fra
gli
individui”.

3

I 
 concetti 
 guida, 
 fondamentali 
 per 
 la 
 progettazione 
 del 
 quartiere, 
 lasciano 
 la 
 sensazione
di
un’epoca
in
cui
gli
architetti
erano
intellettuali
e
tecnici,
operavano 
 per
una
trasformazione
della
società
e
il
loro
apporto
era
ascoltato
e
richiesto.
Si 
 nota
una
formidabile
tensione
culturale
e
sociale
nella
proposizione
delle
soluzioni 
 insediative.

Il
quartiere
fu
soprannominato
dai

materani
“Bottiglione”
(dal
nome
di
un'impresa 
 costruttrice),
il
quartiere
fu
costruito
interamente
in
cotto,
con
linee
esterne
molto 
 semplici.
Al
centro
sorge
la
parrocchia
di
San
Pio
X,
i
servizi
e
alcune
scuole.
Furono 
 realizzati
687
alloggi
per
3.500
abitanti,
con
una
densità
di
230
ab/ha,
24
negozi
sulla 
 strada
principale
e
24
botteghe
sulla
spina
centrale;
scuola,
chiesa,
centro
sociale, 
 ufficio
 comunale. 
 Spazio 
 verde 
 pubblico 
 è 
 stato 
 concepito 
 per 
 ospitare 
 possibili 
 futuri
asili
nido.

La
costruzione
si
basa
su
elementi
semplici
e
durevoli:
struttura
in
c.a.
con
la
luce
dei 
 solai
generalmente
di
5
m;
il
rivestimento
è
in
mattoni,
con
un
basamento
in
pietra 
 di
Trani
bocciardata.
La
copertura
inclinata
è
in
tegole
marsigliesi,
mentre
sono
stati 
 previsti
solo
3
tipi
di
infissi
visti
come
elementi
unificanti
per
tutto
il
quartiere
(in 
 legno
con
persiana
alla
romana
per
i
locali
residenziali
e
in
ferro
per
i
servizi
igienici
e 
 le
scale).
La
razionalizzare
degli
interventi
‐
luci
identiche
per
i
solai,
altezze
nette
di 
 2.80
m,
stessi
particolari
costruttivi
per
l’intero
quartiere
‐
hanno
determinato
una 
 maggiore
economia
di
costruzione.
La
pavimentazione
esterna
dei
marciapiedi
era
in 
 asfalto,
mentre
i

percorsi
carrabili
interni
al
quartiere
furono
pavimentati
con
lastre 
 di
cemento.

La
costante
regolarità
e
riconoscibilità
delle
scelte
costruttive
determina
un
carattere 


unitario
del
quartiere,
benché
ciascun
progettista
dei
singoli
blocchi
ha
optato
per 


alcune
variazioni
il
cui
pregio
è
di
non
essere
al
di
sopra
dei
tratti
distintivi
comuni:
è 


il
caso
dei
loggiati
continui,
dei
portici
e
delle
notazioni
linguistiche
personali
negli 


edifici
di
M.
Fiorentino
(residenze)
e
G.
De
Carlo
(edificio
misto
negozi/abitazioni).

(4)

La
richiesta
di
ampliamento
dei
balconi,
espressa
dai
residenti
nel
1993,
fu
inoltrata 
 dall’Amministrazione
dell’epoca
a
Carlo
Aymonino,
che
inviò
al
Sindaco
una
lettera
e
 uno
schizzo
di
possibile
soluzione
del
problema.
Aymonino
suggeriva
di
realizzare 
 balconi
come
fossero
delle
“protesi”
attaccate
al
manufatto
originario,
sorretti
da 
 una
struttura
 metallica
 esterna
 in 
modo 
 da 
apparire 
 in
 maniera
 evidente 
come 
 addizioni 
 edilizie, 
 lasciando 
 inalterata 
 ed 
 evidente 
 la 
 lettura 
 dei 
 caratteri 
 architettonici
originari
degli
edifici.

