• Non ci sono risultati.

A Lisbona la Ue cerca di rilanciarela sua riforma. L’incognita dei seggi

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "A Lisbona la Ue cerca di rilanciarela sua riforma. L’incognita dei seggi"

Copied!
1
0
0

Testo completo

(1)

LORENZOGABRINIBELLINCAMPI

lisbona

L

a lunga e travagliata marcia dell’Unio- ne europea per riformare se stessa passa per Lisbona, oggi e domani, al sum- mit informale dei capi di stato e di governo dei 27 stati membri. All’ordine del giorno l’approvazione del nuovo progetto di rifor- ma dei trattati comunitari. Il testo, redatto nel corso della conferenza intergovernati- va istituita ad hoc dalla presidenza porto- ghese dell’Unione, è il risultato di un per- corso a ostacoli durato più di cinque anni.

Abbiamo visto la Convenzione europea guidata da Valéry Giscard d’Éstaing parto- rire in più di un anno un progetto di costi- tuzione europea e presentarlo trionfal- mente a Salonicco nel giugno 2003. Ab- biamo seguito i lavori di una conferenza intergovernativa, che ha rimaneggiato il testo costituzionale per renderlo più dige- ribile ai capi di stato e di governo, i quali lo hanno ufficialmente firmato a Roma in ottobre 2004. Siamo passati poi dall’eufo- ria (di pochi) alla disillusione (di tanti), con il “no” alla costituzione nei referenda in Francia ed Olanda nel 2005. Ci siamo successivamente ritrovati in un limbo di attesa, restando due anni a “riflettere” sul da farsi. Finalmente, nel giugno 2007, la

cancelliera di ferro tedesca, Angela Me- rkel, ha rilanciato il processo, trovando l’accordo sui punti essenziali della riforma e investendo di un preciso mandato la conferenza intergovernativa. Il momento è arrivato. I leader europei a Lisbona, do- vranno dire un “sì” o un “no” a un pacchet- to di riforme, che per quanto fortemente snellito rispetto al precedente testo costi- tuzionale, rappresenterebbe pur sempre un passo in avanti.

Il nuovo “trattato di riforma” è stato concepito come modifica dei trattati esi- stenti «al fine di aumentare l’efficenza e la leggitimità democratica dell’Unione allar- gata, nonchè la coerenza della sua azione esterna» recita il sito ufficiale del Consi- glio. Tra le novità più significative quelle che confirgurano una presidenza del con- siglio più stabile, in carica per due anni e mezzo, invece che per sei mesi; l’estensio- ne del voto a maggioranza qualificata, che diventerebbe la regola nelle decisioni; l’isti- tuzione di un alto rappresentante Ue per gli affari esteri, con poteri rafforzati. Si prefigura infine l’introduzione di un rife- rimento legalmente vincolante alla Carta dei diritti fondamentali.

Anche a Lisbona i “signor no” non mancheranno, anzi si sono già fatti senti- re. In prima fila i polacchi. Dopo aver

tentato di tutto per rallentare il processo di riforma si presentano al vertice con la loro ultima carta da giocare, la cosiddetta clausola di Ioannina. Decisa durante un vertice nella citta greca omonima nel 1994, tale clausola, se inserita nel nuovo trattato, consentirebbe a una minoranza di blocco di rimandare una decisione a maggioran- za qualificata all’esame del Consiglio, quindi ad un voto unanime degli stati membri. Altri paesi hanno avanzato que- stioni minori che però non dovrebbero turbare l’andamento del

vertice. Le linee rosse poste da Gordon Brown nelle ultime settimane, sembra- no più ad uso interno che una reale minaccia. Gli inglesi hanno già ottenuto di restare fuori dai mecca- nismi di cooperazione giu- diziaria e penale e sarebbe- ro esentati, al pari dei po-

lacchi, dall’applicare la carta dei diritti fondamentali.

Rimane aperta la questione del nume- ro degli europarlamentari, che ha fatto infuriare gli italiani, per via della riduzione approvata dal Parlamento europeo giovedì scorso che rompe la parità tra Italia, Gran Bretagna e Francia, riducendoli rispettiva- mente a 72, 73 e 74. In linea di principio tale punto rientra nella discussione sul nuovo trattato, dove si stabilisce la soglia massima di eurodeputati a 750 ed è previ- sta una revisione del criterio di cittadinan- za dell’Unione. Ma fonti di Palazzo Chigi

affermano che «per l’Italia il dossier non è maturo e non sono maturi i tempi».

