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I nostri racconti Fantasy

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Academic year: 2022

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(1)

Ecco, dopo il ricettario in quarantena, le nostre fiabe e la raccolta dei giochi possibili no- nostante le regole ed i protocolli, una raccolta di racconti Fantasy.

Ne abbiamo letti alcuni, più o meno conosciuti, fra cui qualche grande classico più recente (Harry Potter) e meno moderno (Il Signore degli Anelli), che possiedono sempre un gran- de fascino.

Poi abbiamo cercato di scriverne uno per ciascuno e li abbiamo raccolti. Speriamo che siano di vostro gradimento. Noi ci siamo divertiti a scriverli! Buona lettura!

I nostri racconti Fantasy

La sconfitta dei goblin

Una mattina i Draghi erano tranquilli, ma un giorno spuntarono i Go- blin.

I Goblin erano molto cattivi e distruggevano tutto, nessuno poteva fermarli.

Gli aiutanti dei Draghi erano i Soldati.

I Soldati vedono i Goblin e uno dei soldati dice:

“Non ce la faremo mai”.

Si trovano in una foresta incantata.

All’improvviso i Goblin spuntano da tutte le parti.

Allora i Draghi sputano fuoco.

I Draghi danno ai soldati degli oggetti magici tipo:

spade, archi e scudi.

I Soldati e i Draghi par- tono all’attacco.

Anche i Goblin.

La battaglia dura a lun- go. Alla fine i Goblin vengo- no sconfitti e anche il loro capo.

È successo perché i Go- blin avevano rubato la gemma del potere.

Alla fine i Soldati sono

felici della vittoria e an- che i Draghi.

La loro missione era recuperare la gemma del potere.

E ce l’hanno fatta.

GB

e q uinta No vaglie

.

Scuola primaria Nereo Merighi

Marzo 2021

(2)

Kree il drago si stava allenando per lo scontro contro Lou l’aquila gigante e per salvare i villaggi di quelle zone di montagna.

Ad aiutarlo con l’allenamento c’era il suo aiutante, Filippo la fenice; dopo tre giorni Kree era pronto per lo scon- tro con Lou.

Il drago Kree era pronto ad affrontare Lou l’aquila gigante e anche i suoi cinque scagnozzi mini aquile, Kree si era allenato molto; aveva inoltre rice- vuto un mantello enorme dagli Elfi.

Con lui c’era il suo aiutante: la fenice.

Kree, pur essendo un drago, era: robu- sto, simpatico, con il naso affilato, occhi duri come pietre, bocca sottile, pelle quasi trasparente, età indefinibi- le, voce rauca ed era capace di parlare con i serpenti.

La fenice Filippo era esile, affascinan- te, con occhi duri come pietre, becco largo; era giovanissimo, con la voce

bassa e poteva volare.

Lo scontro avvenne sulle nuvole, le nuvole erano scure, intorno ancora di più.

In basso, cioè sotto le nuvole, c’era il vuoto.

Kree disse:

“Non puoi battermi Lou!”

Lou disse con sicurezza:

“Ti batterò soltanto con qualche spen-

nata.”

Lo scontro iniziò; nessuno dei due per il momento stava vincendo.

Lou fece un colpo in picchiata, ma mancò Kree di un soffio: meno male.

Era una lotta fra il bene e il male.

Ad un certo punto, Kree non si vedeva più, ma la sua voce si sen- tiva.

Poi Kree si accorse che era il mantello che gli avevano dato gli Elfi che lo rendeva invisibile.

Gli Elfi gli avevano detto:

“Questo mantello ha un tessuto spe- ciale, prendi.”

Ed è per questo che Lou si arrese e se ne andò via per sempre.

La missione era stata portata a termi- ne.

E Kree e Filippo si fecero la cioccola- ta calda per festeggiare la vittoria.

ZG

Tanto tempo fa, Holf e il suo amico Bull attaccavano i demoni.

Holf era un elfo con cappello rosso, maglietta gialla e pantaloncini blu.

Aveva una cosa differente da tutti gli elfi: aveva la pelle trasparente per riflettere il sole ed accecare i demoni, gli occhi infuocati perché non aveva paura di niente, era magro e velocissi- mo nelle corse.

E Bull era un gigante molto tenero, ma quando combatteva era peggio dei leoni. Era alto, molto forte e robusto, aveva i capelli ricciuti di color nero e una sacca di tela trasparente per Holf.

Inoltre poteva diventare minuscolo per gli attacchi.

Il viaggio iniziò nel villaggio di Holf e Bull e l’arrivo era previsto nel ca- stello dei demoni per ucciderli e vin- cere.

Si portarono un tappeto volante con all’interno del cibo, quindi partirono per il castello dei demoni.

Ad un certo punto erano stanchi di camminare, incontrarono degli orchi minacciosi, ma li uccisero.

Prima che ne arrivassero altri, usarono il tappeto volante per scappare e man- giare.

Drago contro aquila gigante

Holf e Bull per la vittoria

Arrivati al castello non erano preoccu- pati perché erano carichi, ma non c’e- ra nessuno.

Allora quella notte dormirono in cielo sul tappeto volante riscaldato e per stare al sicuro.

Ma di notte i demoni si svegliarono e svegliarono pure Holf e Bull.

Poi vennero portati dalla principessa Crudelia.

Holf e Bull la uccisero e scapparono dal castello, per tornare di giorno.

Allora quella mattina vennero sveglia- ti. Erano in cantina perché i demoni li avevano presi, imprigionati proprio in quella cantina e lasciati soli.

