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Il Salotto. Supplemento letterario bimestrale de L Italia, l Uomo, l Ambiente ANNO I - N 2 - DICEMBRE 2021

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(1)

Il Salotto

A N N O I - N ° 2 - D I C E M B R E 2 0 2 1

Supplemento letterario bimestrale de

L’Italia, l’Uomo, l’Ambiente

(2)

Il Salotto

Supplemento letterario bimestrale de L’Italia, l’‘Uomo, l’Ambiente Rivista ufficiale di Pro Natura Firenze in

collaborazione con la Federazione Nazionale Pro Natura

L’Italia, l'Uomo, l'Ambiente - Anno I N° 2, Dicembre 2021

Il Salotto è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale. Based on a work at www.italiauomoambiente.it.

Direttore de “Il Salotto”: Iole Troccoli - ioletroccoli@gmail.com

Direttore Generale L’Italia, l’Uomo, l’Ambiente: Gianni Marucelli - gmaruce@gmail.com Comitato di Redazione: Carmen Ferrari, Iole Troccoli, Laura Lucchesi, Gabriele Antonacci - Sito

internet - www.italiauomoambiente.it Impaginazione: Alberto Pestelli

I

(3)

In questo numero

pagina 3 Editoriale

pagina 4

Poesia - Cresce l’ulivo nella terra amica § Val d’Itria - di Chia- ra Sardelli

pagina 6

Poesia - La ballerina - di Luca D’Ascia pagina 8

Narrativa - La doppia vita di Fortunato Bucci - di Massimo Acciai Baggiani

pagina 9

Poesia - Nostalgia - di Patrizia Socci pagina 11

Poesia - Saudade* § Levità- di Maria Gisella Catuogno pagina 14

Poesia - E arriveremo ad immaginare il Sole - di Alberto Pestelli pagina 16

Poesia - Poi, fu la notte - di Iole Troccoli pagina 18

Poesia - Occhi verdi - di Mariangela Corrieri pagina 20

Hanno collaborato

Chiara Sardelli

Luca D’Ascia

Massimo Acciai Baggiani

Patrizia Socci

Maria Gisella Catuogno

Alberto Pestelli

Iole Troccoli

Mariangela Corrieri

Brunetto Magaldi

Le fotografie della copertina e di pagina 14 - Alba tra Mon- teroni d’Arbia e Buonconvento (SI) -, di pagina 4 - Dolianova (CA) -, pagina 9 - Scorcio sul- la Val d’Orcia vista da Pienza (SI) - sono di Alberto Pestelli.

La fonte delle altre immagini è Wikipedia e altri siti web.

(4)

Editoriale

La scrittura lega i fili, della memoria, del ricordo, della nostalgia. Li lega e poi li riavvolge, fa compiere loro percorsi inusuali, torna sui suoi passi, ripete, di- mentica, prevede.

In questo numero de “Il Salotto” troverete quanto la poesia e la prosa siano capaci di tutto questo, quanto le parole possano riprodurre paesaggi, visioni, straniamenti, ricordi solidi, colori sfumati, orizzonti ignoti.

Tornare in un luogo amato è possibile, attraversarlo con le parole, così co- me immaginarlo, renderlo astratto, simile a un sogno fugace.

Le voci che sentirete parlare, sia in prosa che in poesia, hanno in comune questo senso del viaggio dentro l’eco delle parole, sia che ci si trovi in una sof- fitta, sulla riva del mare, in mezzo alla campagna dell’infanzia, oppure a collo- quio con noi stessi; ovunque, le parole ci accompagneranno, a volte spiegan- do, a volte semplicemente come un sottofondo di musica e intenzioni, nella profondità di noi stessi.

Buona lettura, dunque, e buon viaggio.

Iole Troccoli

(5)

I

Chiara Sardelli

Cresce l’ulivo nella terra amica

§

Val d’Itria

(6)

Cresce l’olivo nella terra amica

Intensamente ti penso olivo che cresci modesto e frondoso

Le tue radici affondano e si espandono nella terra che mi è amica

Starei per dire nella mia terra, ma il possesso non mi appartiene, meglio, non ci appartiene

Ora il verde opacizzato dei tuoi rami cresce in me

Sento la vita che scorre dal tronco alle foglie

Una linfa ascendente sospesa e sospinta dalla frescura ansiosa, in attesa

dell’alba appena nascente

Pulsa la linfa vitale al suo ritmo che si raccorda e si intona

alle vibrazioni del cuore sfilacciato, aperto in più punti

Da qualche parte stilla immemore una goccia di sangue

languida e si fa rivolo

Tu mano pietosa avvicini il tuo tocco gentile. Le labbra anelanti

incredule si schiudono a sfiorare

il ramoscello che porgi.

