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IL RITRATTO DI DORIAN GRAY

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Academic year: 2022

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OSCAR WILDE

IL RITRATTO DI DORIAN GRAY

A cura di Enrico Terrinoni

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© 2021 Mondadori Libri S.p.A., Milano I edizione Oscar classici aprile 2021 ISBN 978-88-04-73636-3

Questo volume è stato stampato presso ELCOGRAF S.p.A.

Stabilimento - Cles (TN) Stampato in Italia. Printed in Italy

oscarmondadori.it

Anno 2022 - Ristampa 1 2 3 4 5 6 7

mondadori.it

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Il ritratto di Dorian Gray

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Le citazioni da Romeo e Giulietta e da Amleto sono tratte rispetti- vamente da William Shakespeare, Le tragedie, a cura di Giorgio Melchiori, «I Meridiani», Mondadori, Milano 1976, trad. di Sal- vatore Quasimodo e William Shakespeare, I drammi dialettici, a cura di Giorgio Melchiori, «I Meridiani», Mondadori, Milano 1990, trad. di Eugenio Montale.

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L’artista è il creatore di cose belle.

Il fine dell’arte è rivelare l’arte e celare l’artista.

Il critico è colui che sa tradurre in maniera altra o in nuovo materiale la sua impressione di cose belle.

La suprema ma anche l’infima forma di critica sono modalità dell’autobiografia.

Chi scova brutti significati in cose belle è persona depravata ma senza alcun fascino. Gran difetto.

Chi scova bei significati nelle cose belle è un raffinato. Per lui c’è speranza.

Eletto è chi intravede nelle cose belle soltanto la Bellezza.

Non esistono libri morali o libri immorali.

Ci sono libri ben scritti o libri scritti male. Tutto qua.

L’antipatia del diciannovesimo secolo per il Realismo è la rab- bia di Caliban nel vedere il proprio volto allo specchio.

L’antipatia del diciannovesimo secolo per il Romanticismo è la rabbia di Caliban nel non vedere il proprio volto allo specchio.

La vita morale dell’uomo è in parte il soggetto dell’artista, ma la moralità dell’arte risiede nell’uso perfetto di un mezzo imperfetto.

Nessun artista vuole dimostrare alcunché. Persino le cose vere possono essere dimostrate.

Un artista non ha affinità etiche. Una qualsiasi affinità etica in un artista è un imperdonabile manierismo di stile.

La Prefazione

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Nessun artista è mai morboso. L’artista può esprimere qua- lunque cosa.

Il pensiero e il linguaggio sono per l’artista strumenti per un’arte.

Il vizio e la virtù sono per l’artista materiali per un’arte.

Stando alla forma, il modello di tutte le arti è quella del mu- sicista. Stando al sentimento, il modello è il mestiere dell’attore.

Ogni arte è al contempo superficie e simbolo.

Chiunque si inoltri al di sotto della superficie lo fa a proprio rischio e pericolo.

Chiunque legga il simbolo lo fa a proprio rischio e pericolo.

Nell’arte, a essere rispecchiato è lo spettatore, non la vita.

Divergenze d’opinione su un’opera d’arte dimostrano che si tratta di un’opera nuova, complessa e vitale.

Quando i critici non sono in accordo, è l’artista a essere in ac- cordo con se stesso.

Perdoniamo pure chi compia qualcosa di utile, sempre che non si metta ad ammirarla. L’unico pretesto per fare una cosa inuti- le è di ammirarla intensamente.

L’arte tutta è assolutamente inutile.

Oscar Wilde

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L’aria nello studio era pervasa da un intenso odore di rose, e quando il lieve vento estivo scuoteva gli alberi del giardi- no, attraverso la porta aperta si affacciava un forte aroma di lillà, o il profumo più delicato dei fiori rosa del biancospino.