Bull però aveva un coltellino svizzero che poteva usare per liberarsi

e uccidere quei demoni: ci riuscirono, ma non tutti erano morti.

Così il giorno dopo Holf e Bull andarono all’attacco, vincendo.

Però, alla fine, Holf si accorse di essere ferito e Bull lo salvò.

Poi tornarono nel loro villag- gio senza accorgersi di essere seguiti da altri demoni che

erano sopravvissuti.

Quando arrivarono a casa tutto il vil- laggio era contento.

Ma non sapevano ancora cosa sarebbe successo la mattina dopo.

Tutto il villaggio si svegliò felice, però quella mattina i demoni attacca- rono e riuscirono ad uccidere alcuni abitanti del villaggio. Quelli salvi si difesero uccidendo tutti i demoni e, prima che altri attaccassero, Bull e Holf andarono a distruggere il castello dei demoni: in questo modo se ne liberarono, finalmente, una volta per tutte.

Da quel giorno il villaggio visse tran- quillo.

DG

(3)

Nella foresta incantata del Sud, vicino a un lago misterioso, c’era una piccola collina, dove abitava un mago.

Il mago era molto alto, con una barba folta e lunga, e tutta bianca.

Aveva un vestito in grado di mimetiz- zarsi.

Il suo volto era ovale e gli si vedevano malapena gli occhi a causa della folta barba, però era carino. Aveva occhi lucenti e grandi, di color azzurro cie- lo. La sua bocca era: sottile e lucida, come se mettesse un lucida labbra bianco.

Nessuno sapeva la sua età. Era sempre vissuto lì.

Si vedeva solo una volta al mese, quando andava dai suoi amici folletti che abitavano al limite della foresta o quando andava a fare rifornimento di ingredienti per le pozioni, oppure an- cora se andava a fare provviste per mangiare.

I suoi poteri erano pochi, ma erano importanti, perché lui poteva diventa- re invisibile ed era molto bravo nelle pozioni e negli incantesimi.

Possedeva un oggetto a lui molto ca- ro: un diamante che gli aveva regalato un suo amico folletto.

I folletti erano abili costruttori di dia- manti. Erano alti, biondi e vestiti con foglie di tiglio, con occhi lucenti ed erano tutti senza barba.

Questo diamante aveva un potere spe- ciale: lo rendeva immortale.

Ed ecco a voi Mary, il mago dell’in- telligenza!

Un giorno Mary si svegliò e non trovò più il suo diamante.

L’ultima volta l’aveva riposto nella bottiglia anti scassinamento.

Quando l’aveva messo dentro aveva pensato:

“Perché non lo metto nella bottiglia che si apre solo con il fuoco di drago, dato che sono estinti?”.

Quando scoprì l’accaduto, Mary andò da Bliba, il capo dei folletti, e gli rac- contò loro quello che gli era successo:

ovvero che il diamante era scomparso, ma era rimasta la bottiglia e sotto c’e- ra una lettera. Gli fece anche leggere la lettera che aveva trovato sotto la bottiglia e c’era scritto così:

“Tu pensavi di aver ucciso tutti i dra- ghi, ma in realtà prima che tu uccides- si mia madre, lei aveva deposto me e io riuscii a cavarmela da solo. Adesso sono qui per vendicarmi di quello che mi hai fatto. Ringhi di rabbia. Firma- to: Morte in Aspettata.”.

”E adesso come faccio a sopravvivere senza il mio diamante?” disse Mary a Bliba.

Bliba rispose:

”Tu sopravvivrai grazie a questo anel- lo, ma mi raccomando: non metterlo fino alla fine del mese sennò morirai

comunque.“.

Mary decise che, il giorno prima della fine del mese, sarebbe dovuto andare a dormire dai folletti. Arrivò mezza- notte, si infilò l’anello e si salvò per- ché anche quell’anello lo rendeva immortale.

Preparati i bagagli i folletti e Mary partirono verso la tana dell’ultimo drago, proprio quello che Mary crede- va di aver ucciso. Camminarono una giornata per attraversare il lago incan- tato, per poi accamparsi ai limiti della foresta del Nord.

Il primo imprevisto era un mostro tre teste nemico di Bliba, ma grazie ad una canzone di riconoscimento riusci- rono a passarlo facilmente.

Dopo si accamparono sotto un abete che, in piena notte, cominciò a far loro il solletico e non riuscirono a dormire.

Ci misero tre giorni ad attraversare le montagne.

Scavalcate le montagne, si ritrovarono davanti al mare e, per attraversarlo, ci misero dieci giorni.

Arrivarono alla porta della casa del drago.

L’entrata era nascosta, ma con una formula magica riuscirono ad entrare.

Prima di recuperare il diamante orga- nizzarono un piano che era composto in questa maniera: mentre Mary invi- sibile cercava il diamante, i folletti si caricavano di oro o distraevano il dra-

go.

Il piano funzionò alla grande, il pro- blema era muoversi senza muovere niente.

Riuscirono a prendere il diamante, ma mentre stavano scappando, il drago si svegliò, quindi non vedendo il più

diamante si arrabbiò.

Chiamò i suoi amici orchetti che, sen- tendo l’accaduto, si arrabbiarono.

I folletti avevano sempre con sé una spada che veniva tramandata in padre e di figlio, avevano diamanti con dei poteri davvero potenti e schiacciando- li riuscirono ad uccidere tutti gli orchi.

