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Forno Allione e dintorni INDICE:

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Academic year: 2022

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Teofilo Bertoli Forno Allione e dintorni

INDICE:

Prefazione di Mimmo Franzinelli ... pag. 7 Ricordi autobiografici di Teofilo Bertoli ... pag. 15 altre testimonianze:

Gigi Mastaglia ... pag. 43 Mario Giacomini ... pag. 73 Rodolfo Scolari e Battista Tiberti ... pag. 81 Cesare Bazzana ... pag. 105 Albino Ferrati ... pag. 121 Alberto Moreschi ... pag. 129 Angela Tomasi ... pag. 131 Domenico Ghirardi ... pag. 133 appendice:

Documento sulla situazione... ... pag. 137 Ipotesi di piattaforma… pag. 144

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Prefazione

di Mimmo Franzinelli

Il titolo di questa raccolta di testimonianze su Teofilo Bertoli - Forno Allione e dintorni - allude alla molteplicità di percorsi esistenziali e sociali che hanno avuto lo stabilimento camuno come essenziale riferimento di lavoro e di impegno sindacale nel mezzo secolo intercorso tra la seconda guerra mondiale e la chiusura degli impianti produttivi.

Attraverso i ricordi di alcuni collaboratori e amici che lo ebbero come compagno di lavoro in fabbrica e come elemento di riferimento nel sindacato, la figura di Teofilo esce delineata nei suoi tratti distintivi: l’onestà, la coerenza, la dedizione al lavoro, la fiducia nella possibilità di costruire una nuova e più equa dimensione nei rapporti interpersonali e sociali. Al fondo del suo impegno stava un irriducibile sentimento di solidarietà con gli operai; come risulta da un’intervista qui di seguito pubblicata, il punto sul quale Bertoli sempre ha insistito è la dignità dei lavoratori, specialmente di quelli meno in grado di far valere i propri diritti, in reparto e altrove.

Ho intervistato in più riprese Bertoli, dal 1978 al 1994, per raccogliere informazioni sulla 54ª Brigata Garibaldi e sul periodo della ricostruzione in Valcamonica. Le sue rievocazioni del movimento partigiano e delle lotte sindacali mi sono da subito apparse particolarmente interessanti in quanto antiretoriche e a tratti addirittura demistificatorie, se raffrontate alla mitologia costruita anche in Valcamonica attorno al fenomeno resistenziale. Lui, garibaldino, non si lasciava condizionare dallo spirito di corpo e senza perifrasi affermava - portando una serie di situazioni vissute di persona - che a livello organizzativo la 54ª Brigata si era rivelata un mezzo disastro, incapace di dotarsi di quell’inquadramento militare che caratterizzò ad esempio le Fiamme Verdi, oppure raccontava l’attacco al presidio fascista di Pontedilegno - con espressioni realistiche - come una sonora sconfitta. Due erano per Bertoli i punti di riferimento positivi di quel periodo travagliato: 1) lo spirito di ribellione contro gli oppressori fascisti e nazisti, come elemento di riscatto della dignità nazionale; 2) il fatto che - a dispetto dell’esiguità della potenza di fuoco dei partigiani - i nazifascisti avessero distolto dal fronte reparti agguerriti per arginare il dilagare della guerriglia, cosicchè si era indirettamente ottenuto il prezioso risultato di favorire l’avanzata degli Alleati.

Talvolta le parole di Teofilo suonavano amare, specie nel denunciare lo scarto esistente tra speranze, potenzialità e sacrifici da un lato e i risultati concreti dall’altro. Eppure, anche nei momenti di più profonda amarezza, il suo è il discorso di chi è ben cosciente che bisogna accollarsi quei sacrifici e impegnarsi anche a livello individuale per modificare - sia pure in misura impercettibile - gli assetti sociali, nell’ambiente in cui ci si trova a vivere e ad operare.

Chi lo ha conosciuto sa bene che in Valcamonica raramente è avvenuto che una persona sia rispettata e stimata, come lui lo è stato, al di fuori della cerchia degli amici e delle persone con cui si condividono vedute politico-ideologiche. Tra le sue doti vi erano la ponderatezza, derivante dall’avere attraversato a fronte alta tante vicende - anche dolorose, e la generosità nel comprendere le ragioni dei comportamenti altrui, per cui non pretendeva la coerenza negli altri ma la praticava. Rimasi stupito, anni addietro, nel vedere che era rimasto amico di un paio di persone che nell’immediato dopoguerra avevano cambiato le loro vedute ideali (le stesse di Teofilo) abbracciando posizioni di segno opposto (assai più remunerative): alle mie riserve di natura morale rispose pacatamente, enumerando i sacrifici che dopo il 1945 un militante sindacale doveva sopportare sacrificando famiglia, benessere e carriera, per cui era logico - questo il senso della sua replica - che non tutti potessero reggere lo sforzo prolungato di un’esistenza così dura. Lui lo aveva fatto, ma non esibiva come titolo di merito la propria linearità né si permetteva giudizi su chi aveva seguito itinerari più agevoli.

Tra i tanti episodi che delineano il quadro della personalità generosa di Teofilo vorrei richiamare quello, dell’immediato dopoguerra, relativo alla controversa sepoltura di un partigiano sovietico - Michele Corbut - arruolatosi con i garibaldini valligiani e ucciso a Malonno l’11 novembre 1944 dai fascisti in un’imboscata. Don Rodondi era contrario a trasferire la salma nel cimitero, con la motivazione che un comunista ateo non poteva venire accolto in luogo consacrato. Bertoli ritenne ingiusta questa discriminazione e sostenne con ostinazione il diritto del russo a riposare nel camposanto di Malonno. La spiacevole questione venne risolta dal vescovo di Brescia, che sulla base di una lettera

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di Teofilo - testimonianza in favore di Corbut: non bestemmiava e, anzi, in un paio di circostanze difficili aveva invocato la protezione della Madonna - “consigliò” all’arciprete di concedere l’inumazione. Don Rodondi si piegò di malavoglia, ma stabilì che la tomba fosse collocata appena dentro il cancello.

Anche in altre occasioni Bertoli fu coinvolto in polemiche serrate con l’arciprete, insieme a un socialista stabilitosi per qualche tempo a Malonno: Ottorino Vecchia, ferroviere socialista, grande amico di Teofilo e come lui attratto da un ideale di vita coerente ed egualitario. Negli anni 1943-45, quando lavorava come capostazione a Forno Allione, Vecchia corse seri rischi aiutando i “ribelli”. Nella testimonianza autobiografica che apre questo volume Bertoli ricorda altre figure di lavoratori più anziani di lui (Giosuè Arimondi, Alfonso Zucchi...), dai quali in certa misura mutuò valori di giustizia e riferimenti sociali cui rimase fedele per tutta la vita e che a sua volta testimoniò per la generazione di operai a lui successiva.

