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PIU VICINI AI PIU POVERI

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Academic year: 2022

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31 dicembre 2018 Eucarestia di Maria Santissima Madre di Dio ore 19,15 – discorso al “ringraziamento”

PIU’ VICINI AI PIU’ POVERI

Uno dei doni più grandi che la nostra parrocchia ha ricevuto in questi ultimi anni è stata una maggiore vicinanza alla vita dei più poveri. E’ a questa accresciuta intimità che desidero dedicare le riflessioni del 31 dicembre di quest’anno.

Sono consapevole che la parola “poveri” esigerebbe molti chiarimenti, primo fra tutti quello relativo al fatto che avvicinandosi a chi è povero di beni, di opportunità, di diritti ci si scopre poveri di qualcosa di ben più profondo: poveri di umanità, di giustizia, di sensibilità… di fede e di speranza1.

Parlo di maggiore vicinanza ai poveri nel senso più immediato che tale espressione può avere. La vita parrocchiale è occasione per intrecciare la vita con persone alle prese con deficit economici, relazionali, fisici, sociali di particolare rilievo, e quando si mette semplicemente la propria vita a fianco di quella delle persone che le circostanze ci fanno incontrare, succede qualcosa di particolare, di bello, di importante. Ecco, posso dire che questo “qualcosa” è successo anche alla nostra comunità proprio grazie al contatto reale con chi di tali difficoltà fa esperienza quotidiana2.

Come primo punto racconterò alcuni “segnali” di questo accadimento, che si è insinuato nelle nostre vite con la discrezione di un amicizia, la semplicità di una confidenza, la gioia di una scoperta; ci siamo sorpresi più vicini ai più poveri, con l’impressione precisa che ciò sia arrivato come un

1 Riporto qui quanto scritto nel discorso al ringraziamento del 2013, anch’esso dedicato ai poveri: “Per evitare parole inutilmente retoriche desidero tenere presente che Don Mario Prandi, fondatore delle

“Case della carità”, ricordava spesso che i poveri sono i più prossimi a Dio e averli con se è un grosso regalo che ci viene fatto: in loro è il Signore che ci viene incontro e che ci salva. Parole in forte sintonia con quelle di Papa Francesco il quale ama dire che toccare il corpo e la vita di persone segnate dalla fragilità è toccare “la carne di Cristo”. Sento molto vera anche un’altra affermazione: «I poveri sono il sacramento del peccato nel mondo», parlarne significa essere immediatamente chiamati a conversione”.

2 Per completezza riporto qui i temi dei discorsi al ringraziamento degli altri anni, in essi la vita dei più poveri compare sempre come compagnia preziosa per la nostra comunità: “La gente in mezzo alla quale il Signore ci ha posti a vivere” (2009), “Le persone e i gruppi attivi nella vita parrocchiale” (2010), “ La

‘vocazione’ educativa della nostra parrocchia” (2011), “La chiamata a diventare ‘nuova parrocchia’”

(2012), “I poveri li avete sempre con voi” (2013), “Segni dei tempi” (2014), “Opere di misericordia”

(2015), “Il progetto pastorale comune” (2016) “Essere e fare il parroco al Corpus Domini” (2017).

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grande regalo. Farò un elenco di vicinanze-intimità con la vita dei più poveri che, negli anni, sono diventate consuetudine e quotidianità.

Il secondo punto di queste riflessioni avrà come titolo: “Nuove compagnie”. Sarà dedicato a raccogliere le tracce di vite esposte a ferite o a rischi di svilimento con le quali più di recente siamo venuti a contatto o nei confronti delle quali non è ancora scattata una maggiore prossimità;

chissà che non possa presto accadere!

Segnali di intimità

“Le mie ragazze” i “nostri ragazzi”

Mi hanno anzitutto colpito Le parole raccolte dalle labbra di alcune persone della comunità. “Domani porto la comunione alle mie ragazze”, così ogni tanto si esprime Antonella e – più di recente – “ora che le mie ragazze sono morte ne sento la mancanza”. Le sue “ragazze” sono quel gruppetto di anziane e malate, bloccate in casa dall’età o dalla malattia, che le sono state affidate come “ministra straordinaria dell’Eucarestia”. Le parole dicono tanto della vita delle persone e quelle di Antonella credo esprimano il bene ciò che il gruppo dei ministri dell’Eucarestia e tutta la comunità sperimenta nel contatto fedele con gli anziani, gli ammalati, le persone alle prese con le varie forme dei disturbi cognitivi, ecc. A riguardo di anziani e ammalati mi piace parlare di un popolo, numeroso e nascosto, custodito nelle nostre case e nelle strutture sanitarie; un popolo con una sua lingua, sue usanze, sui ritmi di vita; un popolo che coinvolge – spesso trascina – nelle proprie esigenze interi mondi familiari che si trovano improvvisamente a guardare il mondo da un lato prima mai esplorato.