Il drago allora intervenne e cercò di sputare fuoco, ma dato che Morte in Aspettata era senza mamma e senza papà e non era stato nutrito ed adde- strato come un serio drago, allora non era bravo ad usare il fuoco.

Quindi non riuscì a prendere il suo tesoro e loro riuscirono a scappare.

Un po’ per fortuna o per un pelo co- munque si salvarono.

Sarebbero dovuti tornare indietro però se Mary fosse ritornato a casa sua Morte in Aspettata gli avrebbe rubato il suo tesoro, il diamante.

Allora, con i soldi presi dal drago, un po’ di magia e di pozioni arrivarono in una vallata con quattro colline. Ma- ry prese quella più grande per co- struirci la sua casa, mentre i folletti si stabilirono nelle altre tre colline con le quali ricostruirono il loro villaggio chiamato “il folletto gigante”.

Dopo quell’avventura Mary, Bliba e tutti i folletti vollero continuare a viaggiare insieme in cerca di avventu- re. AB

Il diamante perduto

(4)

Un mago viveva in una torre con il suo amico gigante.

Il mago Bill era vecchio, con una bar- ba grigia e degli occhiali rotondi, con un vestito verde e arancione. Con il legno di sambuco, aveva fatto una bacchetta magica. Ma non la possede- va più perché gliela aveva presa il suo nemico, che era lo spettro.

Il gigante Rok era alto due metri e settanta e pesava una tonnellata. Il suo potere magico era che aveva una forza incredibile, aveva una spada infuocata e uno scudo indistruttibile.

Il mago Bill stava pensando a come riprendersi la bacchetta, intanto ne aveva un’altra che era molto più scar- sa. Allora Bill e Rok si incamminarono per arrivare dallo spettro. Il percorso era che bisognava passare da una fore- sta incantata, poi uscire da un labirin- to e poi si arrivava in una grotta dove c’era lo spettro.

Arrivarono alla foresta incantata dei maghi, che erano amici di Bill.

Il mago Bull disse al gigante Rok:

”Bisogna fare attenzione perché i ma- ghi ingrandiscono gli animali e la natura.”

Bill e Rok entrarono e li attaccò un

ragno gigantesco con degli artigli che gli spuntavano vicino agli occhi.

Il gigante Rok alzò lo scudo per difen- dersi; il mago Bill attaccò con la sua bacchetta scarsa e immobilizzò il ra- gno.

Andarono avanti pur sentendo tanta paura.

La foresta era fitta e diventava sempre

più buia, ma per fortuna avevano la spada infuocata che faceva luce. Di seguito, l’aria diventò irrespirabile e allora si misero a correre.

Poi videro l’uscita, entrarono nel labi- rinto, si incamminarono, sbagliarono strada per la prima volta.

C’era un goblin con una mazza di legno chiodata, il gigante Rok lo at- taccò con la sua spada infuocata e lo tagliò a metà.

E ancora sbagliarono strada.

Trovarono un demone, il mago Bill attaccò subito con la sua bacchetta scarsa. E disse:

“Abra cadabra.“ Così il demone si vaporizzò.

Scoprirono che, ogni volta che sba- gliavano strada, si trovava un cattivo, quindi andarono avanti con prudenza.

Uscirono finalmente da quel labirinto ed arrivarono alla grotta per lo scontro decisivo. E si dissero:

“Buona fortuna!”

Lo spettro ruppe la bacchetta scarsa del mago Bill. Il gigante Rok svenne.

Il mago Bill però fu molto rapido:

prese la spada infuocata del gigante Rok e vaporizzò lo spettro che scom- parve in una nuvola di fumo di colore viola.

Il mago Bill si riprese la sua bacchetta di sambuco, medicò il gigante Rok e gli disse:

“È finita, torniamo a casa.”

Quando furono a casa, il gigante Rok e il mago Bill custodirono la bacchet- ta, al sicuro, in una stanza protetta con un codice che lo sapevano solo loro due.

Poi festeggiarono per aver vinto.

AS

In un lontano bosco esisteva un villag- gio di Elfi, grandi cavalieri che solca- vano la pianura maledetta, saltando qua e là con i loro destrieri. Però il nostro protagonista non era un elfo guerriero grosso e forte, bensì un ra- gazzino di circa quindici o sedici anni.

Viveva sul monte GIRO-AO che dava accesso alle Vette dei Giganti. Il ra- gazzo, di nome JAY, abitava con la sua famiglia. Di solito andava a trova- re il suo amico MARK, grande alleva- tore di draghi e di grifoni. Un giorno Jay si svegliò e, come sempre, scese giù in cucina, a fare colazione, ma non vide nessuno; allora uscì e, a gran voce, chiamò i familiari, i suoi ami- ci… nessuno.

Nessuno gli rispose, a parte un vec- chio; Jay lo riconobbe subito: era il Capo Villaggio.

Il mago Bill, il gigante Rok e la bacchetta di sambuco

La fortezza di Jay

Allora Jay corse subito giù dal monte, per poi raggiungere il Capo Villaggio.

Arrivato in fondo al monte, lo vide a terra, con un pugnale che gli trafigge- va la spalla.

Il Gran Capo, appena lo vide, gli dis- se: ”Jay, mio carissimo Jay, ho una mis- sione per te; te la senti?“.

”Sì.“ Disse Jay, impaurito.

“Allora” -disse il Gran Capo- “dovrai attraversare i monti e le pianure.”.

“Come faccio?” Chiese Jay.