§

Val d’Itria

Storie d’amore si mescolano ai campi di grano

Dietro ai muri a secco, che muti tutto osservano

Fili d’erba si intrecciano e intriganti scorrono tra le tue auree chiome

Pochi secondi ti separano dal ratto d’amore Con lo sguardo insegui lui che già

dimentico

torna alle cure degli animali che lo reclamano

Vorresti restare così,

le gambe sollevate da terra e strette si serrano

intorno al sesso

e ne custodiscono i segreti In bocca come ostia consacrata onori l’amaro seme del rifiuto Il tempo tiranno ti scuote,

il pianto del pargolo improvviso, tremante e ravveduta ti raggiunge.

(7)

I I

Luca D’Ascia

La ballerina

(8)

Solitaria pellegrina tra le fiamme del sogno, madre bambina,

lago di luce,

fresco cristallo di cascata alpina.

Sfiora il tuo sguardo il volto mio triforme, sulla mia rabbia, spirito bizzarro,

stende il tuo manto notte di splendore.

Tracci figure in cieco labirinto, scavi e conosci, canti ed ammaestri, apparti l’ombra e scopri il corpo vivo.

Anfibio dolce del cielo e della terra,

bolom’chon ta vinajel, bolom’chon ta banumil.

Oro di grazia culla la tua chioma, densa si gonfia al vento della danza.

E se in noi ferve miseri un natio delirar di battaglie, il tuo sussurro placa il furore e la memoria lieve vince del tempo il pallido silenzio.

(9)

I I I

Massimo Acciai Baggiani

La doppia vita di Fortunato Bucci

Dottoressa, è da quando ho memoria che faccio sogni così vividi da apparire reali. Ho letto il libro di Vadim Zeland 1 che mi aveva consigliato e ho provato a metterlo in pra- tica: mi sono posto spesso la domanda “tutto questo è reale?”, come raccomanda l’auto- re per iniziare a fare sogni lucidi, ma i miei sogni sono così ordinari, così simili alla vi- ta di ogni giorno, che non ho nessun motivo per non rispondere sì, sempre sì, sia nella veglia che durante il sogno, che poi il problema, come ho cercato di spiegarle, è che non riesco a distinguere l’una dall’altra.

Sono Fortunato Bucci anche nei miei sogni, così non so se sono il Fortunato laurea- to in lettere, disoccupato, che sogna il Fortunato con due lauree che vive di rendita con i proventi dei suoi libri di successo, o viceversa. Insomma, non se ne esce. Le ho prova- te di tutte, ma la mia mente è così scaltra che non si lascia cogliere in fallo. Entrambe le mie vite mi appaiono concrete, coerenti e dettagliate, anche se una deve essere per forza un sogno. Non è possibile che io stia vivendo davvero due vite, da quando sono bambino. So solo che entrambe avranno la stessa durata e forse solo in quello che i per- siani chiamano “la porta del supremo spavento” – la morte – la verità apparirà e saprò se la mia vita reale è stata di successo oppure fui un poveraccio che sognava così inten- samente un po’ di tranquillità da veder esaudita la preghiera in una vita fittizia.

Ma allora non potrò dirglielo, dottoressa, per ovvi motivi, e tanto per essere chiari, cara dottoressa, non posso neanche pagare il suo ben salato onorario: non tanto perché non mi ha aiutato, quanto perché quello dei due con cui lei ha a che fare è lo squattrina- to Fortunato Bucci.

Firenze, 15 piovoso ’29 (4 febbraio 2021)

(10)

I V

Patrizia Socci

Nostalgia

(11)

Non più lacrime sgorgano i miei occhi nemmeno abbracci cerca la mia solitudine, nessun colore oltrepassa il mio sguardo che scruta lontano un quieto silenzio.

Ho amato tanto le mie verdi colline luccicanti, profumate di vita,

eterne ragazze vogliose d’amore, generose a chi passa, fedeli a chi resta.

Ho sfogliato un calendario pieno di primavere al suono magico del vento di sera.

Mi ha cullato e amato la mia terra nel tepore di acque sorgive

dentro un alito caldo di passioni proibite, un abbraccio materno nei fuggevoli istanti di occasioni perdute.