Conclusa la guerra e dopo un quarto di secolo di attiva militanza sindacale condotta giorno dopo giorno nei momenti liberi dal lavoro, Bertoli ha avuto la soddisfazione di veder crescere nella fabbrica di Forno Allione una nuova leva di lavoratori sensibili alle problematiche del sindacato, concepito come l’organismo che a contatto con gli operai ne interpreta le esigenze più significative e preme sulla direzione aziendale per migliorare l’ambiente produttivo ed elevare le condizioni normativo-salariali.

All’inizio degli anni 70, mentre altri della sua generazione rimanevano attaccati al sistema di relazioni sindacali basato sulla Commissione Interna (da tempo trasformatasi in una struttura burocratica), egli si aprì alla radicale novità dei Consigli di fabbrica, rappresentativi di tutti i lavoratori e non soltanto di quelli sindacalizzati, per cui la designazione avveniva su scheda bianca al di fuori da candidature motivate dall’appartenenza all’una o all’altra organizzazione: a decidere l’elezione era essenzialmente la fiducia nutrita dai lavoratori di un reparto verso i loro compagni più rappresentativi1.

Il materiale qui assemblato si presta ad osservazioni di varia natura: politica, sindacale, sociale e anche sociologica. Vengono in mente le analisi elaborate all’inizio degli anni 50 dal giovane funzionario comunista Giancarlo Zinoni, che - inviato in Valle dal PCI con l’improbo compito di attrezzare una rete di sezioni e di cellule - si sforzò innanzitutto di comprendere le peculiarità locali e analizzò il carattere ibrido dell’operaio camuno, condizionato anche a livello culturale dal retroterra agricolo, disposto a sopportare pazientemente le imposizioni imprenditoriali tranne poi esplodere in subitanee forme di protesta per ritornare ben presto alla consueta passività: “È nel suo complesso una classe operaia ancora grezza e giovane, contaminata da un primitivismo provinciale spinto fino a forme acute, tanto da assistere a lotte tra operai di una stessa fabbrica ma di diversi paesi per contendersi il posto di lavoro”2 .

I militanti sindacali qui intervistati appartengono alla generazione successiva, ideologicamente propensa all’unità classista e alle trattative con la controparte aziendale per avviare a soluzione i problemi della fabbrica. La concezione “pansindacale” radicata tra i lavoratori di Forno Allione sin dagli anni 60 diffida della politica e vuole tenere i partiti lontani dal luogo di lavoro; del resto una visione classista precede e sovrasta l’appartenenza alle singole organizzazioni sindacali. Il maggiore elemento di raccordo col passato è forse costituito dall’etica del lavoro, ovvero dalla piena accettazione del proprio ruolo di produttori con quanto ciò comporta in termini di fatica e di orgoglio. Dalla seconda metà degli anni 70 si evidenzia un contrasto via via crescente tra sindacato e direzione dello stabilimento proprio su questo punto: ai delegati che insistono sulla necessità di uscire dalla crisi produttiva col potenziamento dei reparti vengono fornite risposte evasive, dietro le quali - come si è poi visto - stava la totale disponibilità a tradurre in pratica le direttive della multinazionale per la chiusura della fabbrica. Tale obiettivo è stato poi raggiunto, con sistemi anche discutibili e pregiudizievoli dei diritti acquisiti sul piano previdenziale da alcune decine di lavoratori (è tuttora pendente una causa dinanzi alla magistratura, promossa da ex dipendenti che si ritengono danneggiati dalla mancata attuazione delle norme sul prepensionamento).

Una delle ultime battaglie ingaggiate da Teofilo Bertoli e dai suoi compagni di lavoro, quella contro la nocività, non si è ancora conclusa. Le provvisorie risultanze dell’indagine compiuta dalla Clinica del lavoro dell’Università di Pavia e dall’Ussl 15 di Breno confermerebbero le più pessimistiche valutazioni di parte operaia sulla pericolosità di determinate produzioni. Del resto le stesse circostanze della morte di Bertoli, preceduta da escrescenze tumorali, sono probabilmente ricollegabili alla sua presenza pluridecennale nello stabilimento di Forno Allione.

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La smobilitazione dell’Union Carbide, il licenziamento degli ultimi lavoratori senza il beneficio dei meccanismi previdenziali, le risultanze sulla nocività di alcune lavorazioni sono il triste lascito ereditario della struttura produttiva che per un settantennio ha caratterizzato il villaggio di Forno Allione. Gli operai e le loro rappresentanze sindacali hanno fatto il possibile per scongiurare un simile esito, non altrettanto può dirsi per i dirigenti locali. Vorrei citare un piccolo episodio, in sé minimo ma comunque abbastanza significativo, avvenuto nell’estate 1993, quando già le sorti dello stabilimento erano segnate dall’evidente scelta aziendale di chiudere i battenti. La Biblioteca civica di Cedegolo stava allora stampando una monografia sulla storia dello stabilimento, scritta da un ex impiegato dell’Union Carbide, da poco deceduto. Il direttore della fabbrica tentò tutto per evitare la pubblicazione del volume, minacciando addirittura il ricorso alla magistratura contro i promotori del libro, ufficialmente per la tutela del segreto aziendale (motivazione pretestuosa e paradossale valutati sia il contenuto della ricerca sia la fase di avanzata smobilitazione dei reparti), sostanzialmente per la possibilità che il volume venisse recepito dalla comunità locale come uno stimolo alla difesa della realtà produttiva agonizzante, che si voleva chiudere al più presto e senza intralci3 .

Anche la memoria, insomma, può dare fastidio a chi stringe le leve del potere e intende orientarle in una data direzione.

In questo orizzonte tutt’altro che rassicurante, senz’altro fosco dal punto di vista occupazionale, la raccolta di queste testimonianze su Teofilo Bertoli, Forno Allione e dintorni si propone - in linea con il filone ispirativo della collana “Il tempo e la memoria” - come un contributo alla ricostruzione delle esperienze di vita e di lavoro della Valcamonica di ieri, in una fase di travaglio e di cambiamento.

Un attivista sindacale e la sua fabbrica

di Gigi Mastaglia

Ho iniziato a sentir parlare del “Teofilo” in casa, quando mio padre, con mia madre o con altri, discuteva sui problemi del lavoro alla “grafite”, e riferiva aneddoti o esperienze legate all’incarico di “Commissario di Fabbrica”.

Erano molto amici e si stimavano, anche se spesso avevano divergenze sulle questioni politiche, di carattere generale; il Bertoli, comunista, rispettoso delle direttive del partito e mio padre, socialista “alla Pertini”, profondamente convinto della sua scelta ma poco incline ad accettare passivamente le direttive se queste non erano pienamente condivise.

Andavano d’accordo sulle politiche sindacali, e ritenevano l’interesse dei lavoratori che rappresentavano al di sopra degli altri interessi, anche e soprattutto al di sopra di quelli “personali”. Sono stati fianco a fianco, rieletti nella Commissione interna, per dodici anni, fino a che mio padre, per problemi di salute, non ha più accettato di candidarsi ed ha respinto con decisione le sollecitazioni di Teofilo e del segretario provinciale della Filcea-Cgil, Dino Valseriati, che si erano presentati a casa una sera, tentando in ogni modo di convincerlo a desistere dal suo proposito.