Allora il Gran Capo indicò una vec- chia baracca e gli disse:

“Là, devi andare là. In quel luogo ci sono già stati altri ragazzini come te per andare a salvare il nostro bosco.”.

Poi aggiunse:

“Va’ ed equipaggiati per bene.”.

E tacque per sempre.

Allora il ragazzo corse fino alla barac-

ca, ci entrò e vide Mark.

“Ciao Mark.” Disse Jay con gli occhi meravigliati.

Allora il ragazzo si girò all’istante.

Aveva il viso pallido con gli occhi rossi:

“Ciao Jay.” Rispose Mark con voce rauca.

Poi gli diede un tridente d’oro e di nederithe. Poi gli diede anche una sciabola con l’impugnatura d’oro e la lama sempre di nederithe.

“Tieni” -disse Mark- “Scegli un’arma fra queste due; io userò l’altra.”.

Jay scelse e prese la sciabola.

Poi Mark gli diede una manciata di collane, monete e anelli.

Quindi uscirono dalla baracca, ma non videro più il Gran Capo, al suo posto c’erano un pugnale piantato nel terre- no e delle ceneri.

Mark disse:

“Seguimi.”. (segue alla pag. successiva)

(5)

E lo condusse fino al recinto che, di solito, conteneva i suoi draghi, ma erano spariti! Non c’erano segni né tracce di quelle belve. Mark era deso- lato.

Allora si misero in cammino fino alle Vette dei Giganti, dove trovarono una mappa, ma era strappata in un punto e quindi ne mancava una parte.

Continuarono a camminare fino ad arrivare ad un altro pezzo di mappa, abbandonata sul terreno, lasciata lì da chissà chi.

A pochi passi da quel luogo c’era un ragazzo della loro età circa. Beh, il ragazzo non c’era proprio tutto, per- ché gli mancava un braccio. La testa, invece che attaccata al collo, era a tre metri dal corpo; perdeva sangue ovun- que ed era ricoperto da una montagna di sassi sporchi di sangue.

Lo scavalcarono e se ne andarono.

Giunta la notte capirono perché era morto quel ragazzino: immensi gigan- ti fatti di pietre e massi incominciaro- no a lanciare l’uno contro l’altro pie- tre grosse come case ed anche di più.

Ogni volta che un gigante veniva uc- ciso e stramazzava al suolo morto, gli altri andavano lì a mangiarlo: chi mangiava più pietre diventava più grosso.

I sassi venivano lanciati più veloci di una freccia e facevano più danno di una scure.

All’alba, tutti i giganti di pietra cadde- ro a terra a pezzi e scavarono voragini più grandi delle case del villaggio.

Finita quell’orrenda esperienza, i ra- gazzi avevano fame, ma per fortuna c’erano alberi da frutto e qualche ver- dura qua e là per nutrirsi a sufficienza.

Dopo due giorni di infinito cammino, i due ragazzi erano veramente sfiniti.

Ad un certo punto, a Jay venne un ricordo: l’altro pezzo di mappa, quella lasciata dal ragazzino per terra.

“Allora è deciso.” Disse Jay.

“Che cosa?” Chiese Mark.

“Andremo verso Nord.” Rispose Jay.

“Vuoi andare da Zinnarto, l’incantato- re?” Chiese Mark.

“Esatto.” Rispose Jay.

“Allora giù di corsa.” Disse Mark.

E come disse, fece.

Quindi i due ragazzi corsero giù dalle Vette dei Giganti per arrivare da un signore, basso, intelligente, ma pur- troppo maledetto. Infatti, a causa della maledizione, ogni notte si sarebbe trasformato in un orso alto nove metri, lungo sette e largo tre. Zinnarto, però,

era molto bravo a incantare armi, og- getti e gioielli.

Scesi giù dalle Vette dei Giganti, Jay e Mark bussarono alla porta di una casa, che sapevano essere quella che stavano cercando.

Subito venne ad aprire un signore di circa sessant’anni che chiese loro:

“Cosa posso fare per voi?”.

Allora Jay gli rispose:

“Potrebbe incantarci le armi?”.

“E voi mi paghereste?” Chiese per-

plesso il signore.

“Certo” disse Mark, mentre gli mo- strava tre sacchetti pieni di monete d’oro.

“Allora seguitemi.” Disse Zinnarto, tutto contento.

Il signore incantò la spada con affila- tezza dieci e il tridente con la potenza del mare, poi incantò anche gli anelli.

Erano tre a testa, con: resistenza al fuoco, respiro subacqueo e invisibili- tà.

Tutte le armi sbrilluccicavano di un rosso strano ed erano molto più legge- re e maneggevoli.

Tutto filava a meraviglia. Perciò ripre- sero il cammino. Quando Jay e Mark stavano attraversando un ponte, esso crollò e i ragazzi si ritrovarono in ac- qua. La corrente però era troppo forte e non riuscivano a contrastarla, quindi salirono in superficie per mettersi l’anello con il potere del respiro su- bacqueo.

Jay fece segno a Mark di seguirlo, così i due ragazzi si fecero portare dalla corrente fino alla fortezza di Gurgumas, l’orco gigante, il più gran- de cattivo di sempre.

Salirono sulle sponde, ma erano ba- gnati fradici.

Mark afferrò il tridente perché gli pesava portarlo sempre con sé, quindi lo prese un attimo in mano e quello gli tolse tutta l’acqua di dosso; allora lo diede a Jay e anche a lui successe la stessa cosa.