Questa attenzione non è certo una novità nella vita della nostra comunità;

basti pensare alla lunghissima perseveranza di Teresa nel visitare gli ammalati e nella sua tenacia nel ricordare a tutti il dono prezioso del contatto con loro. Forse negli anni questo contatto è diventato un po’ più vicenda condivisa dalla comunità e un po’ meno delega o campo di azione riservato ad alcuni. Sta di fatto che l’espressione “le mie ragazze” la dice lunga su come questo mondo di relazioni sia diventato significativo.

Un'altra espressione molto simile (“I nostri ragazzi”) è da tempo sulle labbra di altre persone che nella nostra comunità condividono tempo e vita con giovani e adulti diversamente abili. L’esperienza denominata

“PerTuttiTime” ha ormai diversi anni di vita, gode sempre di nuove presenze e ad essa si affiancano altri progetti (ad esempio “A casa con sostegno” in oratorio) che arricchiscono il nostro centro parrocchiale del punto di vista di chi guarda il mondo con gli occhi allungati dalla sindrome di down, con la semplicità esito di uno sviluppo rimasto bambino, con il

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necessario affidarsi ad altri legato a patologie di nascita o di crescita, ecc.

Anche i campi-giovani ne risultano arricchiti (la presenza di Alessandro ne è un esempio) come pure le nostre liturgie sono più familiari quando in assemblea è presente Lia, oppure Lisa ed Elena, o Martina, ecc. E’ in cantiere un passo ulteriore in questa direzione, grazie alla sensibilità e alla competenza di alcune persone della coop. “La Bula”: l’attivazione di laboratori mattutini per persone diversamente abili che hanno varcato la soglia dei 50 anni di età, per le quali le opportunità di inserimento lavorativo diminuiscono.

“Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme”

Quest’anno in occasione della domenica “per educare insieme”, dedicata alla riflessione e alla preghiera con tutti coloro che a diverso titolo nel nostro centro parrocchiale accompagnano la vita dei più piccoli, abbiamo letto e commentato la lettere inviata da Papa Francesco a tutto il popolo di Dio sulla realtà degli abusi sessuali, di potere e di coscienza di cui tante persone, spesso minorenni, sono vittime3. E’ stata una tappa preziosa per ravvivare e affinare una sensibilità nei confronti delle urla di dolore dei piccoli e dei giovani che negli anni è andata crescendo.

Circa l’esposizione dei più piccoli a soprusi e violenze ricordo ancora una volta il nostro svegliarci in occasione di un Gr.Est.; ci trovammo a conoscere fatti dei quali non sospettavamo l’esistenza così vicino a noi.

Furono i Servizi Sociali a informarci, dando così contenuti precisi a sensazioni e domande nate in noi da segnali colti nella vita di bimbi e bimbe; da allora si è avviata una collaborazione stretta con i Servizi a riguardo della tutela di minori e mamme in situazioni di difficoltà. Tutto questo, ovviamente, rispettando la privacy delle persone, in una sussidiarietà di ruoli e sollecitando la giusta presa in carico da parte di chi ne ha il dovere. Il compito che come comunità ci siamo trovati a svolgere è quello di essere un “grembo a disposizione” per il tratto di cammino di cui queste persone hanno bisogno. Le forme sono tante: dare affetto e attenzione a un bimbo consapevoli dei passaggi difficili che sta vivendo, tenere per qualche ora i neonati di mamme sole affinchè queste possano studiare l’italiano o una materia universitaria, allestire in fretta un alloggio pubblico resosi finalmente disponibile in modo da renderlo confortevole per l’ingresso di bimbi e mamme, reperire beni di prima necessità o oggetti necessari per la cura dei bimbi per persone momentaneamente impossibilitate a procurarseli, accompagnare mamme e bimbi a una visita medica o donne a una visita ginecologica e aiutare a comprenderne bene gli

3 Reperibile al seguente indirizzo web:

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/08/20/0578.html

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esiti e le indicazioni, ecc. A volte da questi contatti nascono legami duraturi, altre volte no; sempre se ne esce cambiati. Negli anni la nostra comunità ha maturato una sua competenza in questo essere “grembo a disposizione”: non è (solo) dare cose, non è (solo) fornire servizi, non è (solo) far fronte ad urgenze, non è (solo) collaborare con i Servizi… è “solo”

essere “grembo”, “famiglia”, “comunità” anche “solo” per una tappa, un giorno, un’ora, un momento.