Bertoli Teofilo è stato tra i fondatori del Sindacato nello stabilimento di Forno Allione, uno dei più giovani commissari di fabbrica eletti nelle prime vere elezioni del 1946. Ed ha percorso tutto il suo cammino lavorativo, fino alla data della “meritata pensione”, come rappresentante eletto. Mai è venuta a mancare la fiducia che i lavoratori ponevano in lui: è stato punto di riferimento ed esempio per quanti hanno, nel tempo, assunto incarichi sindacali nello stabilimento di Forno Allione, e ciò a prescindere dal Sindacato di appartenenza. È stato vero difensore dei diritti dei lavoratori, è stato il “sindacalista” per antonomasia dell’importante fabbrica camuna.

Nei momenti più difficili, quando i problemi sembravano insormontabili, quando sarebbe venuta la voglia di mollare tutto, lui riusciva con l’esempio e l’esperienza a dare la carica, quella necessaria a continuare. Me lo ricordo nel 1959 (io adolescente di 12 anni, abitante a Forno) durante i 33 giorni di sciopero ad oltranza, proclamato per recuperare l’Una tantum sospesa dall’azienda e trasformarla in 14ª mensilità, con lo stabilimento completamente bloccato, ad arringare i lavoratori che partecipavano ai picchetti, o a discutere animatamente con le mogli di alcuni dipendenti che tentavano di convincere i mariti a desistere dal blocco.

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Lo ricordo protagonista di accese discussioni in assemblea durante il rinnovo contrattuale del 1964, a sostenere la validità del Contratto aziendale sottoscritto all’Associazione Industriale di Brescia (anche se inferiore alle aspettative) e la necessità di chiudere la partita, considerati i segnali di crisi che si stavano manifestando.

Avevo da poco compiuto i 16 anni quando, nell’ottobre 1963, ho iniziato a lavorare nello stabilimento Elettrografite di Forno Allione. Già nel mese di novembre dello stesso anno mi sono trovato coinvolto nei primi scioperi per il rinnovo del Contratto aziendale di lavoro, che faceva comunque riferimento a quello nazionale dei Metalmeccanici appena firmato.

La Direzione, spalleggiata dall’Aib, non intendeva concedere quanto avevano ottenuto i Metalmeccanici nel Contratto nazionale di lavoro e, forte del fatto che si registravano i primi tiepidi segnali di crisi, voleva farla pagare al Sindacato, alla Commissione interna, ai lavoratori complessivamente, che negli anni precedenti erano riusciti ad ottenere significativi risultati.

Lo scontro è stato duro, gli scioperi sono andati avanti per circa 4 mesi, e per la prima volta si sono tenute manifestazioni a Cedegolo, con cortei di moto e di macchine (poche allora) ed un rallentamento del traffico nel tratto antistante la piazza di comunale. Ci sono stati momenti di tensione e di scontro, in fabbrica, tra operai ed impiegati. Alcuni operai hanno risposto con l’occupazione della palazzina alle continue provocazioni che impiegati troppo zelanti indirizzavano a chi, rimettendoci di tasca propria, lottava anche per rinnovare il loro Contratto di lavoro.

In quei momenti, nei quali bastava una scintilla per far esplodere la situazione, Bertoli, sempre presente, spendeva la sua autorevolezza nel cercare di placare gli animi ed esortare i lavoratori a non concedere nulla alle provocazioni, per non compromettere il buon esito della vertenza. Vederlo sicuro, determinato, sempre disponibile al confronto civile, mai incline allo scontro, esercitare il suo ruolo di rappresentante dei lavoratori che si assume le responsabilità fino in fondo è stato per me di grande insegnamento.

In questo periodo, nei primi anni ’60, il Teofilo Bertoli rappresentava già per i lavoratori dell’Elettrografite un valido punto di riferimento, era conosciuto e stimato per quanto aveva fatto negli anni dal ’46 in poi. Sistematicamente riconfermato nella Commissione interna, stimato e rispettato sia dai lavoratori iscritti alla Cgil che da quelli iscritti alla Cisl, sia dalla Direzione.

Non sempre è stato così. Diversa era la situazione negli anni precedenti, nei quali il Teofilo era “il comunista” al servizio del male (il Pci e l’Unione Sovietica); il cattivo da isolare, da discriminare, da mettere in difficoltà, per impedirgli di svolgere il suo ruolo di difensore dei lavoratori, in questa fabbrica che rappresentava nel bene e nel male uno dei pochi luoghi di lavoro e di reddito per le popolazioni dell’alta Vallecamonica. Per inquadrare bene la situazione nella quale ha operato, ritengo sia necessario un breve escursus sulla storia della fabbrica e sulla situazione generale del Sindacato in questo contesto storico.

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L’ELETTROGRAFITE DI FORNO ALLIONE

Nel 1932, la Acheson Graphite Corporation trasferisce a forno Allione la produzione di elettrodi di grafite artificiale che aveva iniziato a Marone, sul lago d’Iseo. Sembra sia stata costretta a lasciare Marone per le pressioni della popolazione preoccupata per l’inquinamento, conseguenza diretta della lavorazione delle sostanze necessarie a realizzare la grafite. Per l’alta Vallecamonica, povera di opportunità di lavoro e falcidiata dall’emigrazione, l’insediamento di questa società, che si chiamerà Elettrografite di Forno Allione, rappresenta una vera manna.

La produzione iniziale è di 1.000 tonnellate annue di elettrodi, che via via aumenteranno fino a toccare il massimo di 24/25mila tonnellate nel 1974 e scenderanno gradatamente negli anni ’80 fino alla chiusura dell’attività nel 1994.

Lo stabilimento inizia la sua attività con circa 100 dipendenti. L’occupazione si espande anche durante la seconda guerra mondiale: periodo in cui è stata sfruttata e diretta dai Tedeschi.

Gli addetti toccheranno la punta massima nel 1963, con 871 unità a cui si debbono aggiungere circa 150 unità (impiegati e dirigenti) nella sede di Milano. Calano a 691 nel 1968, per risalire a 713 nel 1970; poi il declino è costante: 641 nel 1974, con un’ultima impennata nel 1975 a 691 unità, ed a scalare fino alla chiusura dello stabilimento.

Nel 1962 viene realizzato il reparto Karbate. La produzione consiste in tubi di grafite impermeabilizzati con resine sintetiche da utilizzare nella costruzione di scambiatori di calore per le torri di distillazione usate nelle industrie chimiche. Si fa molto affidamento sul nuovo prodotto; sembra che sia destinato a soppiantare la primaria produzione degli elettrodi.

Al Karbate si aggiunge il reparto delle Lavorazioni speciali (mattoni, pompe, pezzi speciali su ordinazione) in grafite impermeabilizzata (impregnata) con le stesse resine sintetiche usate per il Karbate.