Pronti alla guerra, saltarono dentro la

fortezza e videro che erano stati im- prigionati proprio in quel luogo i dra- ghi e i grifoni di Mark, che felice di averli ritrovati, li chiamo a sé e scate- nò l’inferno.

La guerra era degli Elfi contro i Troll ed i Goblin.

Allora le guardie chiamarono i Troll e i Goblin, alleati di Gurgumas, che uscirono allo scoperto. Essi incomin- ciarono a gridare:

“Spettri!”.

E vennero aperti cancelli pieni zeppi di spettri, ma i draghi ed i grifoni di Mark si opposero a loro e li fecero scomparire, mentre la guerra infuria- va.

Jay andò a liberare gli elfi del suo villaggio che erano stati catturati. Lo- ro subito presero le armi: mazze chio- date, spade, scuri, coltelli, sassi, maz- ze normali, lance, pugnali, archi e frecce per poi salire a dare una mano a Mark a combattere contro i Troll e i Goblin alleati di Gurgumas.

Dopo un po’ che la guerra infuriava si sentirono passi pesanti e una voce rauca urlare:

“Chi va là?”.

Da dietro una torre comparve Gurgu- mas, con portava con sé una mazza chiodata.

Allora Jay sfoderò la spada e corse, corse a più non posso e saltò dalla torre più alta.

Gurgumas, accecato dalla luce che rifletteva la spada, venne ucciso per- ché Jay tirò un colpo secco sul collo del gigante orco, mozzandogli la testa.

Gli elfi urlarono e incominciarono a lanciare frecce al cadavere di Gurgu- mas, ai Troll e ai Goblin. Quando ebbero sterminati tutti i Troll e i Go- blin, gli Elfi urlarono di gioia e nomi- narono re Jay. Mark, invece, era il suo consigliere privato.

La fortezza di Gurgumas diventò il loro villaggio.

FM

La fortezza di Jay

(6)

In un tempo indefinito e irreale, in una foresta magica, con creature fantasti- che e alberi molto alti e strani, viveva un elfo di nome Pasch. Era alto due metri e con i capelli biondi, aveva il naso affilato e occhi duri come pietre.

Aveva il volto affascinante, con bocca sottile e attorno una pelle bianchissi- ma e molto liscia, aveva una voce bassa. Aveva un’età indefinibile. Vi- veva con la sua famiglia.

Pasch possedeva anche una sua fenice tutta rossa, di nome Gira, che lo aiuta- va nelle sue imprese o avventure.

Un giorno, Pasch e Gira, mentre sta- vano cacciando per il pranzo, videro che gli alberi stavano appassendo e le foglie diventavano secche. Quando arrivarono a casa, spiegarono alla fa- miglia quello che era successo.

La nonna di Pasch disse:

“Pasch, dovrai andare a prendere la gemma magica che sta nel cuore della montagna sorvegliata dai Goblin. Ma devi fare molta attenzione al capo dei Goblin, il Minotauro, che è alto e ro- busto, e soprattutto molto cattivo”.

Dopo che la nonna gli aveva detto che cosa doveva fare, lui le aveva chiesto a cosa servisse la gemma; la nonna gli rispose:

“Serve per scacciare il male e curare il mondo”.

Allora Pasch e Gira parti- rono con delle prov- viste. Pa-

sch era armato di un arco magico con delle frecce e due pugnali molto resi- stenti. Partirono con tanto coraggio e astuzia. All’inizio del viaggio la non- na diede loro una mappa della monta- gna in cui andare.

Passarono i giorni, le settimane e i mesi quando, a un certo punto, Pasch e Gira videro finalmente l’entrata del- la montagna sorvegliata da circa venti Goblin.

Allora Pasch mandò Gira a distrarre i Goblin che si giravano tutti a guardar- la per colpirla. In questo modo Pasch poteva lanciare le frecce ai Goblin;

ma quando le ebbe finite prese i pu- gnali e cominciò a lottare.

Dopo un po’ Pasch riuscì a sconfigge- re i Goblin con l’arco, le frecce e i pugnali.

Alla fine riprese le frecce che aveva lanciato.

Allora entrò nella montagna assieme a Gira.

Erano appena saliti su un masso che portava ad una grotta, quando Pasch e Gira videro la gemma. Pasch si avvi- cinò per prenderla però, all’improvvi- so, il Minotauro si scaraventò contro di lui e cercò di colpirlo, ma Pasch schivò il colpo. Il Minotauro lo disar- mò, ma Gira riprese i pugnali e glieli riportò subito. Pasch li prese imme- diatamente e tagliò la mano al Mino- tauro.

Mentre il Minotauro sentiva dolore, Pasch salì su un masso e colpì il Mi- notauro con una freccia che lo uccise.

Gira, per fare veloce, prese la gemma e la portò a Pasch che la mise nel sac- co; quindi partirono per tornare a ca- sa.

Passarono dei mesi, però quando arri- varono a casa diedero la gemma alla nonna, che sapeva come usarla, così gli alberi tornarono alla normalità.

In seguito, se altre avventure o mis- sioni si presentavano alla porta di Pasch e Gira, loro erano sempre pronti a partire.

PF

“Trecento anni fa, fu costruita la spa- da del drago. Usarono il ferro delle miniere di Caimbri, sciolto nel vulca- no della Morte e raffreddato nel fiume della disdetta, poi forgiata dai nani.

Questa spada può trafiggere ogni cosa gli si pari davanti, ma è stata dispersa.