Altre grida di dolore che ci hanno raggiunto negli anni passati sono state quelle di pre-adolescenti e adolescenti “borderline” conosciuti grazie alla configurazione del nostro oratorio come luogo-soglia sulla vita del quartiere. A volte si è trattato di vere e propria urla (ricordo al riguardo le minacce di morte gridate a Filippo e la promessa di botte a me da parte di uno degli adolescenti che oggi mangia in canonica come a casa sua ed è uno dei collaboratori più affidabili), più spesso di gesti trasgressivi (furti di materiali, atti di bullismo…) o vandalici (gli estintori a polvere scaricati in palestra, una porta del salone polivalente demolita a pedate…). Di fronte a questi segnali c’è sempre chi invoca o spera che i protagonisti vengano cacciati via; è una tentazione questa che non abbiamo mai avuto, sempre – piuttosto – ci siamo chiesti che cosa volessero dirci venendo a fare tutto ciò proprio qui, sotto in nostri occhi. Riteniamo, quando accade, di essere da loro ritenuti degli interlocutori speciali e che tali azioni abbiano in fondo la speranza che qualcuno finalmente si accorga di loro si renda disponibile a una contatto profondo. A questo contatto, come comunità, ci siamo stati:

abbiamo urlato anche noi per far capire che la loro vita ci interessa, siamo entrati in una sorta di corpo-a-corpo con i loro bisogni di accudimento così primitivi ma così chiari (Fabio prima e, oggi, Stefano e la Ketty sono molto bravi in questo), abbiamo loro proposto un po’ di lavoro retribuito seriamente, abbiamo passato intere settimane via insieme, ecc. Oggi siamo davvero amici.

“Come faremo senza di loro?”

La canonica ormai da anni è abitata da famiglie in difficoltà.

L’accoglienza è iniziata per far fronte a vicende di sfratto (così è stato per Queen con le sue 4 figlie, per Balbine e Yves con i loro 4 figli, e per Fatima con i suoi due figli) e si è poi aperta all’accoglienza di donne rifugiate (Feven e i suoi tre bimbi, Sandra e le sue due bimbe, Glory). La prospettiva, per tutte queste persone, è di costruire una loro autonomia godendo per un po’ di tempo della nostra accoglienza e della nostra vicinanza. Sono ormai abituali per chi viene in canonica i rumori dei giochi o dei pianti di bimbi come pure gli odori di cibi tipici. Più volte in questi ultimi tempi ci siamo trovati a dire “Come faremo senza di loro?”, esprimendo così la profondità

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dei legami che sono nati; oppure anche riconscere che è difficile oggi pensarci senza presenze così nella casa parrocchiale. Le vicende di paesi lontani si sono fatte vicinissime, siamo divenuti esperti dei percorsi giuridici dei migranti, nuove vite sono state concepite e date alla luce tra le nostre mura, abbiamo pregato in altre lingue e partecipate a riti di confessioni cristiane diverse, ci siamo regalati tempi di vacanza e ore di dialoghi circa le decisioni da prendere, ecc. Tutto questo è avvenuto grazie alla collaborazione con il CIAC e alla competenza dei loro operatori; anche in questo caso, come già nel rapporto con i Servizi sociali, abbiamo capito quale può essere la nostra specifica parte in tutto questo, una parte piccola piccola rispetto all’enormità delle vicende con cui siamo a contatto ma comunque – abbiamo capito – importante. Ho già usato prima l’espressione di “grembo a disposizione”, che calza bene anche in questo caso; si può forse aggiungere che – come comunità parrocchiale - ci siamo riscoperti anche capaci di “fare famiglia” con loro (come parroco, in questo originale sistema familiare, due bimbe mi hanno collocato nella parte del nonno…).

La vicinanza con le vite dei rifugiati ci ha fatto fare più di recente un passo in più, occasionato dal cambio di normative a riguardo dell’accoglienza. Ci siam interessati più da vicino di politica e abbiamo sentito sulla nostra pelle l’urgenza delle questioni riguardanti i diritti fondamentali delle persone. Le circostanze ci hanno condotto ad un esercizio di discernimento comunitario circa la giustizia o ingiustizia di una legge del nostro stato e anche a valutare cosa ciò possa comportare per noi.

Termino qui il primo punto delle mie riflessioni, dedicato alla grazia di essere stati accolti dai più poveri dentro le loro vite. Sì, penso sia stato così: non solo averli potuti aiutare con i nostri beni e il nostro tempo, ma essere stati aiutati da loro con il magistero d sofferenza e tenacia delle loro vite.