L’organico complessivo dei due reparti oscilla tra le 50 e le 70 unità.

La crisi economica (congiunturale), iniziata nel 1964, offre il pretesto all’azienda per ridurre le ore lavorative. Nello stabilimento di Forno Allione, 200 lavoratori sono sospesi a zero ore e, quindi, a varie riprese licenziati (alcuni con premio di buona uscita). La produzione complessiva non cala, sia per le innovazioni tecnologiche introdotte, sia per l’aumento dei ritmi e dei carichi di lavoro in tutte le posizioni di lavoro.

Il 1966 segna il passaggio della maggioranza del pacchetto azionario alla Union Carbide Corporation, con sede a New York. Una multinazionale già affermata a livello mondiale, con aziende sparse ovunque:

produttrice di una gamma di oltre 300 prodotti. Per la produzione di elettrodi di grafite artificiale utilizza stabilimenti in Sudamerica, Spagna, Francia, Germania, Inghilterra, oltre che in Italia. Sappiamo che copre circa l’80% del mercato mondiale egli elettrodi.

È con l’entrata in campo della multinazionale che viene costruito un secondo stabilimenti in Italia (a Caserta), per il quale il contributo a fondo perduto da parte della Cassa per il Mezzogiorno deve essere stato notevole.

Negli anni dal 1967 fino al 1974/75 la produzione è in crescita graduale; i posti di lavoro sono in calo (da 764 a 691 unità). Sono questi gli anni che vedono, sull’onda di quanto succede anche a livello più generale, una ripresa dell’iniziativa sindacale ed una modifica radicale delle rappresentanze nei luoghi di lavoro.

IL SINDACATO IN ITALIA: CENNI STORICI

Dopo il 1922 i dirigenti del Sindacato e dei partiti politici, messi fuori legge dal governo fascista, dovettero operare nella clandestinità, rischiando di persona, per costruire un progetto di vita che sopravvivesse alla dittatura. Uomini come Grandi Buozzi, Di Vittorio, Lizzadri e tanti altri, nelle campagne, nelle fabbriche, in città, sulle montagne, hanno impegnato energie, volontà, vita all’obiettivo primario di far uscire il Paese dal tunnel del fascismo.

Nel 1942, i primi timidi segnali di ripresa dell’attività con le lotte contro la guerra, contro il carovita.

Sono manifestazioni che assumono carattere antinazista, antifascista. Inizialmente sono organizzate da nuclei di fabbrica e nelle campagne; nuclei militari e di partito. La dittatura e la guerra non riescono ad impedire a militanti dei sindacati prefascisti, ad appartenenti al Cnl, di trovarsi clandestinamente ad intrecciare i primi ragionamenti per la realizzazione del nuovo Sindacato unitario dei lavoratori.

Il 9 giugno 1944 viene firmato il “Patto di Roma”, che da vita al Sindacato unitario Cgil (Confederazione Generale Italiana Lavoratori). I partiti politici, fin dall’inizio, sono preoccupati del peso politico che

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potevano o volevano determinare nel nuovo Sindacato: con grande attenzione ne favoriscono e seguono la nascita e per quanto loro possibile si cercano dei punti di riferimento all’interno della nuova struttura di rappresentanti dei lavoratori.

I dissensi diventano di carattere politico, di schieramento, con la collocazione dell’Italia sulla scacchiera internazionale nell’area di influenza americana e della Nato.

Gli anni che vanno dal 1943 al 1950 sono caratterizzati dalle lotte contadine e dalla stipula dei primi contratti nazionali dei settori industriali. Sono anche gli anni della riconversione e della liquidazione delle industrie belliche e dell’aumento della disoccupazione.

I dissensi fra le componenti sindacali che hanno firmato il Patto di Roma, quasi inesistenti durante i primi governi di unità nazionale (fine 1947 - 1948), subiscono un’accelerazione quando l’unità politico- istituzionale va in crisi. I legami delle varie componenti del Sindacato si rinsaldano con i partiti di riferimento. La polemica si accentua sulla opportunità di effettuare i cosiddetti “scioperi politici”. Il settarismo ideologico che permea i vertici dell’organizzazione viene trasferito nei luoghi di lavoro; la tensione a volte raggiunge livelli altissimi e mete fine all’esperienza unitaria postfascista.

Il 1948 è l’anno delle elezioni politiche, le prime dopo l’approvazione della Costituzione repubblicana. È anche l’anno dell’attentato a Togliatti. Si registrano divisioni nel Sindacato sull’opportunità di aderire allo sciopero proclamato dalla corrente socialcomunista, in seguito all’attentato. La democrazia Cristiana, il mondo cattolico, le Acli, i sindacati nordamericani sostengono la divisione fra il sindacalismo cattolico e quello socialcomunista legato al Fronte Popolare ed alla Russia di Stalin.

Nasce la Libera Cgil (16 ottobre 1948), a cui aderiscono, insieme ai militanti sindacali cattolici, quei lavoratori che mal sopportavano il legame soffocante dei partiti. Il Primo Maggio 1950, dalla fusione tra la Libera Cgil e la Fil (Federazione Italiana Lavoratori) nasce la Cisl, che organizza lavoratori della corrente cristiana, parte di quella repubblicana e di quella socialdemocratica (la Fil si sdoppierà: una parte confluisce nella Cisl e l’altra fonderà successivamente la Uil).

Gli anni che vanno dal 1948 al 1958/59 sono segnati da profonde divisioni fra le organizzazioni sindacali.

I partiti politici esercitano un ruolo egemone e soffocante sulla vita del Sindacato italiano. Il padronato, nelle fabbriche, sfrutta questa situazione di divisione, di competitività esasperata fra le organizzazioni; la strategia che sviluppa è quella di inserirsi nelle divisioni, di comprare i più “deboli”, di discriminare e possibilmente punire o licenziare i più “risoluti”, gli irriducibili.

La stagione dei rinnovi contrattuali che si apre nel 1959 è ancora segnata da difficoltà unitarie, il padronato picchia forte, ma è in questa fase che emerge fra le categorie un inizio di unità d’azione.

L’iniziativa unitaria di lotta nel settore Elettromeccanico per la conquista del premio di produzione segna uno dei primi avvenimenti di azione unitaria.

Per la prima volta, nel dopoguerra, il padronato è incalzato da lotte unitarie pressoché di massa; deve subire l’inizio della contrattazione aziendale sui premi, sui cottimi, sulle condizioni di lavoro. Con queste lotte, che si stanno generalizzando in tutto il Paese e coinvolgono altri settori produttivi, oltre a quello Elettromeccanico, si pongono le basi per organizzare capillarmente il Sindacato nei luoghi di lavoro. La conclusione del contratto dei Metalmeccanici nel 1962 è un punto di arrivo di questa stagione di lotte, di ripresa dell’unità d’azione. Queste vicende segnano il primo sfaldamento del granitico fronte padronale.