Oggi gli Elfi la stanno ancora cercan- do poiché si dice che chi ritroverà la spada del drago sarà il re degli Elfi.

Ah, non mi sono ancora presentato: io sono Altt e sto cercando la spada del drago, visto che sono un elfo e le altre creature magiche non possono impu- gnarla. E forse so dove andare a cer- care: nel vulcano della Morte. Ora sono ai piedi del vulcano della Morte.

Ho iniziato la camminata verso la cima, però è difficile, perché se mi viene la lava addosso sono morto. Ora sono in cima, ho visto la spada, però è nel cuore del vulcano, non c’è altro da

La gemma magica

La guerra dei draghi

fare se non scendere.”

Queste sono le mie parole: io sono Altt e ora leggerete la mia storia.

Dopo tre ore Altt era entrato nel cuore del vulcano, era a pochi metri dalla spada, quando sei gargoyle caddero dal soffitto e lo attaccarono.

Lui prese la sua spada e si preparò a combattere; tagliò a metà il primo con un fendente, tagliò la testa al secondo e continuò così finchè tutti e sei non furono sconfitti.

Poi tolse la spada dal cuore del vulca- no.

E così era diventato il re degli Elfi.

Quando impugnò la spada per la pri- ma volta, Altt si sentì più forte, poi i gargoyle iniziarono a rigenerarsi.

Con stupore di Altt, essi si inchinaro- no al suo cospetto e pronunciarono queste parole:

“Ora noi siamo al tuo servizio”.

Allora Altt chiese se lo avrebbero

potuto portare sulla cima del vulcano della Morte.

Loro annuirono e con un balzo Altt arrivò su.

Ora doveva andare a radunare un eser- cito ad aiutare i fratelli Elfi.

Dopo due notti arrivò al portone della città. E i guardiani chiesero:

”Chi sei?”.

(segue alla pag. successiva)

(7)

Rispose Altt:

”Io sono Altt, re di questa città.”

Uno dei guardiani iniziò a ridere:

”Tu? Re di questa cittàààààààà?

Ahahaha!”.

Altt rispose:

”Sì, perché? Vuoi sfidarmi?”.

“Sì, ok”. Replicò il guardiano.

“Allora vieni giù.” Concluse Altt.

L’avversario era biondo come Altt, alto uguale, ma la sua spada era d’oro;

tirò un fendente, ma Altt lo parò e la lama dell’avversario si tagliò a metà.

Tutti, tranne Altt, erano stupiti.

Allora lo fecero entrare e iniziarono a festeggiare poichè avevano un re.

Altt venne portato su al castello, i gargoyle del castello balzarono giù e si inchinarono.

Allora la città capì che, finalmente, avevano un re dopo trecento anni.

Altt, come prima cosa, fece riorganiz- zare un esercito per dar supporto ai fratelli Elfi che combattevano contro i draghi per non essere di nuovo sotto la loro tirannia.

Dopo sei giorni, trentacinquemila Elfi erano pronti per la guerra.

Erano il nuovo esercito di Altt.

Altt diede l’ordine di marcia; lui si era collocato sopra ai sui Gargoyle che si erano uniti in un unico gargoyle che si era messo proprio al centro dell’eser-

cito.

Dopo tre ore di viaggio erano arrivati sul campo di battaglia e videro che gli alleati avevano costruito un muro alto 26 Elfi sovrapposti uno sopra all’altro, con sopra delle baliste, che sparavano ai draghi in aria e a terra.

Voi, quando immaginate un drago, cosa vi viene in mente? Beh questi draghi fanno più paura di ogni cosa che vi passa nella testa. Ecco la loro descrizione: neri, lunghi, con quaranta zampe, una lingua famelica e biforcu- ta, ali enormi. Sputavano fiammate incandescenti.

Sul campo di battaglia c’erano almeno seicento Elfi e trecento feriti.

Quando videro i rinforzi condotti da Altt urlarono di gioia e di forza nuova.

Altt, gli Elfi e i Gargoyle iniziarono a distruggere draghi dopo draghi.

Poi un ruggito fece tremare la terra letteralmente (Letteralmente è un’e- spressione che vuol dire che non sto scherzando). E un drago più grande degli altri uscì da una grotta; era un drago dorato con gli occhi verde sme- raldo, quaranta zampe enormi e non due ali, ma ben sei!

Altt disse:

”Quello è mio”.

E si lanciò alla carica.

Quando gli arrivò all’altezza del petto,

il drago cercò di mangiarlo, ma Altt si scansò con un balzo e con un altro gli tagliò una zampa: lui ruggì di rabbia e di dolore.

Poi Altt iniziò a tagliare, una dopo l’altra, tutte le zampe e le ali.

Dopo un’ora il drago era a terra, inof- fensivo.

Altt fece una cosa che stupì tutti i suoi soldati; non uccise il drago, ma disse:

”Tu sarai imprigionato.”

Dopo due giorni passati per curare i feriti, Altt disse:

”Questo drago sarà imprigionato nelle miniere abbandonate.”

Così fecero.

E in questo modo, nel regno tornò la pace.

TM

La guerra dei draghi

(8)

Un giorno come tutti gli altri, c’era un ragazzino di nome Ru- ger che era in casa sua a fare le solite cose di sempre. Ad un cer- to punto apparve davanti a lui un mago.

Ruger molto sorpreso chiese:

”Chi sei tu? Aiuto!”