Quindi a meno di sorprese, la questione dovrebbe essere risolta in un prossimo vertice e non incidere sull’andamento del Summit di Lisbona. Come sempre la vo- lontà dei leader europei sarà determinan- te. Il premier portoghese José Socrates in una lettera ufficiale li ha invitati a «racco- gliere la sfida del nuovo trattato, per con- sentire all’Unione di concentrarsi sulle materie che preocuupano direttamente i cittadini», prima fra tutte la politica estera dell’Ue e il suo ruolo nel mondo. A questo proposito il vertice che si apre oggi dedicherà una sessione speciale alla presenza del presidente della commisisone Durao Barroso.

Qualora il testo di rifor- ma venisse approvato, i capi di stato e di governo saranno chiama- ti ad apporre le loro firme entro la fine dell’anno. Poi si aprirà la fase più delicata, quella delle ratifiche, da concludersi prima delle elezioni del parlamento europeo di giugno 2009. Questa volta i governi cer- cheranno di svolgerle per via parlamenta- re e non referendaria, con l’eccezione dell’Irlanda che non può fare diversamen- te. Ma non manca in molti paesi un’oppo- sizione disposta a dare battaglia su questo punto, mettendo a rischio l’intero proces- so. Perché, come è sempre stato, firmare sarà molto più semplice che ratificare.

DANIELE CASTELLANIPERELLI

S

i fa sempre più teso il rapporto tra gli Stati Uniti e la Turchia, uno dei principali alleati di Washington nella già travagliata regione del Medio Oriente. Ieri il presidente George W. Bu- sh ha chiesto apertamente alla Turchia di non effettuare raid nel nord dell’Iraq, dove Ankara vuole colpire le basi dei terroristi curdi del Pkk.

La presa di posizione di Bush è arrivata dopo che un’ampia maggioranza del parlamento turco ha approvato ieri la richiesta del governo di Erdo- gan, che chiedeva l’autorizzazione ai raid mili- tari in terra irachena: «Stiamo spiegando chia- ramente alla Turchia che non riteniamo sia nel loro interesse mandare truppe nel nord dell’Iraq – ha dichiarato Bush – In fin dei conti hanno già le loro truppe in Iraq, e non pensiamo che sia nel loro interesse inviarne delle altre».

La Turchia crede invece che il proprio inte- resse sia proprio quello di colpire i terroristi curdi, che aspirano all’indipendenza del Kurdi- stan turco e che hanno intensificato gli attentati in Turchia nell’ultimo mese (circa 30 morti tra civili e militari), sfruttando l’extraterritorialità delle basi nel Kurdistan iracheno.

I rapporti tra Washin- gton e Ankara sono al mi- nimo storico, anche in conseguenza del probabile voto con cui il Congresso americano intende ricono- scere il genocidio degli ar- meni compiuto dai turchi a inizio Novecento.

Il presidente Bush di- sapprova questa battaglia del Congresso, voluta dai democratici anche per venire incontro alle ri- chieste della potente lobby armena. Il governo di Erdogan si dice indignato, e non è difficile leggere nell’indipendenza della nuova politica estera del governo di Erdogan, che non si cura delle proteste di Bush sulla questione dei raid nel nord Iraq, anche una risposta, se non proprio una sfida, alla “provocazione” del Congresso.

L’Akp, il partito islamico moderato del primo ministro Erdogan, ha sempre tenuto una posi- zione non ostile sulla questione curda, e non ha mai sostenuto una soluzione militare. Ma il quadro politico è cambiato. Nella recente cam- pagna elettorale Erdogan, per attrarre il voto nazionalista, ha promesso una linea più dura, e d’altronde è la stessa opinione pubblica a chie- dere maggiore severità verso i terroristi, dopo lo shock degli ultimi attentati.

Washington teme che un intervento turco possa destabilizzare l’unica area dell’Iraq real- mente pacificata, l’unica area che ha peraltro portato a termine la transizione verso la demo- crazia. Nonostante Erdogan escluda un attacco imminente, il voto del parlamento fornisce ora la base legale di un intervento a quello che per dimensioni è il secondo esercito tra i paesi Nato:

«Abbiamo proposto questa mozione per la pace e il benessere del nostro paese – ha dichiarato il vice primo ministro turco Cemil Cicek – Faremo il necessario per venire incontro agli interessi del paese».

Il presidente iracheno Jalal Talabani, un cur- do, ha condannato gli attacchi del Pkk, ma ha invitato Ankara alla moderazione. Il segretario generale della Nato Jaap de Hoop Scheffer e il capo delle Nazioni Unite Ban Ki-moon hanno anch’essi richiamato la Turchia al dialogo e alla soluzione diplomatica della crisi.