Dall’angolo del divano rivestito di raffinati tessuti da sel- la persiani su cui stava steso a fumare, come suo solito, in- numerevoli sigarette, Lord Henry Wotton poteva cogliere soltanto con la coda dell’occhio i fiori color del miele e dol- ci come il miele del laburno, i cui rami tremuli parevano a malapena sostenere il fardello di una bellezza tanto simile a una fiamma; di quando in quando ombre fantasiose di uc- celli volteggiavano agili in volo tra le lunghe tende di seta leggera tirate davanti all’ampia finestra, con un fugace ef- fetto giapponese, che lo rimandava con la mente a quei pal- lidi pittori di Tokyo dalle facce di giada, i quali, tramite il medium di un’arte necessariamente immobile, provano a convogliare il senso del moto e della velocità. Il cupo mor- morio delle api che si muovevano a fatica nell’erba alta e non curata, o giravano con monotona insistenza attorno alle trombette opache e dorate del rigoglioso caprifoglio, sem- brava rendere l’immobilità ancora più oppressiva. Il fievo- le ruggito di Londra era il bordone di un organo lontano.

Al centro della stanza, su un cavalletto aperto, c’era il ritratto a grandezza naturale di un giovane dalla bellezza

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straordinaria, e davanti, poco distante, era seduto l’artista stesso, Basil Hallward: la sua improvvisa scomparsa, qual- che anno prima, aveva provocato un certo clamore, dando vita a una serie di strane congetture.

Mentre rimirava la forma aggraziata e piacevole che con enorme talento aveva ritratto nella sua arte, un sorriso com- piaciuto gli attraversò il volto e sembrò indugiarvi. Ma il pittore all’improvviso ebbe un sussulto e, chiudendo gli oc- chi, si posò le dita sulle palpebre come nel tentativo di im- prigionare in testa un qualche sogno curioso da cui teme- va di potersi svegliare.

«È la tua opera migliore, Basil, la cosa migliore che tu ab- bia mai fatto» disse Lord Henry con tono languido. «Devi assolutamente mandarlo alla Grosvenor l’anno prossimo.

L’Accademia è troppo grande e volgare. Ogni volta che ci sono stato, c’era sempre troppa gente e non riuscivo a ve- dere i quadri, il che è terribile; oppure, ancora peggio, c’e- rano troppi quadri, il che non mi permetteva di vedere la gente. La Grosvenor è davvero l’unico posto.»

«Non credo che lo manderò da nessuna parte» rispose, scrollando indietro la testa con quel modo di fare che ave- va indotto i suoi amici a Oxford a ridere di lui. «No, non lo mando da nessuna parte.»

Lord Henry arcuò le sopracciglia e lo guardò stupito at- traverso i sottili anelli di fumo blu che si arricciolavano in turbinii alquanto fantasiosi levandosi dalla sua sigaretta con l’evidente alone dell’oppio. «Non lo mandi da nessu- na parte? Mio caro amico, e perché? C’è qualche motivo?

Che strani che siete voi pittori! Fareste qualunque cosa al mondo per guadagnarvi una reputazione. E poi, non ap- pena ne avete una, sembrate volervene liberare. È scioc- co da parte vostra, perché, se c’è qualcosa di peggio, al mondo, del fatto che si parli di noi, è che non se ne parli.

Un ritratto come questo ti consentirebbe di superare qua- lunque giovane in Inghilterra, e farebbe invidia ai vecchi, sempre che i vecchi siano capaci di provare una qualche emozione.»

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«Lo so che riderai di me,» replicò «ma davvero non pos- so esporlo. C’è troppo di me stesso.»

Lord Henry si stiracchiò sul divano e rise.

«Sì, lo sapevo che avresti riso; ma è la verità, comunque.»

«Troppo di te stesso! Parola mia, Basil, non ti facevo così vanitoso; e non ci vedo alcuna somiglianza tra te, con quel tuo volto rude dai lineamenti forti e i tuoi capelli neri come il carbone, e questo giovane Adone, che sembra fatto di avo- rio e petali di rosa. Insomma, mio caro Basil, lui è un Nar- ciso, mentre tu… be’, ovviamente tu hai un’espressione da intellettuale e via dicendo. Ma la bellezza, la bellezza vera, finisce quando inizia una qualche espressione intellettua- le. L’intelletto è in sé qualcosa di esagerato, e distrugge l’ar- monia di qualunque volto. Il momento che ti siedi a pen- sare diventi tutto naso, o tutta fronte, o qualche altra cosa orrenda. Guarda gli uomini di successo nelle professioni liberali. Come sono perfettamente orribili! Tranne gli uo- mini di Chiesa, ovvio. Ma solo perché nella Chiesa non si pensa. Un vescovo continua a dire pure a ottant’anni quel- lo che gli dicevano di dire da ragazzo, quando ne aveva diciotto, e quale naturale conseguenza, sembra sempre as- solutamente delizioso. Il tuo giovane amico misterioso, di cui non mi hai mai detto il nome, ma il cui ritratto mi affa- scina alquanto, non pensa mai. Ne sono certo. Deve essere una bellissima creatura senza cervello, e dovremmo tener- lo sempre qui d’inverno, quando non ci sono fiori da guar- dare, e anche in estate, quando ci serve qualcosa che raf- freddi la nostra intelligenza. Non lusingare te stesso, Basil:

non sei per niente come lui.»

