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Firma del compromesso: come si tutela l acquirente di casa

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Firma del compromesso: come si tutela l’acquirente di casa

Autore: Redazione | 15/06/2016

Al momento della firma della proposta di vendita di un immobile o del contratto preliminare, l’acquirente deve eseguire alcune importanti verifiche per tutelarsi da spese impreviste di condominio.

Quando firmiamo un contratto preliminare (il cosiddetto compromesso) o una proposta di acquisto di un appartamento con l’agenzia immobiliare non sempre

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siamo messi nelle condizioni di sapere tutto della casa che andremo a comprare.

Anzi, alcuni degli aspetti più importanti e delle spese che potrebbero presentarsi di lì a breve sfuggono alla nostra conoscenza nonostante una scrupolosa lettura della scrittura privata sottopostaci. È il caso, ad esempio, di arretrati dovuti dal vecchio proprietario per spese condominiali mai versate o di impegni contrattuali già presi dal condominio nei confronti di terzi, come ditte di ristrutturazione o per la predisposizione di impianti di videosorveglianza. Una particolare attenzione va data anche al regolamento di condominio che potrebbe prevedere alcune limitazioni ai diritti individuali dei condomini. Così come non va sottovalutata anche la necessità di verificare – per quanto sia onere del notaio al momento del rogito – che l’immobile abbia l’agibilità, appartenga effettivamente a chi si dichiara legittimato a vendere (si pensi al caso di un appartamento ottenuto in eredità e ancora non diviso tra gli eredi) o che su di esso non siano in corso pignoramenti o iscrizioni di ipoteche.

È bene che l’acquirente di casa effettui tali verifiche ancor prima della firma del compromesso o della proposta di acquisto, non solo per evitare di perdere tempo in trattative e oneri per un immobile che, poi, si rivela non avere le caratteristiche promesse, ma anche per scongiurare l’eventuale versamento di anticipi sul prezzo per la cui restituzione, poi, potrebbe essere necessario impiantare una causa.

Il regolamento di condominio

Uno dei primi documenti che è necessario farsi consegnare dall’amministratore di condominio dello stabile ove si trova l’appartamento da acquistare è il regolamento di condominio. Esso, infatti, potrebbe prevedere alcune limitazioni all’uso dell’appartamento non in linea con le aspettative del proprietario. Ad esempio, è il caso in cui sia stabilito il divieto di dare in affitto l’immobile a studenti universitari, o di svolgere attività di affittacamere o di bed &

breakfast, o di tenere in casa animali. Il regolamento potrebbe inoltre stabilire il divieto di modificare la destinazione d’uso degli appartamenti (ad esempio,

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uffici, studi professionali, asili o attività di estetista, ecc.).

Si tratta di limitazioni che possono essere valide solo se il regolamento di condominio è stato approvato all’unanimità: non è sufficiente la maggioranza, neanche se qualificata.

Due sono le modalità con cui l’approvazione del regolamento avviene con l’unanimità: quando in assemblea sono presenti tutti i partecipanti al condominio e essi – nessuno escluso – approvano il testo del regolamento; oppure quando il regolamento viene accettato dai singoli proprietari all’atto dell’acquisto di ciascun appartamento nei confronti del costruttore. In tal caso, viene inserito, nel rogito notarile, la clausola di espressa accettazione del regolamento (per questo si parla, a riguardo, di regolamento contrattuale).

Si può acquisire copia del regolamento contrattuale anche presso la Conservatoria dei Registri immobiliari ove esso viene trascritto, anche se esso va comunque allegato all’atto definitivo di vendita.

Delibere dell’assemblea sull’approvazione di eventuali lavori

Prima della vendita, l’assemblea condominiale potrebbe aver deciso di avviare alcuni importanti lavori di rifacimento o ristrutturazione dell’edificio, i cui oneri ricadrebbero sull’acquirente, almeno in via immediata. Ecco perché è sempre bene farsi rilasciare copia dei verbali delle ultime assemblee (di norma, quelle dell’ultimo anno) in modo da verificare che non sia stata già deliberata una spesa di particolare entità.

A riguardo la giurisprudenza ritiene che il pagamento degli oneri condominiali straordinari competano sempre a chi è condomino al momento dell’approvazione della delibera con cui si ha dato il via ai lavori. Tuttavia secondo numerosi giudici, a dover inizialmente pagare le spese al condominio è colui che è proprietario

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dell’appartamento al momento della riscossione di tali importi (e, quindi, il nuovo proprietario) salvo poi il diritto di quest’ultimo di rivalersi nei confronti del precedente proprietario.

L’acquirente che sia così accorto da farsi rilasciare una dichiarazione da parte dell’amministratore o del venditore con cui si attesta che non sono state approvate spese straordinarie può, in caso di falso, agire per il risarcimento del danno e la riduzione del corrispettivo di vendita.