Secondo gli analisti, anche nel caso di un bombardamento la Turchia cercherebbe di limi- tarsi il più possibile alle basi dei terroristi del Pkk. Washington ha bisogno di Ankara, ma anche «la Turchia – come ha spiegato Helmut Sonnenfeldt, del centro studi americano della Brookings – ha bisogno degli Stati Uniti».

Bush fa la colomba e avverte Ankara:

«Non attaccate»

QUESTIONE CURDA

Oggi e domani summit informale dei capi di stato e di governo dei Ventisette. Al centro l’approvazione del nuovo progetto di riforma dei trattati comunitari.

Il parlamento turco ha dato il via libera al governo per compiere raid nel nord Iraq

VALENTINA LONGO

S

tand-up! Speak out! (Alzati, parla chiaro), è il grido che ieri ha unito il mondo nelle cele- brazioni per la giornata della lotta alla povertà, coinvolgendo solo in Italia 714mila persone, da papa Ratzinger a Giorgio Napolitano.

Vera emergenza del pianeta, tanto che sradicarla, insieme alla fame, è il numero uno degli obiettivi del Millennio della campagna delle Nazioni Unite

“No Excuse 2015”, la povertà riguarda 1 miliardo e mezzo di persone e, se l’andamento re- sterà questo, crescerà. Come spiega la stessa Onu (rapporto Undp 2006) nel 2015 ci saranno 827 milioni di persone in stato di estrema povertà (380 milioni più di quante ce ne sarebbero se l’obiettivo fosse stato rag- giunto), e altri 1,7 miliardi di persone vivranno con meno di 2 dollari al giorno. Servono, in- vece, interventi per sradicare con decisione le diseguaglian- ze, e ridurre quelle più estre- me, come ha ricordato Kevin Watkins, direttore dell’Ufficio per il rapporto sullo sviluppo umano Undp: «A volte perdia- mo di vista il dato puro e sem- plice dell’enorme vastità della diseguaglianza, il ruolo impor- tantissimo che un incremento dell’equità potrebbe avere per

accelerare la riduzione della povertà». Ad esempio, il reddi- to combinato delle cinquecento persone più ricche del mondo (dati Undp) è superiore a quel- lo dei 416 milioni di persone più povere e nella classifica, immutata dal 2005 al 2006, i norvegesi sono 40 volte più ric- chi degli abitanti del Niger, vi- vono quasi il doppio e vantano un tasso di scolarità quasi uni- versale al livello primario, se- condario e terziario, contro un

tasso di scolarizzazione del 21 per cento del Niger.

Ma se si guarda a cosa accade nei paesi più sviluppati, si nota che l’Italia si trova al 18° posto con un indice di povertà del 29,9 per cento, il doppio circa di Irlanda e Stati Uniti, cinque volte la percen- tuale di Norvegia e Svezia (vedi il grafico qui sopra). Vittorio Nozza, direttore della Caritas Italiana – che lunedì scorso ha presentato, insieme alla Fondazione Zancan, Rassegnarsi alla povertà? VII Rap-

porto su povertà ed esclusione socia- le, – spiega a Europa che l’allar- mante situazione italiana è frutto delle scelte degli ultimi decenni, in cui «in Italia non c’è mai stato un piano globale di lotta alla po- vertà, ma solo interventi una tan- tum. Il non aver creato le basi per un arricchimento di strutture e servizi – precisa il direttore della Caritas Italiana – ha determinato una situazione di gravità, perché gli interventi, che pure ci sono stati, non hanno dato strutture, servizi, che nel tempo conter- rebbero moltissimo la povertà e il disagio socia- le». Anche per questo, presegue Nozza, la Cari- tas ha proposto un “Pia- no di lotta alla povertà”, che va ad intercettare questi bisogni, che ri-

guardano circa il 12 per cento di famiglie in povertà (dati Istat 2007), 7-8 milioni di persone po- vere, «per cogliere i reali bisogni di quella che sta diventando po- vertà strutturale, quasi un corpo di persone di cui la società non può fare a meno».

Sono i più deboli, cioè poveri con figli, minori, anziani, persone con un basso livello di istruzione o con una ridotta capacità di par- tecipazione al mercato del lavoro, prosegue Nozza, che avrebbero bisogno di «un piano globale, strutturato, la sola garanzia di po-

ter intercettare opportunamente i bisogni con i servizi territoriali».

Tre le priorità su cui intervenire, secondo Nozza: non limitarsi alla pura erogazione delle risorse;

convogliare la spesa pro capite per l’assistenza sociale (40 mld nel 2006) in servizi e sviluppo e pas- sare da una gestione centralizzata delle risorse alla gestione locale,

«che farebbe assumere responsa- bilità dirette a chi ha un impatto

quotidiano con la po- polazione e conosce meglio la realtà».