«Tu non mi capisci, Harry» rispose l’artista. «Ovvio che non sono come lui. Lo so benissimo. E se lo fossi mi dispia- cerebbe. Scrolli le spalle? Ti sto dicendo la verità. C’è una fa- talità che riguarda la perfezione fisica o intellettuale, quel- la sorta di fatalità che nella storia sembra insidiare il passo vacillante dei re. Conviene non essere differenti dagli altri.

I brutti e gli stupidi se la cavano al meglio in questo nostro mondo. Se ne stanno seduti tranquilli a godersi lo spetta-

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colo. Se non sanno nulla della vittoria, perlomeno gli vie- ne risparmiata l’esperienza della sconfitta. Vivono come dovremmo vivere tutti: indisturbati, indifferenti, e senza ansie. Non arrecano disgrazie agli altri e non ne subisco- no per mano altrui. Il tuo rango e la tua ricchezza, Harry, il mio cervello, per così dire – la mia arte, per quel che può valere –, il bell’aspetto di Dorian Gray: tutti soffriremo per quel che ci hanno donato gli dèi, soffriremo terribilmente.»

«Dorian Gray? È così che si chiama?» chiese Lord Henry, attraversando lo studio in direzione di Basil Hallward.

«Sì, si chiama così. Non intendevo dirtelo.»

«E perché no?»

«Oh, non so spiegarlo. Quando qualcuno mi piace immen- samente, non dico mai il suo nome agli altri. È come conse- gnargliene una parte. Ho imparato ad amare la segretezza.

Pare sia l’unica cosa in grado di rendere la vita moderna mi- steriosa o piena di meraviglia. La cosa più comune diventa deliziosa, se solo la nascondi. Quando lascio la città, infatti, non dico mai a nessuno dove vado. Se lo facessi, perderei qualunque piacere. È un’abitudine sciocca, direi, ma in qual- che modo mi pare doni alla vita una buona dose di romanti- cismo. Immagino che mi crederai uno stupido per questo.»

«Per niente,» rispose Lord Henry «proprio per niente, mio caro Basil. Sembri dimenticare che sono sposato, e l’u- nico fascino del matrimonio è che rende una vita di ingan- ni assolutamente necessaria per entrambe le parti. Non so mai dove sia mia moglie, e lei non sa mai cosa stia facendo io. Quando ci incontriamo – e ogni tanto ci incontriamo, a cena fuori o per andare dal duca – ci raccontiamo le storie più assurde, ma sempre con facce serissime. Mia moglie è proprio brava, molto più di me, a dire il vero. Non si con- fonde mai con gli appuntamenti, come faccio io. Ma quan- do mi scopre, non si arrabbia affatto. A volte mi piacereb- be che lo facesse; in realtà ride di me e basta.»

«Detesto il modo in cui parli della vita da sposati, Harry»

disse Basil Hallward, dirigendosi in tutta calma verso la porta che dava sul giardino. «Credo che tu sia un ottimo

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marito, ma ti vergogni troppo delle tue stesse virtù. Sei una persona straordinaria. Non dici mai niente di morale, ep- pure non fai mai una cosa sbagliata. Il tuo cinismo non è che una posa.»

«Essere naturali è soltanto una posa, e la più irritante che io conosca» esclamò Lord Henry ridendo, e i due giova- ni uscirono insieme in giardino per andarsi ad accomoda- re sulla lunga panca di bambù, all’ombra di un alto cespu- glio d’alloro. La luce del sole scivolava sulle foglie lucide.

Nell’erba tremolavano margherite bianche.

Dopo una pausa di silenzio Lord Henry tirò fuori l’oro- logio. «Mi spiace ma devo andare, Basil,» mormorò «e pri- ma che vada, non posso fare a meno di riproporti la do- manda di prima.»

«Cioè?» chiese il pittore, con gli occhi fissi a terra.