Gli anni ’60 sono caratterizzati dalla crisi congiunturale (1964/67) e dalla ripresa dell’arroganza da parte del padronato; i contratti di lavoro chiusi nel 1966 nella migliore delle ipotesi consolidano le conquiste dei rinnovi precedenti (1962/63).

Iniziano i primi scioperi sui problemi sociali ed assistenziali, nel 1968 contro l’insoddisfacente accordo sulle pensioni, siglato dalle Confederazioni nazionali ma bocciato nelle assemblee; ma già nel 1964, a Milano, ci fu il primo sciopero generale contro l’aumento degli affitti e per una diversa politica della casa.

È nei primi anni ’60 che si formano i militanti sindacali che poi ritroveremo protagonisti della ripresa delle lotte nel 1967/68. Sono lotte e iniziative che saldano i movimenti dei grandi centri industriali con quelli relativamente nuovi e che vedono scendere in lotta a fianco degli operai delle fabbriche anche i lavoratori dell’agricoltura. Il ’68 inteso come periodo di grandi movimenti, di lotte, è una forgia di fermenti per un generale rinnovamento della società. È in quegli anni che nel Sindacato si rivendica l’autonomia, si chiede più unità d’azione, nascono le prime esperienze di rappresentanze sindacali diverse dalle Commissioni interne, fino alla costituzione dei primi Consigli di Fabbrica.

Il Sindacato in via di rinnovamento si proietta verso la stagione delle grandi riforme (Sanità, casa, Statuto dei diritti dei lavoratori, ecc.); nasce l’interesse e si avvia l’azione del Sindacato attorno ai problemi sociali anche fuori dal luogo di lavoro.

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La ventata innovativa introdotta nel sindacato in questi anni, la richiesta generalizzata di puntare al superamento delle divisioni, le grandi lotte attorno a problemi di carattere più generale e non corporativo fanno sì che l’unità d’azione non diventi il traguardo da raggiungere ma il punto di partenza per costruire l’unità del Sindacato, nei luoghi di lavoro e nel Paese. Sono gli anni delle lotte insieme agli studenti, sui problemi più generali. Si parla di riforme ed insieme di riformare la stessa presenza del Sindacato nella società.

Con la costituzione dei primi Consigli di fabbrica (1970) si consolida e si sviluppa la contrattazione articolata nei luoghi di lavoro; a livello nazionale si qualifica la contrattazione delle Categorie, e si firmano gli accordi sul superamento delle “gabbie” salariali, sulle pensioni, sui salari.

Sono anche gli anni della “Strategia della tensione”, la buia stagione iniziata con lo scoppio della bomba alla Banca Nazionale dell’agricoltura di Milano il 12 dicembre 1969 e proseguita poi per tutti gli anni ’70, culminata con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro e lo sterminio della sua scorta. Il Sindacato è stato in prima fila nella difesa delle libertà democratiche, non vi sono stati tentennamenti nel condannare il terrorismo, tutto il terrorismo, quello dipinto di nero e quello dipinto di rosso.

Nascono i Consigli Intercategoriali di Zona, si cominciano le prime esperienze di Sindacato proiettato nel territorio, che approfondisce, elabora proposte, avvia la contrattazione con le controparti istituzionali sui problemi della sanità, delle infrastrutture (trasporti), del territorio e dell’ambiente. Sono anni di grande fermento unitario vissuti con grande entusiasmo fino quasi alla realizzazione dell’unità sindacale.

Nel 1975 si sottoscrive l’accordo sulle pensioni e quello che prevede la garanzia del salario in caso di crisi aziendale e di settore. Si sente l’esigenza di essere presenti e protagonisti nei luoghi dove si fa programmazione e dove si effettuano le scelte produttive.

Per ritornare al Sindacato in fabbrica a Forno Allione ed all’esperienza di Teofilo Bertoli, è utile ricordare che, dopo il sostanziale idillio nei primi anni del dopoguerra, le divisioni avvenute a livello nazionale si sono diramate su tutto il territorio e sono penetrate nei luoghi di lavoro dove il Sindacato si era organizzato. Dalle commissioni interne “unitarie” si è passati alla elezione dei commissari di fabbrica su liste presentate dalle singole organizzazioni, nate dalla scissione della confederazione Generale del Lavoro.

Indubbiamente, tenuto conto dell’aspro scontro in atto nel Paese, non si può certo pensare ad una tranquillità nella fabbrica dell’Elettrografite. Io non so se tutto quanto il Bertoli ha raccontato nell’intervista autobiografica sia esattamente aderente alla realtà che allora si viveva in fabbrica. Non sono in possesso di elementi per confutare in bene o in male questi ricordi; certamente la vita non deve essere stata facile. I sospetti di manovre “aziendali” su questo o su quel commissario, di questa o di quella organizzazione, sono stati a volte avvalorati da improvvise carriere o da atteggiamenti conniventi in occasione di confronti o trattative.

Non mi voglio dilungare su un periodo che non ho vissuto direttamente, ma solo “per sentito dire”, quindi lascio ai contributi di Teofilo e degli altri compagni ed amici l’arricchimento dei contenuti di questa pubblicazione relativi a quel periodo.

Intendo riprendere le mie considerazioni con l’anno 1968, quando tornato dal servizio militare ho ripreso la mia attività nello stabilimento di Forno Allione. Avevo 21 anni e fuori dalla fabbrica frequentavo uno dei tanti “Gruppi giovanili” composti da operai e studenti che pensavano di voler “cambiare il mondo”.

Lunghissime discussioni “su tutto”; grande entusiasmo, grande disponibilità, tanta voglia di fare; non sempre finalizzati. L’importante era discutere, elaborare, proporre; credere di poter dare un contributo al cambiamento della società.

Nel frattempo, verso la fine di quell’anno, le organizzazioni sindacali provinciali, tramite i propri rappresentanti territoriali, ed alcune forze politiche (Pci, Dc, Psi, Psdi, Psiup) hanno iniziato a mettere in piedi un “Comitato per la rinascita della Vallecamonica” che doveva preparare una piattaforma di richieste su cui impegnarsi per favorire lo sviluppo locale.

In questo Comitato erano presenti rappresentanti delle varie forze politiche e sociali e alcuni rappresentanti espressi dai vari Gruppi giovanili. Ho saputo poi che a chiedere l’inserimento dei giovani nel Comitato è stato in modo particolare Bertoli, durante le riunioni precedenti la costituzione del Comitato stesso. Credeva molto nei giovani, era disponibile al confronto, anche aspro se serviva, ma ha sempre dimostrato ampia credibilità in quel che stava venendo avanti, in quegli anni, di nuovo.

Nel Comitato si è iniziato a lavorare per definire le priorità su cui richiamare l’attenzione, si sono ciclostilati migliaia di volantini (distribuiti in tutta la Vallecamonica) per far conoscere alla gente quali erano le proposte per cui si stava lavorando. Attraverso volantinaggi nelle piazze, durante i mercati di paese, si è costruita sensibilità attorno alle richieste e per la prima volta, in Vallecamonica, si è giunti alla proclamazione di uno sciopero generale con manifestazione a Breno (29 settembre 1969). Il comizio di

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chiusura lo ha tenuto Melino Pillitteri, allora Segretario generale della Cisl di Brescia. Questa prima esperienza di lavoro è stata propedeutica per altri momenti di iniziativa, negli anni a venire, non solo fuori dalla fabbrica, ma proprio a partire dalla fabbrica.