Attestazione sullo stato di pagamento degli oneri condominiali e delle liti in corso

È molto importante farsi rilasciare, dall’amministratore di condominio, una dichiarazione con cui si attesta il corretto adempimento degli oneri condominiali da parte del venditore e che, quindi, questi non ha arretrati. La legge infatti prevede che, in caso di trasferimento dell’appartamento situato nel condominio, l’acquirente può essere chiamato, insieme al venditore, a rispondere del pagamento delle somme da quest’ultimo dovute a titolo di spese condominiali ordinarie e non pagate, sia per l’anno in corso sia per quello precedente. Per anno si intende l’anno di gestione, e non solare.

Tuttavia, in caso di inadempimento e morosità, l’eventuale decreto ingiuntivo deve essere emesso nei soli confronti dell’acquirente. La regola si applica anche al caso di acquisti effettuati attraverso aste per pubblici incanti, come quelle conseguenti ad esecuzione forzata immobiliare.

Per tale motivo, è sempre opportuno che chi intende acquistare un’unità immobiliare inserita in un complesso condominiale si accerti che il venditore sia in regola con i pagamenti delle spese condominiali, poiché diversamente l’amministratore gli può imporre il pagamento delle stesse. A tale scopo, spesso,

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nei preliminari di vendita si inserisce una apposita clausola.

Certificato di agibilità

La giurisprudenza ritiene annullabile la vendita di un immobile senza certificato di agibilità. Tuttavia, affinché l’acquirente possa far valere tale suo diritto, è necessario che sia divenuto definitivamente proprietario del bene e che, quindi, il rogito notarile sia stato già sottoscritto. Non è invece annullabile il contratto preliminare se ancora non c’è l’agibilità poiché, come noto, il preliminare non è idoneo a trasferire la titolarità dell’immobile. Proprio per questo, onde evitare che il futuro acquirente, prima della firma del contratto definitivo, inizi a versare somme a titolo di acconto per un immobile che non potrà abitare, è bene che prima si faccia rilasciare il certificato di agibilità.

Presenza di ipoteche

Per scongiurare che sull’immobile sia iscritta un’ipoteca, è bene farsi rilasciare una visura ipocatastale (il documento può essere tuttavia acquisito anche dallo stesso venditore).

L’ispezione ipotecaria serve anche per stabilire che sull’immobile non vi siano altri pesi come pignoramenti in corso, servitù, ecc.

In ogni caso, il notaio è in grado di verificare l’esistenza di tali circostanze e di consigliare le relative soluzioni.

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Attestato di prestazione energetica

L’attestato di prestazione energetica (cosiddetto APE) serve per definire la classe di consumi energetici dell’immobile e, quindi, verificare l’eventuale convenienza dell’affare. Un classe energetica bassa, infatti, potrebbe comportare un maggior aggravio di spese per il riscaldamento invernale.

Come verificare la titolarità dell’immobile

Per sapere che chi propone la vendita dell’immobile è anche l’effettivo proprietario è necessario farsi rilasciare una visura immobiliare (la può acquisire anche lo stesso acquirente, recandosi presso l’ufficio del territorio dell’Agenzia delle Entrate locale). Tale documento chiarisce chi sia, a quella determinata data, l’effettivo titolare dell’appartamento.

Alcune insidie

Se l’immobile è in comproprietà tra due coniugi (si pensi ai casi di comunione legale) è necessario che l’acquirente verifichi che vi sia la volontà di entrambi i soggetti alla vendita. Non basta che a impegnarsi e a firmare gli atti sia solo uno dei due.

Se il formale proprietario dell’immobile è un minore o un interdetto è necessario che vi sia l’autorizzazione del giudice tutelare alla vendita e l’intervento del loro tutore o del genitore o del legale rappresentante.

Se l’immobile è pervenuto al venditore a seguito di una eredità ed esso non è

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stato ancora diviso tra i vari eredi (essendo quindi in comunione tra di loro), ciascun erede può vendere la propria quota a condizione che abbia prima offerto l’acquisto agli altri comproprietari e questi non l’abbiano accettata. La vendita invece dell’intero immobile (e non della quota) è possibile solo se l’eredità è stata divisa.

Per la vendita di un terreno agricolo, se i confinanti o i soggetti insediati sullo stesso sono coltivatori diretti, occorre comunicare ad essi l’intenzione di vendere il bene e, solo se questi rifiutano di acquistarlo, lo si può vendere, alle stesse condizioni comunicate, a terzi estranei.