«Lo sai bene.»

«Proprio no, Harry.»

«Allora te lo ripeto. Voglio che mi spieghi perché non hai intenzione di esporre in pubblico il ritratto di Dorian Gray.

Voglio il motivo vero.»

«Te l’ho detto il motivo.»

«No, non credo. Hai detto che è perché c’è troppo di te.

Insomma, roba infantile.»

«Harry,» disse Basil Hallward, guardandolo dritto in vol- to «ogni ritratto dipinto con sentimento è un ritratto dell’ar- tista, non del modello. Il modello non è che il caso, l’occa- sione. Non è lui a essere rivelato dal pittore; è piuttosto il pittore che, su tele colorate, rivela se stesso. Il motivo per cui non esporrò questo ritratto è che ho paura di avervi ri- versato il segreto della mia anima.»

Lord Henry rise. «E quale sarebbe?» chiese.

«Te lo dirò» fece Hallward, ma il volto si velò subito di un’e- spressione perplessa.

«Sono tutt’orecchi, Basil» proseguì il compagno, gettan- dogli uno sguardo.

«Oh, c’è proprio poco da dire, Harry;» rispose il pittore

«temo che difficilmente capirai. E poi chissà se ci crederai.»

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Lord Henry sorrise, poi, chinandosi, raccolse nell’erba una margheritina dai petali rosa e la esaminò. «Sono cer- to che capirò,» rispose, fissando intensamente il minusco- lo disco dorato dalle frange bianche «e per quanto riguar- da il credere o meno, sono in grado di credere a ogni cosa, purché sia assolutamente incredibile.»

Il vento scosse alcuni fiori dagli alberi, e i grossi boccio- li di lillà, con le loro stelline, presero a muoversi avanti e indietro nell’aria languida. Una cavalletta iniziò a stridere sulla parete, e una lunga libellula sottile fluttuò come un fi- lamento azzurro con le sue ali velate marroni. Lord Henry aveva l’impressione di sentire il battito del cuore di Basil Hallward, e si domandò cosa stesse per accadere.

«La storia è questa» riprese il pittore dopo un po’. «Due mesi fa sono andato a un ricevimento da Lady Brandon. Sai che noi poveri artisti dobbiamo comparire in società ogni tanto, anche solo per ricordare al pubblico che non siamo dei selvaggi. In abito da sera e cravatta bianca, come mi hai detto una volta, chiunque, persino un agente di Borsa, può acquisire una reputazione di civiltà. Be’, dopo circa dieci mi- nuti che ero nella sala, a parlare con quelle distinte signore vestite troppo eleganti e con tediosi membri dell’Accade- mia, mi sono accorto all’improvviso che qualcuno mi stava fissando. Mi sono girato lievemente, e ho visto per la prima volta Dorian Gray. Quando i nostri sguardi si sono incrocia- ti, mi sono sentito impallidire. Mi ha sopraffatto una strana sensazione di terrore. Sapevo di trovarmi faccia a faccia con qualcuno la cui mera personalità era talmente affascinan- te che, se gliel’avessi permesso, avrebbe assorbito del tutto la mia natura, la mia anima, e pure la mia arte. Non vole- vo che una qualche influenza esterna mi cambiasse la vita.

Lo sai anche tu, Harry, quanto sia indipendente per natura.

Sono sempre stato il padrone di me stesso, o perlomeno lo ero fino a quel momento, fino a quando non ho incontrato Dorian Gray. Allora… ma non so come spiegartelo. Qual- cosa mi diceva che ero sull’orlo di una crisi terribile nella mia vita, o almeno così mi è parso. Avevo una strana sen-

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sazione, come se il Fato avesse in serbo per me gioie squi- site, ma anche angosce squisite. Mi ha colto la paura, e mi sono voltato per andarmene da quella sala. Non è stata la coscienza a impormelo, ma una sorta di codardia. Non mi fa onore aver provato a scappare.»

«La coscienza e la codardia sono proprio la stessa cosa, Basil. Coscienza è solo il nome della ditta. Ecco tutto.»

«Non ci credo, Harry, e non ci credi neanche tu. Qualun- que sia stata la mia motivazione – magari l’orgoglio, ero ab- bastanza orgoglioso un tempo –, non c’è alcun dubbio che mi sono diretto a fatica verso la porta. E lì, ovviamente, mi sono imbattuto in Lady Brandon. “Non andrete mica via così presto, Mr Hallward?” ha strillato. Con la sua voce così strana e acuta, hai presente?»