Non più lacrime sgorgano i miei occhi ma sangue rosso acceso che scorre leggero e lascia un vuoto dei sensi

come foto sbiadita da pioggia di pianto sul futuro incerto della mia nostalgia.

(12)

C A P I T O L O 5

Maria Gisella Catuogno

Saudade

§

Levità

Saudade*

(13)

Forse conviene lasciarsi accarezzare dai ricordi

magari solo quelli dell’infanzia e dell’adolescenza

come il mare lambisce discreto in assenza di vento

la battigia orlata di salsedine, meduse e gusci vuoti.

Il dopo è più rischioso, perché, smesso l’incantamento,

trasformata la crisalide in farfalla, l’abbaglio dei colori

non preserva dal rischio né dalla brevità del volo.

Prima, invece, è un vortice di sogni e fantasie

non esiste il vuoto, l’assenza, il disamore o forse non se ne ha coscienza, anche se fa male:

angeli e fatine vegliano le rare notti insonni

vincono gli orchi e i fantasmi del castello;

la vecchina è esperta e quieta, fila senza pungersi il dito con il fuso e abita contenta

la più alta torre, senza uscire mai.

[Chissà che mangia, chissà che pensa.]

Il massimo è la bella addormentata, il suo sonno

di un secolo, la prigione di verde che cresce e soffoca

il palazzo, finché non giunge il principe e basta un bacio

il semplice sfiorare le sue labbra esangui, serrate

da cent’anni, che il sangue riscorre nelle vene

il fuoco si riaccende nel camino, lo spiedo riprende

a funzionare e tutti ritornano a mordere la vita,

soltanto un po’ storditi.

Più tardi i pensieri ronzano come api affannate

intorno all’alveare, intente a trasformare il nettare

dei sogni dell’infanzia nel miele di castagno

del primo aspro e sorprendente bacio e nello stupore d’un’affinità d’ardente filigrana.

Anche l’autunno fiorisce gli albicocchi e stilla di luce

il filo teso del giorno sulla notte

il viaggio degli stormi migranti verso sud la pioggia che lava il grigio dell’asfalto.

Perché gli adulti sono così seri e tristi?

(14)

*Saudade (portoghese [sawˈdadɨ]; portoghese brasiliano [sawˈdadʒi]; gallego [sawˈdade]) è un termine che deriva dalla cultura lusitana, prima galiziano e portoghese e poi brasiliana, che indica una forma di malinconia, un s e n t i m e n t o a f f i n e a l l a n o s t a l g i a . Etimologicamente deriva dal latino solitùdo, solitudinis, solitudine, isolamento e salutare, salutatione, saluto. In alcune accezioni saudade è una specie di ricordo nostalgico, affettivo, di un bene speciale che è assente, accompagnato da un desiderio di riviverlo o di possederlo. In molti casi una dimensione quasi mistica, come accettazione del passato e fede nel futuro.

Levità

Lieve è il suo passo:

non vuole spaventare le farfalle o far tacere i passeri sul ramo né ingrigire i pensieri -per una volta-

azzurri nel mattino.

Quasi è sorpresa della filigrana eterea dei suoi sogni

destati dalla polvere di sole del risveglio;

non ne rammenta intreccio e nodi ma l’impressione

di quieta soavità che li confonde e li lucida a nuovo come l’erba d’un prato dopo un acquazzone.

Chissà se il miracolo dell’armonia di pelle e cuore si perderà come schiuma marina nell’ebano dell’acqua o avrà la tenacia del faro acceso nella notte fonda?

(15)

C A P I T O L O 6

Alberto Pestelli

Arriveremo ad immaginare il sole

(16)

Non sappiamo più leggere

Le orme di chi ci precede adesso Tanto meno quelle di coloro Che ci hanno preceduto Lungo questo corso d’acqua Che non porta più al mare.

Siamo diventati abili

A cavalcare i cavalli di spine, Baluardi effimeri da ipocriti

Che hanno la pretesa d’esser falesie Che nessuno può scalare

Per violare un suolo già violato.

Terra, vittima e aguzzina Di pensieri che franano,

Che si liquefanno e solidificano In spettri di bolle di sapone Ripiene di cultura dell’apparire

Che diventa fumo se la bolla esplode.

Quell’involucro di superficialità Non oltrepasserà mai il confine Come le nuvole e i tanti sogni Che viaggiano a bordo d’una storia, Tramandata o clandestinamente stampata, non avranno mai un posto sullo scaffale.