Nel 1970 le Organizzazioni sindacali presenti alla Union Carbide Italia di Forno Allione, la Cgil e la Cisl, erano organizzate per sezioni Aziendali Sindacali (Sas) ed esprimevano ognuna i propri rappresentanti da mettere in lista per l’elezione della Commissione interna. L’elezione avveniva su liste precostituite, e durava in carica 4 anni (come peraltro previsto dall’accordo interconfederale).

I titolari della contrattazione, in fabbrica, erano i commissari. Le Sas avevano solo ruolo di coordinamento degli iscritti, fungevano da rappresentanti del Sindacato in fabbrica e da supporter delle Commissioni interne.

Il dibattito sulla possibilità di creare i Consigli di fabbrica, in seguito destinati a divenire le uniche strutture di base del sindacato nel luogo di lavoro, con potere contrattuale e di rappresentanza, ha alimentato sospetti ed accesi dibattiti, sia all’interno delle Organizzazioni sindacali che nelle Sas aziendali.

Naturalmente i più accaniti avversari erano quei commissari di fabbrica che non intendevano mettersi in discussione e soprattutto non accettavano nuove forme di rappresentanza. Nella Sas Cisl le discussioni sono state vivaci, ma con l’intervento a favore dei giovani da parte di Franco Castrezzati e Roberto Ravelli Damioli, operatore della Cisl di Brescia in Vallecamonica, si è trovato un compromesso ragionevole, che da un lato ha permesso l’elezione del Consiglio di fabbrica ed in contemporanea l’elezione della Commissione interna.

In questa fase Teofilo Bertoli, come era prevedibile, insieme ad altri commissari come lui meno preoccupati di mettersi in discussione, ha favorito nel modo più generoso possibile la nascita del nuovo organismo, intravedendo in questa forma di rappresentanza lo strumento per il superamento delle divisioni e l’embrione della possibile unità sindacale.

Anzi, per dimostrare quanto credeva nel nuovo organismo, non si è più candidato all’elezione delle Commissione interna, ma ha dichiarato la sua disponibilità (se eletto) a fare il Delegato del reparto Torneria (nel quale lavorava): naturalmente è stato eletto con il massimo consenso.

Il Consiglio di fabbrica era composto da delegati eletti, rigorosamente su scheda bianca ed a scrutinio segreto, dai lavoratori di un determinato reparto o gruppo omogeneo di lavoro e, per i reparti nei quali si lavorava a turni e a ciclo continuo, ogni turno di lavoro esprimeva un suo delegato. Il rappresentante dei lavoratori, dunque, era sempre presente con il suo gruppo omogeneo: viveva con i suoi compagni ed in prima persona i problemi che poi sapeva rappresentare con migliore efficacia.

Le prime contrattazioni impostate dal Consiglio, insieme alla Commissione interna, riguardavano la mensa aziendale, il fondo di assistenza integrativo (18.10.1970), borse di studio per i figli dei dipendenti, la fornitura di scarpe antinfortunistiche (22.10.1970), indennità aggiuntiva per compensare il disagio dei turni per i portinai e le guardie giurate e la riduzione progressiva delle ore supplementari e straordinarie in tutto lo stabilimento (29.01.1971).

Questi primi “accordi” firmati sia dalla Commissione interna che dall’Esecutivo del Consiglio di fabbrica, rappresentano (al di là dei contenuti) un passo importante per il riconoscimento del nuovo organismo di rappresentanza e per il ruolo contrattuale che esso avrebbe potuto svolgere da qual momento in poi.

Lo Statuto dei diritti dei lavoratori (Legge n.300 del 1970) ha indubbiamente facilitato la possibilità di organizzare sindacalmente le realtà produttive. Il riconoscimento delle Rappresentanze sindacali aziendali quali agenti contrattuali oltre alle Commissioni interne ha reso meno difficile per il Consiglio di fabbrica la conquista del potere contrattuale ed il ruolo di rappresentanza unica dei lavoratori, ma il cammino è stato spesso accidentato, soprattutto nella prima fase.

Il 1971 si è costruita la prima vera piattaforma rivendicativa di carattere generale: non più richieste parcellizzate, specifiche per qualche reparto o per qualche posizione di lavoro, ma di interesse generale, oltre che di importanza strategica. Erano i periodi delle grandi riforme (nel mondo del lavoro e nella società): lo Statuto dei lavoratori, la Riforma sanitaria, la Casa. Alla Union Carbide Italia il problema ambiente di lavoro, collegato alla tutela della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori, è stato posto al centro dell’iniziativa sindacale.

Prima di allora, la tendenza della Direzione era quella di “monetizzare” la salute: in pratica, a fronte di un lavoro definito “gravoso” veniva pagata una quota aggiuntiva sulla busta paga. Verso la fine degli anni ’50 l’Azienda era riuscita a far scomparire dal Contratto aziendale la dicitura “nocivo” riferita ad alcune lavorazioni (nei reparti Materie prime e Trafilatura per la movimentazione della pece; nel reparto Impregnazione; nei raparti Cottura e Grafitazione durante la curva di riscaldamento ed al momento dello scarico Forni). Il “nocivo” poteva rappresentare per l’Azienda un pericolo, in prospettiva: i lavoratori a

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contatto con queste lavorazioni avrebbero potuto chiedere il riconoscimento di malattia professionale, in caso di necessità; il “gravoso”, invece, non comportava alcunché.

Bertoli Teofilo, insieme a pochi altri, già a quei tempi si era opposto caparbiamente alle intenzioni dell’Azienda, ma quest’ultima tanto fece e tanto “brigò” che riuscì nel suo intento. Al “nonno”, come lo chiamavamo affettuosamente noi giovani, non parve vero di poter promuovere una vertenza sulla tutela della salute, per migliorare gli ambenti di lavoro e per scongiurare infortuni e malattie professionali.

Le richieste qualificanti della piattaforma del 1971 erano quelle riferite alla possibilità di far entrare in fabbrica una struttura universitaria (nel nostro caso, la Clinica del Lavoro dell’Università di Milano) per avviare un’indagine conoscitiva delle condizioni ambientali e, naturalmente, quella riferita al riconoscimento del Consiglio di fabbrica quale agente contrattuale a tutti gli effetti. Le altre richieste erano di contorno, complementari, sicuramente meno significative.

La contrattazione in azienda ha sgrossato le questioni di minore importanza, ma quando siamo arrivati a quelle importanti le difficoltà sono emerse. La Direzione non intendeva più andare avanti, aveva “mollato”

su qualche categoria, sull’aumento salariale e su altre cosette, ma su quello che più ci interessava non intendeva più trattare. Anche al nostro interno sono sorte alcune perplessità: se chiudere a quel punto o partire con le ostilità per ottenere di più. Serviva un passaggio nel Consiglio di fabbrica e in Assemblea. La delegazione contrattuale ha “siglato con riserva” il verbale.