«Sì, sa bene come pavoneggiarsi; se solo fosse bella!» dis- se Lord Henry, strappando i petali alla margherita con le sue lunghe dita nervose.

«Non riuscivo a liberarmi di lei. Continuava a presentar- mi a reali e membri dell’Ordine della Giarrettiera, e ad an- ziane nobildonne con le loro tiare gigantesche e i nasi da pappagallo. Parlava di me come se fossi il suo migliore ami- co. L’avevo incontrata una sola volta prima, ma si era mes- sa in testa di trattarmi come una celebrità. Credo che alcu- ni miei quadri avessero avuto un gran successo all’epoca, o perlomeno se n’era parlato sui giornaletti da un penny, ossia lo standard dell’immortalità nel diciannovesimo se- colo. A un tratto mi sono ritrovato faccia a faccia con il gio- vane la cui personalità mi aveva così stranamente turba- to. Eravamo abbastanza vicini, quasi ci toccavamo. I nostri sguardi si sono incrociati di nuovo. Sono stato avventato, ma ho chiesto a Lady Brandon di presentarci. Magari non così avventato, dopo tutto. È stato semplicemente inevita- bile. Avremmo iniziato a parlare anche senza presentazio- ni. Ne sono certo. Dorian me l’ha detto, in seguito. Anche per lui era destino che ci incontrassimo.»

«E come l’ha descritto Lady Brandon questo giovane me- raviglioso?» domandò l’amico. «So che adora abbozzare un

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rapido précis dei suoi ospiti. Ricordo che mi ha portato da un vecchio signore dalla faccia rubizza e truculenta tutto ricoperto di stemmi e nastrini, e mi ha sussurrato all’orec- chio, con quel suo modo tragico che dev’essere stato per- fettamente udibile da chiunque nella stanza, i dettagli più sconcertanti. Me la sono filata. Mi piace scoprirle da me le persone. Ma Lady Brandon i suoi ospiti li tratta come il ge- store di una casa d’aste tratterebbe la sua merce, né più né meno. O ti spiega tutto subito, o ti dice ogni cosa al riguar- do, tranne quello che vuoi sapere davvero.»

«Povera Lady Brandon! Sei spietato con lei, Harry!» dis- se Hallward con noncuranza.

«Mio caro amico, ha provato a inaugurare un salon, ed è riuscita soltanto ad aprire un ristorante. Come potrei mai ammirarla? Ma racconta, che ha detto di Mr Dorian Gray?»

«Oh, qualcosa del tipo: “Che ragazzo affascinante… la sua povera mamma e io eravamo proprio inseparabili. Non me lo ricordo mica cosa faccia… mi sa tanto che… non fa niente… ah sì, suona il piano… o era il violino, mio caro Mr Dorian Gray?”. Non siamo riusciti a non ridere, e sia- mo diventati amici all’istante.»

«Una risata non è affatto un brutto inizio per un’amici- zia, ed è sicuramente il migliore dei finali» disse il giovane Lord, cogliendo un’altra margherita.

Hallward scosse la testa. «Tu non sai cosa sia l’amicizia, Harry,» mormorò «e neanche l’inimicizia, se è per questo.

A te piacciono tutti; ovvero, sei a tutti indifferente.»

«Sei assolutamente ingiusto, che orrore!» esclamò Lord Henry, sistemandosi indietro il cappello e alzando lo sguar- do alle piccole nuvole che, come una matassa sfrangia- ta di seta bianca e lucente, attraversavano la calotta tur- chese di quel cielo estivo. «Sì, assolutamente ingiusto. Io faccio grandi distinzioni tra le persone. Scelgo gli amici per il bell’aspetto, i conoscenti per il bel carattere, e i ne- mici per il bell’intelletto. Non si è mai troppo attenti alla scelta dei propri nemici. Non ne ho uno che sia un idio- ta. Sono tutte persone di un certo spessore intellettuale,

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ragion per cui mi ammirano. Sono troppo frivolo? Credo di esserlo abbastanza.»

«Pare anche a me, Harry. Ma secondo le tue categorie, io dovrei essere solo un conoscente.»

«Mio caro Basil, sei molto più di un conoscente.»