Le biblioteche qui resteranno chiuse Peggio di un porto con mille moli…

Non arriveranno idee e parole Tanto meno partiranno da qui

Per far oltrepassar quel che resta di noi L’ultimo orizzonte per renderci liberi.

Le biblioteche qui resteranno chiuse.

Noi continueremo a non saper più leggere A comprendere

A sognare

A immaginare nemmeno com’è fatto il sole!*

*Opera registrata su Patamu Registry con numero di deposito 169684 – Tutti i diritti riservati - Gentilmente concessa dall’autore per la pubblicazione su “Il Salotto”.

(17)

C A P I T O L O 7

Iole Troccoli

Poi, fu la notte

(18)

Il giorno scendemmo, con le vele abbassate a cercare residui di pianeti gemelli sulla sabbia.

L’aria era ferma, temevamo

per le nostre ali sporche del viaggio il sole, dietro il vulcano,

interrogava i suoi ultimi raggi.

Provammo a muoverci

ma il sentimento era pesante, guardavamo i bagliori gialli come fossero ferite inferte al nostro andare incerto.

Il fermento viveva sotto lo strato inerte dell’acqua in vista del tramonto.

Vegliammo gli ultimi avventori:

era tutto ancora così ospitale.

Infine, preferimmo ripartire per non turbare il piccolo esodo di una famiglia

in coda al crepuscolo.

Il sole scomparve ma lasciò il suo colore

monito all’altro capo del cielo lattante in procinto di succhiare la sua linfa nutrimento.

Il sole scomparve, dunque, esattamente dietro il vulcano.

Poi fu la notte, feroce.

(19)

V I I I

Mariangela Corrieri

Occhi verdi

(20)

Occhi verdi

con fessure di notte senza accesso ai pensieri.

Laghi di cristallo,

avventure dello spirito addormentato.

Carezze di farfalla

sui petali di un fiore che sospira.

Miei stupendi talismani

occhi della mia gatta bambina  

Quando la notte avanza e occupa ogni fessura di luce invoco il silenzio fondo la misteriosa lucciola della mia infanzia

che si accende e si spegne sul grano di giugno

impigliata fra il cielo e la terra

come una trama di antichi incantesimi per la mia anima dolente.

(21)

I X

Brunetto Magaldi

Viaggio intorno al mio appartamento

Parte prima

Eravamo all’inizio del 2020 e avevo programmato, per la settimana di Pasqua, un viaggio in Portogallo insieme a mia moglie. Il programmato viaggio prevede- va, approfittando della vantaggiosa offerta di una compagnia aerea, la trasvolata del Mediterraneo da Firenze a Lisbona. Poi dopo aver dedicato tre giorni alla visi- ta della città, dove avremmo trascorso il giorno di Pasqua e avremmo compiuta- mente assaporato il fascino della città e dell’Atlantico, noleggiata una macchina ci saremmo recati, in pellegrinaggio, al Santuario della Madonna di Fatima. Poi il ritorno a Lisbona ed il volo verso Firenze. Tutto prenotato e programmato nei mi- nimi particolari.

Improvvisamente, ai primi di marzo, il lockdown, dapprima previsto per due settimane, poi più volte prolungato sine die. Tutti a casa, niente viaggi! Col lockdown mi era permesso soltanto di uscire di casa per potermi rifornire di ciba- rie e per portare a spasso il cane (a non più di duecento metri da casa!).

Ma io non ho un cane, e ne è molto contento il nostro gatto, e a fare la spesa al supermercato più vicino o al mercato poteva recarsi una sola persona. E, nonostan- te mi fossi generosamente offerto, mia moglie me lo ha tassativamente proibito.

I prodotti, nella qualità e nella quantità desiderata, poteva e doveva sceglierli soltanto lei. Io, secondo la sua inconfutabile opinione, avrei scelto il primo prodot- to che mi sarebbe capitato o mi sarei lasciato servire la frutta e la verdura più sca- dente. Ergo dovevo rimanere a casa.

(22)

Mi è venuto in mente allora, riandando alle mie letture giovanili, Xavier De Maistre. Per chi non lo ricordasse o non lo conoscesse affatto, Xavier De Maistre era uno scrittore in lingua francese, nato a Chambery nell’alta Savoia nella secon- da metà del 1700 che, in gioventù, aveva abbracciato la carriera militare.