Il mago rispose:

”Io sono Malevius Xycus, ma puoi chiamarmi Mol. Dovrai portare a termine una missione.”

E il mago lo prese con sé e lo portò in un bunker sotterraneo.

Il ragazzo chiese:

”Dove stiamo andando?”

Mol rispose:

”Ad allenarti per la missione”.

Ruger domandò:

”Quale missione?”.

Mol gli disse:

“La missione per salvare il mondo Nexus”.

Appena scesero nel bunker trovarono tutto quello che serviva per la missio- ne. Dopo un paio di ore passate ad allenarsi con la spada, arrivò un follet-

to che diede a Ruger un arco viola.

Il folletto disse:

”Questo arco lo puoi usare solo una volta ed in caso di estrema necessi- tà!”.

Dopo di che andarono ad allenarsi con l’arco di legno, ma per sbaglio Ruger colpì uno gnomo, che era uno degli aiutanti della missione e che stava assistendo all’allenamento.

Ruger disse impaurito a Mol:

”Scusa, non volevo!”.

Mol rispose:

”Non fa niente”.

E guarì il povero gnomo con una ma- gia.

Alla fine gli gnomi diedero a Ruger un’armatura incan- tata. Il ragazzino era pronto.

Aveva: un’armatura viola, due archi: uno viola e uno di diamante, una spada ma- gica rossa che ti fa diventa- re invisibile se la tieni con una mano ed un mantello che lo faceva volare.

Con Ruger c’era un esercito di diecimila guerrieri, trenta maghi, dieci gnomi e cento folletti; alcuni erano venuti dal bunker e alcuni erano stati creati da Mol. Partirono tutti in- sieme per la missione.

Quando arrivarono sul mondo Nexus trovarono ad aspettarli dieci goblin, centotrenta troll, migliaia di migliaia di demoni che morivano con solo con un colpo di spada e, a capo di tutti, c’era uno spettro. Il suo volto era nero come se ci fosse l’oscurità dentro di lui; indossava un cappuccio a righe blu e un mantello nero che gli copriva tutto il corpo.

Subito iniziò il combattimento: guer- rieri contro demoni, maghi contro troll e goblin…. Era un combattimento all’ultimo sangue, senza tregua e sen- za sosta. Morirono tutti gli aiutanti dello spettro e tutti quelli di Ruger. Il mondo era spezzato in due.

Alla fine erano rimasti solo lo spettro e Ruger; ognuno tirò fuori la sua spa- da e cominciò il duello decisivo!

Lo spettro colpì il ragazzo ad una spalla.

Lo spettro però si distrasse e Ruger lo colpì, così lo spettro, all’improvviso, diventò polvere.

Rugger gridò:

”Abbiamo vinto!”.

Ma, all’improvviso, riapparve lo spet- tro e lo colpì a una gamba.

Ruger diventò invisibile afferrando la sua spada con due mani. Nel frattem- po si ricordò che il folletto gli aveva dato un arco speciale. Quindi lo tirò fuori e colpì lo spettro, che sparì nel nulla. Erano rimasti solo i suoi vestiti.

Ruger rimase lì ad aspettare un paio di minuti per essere certo che lo spettro fosse davvero morto. Dopo capì che finalmente aveva vinto.

Ruger tornò nel bunker e trovò Mol e tutti gli altri ad attenderlo con ansia.

Iniziarono quindi a festeggiare.

RR

La missione di Ruger

(9)

Tanto tempo fa, in un bellissimo pae- se vicino a un lago incantato, c’era un piccolo villaggio di circa venti casette, molto carine e moderne.

Quella più grande e spaziosa era di una famiglia composta da un papà alto e robusto di nome Davide, da una mamma di nome Marta Liana, piccola e bassa, magra e curiosa di tutto e saggia.

C’era anche una bellissima ragazzina di tredici anni, molto interessata al mondo acquatico, che sapeva trattene- re il respiro sott’acqua a lungo; aveva anche la capacità di nuotare velocissi- ma e di parlare con le creature marine.

Era molto mingherlina, aveva un bel- lissimo volto rotondo, con una strana cicatrice vicino alla guancia destra.

Aveva un naso arrotondato e un po’

piccolo, due bellissimi occhi azzurri che, se la guardavi negli occhi, ti sem- brava di vedere gli occhi di un angelo.

Aveva una bocca sottile e larga e quando la apriva si vedevano i suoi denti bianchi e lucidi. La sua pelle era ambrata. Questa ragazzina si chiama- va Serena.

Lei aveva anche una sorella che si chiamava Vera, la quale possedeva una capacità fenomenale di cantare:

sapeva cantare, infatti, tutte le canzoni che esistevano nel mondo. Era molto esile, ma anche muscolosa con dei capelli neri e molto lunghi. Aveva quindici anni.

In un lontanissimo giorno di estate, Serena andò al lago che tutti pensava- no che fosse magico e incantato. Lei invece non ci credeva, era molto co- raggiosa e quindi intinse la mano nell’acqua.

Un drago marino ferito la catturò.

Questo drago era grande circa sette metri, aveva il ventre di color celeste e il resto del corpo tutto verde acqua;

era magrissimo e si chiamava Mario, meglio conosciuto come “Mario il gentile marino”.

Il drago le disse subito che lui non era cattivo e chiese l’aiuto di Serena per sconfiggere il mostro dell’acqua, una sirena cattiva, che viveva in una bolla, negli abissi del lago, da tantissimi anni.

Questa malvagia sirena si chiamava Arraffapesci e poteva rendere sue schiave tutte le creature che la guarda- vano negli occhi.