«E molto meno di un amico. Una sorta di fratello, di- ciamo.»

«Oh, i fratelli! Non li sopporto proprio. Il mio più gran- de non si decide a morire, e quelli più piccoli non sembra- no fare altro.»

«Harry!» esclamò Hallward accigliandosi.

«Mio caro amico, non parlo seriamente. Ma non riesco a non detestarli, i miei parenti. Immagino derivi dal fatto che nessuno di noi sopporta chi ha i suoi stessi difetti. Pro- vo molta empatia per la rabbia della democrazia inglese nei confronti dei presunti vizi dei ceti più alti della società.

Le masse credono che l’ubriachezza, la stupidità e l’immo- ralità debbano essere di loro esclusivo appannaggio, e che chiunque di noi si renda ridicolo stia cacciando nelle loro riserve. Quando il povero Southwark è finito al tribunale dei divorzi, l’indignazione popolare è stata straordinaria.

Eppure credo proprio che neanche il dieci per cento dei pro- letari viva in maniera onesta.»

«Non mi trova d’accordo neanche una delle parole che hai pronunciato; e c’è di più, Harry: sono certo che nean- che tu ci credi.»

Lord Henry si accarezzò la barba bruna e diede un col- petto alla punta dello stivale di vernice con il bastone d’e- bano ornato di una nappina. «Quanto sei inglese, Basil!

È la seconda volta che fai quest’osservazione. Se esprimi un’idea davanti a un vero signore inglese – ed è sempre una cosa avventata –, quello non se lo sogna nemmeno di sta- re a pensare se sia giusta o sbagliata. L’unica cosa di cui si preoccupa è se tu ci creda o meno. Ora, il valore di un’idea non ha niente, ma proprio niente, a che vedere con la sin- cerità della persona che la esprime. Anzi, è più probabile che, se non sei sincero, la tua idea sarà più pura dal punto

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di vista intellettuale, visto che non sarà condita di difetti, desideri, o pregiudizi. In ogni modo, non ho intenzione di discutere di politica, sociologia o metafisica con te. Mi piac- ciono le persone assai più dei princìpi, e quelle senza prin- cìpi sono le migliori al mondo. Dimmi di più di Mr Dorian Gray. Quanto spesso lo vedi?»

«Ogni giorno. Non avrei felicità alcuna se non lo vedessi ogni giorno. Per me è assolutamente necessario.»

«Straordinario! Pensavo che ti interessasse soltanto la tua arte.»

«Per me, ora, l’arte è lui» disse il pittore, con tono grave.

«A volte, Harry, penso che esistano soltanto due età di ri- lievo nella storia del mondo. La prima è quando compare un nuovo mezzo artistico, e la seconda è quando compare una nuova personalità artistica. Il volto di Antinoo fu per la tarda scultura greca ciò che la pittura a olio è stata per i veneti; e il volto di Dorian Gray sarà lo stesso per me un giorno. Non è solo che lo ritraggo, lo disegno, lo abbozzo.

Ovviamente tutte queste cose le ho fatte. Ma per me è mol- to più di un modello o di uno che posa per me. Non è che quel che sono riuscito a fare con lui non mi soddisfi, o che la sua sia una bellezza tale che l’Arte non può esprimerla.

Non c’è nulla che l’Arte non possa esprimere, e io so bene che le mie opere, da quando ho incontrato Dorian Gray, sono ben fatte, le migliori della mia vita. Ma stranamen- te – chissà se mi capisci – la sua personalità mi ha suggeri- to una maniera del tutto nuova nell’arte, un modo del tutto nuovo di concepire lo stile. Le cose le vedo diversamente, le penso diversamente. So ricreare la vita come mai ero riu- scito a fare prima. “Un sogno di forma in giorni di pensie- ro”: chi lo dice? Non ricordo, ma ecco cos’è Dorian Gray per me. La mera presenza visiva di questo ragazzo – per- ché non sembra più che un ragazzo, anche se ha passato i vent’anni –, la sua mera presenza visiva… ah! chissà se in- tendi quel che significa tutto questo. Inconsapevolmente lui definisce per me le linee di una scuola nuova, una scuola che avrà tutta la passione dello spirito romantico, e tutta la