Sorpreso mentre si accingeva a battersi in duello (allora era sempre una questio- ne d’onore alla quale tassativamente non ci si poteva sottrarre ma che era tuttavia altrettanto tassativamente proibito dalle autorità militari), era stato consegnato per un mese e mezzo nel suo alloggiamento di Torino.

E il buon Xavier, costretto all’inaspettata clausura, ne aveva approfittato per ac- corgersi della sua vena letteraria e per scrivere il suo primo romanzo, Il famoso e fortunato “Voyage autour de ma chambre” il “Viaggio intorno alla mia camera”.

Mi sono detto allora, se Xavier De Maistre è riuscito a descrivere un viaggio intorno alla sua camera che, fra parentesi, doveva essere abbastanza vasta essen- do quadrata e misurando 36 passi per lato, ricavandone quarantadue capitoli, uno per ogni giorno di consegna, perché non posso avventurarmi anch’ io in un viag- gio nel mio appartamento, nettamente più piccolo ma, in definitiva, con tanti di- versi ambienti? Ho deciso allora di fare un viaggio intorno al mio appartamento.

L’appartamento al terzo piano in cui risiedo insieme a mia moglie, i miei due figli hanno da tempo lasciato il nido, misura circa 100 -110 metri quadrati, ingres- so, tre stanze, cucina e bagno. In più c’è una soffitta cui si accede dalla cucina per una ripida scaletta. Ho iniziato il mio viaggio mercoledì 19 marzo 2020, festa del papà.

Levatomi come al solito intorno alle nove, ho effettuato la prima tappa recan- domi nel bagno per le consuete abluzioni. In bagno si trova, inserito in una mode- sta cornice, il quadro davanti al quale ci si sofferma più a lungo durante la giorna- ta. E’ lo specchio che, senza lusinghe e senza ipocrisie, ci rimanda la nostra imma- gine, a volte distesa a volte corrucciata, e a me, personalmente, mi avverte quan- do ho i capelli o la barba troppo lunghi.

C’è poi, ottanta centimetri per ottanta, il camerino di prova che utilizzo per la mia ugola quando faccio la doccia.

(23)

La seconda tappa mi porta necessariamente in cucina dove trovo mia moglie che mi ha preparato la solita colazione con una tazza di tè ed un toast. Ne chiedo un altro giustificandomi: “ Mi devo sostenere, sto partendo per un viaggio “. Mi guarda stupita “Che viaggio ? Lo sai che non ci si può muovere di casa.” “Un viag- gio intorno al mio appartamento” e sottolineo il mio, evitando di dire il nostro.

“Ma che dici”mi fa, poi, abituata alle mie ricorrenti boutades, non mi prende più in considerazione.

Parte seconda

La terza tappa ha per meta la stanza che, una volta destinata ai ragazzi, ora è di- ventata il mio studio. La raggiungo attraverso il corridoio e non è un percorso pri- vo di pericoli e di inciampi. Mia moglie sta effettuando le consuete pulizie del mercoledì, e devo superare i trabocchetti costituiti da scope ed attrezzi vari che in- tralciano il passaggio. Raggiunto lo studio, chiudo la porta per attenuare il rumore del battitappeto che, come un tam tam della giungla, giunge terribile alle mie orec- chie. C’è poi l’ukase di mia moglie: “Non uscire dalla stanza perché sto dando lo straccio bagnato !” Lo straccio bagnato ! Guai se tentassi di guadare le parti di pa- vimento sulle quali lei ha passato lo straccio bagnato. Se inavvertitamente ci met- tessi un piede sopra, sarebbe meglio se lo avessi affondato in un canale del Rio delle Amazzoni.

Nella mia stanza è sistemato un tavolo tondo che mi dovrebbe servire da scri- vania ma che invece è sempre ingombro di carte e cartacce. Ci sono poi un casset- tone nei cui cassetti non so mai cosa posso trovarci, un armadio quattro stagioni, regno incontrastato di mia moglie, ed una fornita libreria a giorno nella quale i libri di nuova acquisizione per cercare la loro collocazione fanno la lotta con quel- li ivi da tempo presenti. Infine, su apposito mobiletto il computer con i suoi acces- sori. Davanti al computer, attendo pazientemente che mi venga comunicata la fine dei lavori. Guardo la mia posta, rispondo alle e-mail che mi sono pervenute, ne scrivo altre, mi tengo informato on-line sui più importanti avvenimenti della gior- nata, e poi mi avventuro sui social.