Per vendere un immobile non abitativo concesso in locazione, occorre prima offrirlo in vendita all’inquilino; in taluni casi anche gli appartamenti ad uso abitazione, possono essere sottoposti ad un tale tipo di regime.

Se un immobile rientra nell’ambito dell’edilizia economica popolare o

“pubblica” in genere, vi possono essere innumerevoli limiti per la vendita/l’acquisto dello stesso (prezzo vincolato, divieto temporaneo di alienazione, requisiti soggettivi del compratore, durata temporanea della proprietà, preventive autorizzazioni).

Se l’immobile è classificato come “bene culturale” o se è soggetto a particolari vincoli artistico-paesaggistici occorre, in determinate circostanze, l’autorizzazione delle competenti autorità affinché possa essere venduto ed è soggetto alla prelazione all’acquisto da parte della soprintendenza.

L’immobile potrebbe essere gravato da una servitù (assai diffusa è quella che consente il passaggio, pedonale o con mezzi, a favore del proprietario del bene confinante sul bene oggetto della vendita) che ne potrebbe impedire un godimento pieno e completo: è importante conoscere già prima di impegnarsi alla vendita o

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all’acquisto se esistano o meno tali tipi di gravami. A tal fine la visura ipocatastale rivelerà la presenza di tali pesi.

Note

Autore immagine: 123rf com

Sentenza

Ove alla stipulazione del contratto preliminare non segua la conclusione del definitivo, la parte non inadempiente può agire nei confronti di quella

inadempiente facendone valere esclusivamente la responsabilità contrattuale da inadempimento di un'obbligazione specifica sorta nella fase precontrattuale e non

anche, in via alternativa, la responsabilità precontrattuale da supposta malafede durante le trattative, giacché queste ultime, cristallizzate con la stipula del preliminare, perdono ogni autonoma rilevanza, convergendo nella nuova struttura

contrattuale che rappresenta la sola fonte di responsabilità risarcitoria. Corte cassazione, sezione II, sentenza 15 aprile 2016 n. 7545 La stipulazione di

un contratto preliminare di preliminare non è investita da nullità per difetto di causa, ove sia configurabile un interesse delle parti, meritevole di tutela, ad una formazione progressiva del contratto, fondata su una differenziazione dei contenuti

negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare. La violazione di tale

accordo, in quanto contraria a buona fede, è idonea a fondare, per la mancata conclusione del contratto stipulando, una responsabilità contrattuale da inadempimento di una obbligazione specifica sorta nella fase precontrattuale.

Corte cassazione, sezioni Unite, sentenza 6 marzo 2015 n. 4628 In tema di responsabilità contrattuale, il risarcimento del danno dovuto al promissario acquirente per la mancata stipulazione del contratto definitivo di vendita di bene

immobile, imputabile al promittente venditore, consiste nella differenza tra il valore commerciale del bene medesimo al momento della proposizione della domanda di risoluzione del contratto ed il prezzo pattuito; d'altra parte, al fine di

compensare gli effetti del diminuito potere d'acquisto della moneta verificatosi nelle more del giudizio, tale importo è suscettibile di rivalutazione monetaria fino al

momento della liquidazione del danno, semprechè il debitore, non avendo fatto in precedenza offerta della prestazione dovuta, sia da considerare in mora. Corte

cassazione, sezione II, sentenza 30 gennaio 2007 n. 1956 Il contratto preliminare deve essere inteso come struttura negoziale autonoma destinata a

realizzare un assetto di interessi prodromico a quello che sarà compiutamente attuato con il contratto definitivo, sicché il suo oggetto è rinvenibile non solo e non

tanto nel "facere" consistente nel manifestare successivamente una volontà

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rigidamente predeterminata quanto alle parti e al contenuto, ma anche e soprattutto in un "dare", insito nella trasmissione del diritto che costituisce, alfine,

il risultato pratico avuto di mira dai contraenti. Ne consegue che, stipulato un contratto preliminare con un soggetto incapace l'unica azione a disposizione della

parte promissaria acquirente, già esecutrice in modo parziale della propria prestazione, si individua in quella contrattuale prevista dall'articolo 1443 cod. civ.,

senza che possa farsi luogo, in via cumulativa, all'esperimento di altra azione, di tipo extracontrattuale, riconducibile alla supposta malafede del predetto soggetto

durante le trattative, e ciò alla stregua delle sopravvenute condizioni complessivamente cristallizzate mediante la stipula del preliminare che comportano la perdita di ogni autonomia e di ogni giuridica rilevanza di dette

trattative, convergendo, sotto il profilo risarcitorio, nella nuova struttura contrattuale che, pertanto, viene a costituire la sola fonte di responsabilità, per l'appunto, risarcitoria. Corte cassazione, sezione 3, sentenza 25 luglio 2006

n. 16937

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