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perfezione di quello greco. L’armonia dell’anima e del cor- po: una cosa enorme! Nella nostra follia noi li abbiamo se- parati, abbiamo inventato un realismo volgare, un’ideali- tà vuota. Harry! Se solo sapessi quel che significa per me Dorian Gray! Ricordi quel mio paesaggio per cui Agnew mi ha offerto tutti quei soldi, ma da cui non volevo distac- carmi? È una delle cose migliori che abbia mai fatto. E per- ché? Perché, mentre lo disegnavo, c’era Dorian Gray seduto accanto a me. Una qualche sottile influenza si trasfondeva da lui in me, e per la prima volta nella mia vita ho visto in quel semplice bosco la meraviglia che avevo sempre cerca- to, e che mi era sempre sfuggita.»

«Basil, è straordinario! Devo vederlo, questo Dorian Gray.»

Hallward si alzò in piedi, passeggiò avanti e indietro in giardino. Dopo un po’ ritornò. «Harry,» disse «Dorian Gray per me è soltanto un motivo artistico. Magari tu non ci ve- drai nulla. Io ci vedo tutto. Non è mai tanto presente in una mia opera come quando non c’è. Suggerisce, come ho det- to, una nuova maniera. Lo rivedo nelle curve di certe linee, nella grazia e nelle sfumature di certi colori. Ecco tutto.»

«Allora perché non vuoi esporre il suo ritratto?» doman- dò Lord Henry.

«Perché, senza volerlo, ci ho messo una qualche espres- sione di questa mia strana idolatria artistica, di cui, ovvia- mente, non mi sono mai preoccupato di parlargli. Non ne sa niente. E non dovrà mai saperne niente. Ma il mondo lo capirebbe; e non posso denudare la mia anima davan- ti a occhi frivoli e indagatori. Il mio cuore non verrà mes- so sotto il microscopio. C’è troppo di me là dentro, Harry, troppo di me!»

«Neanche i poeti sono scrupolosi come te. Sanno quan- to sia utile la passione per pubblicare. Oggigiorno un cuo- re infranto fa un sacco di ristampe.»

«È per questo che li detesto» esclamò Hallward. «Un ar- tista dovrebbe creare cose belle, ma non metterci dentro la propria vita. Viviamo in un’epoca in cui trattiamo l’ar- te quasi fosse una forma di autobiografia. Abbiamo smar-

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rito il senso astratto della bellezza. Un giorno mostrerò al mondo cos’è; e per questo motivo il mondo non dovrà mai vedere il ritratto di Dorian Gray.»

«Per me ti sbagli, Basil, ma non starò a discutere con te.

Soltanto chi è intellettualmente irrecuperabile si mette a di- scutere. Dimmi, a Dorian Gray tu piaci?»

Il pittore ci pensò un po’ su. «Gli piaccio» rispose, dopo un momento di pausa. «So di piacergli. Ovvio che lo lusin- go in maniera sfacciata. Provo uno strano piacere nel dir- gli cose di cui so bene che mi pentirò. Di solito, con me si comporta in modo incantevole, e sediamo nello studio a parlare di mille cose. Ogni tanto, però, è del tutto egoista, e sembra provare un vero piacere nel farmi del male. Allo- ra sento, Harry, di aver dato la mia anima a qualcuno che la tratta come un fiore da mettere all’occhiello, una sorta di decorazione per coccolare la propria vanità, un ornamento da indossare in un giorno d’estate.»

«I giorni d’estate, Basil, sono inclini a indugiare» mor- morò Lord Henry. «Magari te ne stancherai prima tu. È tri- ste a pensarci, ma non c’è dubbio che il Genio duri più della Bellezza. Il che spiega perché ci danniamo tanto per pro- curarci un’istruzione. Nella lotta selvaggia per l’esistenza, vogliamo tenerci qualcosa che duri, e quindi ci riempia- mo la mente di stupidaggini e fatti, nella sciocca speranza di difendere il nostro posto. Quello che sa tutto lui: ecco- lo qua l’ideale moderno. E la mente di uno che sa tutto lui è una cosa orribile. Pare un negozio di chincaglierie, pieno di mostri e polvere, dove ogni cosa ha un prezzo maggiore del suo vero valore. Comunque, secondo me ti stancherai prima tu. Un giorno guarderai il tuo amico e ti sembrerà disegnato un po’ male, o non ti piacerà il tono di colore, o che so io. In fondo al cuore lo accuserai con odio, e pen- serai seriamente che si è comportato male con te. La volta dopo, quando verrà, sarai del tutto freddo e indifferente.