La riunione del Consiglio di fabbrica è stata tempestosa, rappresentanti della “vecchia guardia”

spingevano per accettare la proposta dell’Azienda, ma la maggioranza, Bertoli in testa schierato con tutta la sua autorevolezza a fianco dei giovani, ha deciso di andare in assemblea a proporre di respingere l’ipotesi di accordo. In assemblea la discussione non è stata meno vivace, ma alla fine il nuovo organismo di rappresentanza ha raccolto la maggioranza dei consensi per procedere con la vertenza, anche a costo di sostenere con la lotta le nostre richieste.

La Direzione, probabilmente con l’intento di mettere in difficoltà il Consiglio di fabbrica, ha spostato il tavolo del confronto presso l’Associazione Industriale Bresciana, costringendoci a coinvolgere nel confronto le Segreterie provinciali di categoria. Pensavano che il nuovo organismo di rappresentanza di fabbrica venisse sconfessato, o che il confronto si incanalasse su binari più tranquilli: si sbagliava di grosso!

Per circa tre mesi il Consiglio di fabbrica, in pieno accordo con le strutture provinciali, è riuscito a tenere la situazione, con una serie di scioperi molto partecipati, programmati in modo di incidere il meno possibile sulle tasche dei lavoratori, ma di pesare molto su quelle dell’Azienda.

La vertenza è stata portata a conoscenza degli abitanti dell’alta Vallecamonica: ogni giorno si giravano i paesi a distribuire volantini sui quali erano distribuite le nostre richieste e nei quali si chiedeva solidarietà. Si sono sollecitate le Amministrazioni comunali a prendere posizione con Ordini del giorno a favore dei lavoratori, e l’una cosa e l’altra hanno favorito l’intervento del Prefetto di Brescia, che ha convocato le parti e, dopo un’estenuante trattativa, fra rotture dichiarate e ripresa del confronto, si è riusciti a concludere un accordo soddisfacente.

La Clinica del Lavoro poteva avviare l’indagine ambientale ed il Consiglio di fabbrica veniva riconosciuto organismo di rappresentanza dei lavoratori e agente contrattuale.

Durante questa difficile vertenza, l’impegno e l’autorevolezza di Teofilo Bertoli ci sono stati di grande aiuto. Lui ha saputo rappresentare la cerniera di congiunzione tra passato e futuro, seguito dai lavoratori anziani, che a volte dubitavano sulle capacità dei giovani, stimato ed ascoltato da questi ultimi per gli insegnamenti trasmessi con grande umanità ed umiltà, tanto da essere considerati preziosi consigli del

“nonno”.

Il Consiglio di Fabbrica, da quel momento è diventato il vero organismo di rappresentanza dei lavoratori e la Direzione non ha potuto che prenderne atto.

Nell’accordo sottoscritto si sono ottenuti permessi retribuiti per svolgere l’attività sindacale durante il normale ciclo lavorativo, un “monte ore” aggiuntivo a quello previsto dallo Statuto dei Lavoratori per i dirigenti sindacali. Queste ore sono state impiegate per avere un operatore a tempo pieno addetto al coordinamento delle attività sindacali in fabbrica. Questa soluzione ha permesso di organizzare le iniziative nel modo migliore, con un rappresentante costantemente a disposizione per qualsiasi evenienza, punto di riferimento per i Delegati di Reparto per affrontare ogni problema di rilevanza sindacale. Si è chiesto ed ottenuto un Ufficio (sede del Consiglio di Fabbrica), che è stato predisposto per l’attività minima necessaria (scrivania, armadi/archivio, telefono, ciclostile, macchina da scrivere, ecc.).

Con il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro dell’industria Chimica, nel 1972, dopo aver effettuato un’analisi comparativa (articolo per articolo) del nostro contratto aziendale con quello nazionale di categoria ed aver garantito ai lavoratori Uci le condizioni di miglior favore acquisite, si è deciso di collegarci

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definitivamente al Contratto Nazionale dell’Industria Chimica. Questo ha comportato il passaggio degli iscritti Cisl dalla Fim (Metalmeccanici) alla Federchimici (Chimici), la Cgil era già seguita dai chimici.

Nell’occasione io venni eletto nella Segreteria dei Chimici Cisl Provinciale e Cesare Bazzana in quella Cgil31, pur continuando a lavorare in fabbrica. Nei Direttivi Provinciali di Categoria eravamo già presenti in numero significativo; Bertoli Teofilo faceva naturalmente parte di quello Cgil.

La sua e la nostra presenza, negli organismi sindacali Provinciali di Categoria è stata un’esperienza positiva e per certi versi scioccante. E’ vero che eravamo nella stagione dell’unità sindacale “invocata” ma, è altrettanto vero che le resistenze interne ai vari organismi non mancavano. Molti dei Delegati presenti (sia in quello Cisl che in quello Cgil), provenivano da un’esperienza di divisioni e di lacerazioni non ancora sopite.

In alcune importanti Fabbriche Bresciane (Caffaro, Ideal Standard, Ruggeri, ecc.), tali divisioni, costruite spesso su pregiudizi personali più che su vere diversità ideologiche, persistevano e si scaricavano nei Direttivi delle rispettive Federazioni di Categoria. I rappresentanti della Uci avevano lo stesso linguaggio e sostenevano le stesse linee nei propri Direttivi e nei momenti di riflessione unitaria. Tutto questo suonava alquanto strano ai nostri colleghi Bresciani, non riuscivano a capacitarsene.

Risultava incomprensibile, come il Bertoli, vecchio compagno comunista e vecchio militante sindacale della Cgil, ex commissario di fabbrica, riuscisse a parlare ed a praticare in modo convinto l’unità, con quei

“venduti della Cisl”; le stesse diffidenze sono state dedicate ai “giovani della Cisl” che hanno dovuto sostenere al proprio interno un esame meticoloso, per guadagnarsi “sul campo” la stima o almeno il rispetto degli irriducibili amici nel Direttivo. Quello che comunque ha sempre destato curiosità, in quel di Brescia, si riferiva al sostanziale accordo unitario che animava il gruppo di Delegati Uci e ciò a prescindere dalle pur diverse convinzioni ed appartenenze politiche di ognuno.

Nella Fabbrica si praticava l’unità sindacale a tutti gli effetti, pur nel rispetto di alcune forme e degli statuti delle singole Organizzazioni Sindacali di appartenenza. Di comune accordo, quando entrava in fabbrica un nuovo lavoratore, questi veniva avvicinato dal suo Delegato di reparto ed invitato ad iscriversi al sindacato. La scelta dell’organizzazione era garantita per chi ne faceva specifica richiesta, per gli altri l’assegnazione veniva fatta considerando che ad ogni organizzazione spettava lo stesso numero di iscritti, per anni si è proceduto in questo modo, con piena soddisfazione di tutti. Ad un certo punto si sono stampate tessere unitarie firmate dalla Segreteria Sindacale del Consiglio di Fabbrica e si è riusciti ad ottenere la Tessera Unitaria della Fulc (Federazione Unitaria Lavoratori Chimici); naturalmente queste tessere non sono mai state sostitutive di quelle Confederali, che venivano distribuite, agli iscritti, regolarmente insieme alle unitarie.