Una realtà in cui anche i bisogni dei poveri cambiano. Più di tutto il direttore di Caritas italiana è col- pito dal fatto che «le persone non hanno più solo un bisogno da assecondare, ma sono in un gomitolo di bisogni.

Dai beni primari, come cibi, ve- stiti o salute, al bisogno di relazio- ni sociali, che tocca soprattutto immigrati e persone sole, alle ne- cessità di chi, pur benestante, è vittima di condizioni da cui non riesce a uscire, come il gioco d’az- zardo o l’alcolismo». Fortunata- mente, segnala Nozza, l’ultima Finanziaria è più incoraggiante:

emerge un aspetto culturale di- verso, nuovo e ci sono più scelte significative. «Purtroppo – lamen- ta – quello che manca ancora è un quadro complessivo».

«La giornata contro la povertà. Ma la lotta è di tutti i giorni»

LA CAMPAGNA ONU ■ UN MILIARDO E MEZZO DI POVERI NEL MONDO. PARLA VITTORIO NOZZA, DIRETTORE DI CARITAS ITALIANA

A Lisbona la Ue cerca di rilanciare la sua riforma. L’incognita dei seggi

Per il pioniere del dna, lo scienziato e premio nobel per la medicina James Watson, gli africani sono meno intelligenti degli occidentali.

Affermazione che ha suscitato polemiche e condanne nel Regno Unito alla vigilia dell’arrivo di Watson a Londra per la presentazione del suo libro.

Il nobel si dice pessimista «per le prospettive del continente africano», dal momento che «tutte le nostre politiche sociali si basano sul presupposto che la loro intelligenza sia pari alla nostra, mentre tutti i test lo smentiscono». Lo scienziato ha quindi previsto che entro i prossimi dieci anni verranno

scoperti i geni responsabili di tale diversità. Watson riconosce come naturale l’aspirazione umana all’uguaglianza degli uomini, ma, dice, «il nostro desiderio di attribuire uguali capacità razionali come una sorta di patrimonio universale dell’umanità non è sufficiente per renderlo reale».

A F R I C A

■ Il premio nobel James Watson: «Gli africani? Meno intelligenti degli occidentali»

4

giovedì 18 ottobre 2007

U R O M O N D O

Fonte: UNDP Human Development Report 2006 6.5

7.0 8.2 8.2 8.4

10.3 10.7

10.9 11.1 11.4 11.7 12.4

12.6 12.8

14.8 15.4

16.1 1

2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17

18 29.9

Paesi che figurano nell’indice della povertà umana stilato nel rapporto sullo sviluppo umano dall’Undp nel 2006

Svezia Norvegia Paesi Bassi Finlandia Danimarca Germania Svizzera Canada Lussemburgo Francia Giappone Belgio Spagna Australlia Gran Bretagna Stati Uniti Irlanda Italia

Cifre in % della popolazione, classificate a partire dai paesi con minore povertà

LA SITUAZIONE NEI PAESI SVILUPPATI

«Sempre di più le persone si ritrovano avvolte

in un gomitolo

di bisogni»

Riferimenti

Documenti correlati

Il massimo rigore non corrisponde alla più grande efficacia e a tal fine andrebbero azionate anche altre leve: quella della collaborazione con i paesi di origine e

Ricordiamoci  sempre    ‐  come  ha  sottolineato  Benedetto  XVI  nel  Messaggio  per  la  97 a   Giornata  mondiale  del  migrante  e  del  rifugiato  ed 

 l’assistenza ufficiale allo sviluppo è ancora ben sotto l’obiettivo dello 0,7% sul prodotto nazionale lordo (attualmente siamo fermi su valori medi pari allo 0,28%);.  i

a) Parte teorica e introduttiva. In questa prima parte si approfondisce il concetto di ‘emergenza umanitaria complessa’, con particolare riguardo a quelle situazioni in cui

Lotta alla povertà, promozione del mezzogiorno, garanzia dei livelli essenziali dei servizi e delle prestazioni sociali in tutta Italia, tutela della non autosufficienza,

Il rapporto, a partire dai giorni dell’emergenza, ripercorre tutto il cammino di tre anni di prossimità espresso dalle Chiese Italiane: attivazione dei centri di ascolto

Vincenzo Salita Corpo di Cristo 84039 TEGGIANO SA tel/fax 0975 79578 caritascampania@tiscali.it. EMILIA ROMAGNA

Si tratta di un dibattito, di un confronto importante già sollevato da Caritas Italiana agli inizi degli anni ’90, nel quadro di una prospettiva più ampia di un lavoro