Terminata la sessione al computer ritrovo, fra i tanti libri, la pubblicazione sul

(24)

E mi immergo nella lettura sulle bellezze lusitane sognando di respirare la brezza dell’Atlantico. E passato un po’ di tempo, non ho avuto alcun avvertimen- to, il tam tam è cessato. Apro cautamente l’uscio e do uno sguardo all’ingresso.

Tutto tace.

Nell’ingresso sulla parete di fronte, in una preziosa ed elaborata cornice, c’è una riproduzione su legno della “Madonna della seggiola” di Raffaello. Il Suo sguardo amoroso mi sembra che si stacchi un po’ dal Bambino e che, rivolto a me, mi dica che posso uscire.

Esco in punta di piedi e mi accingo a continuare il mio viaggio. Direzione la sala da pranzo dove mi attende, fra due pesanti mobili, il lungo tavolo a cui, una volta, ci si sedeva in quattro ed ora soltanto in due.

Come se avesse intuito le mie intenzioni, dalla cucina mia moglie mi avverte che il pranzo è pronto. E quando entra nella sala recando le cibarie, mi trova già seduto al mio posto. Mia moglie è una brava cuoca però teme di ingrassare e, per- tanto, si è inventata una particolare dieta che, per altro, sembra aver dato, finora, scarsi risultati. E se lei è a dieta, mi devo mettere a dieta anche io che, forse, non ne avrei bisogno.

Il viaggio intrapreso mi ha messo di buon appetito e, consumata la mia razio- ne dell’ottimo mangiarino (e sottolineo ino) che mi ha ammannito la mia cara mo- gliettina, prima di recarmi a fare la consueta pennichella, ho arraffato una tavolet- ta di cioccolata. Mi illudo di farlo di nascosto, ma mia moglie lo sa e non mi dice nulla. Dopo una buona mezz’ora mi alzo dal letto e mi accingo ad affrontare le par- te più avventurosa del mio viaggio: l’ascesa alla soffitta. Affronto la ripida scaletta e giunto alla sommità spingo l’uscio della soffitta che si apre con un sinistro cigo- lio. Ho definito sinistro il cigolio dell’uscio solo perché i cardini avrebbero biso- gno di una periodica lubrificazione, non perché in soffitta abbia il timore di trova- re spiriti o fantasmi. Vi regna soltanto un indefinibile disordine.

Nell’angusto spazio, circa tre metri per quattro per una altezza di poco più di due metri, si sono accumulate tante di quelle cose che il viaggio intorno al mio ap- partamento si trasforma in un viaggio nella mia memoria.

(25)

In una scaffalatura addossata alla parete che, nelle primitive intenzioni doveva consentire una ordinata raccolta di quanto per il momento ritenuto non più neces- sario, sono accatastati, coperti di polvere, tanti miei ricordi.

Tra faldoni, cartelle, fogli e documenti ormai illeggibili e dimenticati, ritrovo la mia vecchia macchina da scrivere, la mitica verde “lettera ventidue”, sui tasti della quale ho battuto la mia tesi di laurea.

Ed anche la piccola vecchia radio Marelli che, quando era in vena, ci delizia- va con le notizie, le canzonette in voga e le inimitabili radiocronache di Niccolò Carosio. Quando non era in vena veniva presa a manate finché non ci si rassegna- va, poverina, a sostituirle le valvole. In un angolo è conservato ancora il mobiletto a pedale di una vecchia macchina da cucire Singer che, per la verità, ogni tanto mia moglie utilizza quando ravvisa la necessità di riparare i guasti procurati nei ve- stiti dal suo maldestro e distratto marito.

Infine in un cassone di cartone, i tanti giocattoli dismessi dai miei figlioli, sol- datini, macchinine, pezzi di costruzioni in plastica, in legno, pupazzetti vari, palli- ne di pezza e tanto altro. Vi è poi l’ampia tavola di legno, sulla quale avevamo co- struito il plastico per il trenino elettrico con ancora incollati tanti tratti di binario e tante chiazze verdi. Ed ogni giocattolo che rivedo mi riporta agli anni belli e lonta- ni quando seguivo i miei figli che, da bambini, a poco a poco, diventavano adole- scenti e giocavo con loro.

Ed immerso nei ricordi non mi accorgo del passare del tempo.

Mi richiama alla realtà la voce di mia moglie che, dalla cucina, mi avverte:

“Vatti a lavare le mani che è già pronto in tavola.”

A malincuore esco, richiudo l’uscio, e scendo per la ripida scaletta.

Il mio viaggio è terminato.

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