Nella prima metà degli anni ’70, dopo il radicamento dei Consigli di Fabbrica nei luoghi di lavoro, si sono costituiti i Consigli Unitari di Zona (in un primo tempo chiamati Comitati Intercategoriali di Zona).

Ogni Consiglio di Fabbrica, nominava suoi rappresentanti in questo nuovo organismo, coordinato dagli Operatori di Zona delle Confederazioni Sindacali Cgil Cisl Uil. Il Consiglio di Fabbrica Uci ha garantito una significativa presenza nel Consiglio Unitario di Zona ed offerto una fattiva collaborazione.

Il Consiglio Unitario di Zona, metteva in contatto le varie realtà sindacali presenti ed operanti nei luoghi di lavoro della Vallecamonica. Rappresentanti di tutte le categorie, realtà produttive e di lavoro, che si trovavano per socializzare le proprie esperienze ma soprattutto per discutere dei problemi sociali ed economici del Territorio. Si sono, in quegli anni impostate le prime vertenze sulle Politiche Territoriali, il Sindacato ha maturato la convinzione che gli interessi dei lavoratori non si difendevano più solo rimanendo all’interno dei luoghi di lavoro, dentro i cancelli delle fabbriche.

Si è praticata, inoltre, la solidarietà di classe con i lavoratori e le lavoratrici delle piccole aziende, dentro le quali era estremamente difficile riuscire ad impostare una politica di tutela sindacale; in alcune occasioni si sono organizzati scioperi generali a sostegno di vertenze, o contro licenziamenti arbitrari, o ancora, a sostegno di richieste di carattere generale.

Intanto, si stavano addensando dense nubi sullo stabilimento di Forno Allione, la Dirigenza Italiana della Union Carbide forte della presenza bipolare con lo stabilimento di Caserta ormai funzionante a pieno regime, anzi con capacità produttive superiori alla reale produzione effettuata, stava avviando una politica di graduale sganciamento dalla Zona.

Ce ne siamo accorti da alcuni particolari atteggiamenti che il gruppo dirigente locale stava attuando in sordina. Nessun investimento per nuovi impianti produttivi; scarsa introduzione di innovazione tecnologica;

tendenza a trascurare la qualità del prodotto; graduale ridimensionamento degli unici due reparti che rappresentavano una diversificazione produttiva nel prodotto (Karbate e Lavorazioni Speciali) rispetto ai tradizionali Elettrodi.

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La chiusura del Karbate sembrava imminente, ed all’opposizione motivata dei Lavoratori e del Consiglio di Fabbrica, la Direzione, approfittando della congiuntura legata alla crisi petrolifera, ha risposto riducendo la produzione ed ha cercato di imporre la Cassa Integrazione Guadagni. Il Consiglio di Fabbrica, valutando questa richiesta strumentale, ha negato l’assenso necessario al riconoscimento dello stato di crisi richiesto dall’Inps per concedere la Cig Ordinaria. La Direzione, spalleggiata dall’Associazione Industriali Bresciana, ha dichiarato “la serrata”; Mai era capitato che fosse l’azienda a decidere la “sospensione” di fatto del lavoro.

Il Consiglio di Fabbrica ha immediatamente convocato, i lavoratori in assemblea, e nonostante la situazione fosse alquanto delicata, riuscimmo a far capire che l’obiettivo della Direzione era tutt’altro che una piccola riduzione temporanea della produzione, volevano provarci la febbre per proseguire con la politica del graduale ridimensionamento dell’unità produttiva di Forno e di conseguenza con la riduzione dei posti di lavoro. Per tre settimane, nell’ottobre 1975, i lavoratori fuori dall’azienda a presidiare, al freddo, sotto la pioggia, 24 ore su 24, hanno opposto un dignitoso e fermo rifiuto al disegno dell’azienda. A sostegno della lotta si sono mobilitate le Forze politiche e sociali, gli studenti, le amministrazioni locali, le parrocchie.

Il rientro in fabbrica dopo la serrata è stato burrascoso (vedi altre testimonianze nel libro), ma alla fine la Direzione ha capitolato e sottoscritto un accordo39, che garantiva i livelli occupazionali, anche se ormai era nell’aria l’imminente liquidazione del reparto Karbate, “spostato” letteralmente in quel di Milano e precisamente a S. Donato Milanese.

Fortunatamente, in virtù dell’accordo sottoscritto i lavoratori sono stati assorbiti in manutenzione ed in altri reparti. Almeno per il momento la riduzione dei posti di lavoro era scongiurata.

Ovviamente, in questa fase, come del resto in tutte quelle precedenti, il contributo di Teofilo Bertoli è stato prezioso, come lo è stato nell’ultima parte della sua permanenza alle dipendenze della Uci di Forno Allione. Bertoli è andato in pensione il 1° Ottobre 1977, è rimasto nel Consiglio di Fabbrica, come Delegato fino all’ultimo giorno e mai si è sottratto ai suoi doveri di Rappresentante Sindacale.

Il “Documento sulla situazione economica produttiva e sindacale dell’Uci nel contesto della Vallecamonica” e l’impostazione della Piattaforma rivendicativa inoltrata alla Direzione nel Settembre 1977 (che troverete pubblicati in appendice), rappresentano l’ultimo sforzo di proposta e di iniziativa al quale Teofilo Bertoli “il Nonno” contribuì fattivamente a costruire insieme ai compagni ed amici.

Nell’Ufficio del Consiglio di Fabbrica, su una parete, un grande riquadro di legno compensato dove venivano affisse alcune, tra le tante, fotografie di manifestazioni sindacali, quando il Nonno è andato in pensione, si è arricchito di una fotografia, formato tessera ma ingrandita a “poster”, del Fondatore del Sindacato in fabbrica, del Sindacalista per eccellenza Teofilo Bertoli.

L’operazione si è potuta fare solo dopo che lui ha cessato di lavorare, per evitare sicuri rimbrotti; questa fotografia, al centro del riquadro, circondata da foto di lavoratori ripresi in manifestazioni sindacali e nei momenti significativi di lotta in fabbrica, ha rappresentato efficacemente il ruolo che Teofilo Bertoli ha ricoperto all’interno della fabbrica e nel territorio in qualità di Rappresentante dei Lavoratori.

Il Compagno Bertoli, ha continuato ad essere disponibile negli anni della meritata pensione, la sua umanità e la voglia di essere utile non sono andate “in pensione”. Ricordarlo ora, in questa collana, è il minimo che si poteva fare in segno di riconoscenza per quanto lui ha fatto per gli altri.

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