Nuove compagnie

Come secondo punto di queste riflessioni desidero passare in rassegna altri volti, altre vicende, segnate da ferite e fragilità, le cui esistenze ci hanno sfiorato o anche toccato, ma nei confronti delle quali non è ancora accaduto di aver potuto mettere le nostre vita a fianco le une delle altre. In alcuni casi si tratta di accostamenti recenti, in altri di contatti già percepiti e noti. Avendo sperimentato negli anni scorsi cosa il Signore può far accadere quando si apre la porta di cuore e di casa, chissà cosa ci succederà nei prossimi anni!

Considerevole in quartiere è il numero di adulti segnati da patologie psichiche gravi, alcuni dei quali “fuori controllo” in lunghi tempi delle loro

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giornate; qualcuno si aggira per le strade, combina qualche guaio, si espone a incontri non costruttivi ed espone altri ad atteggiamenti non previsti.

Cosa possiamo fare ed essere per loro?

Il carcere di Parma è molto vicino al territorio della nostra parrocchia e – inoltre - si allunga l’elenco delle famiglie a noi note che conoscono tale realtà per esperienza diretta di uno dei loro membri (un papà in carcere, un figlio agli arresti domiciliari, ecc.). Sappiamo, anche per impegno volontario diretto di qualcuno della comunità, quanto siano importanti presenze e legami “altri” per il reale avvio di percorsi di riabilitazione.

Quale potrebbe essere il posto della nostra comunità in questo?

Si allunga – grazie alla collaborazione con i Servizi – anche l’elenco di donne che sappiamo oggetto di violenza, oltre a quelle conosciute grazie alla collaborazione con chi segue le donne vittime della tratta. In questo ambito c’è un lavoro culturale tutto da fare: di consapevolezza, di educazione, di revisione del ruolo maschile nelle dinamiche sociali e di famiglia, ecc. Anche questo è un cantiere aperto.

Un altro ambito di grave fragilità, con forti ricadute sul mondo familiare, è quello connesso alle ludopatie. Non poche in quartiere sono le persone che giocano e perdono soldi, non di rado si tratta di tanti soldi e diverse sono le storie familiari segnate da disgregazione a motivo di questa dipendenza. A fronte di questo in molti esercizi pubblici del quartiere ci sono slot-machine e non lontano dalle nostre vie ci sono sale-gioco in cui si puntano solo cifre alte. Come non lasciare sole le persone che finiscono in questa spirale?

L’elenco non è completo e prima ancora che di problemi, si tratta di volti, di nomi, di storie familiari che ci chiedono di mettere la nostra vita fianco a fianco alla loro. Lo desideriamo proprio!

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Anni fa, dopo un incontro con una persona segnata da grandi sofferenze, le ho scritto una lettera concludendo la quale le dicevo così:

“Sento che è troppo poco provare compassione per coloro che soffrono, anche atrocemente; sento piuttosto che vanno ringraziati. Il motivo è che partecipano, come co-attori, a quel parto di vita nuova per il mondo che è la croce-risurrezione di Cristo Gesù. Penso alle morti e ai dolori di cui ci hai parlato tu, penso a quelle forse più silenziose ma non meno tragiche che capita anche a me di incontrare e sento di dover dire interiormente questo grazie. Spesso non riesco a dirlo a voce alta, ai diretti interessati, c'è una sorta di pudore che me lo impedisce; sento però che esprime qualcosa di autentico. Nel lasciare fiorire questo grazie confesso che mi sento piccolo piccolo, e che mi sento al mio posto in questa piccolezza. I veri "grandi", quelli che generano il mondo a vita nuova uniti al Cristo sono altri, quelli della cui vita io mi trovo a testimoniare, che dovrei servire con più competenza e con meno egoismo. I veri "grandi" sono nella schiera di questi silenziosi e doloranti collaboratori della croce di Gesù”.

Stendendo le riflessioni per stasera mi sono ricordato di quella lettera e sento adeguate le parole con cui si conclude. Più semplicemente mi piace pensare che anche la nostra parrocchia, nota nel contesto cittadino dei decenni scorsi, come abitata da benestanti e ricca di risorse, possa con il passare degli anni dire di sé quello che Don Lorenzo Milani – anch’egli di origine benestante – dopo anni di vita con i più poveri arrivò a dire ai suoi ragazzi sul letto di morte: “Sta accadendo un miracolo: un cammello passa per la cruna di un ago”.

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