Che gran peccato, perché questo cambierà anche te. Quel- la che mi hai descritto è una storia romantica, una storia romantica che ha a che fare con l’arte potremmo dire, e la

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cosa peggiore di qualunque storia romantica è che ti lascia così poco di romantico addosso.»

«Harry, non dire queste cose. Finché vivrò, la personali- tà di Dorian Gray mi dominerà. Non riesci a provare quel che provo io. Tu sei assai mutevole.»

«Ah, mio caro Basil, è proprio per questo che ci riesco.

Chi è fedele conosce soltanto la parte superficiale dell’a- more; sono le persone infedeli a conoscerne le tragedie.» A quel punto Lord Henry accese un fiammifero su una gra- ziosa scatolina d’argento e iniziò a fumare una sigaretta con l’aria soddisfatta di chi è sicuro di sé, quasi fosse riuscito a compendiare l’intero mondo in una frase. I passeri cinguet- tavano tra le foglie laccate dell’edera, e le ombre azzurre delle nubi si rincorrevano sull’erba come rondini. Che pia- cere stare in giardino! E che delizia le emozioni degli altri!

Molto più delle loro idee, gli pareva. La propria anima e le passioni degli amici: ecco le cose affascinanti della vita! Si figurò in silenzio, divertito, il pranzo noioso a cui era scam- pato attardandosi con Basil Hallward. Se fosse andato dal- la zia di certo ci avrebbe trovato Lord Goodbody, e l’intera conversazione sarebbe stata incentrata sul modo di sfama- re i poveri e sulla necessità di avere dei dormitori model- lo. Ognuno avrebbe lodato proprio l’importanza di quelle virtù che nella vita non aveva bisogno di esercitare. I ricchi avrebbero parlato del valore della frugalità, e i pigri si sa- rebbero dilungati sulla dignità del lavoro. Che meraviglia essersi risparmiato tutto ciò! Pensando alla zia, un’idea par- ve attraversargli la mente. Si voltò verso Hallward e disse:

«Mio caro amico, mi sono appena ricordato».

«Ricordato di cosa, Harry?»

«Dove ho sentito il nome di Dorian Gray.»

«E dove?» domandò Hallward, accigliandosi appena.

«Non fare quello sguardo arrabbiato, Basil. A casa di mia zia, Lady Agatha. Mi ha detto di aver scoperto un giovane meraviglioso che l’avrebbe aiutata nell’East End, e si chia- mava Dorian Gray. Devo ammettere che non mi ha mai par- lato del suo bell’aspetto. Le donne non apprezzano il bell’a-

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spetto; perlomeno le donne virtuose. L’ha descritto come una persona molto seria, dall’indole meravigliosa. Mi sono subito immaginato un essere con gli occhiali e i capelli flo- sci, pieno di lentiggini orribili, a passeggio con i suoi piedi grossi. A saperlo che era amico tuo…»

«Sono lieto che tu non lo sapessi, Harry.»

«Perché?»

«Non voglio che tu lo conosca.»

«Non vuoi che io lo conosca?»

«No.»

«Mr Dorian Gray è nello studio, signore» disse il mag- giordomo uscendo in giardino.

«Ora devi proprio presentarmi» esclamò ridendo Lord Henry.

Il pittore si voltò verso il domestico quasi accecato dal sole. «Chieda a Mr Gray di attendere, Parker: arriverò tra pochissimo.» Quello si inchinò e ripercorse il vialetto.

Al che Basil Hallward guardò Lord Henry. «Dorian Gray è il mio migliore amico» disse. «Ha una natura semplice e meravigliosa. Tua zia aveva ragione nel parlare a quel modo di lui. Non lo traviare. Non provare a influenzar- lo. La tua influenza sarebbe negativa. Il mondo è grande, e ci sono tante persone splendide. Non portarmi via l’u- nica che dà alla mia arte quel poco di incanto che possie- de: la mia vita di artista dipende da lui. Mi raccomando, Harry, mi fido di te.» Parlava assai lentamente, e le parole sembravano cavate di bocca quasi contro la sua volontà.

«Quante sciocchezze!» disse Lord Henry sorridendo, e poi, prendendo Hallward a braccetto, quasi lo spinse a rientrare.

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