In
una
intervista
rilasciata
nel
maggio
2003
alla
rivista
degli
architetti
SITI,
lo
stesso 
 Aymonino
aggiungeva
preoccupato:
"non
mi
spaventa
di
certo
la
possibilità
di
una 
 ibridazione,
anche
sul
piano
del
linguaggio,
di
un’architettura
contemporanea.
Ma 
 bisogna
essere
chiari
fino
in
fondo
su
un
concetto,
che
ha
poi
delle
conseguenze 
 molto
evidenti
sulla
procedura
da
seguire:
 nulla
di
serio
può
essere
fatto
senza
un 
 progetto
unitario,
ossia,
senza
un
esame
critico
e
un
esercizio
progettuale
unitario 
 fatto
da
un
architetto
che
si
assuma
tutte
le
responsabilità
del
caso
per
l’intero 
 quartiere.
Poi
bisognerà
mettere
in
campo
un’onesta
capacità
critica
per
valutare 
 l’opportunità
di
fare.
Guai
se
si
lasciano
liberi
i
singoli
di
manipolare
le
strutture 
 edilizie
a
loro
piacimento.
Io
sono
già
passato
da
questa
esperienza
(Foggia)
con 
 risultati 
 catastrofici. 
 Ossia, 
 con 
 la 
 perdita 
 di 
 identità 
 del 
 pezzo 
 di 
 architettura 
 costruita".

Nel 
 2006 
 il 
 Comune 
 di 
 Matera, 
 sulla 
 scorta 
 di 
 queste 
 raccomandazioni, 
 ha 
 provveduto
a
redigere
un
quaderno
di
possibili
soluzioni
compatibili
per
contrastare 
 la
tendenza
a
realizzare
balconi
in
cemento
armato
che
aggettano
direttamente
dalla 
 struttura 
 degli 
 edifici, 
 cancellando 
 in 
 tal 
 modo 
 gli 
 elementi 
 distintivi 
 originari, 
 alterando
l’impaginato 
e
il
carattere
delle
facciate
e
causando
una
irrimediabile 
 alterazione
del
valore
culturale
degli
edifici.
Tra
gli
abitanti
del
quartiere,
va
attuata 
 una
indispensabile
campagna
di
conoscenza
e
consapevolezza
del
valore
storico, 
 documentale
e
architettonico
del
bene
che
essi
custodiscono

4

.

A 
 dicembre 
 2008 
 è 
 stata 
 completata 
 una 
 riqualificazione 
 del 
 quartiere, 
 con 
 un 
 intervento, 
 cofinanziato 
 dal 
 Programma 
 operativo 
 regionale 
 (Por) 
 della 
 Regione 
 Basilicata,
per
un
importo
a
base
d'asta
di
329mila
€.
Il
quartiere
è
stato
dotato
di 
 spazi
giochi
fruibili
anche
di
sera
per
gli
sport
di
squadra,
come
il
calcio
a
cinque
e 
 per
i
bambini.
Le
aree
previste
nell'intervento,
che
sono
destinate
ai
bambini
hanno, 
 inoltre,
una
particolare
illuminazione
a
più
colori.

5

Napoli,
20
dicembre
2010

4

(5)

1
Manfredo
Tafuri,
Architettura
italiana
1944‐1981.



2

Aldo
Rossi,
Gian
Ugo
Polesello
e
Francesco
Tentori,
“Il
porblema
della
periferia
nella
città
moderna”,
 Casabella
continuità,
n.
241,
 1960.

3
Sergio
Lenci,
“Esperienze
nella
progettazione
del
quartiere
Spine
Bianche
a
Matera”,
Casabella
continuità,
n.
231,
settembre
1959.

4
Appello
per
Spine
Bianche
|
http://www.sassikult.it,
25.06.2006.

5
 Antonio 
 Corrado, 
 “E' 
 morto 
 l'architetto 
 Carlo 
 Aymonino, 
 il 
 padre 
 del 
 rione 
 Spine 
 Bianche", 
 http://ilquotidianodellabasilicata.ilsole24ore.com,
05.07.2010.

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