Il drago da tanto tempo si era ribellato a sirena ed era stato ferito gravemen- te, infatti conosceva il suo “potere” e quindi non la guardava in faccia, ma visto che era uno di pochi che non era stato reso schiavo, la sirena lo aveva ferito! Gli ferì il ventre e un po’ il muso.

Serena con tanto piacere decise di aiutarlo e chiese supporto a sua sorel- la, che quando era piccola aveva scon- fitto un mostro marino assieme al papà Davide. La sorella accettò e, tutti assieme, studiarono un piano per sconfiggere Arraffapesci.

Per batterla, bisognava conquistare la conchiglia marina che dentro aveva una perla, la Perla Magica, la quale serviva a curare tutti gli animali mari- ni dalle ferite.

Lei la custodiva nella sua camera da letto.

La mattina seguente, Serena, la sorella e il Mario in gentile marino misero in atto il loro piano.

Vera si sedette su una roccia di pietra, che si vedeva in superficie, all’argine del lago e iniziò a cantare, con la sua splendente voce. Tutti gli animali marini, compresa la sirena e le sue schiave, salirono in superficie ad ascoltarla. Mentre tutti gli animali

erano su, Serena e Mario andarono nella bolla negli abissi del lago (nella camera da letto di Arraffapesci) per prendere la conchiglia con la Perla.

Entrarono in camera e… trovarono la conchiglia, la presero e andarono di corsa a toccare ogni animale, compre- so Mario.

Appena Vera finì la canzone, la sirena si avviò verso casa, ma venne fermata dall’Esercito Marino, (così venne chiamato in seguito) che la attaccò e la disarmò. Lei scappò e si rifugiò a casa sua, ma Serena e l’esercito l’ave- vano vista entrare; quindi la seguirono e le distrussero la casa.

Poi l’esercito, utilizzando il potere della Perla Magica, la fece diventare loro schiava.

Tutti furono felici della vittoria di Serena, soprattutto i suoi genitori.

Tutti assieme fecero una grande festa in onore di Serena, Vera e Mario!

Fu bellissima, piena di colore, allegria e felicità di tutti!

Alla fine della festa, Arraffapesci do- vette pulire tutto!

Serena, invece, venne dichiarata

“l’Eroina del villaggio” e suo padre le consegnò la mitica spada che veniva

affidata, ogni cent’anni, al più potente della famiglia.

Serena fu molto felice ed emozionata;

disse, mentre piangeva lacrime di gioia, che quello era il giorno più bel- lo ed avventuroso della sua vita.

La Perla Magica rimase per sempre custodita al sicuro in un Luogo Segre- to, nessuno ha mai saputo dove.

CDM

La perla magica

(10)

Tanto tempo fa, su una montagna, c’erano tre tipi di Elfi: Elfi di ghiac- cio, di fuoco e di vento. I tre tipi di Elfi erano vestiti con una tunica dei tre elementi di colore: blu. rosso e azzurro.

Il re degli Elfi di fuoco si chiamava Kai, quello di vento Rias e quello di ghiaccio Aron.

Un giorno il re del ghiaccio, quello di fuoco e quello del vento dovevano fare una sfida per avere come premio l’arco di tutti i tre poteri.

La sfida era di far arrivare la freccia contro la bestia più pericolosa del mondo degli Elfi.

La bestia era tutta nera, con zanne affilate e la sua pelliccia era molto lunga.

Un giorno il re degli Elfi di ghiaccio riuscì a colpire la bestia; il re del fuo- co e il re del vento dissero che aveva imbrogliato, ma lui rispose di no.

Allora il re del ghiaccio prese l’arco di tutti i tre elementi e disse:

“Io ho centrato la bestia e voi no, allo- ra l’arco è mio”.

Ma Kai, Rias e Aron si arrabbiarono con gli altri perché tutti e tre volevano l’arco dei tre poteri. Quindi si dichia- rarono guerra: chi l’avrebbe vinta avrebbe preso l’arco. Inoltre tutto il mondo degli Elfi sarebbe stato nelle sue mani.

Il giorno dopo si prepararono per la guerra, ma ad un certo punto le terre si divisero in quattro territori. Da sotto terra, nella quarta parte del territorio,

salirono in superficie dei Troll cattivi per sconfiggere gli Elfi.

Allora gli Elfi, visto il grande perico- lo, presero la decisione di fare una alleanza e di combattere tutti insieme per sconfiggere i Troll. Tutti accetta- rono.

Il giorno dopo Kai, Aron e Rias si prepararono per la guerra; tutti i loro popoli vennero insieme a loro e prese- ro spade, archi, frecce e tutte le loro armi.

Si prepararono per andare dai Troll a sconfiggerli una volta per tutte.

Qualche ora dopo, lungo la strada;

incontrarono un folletto molto diver- tente e strano.

Kai gli domandò:

‘’Ma scusa, cosa ci fai là da solo?‘’

Il folletto rispose:

‘’Stavo mangiando delle bacche. A proposito, mi chiamo Buck.”

Kai replicò:

‘’Se vuoi, puoi venire con noi a scon- figgere dei Troll cattivi che vogliono sottomettere gli Elfi e ottenere l’arco dei tre elementi.‘’

Buck accettò volentieri e diventò il loro aiutante personale.

Buck, come arma, aveva un corno che produceva un suono che stordisce i mostri che lo sentono.

Qualche ora dopo, tutti insieme, vide- ro un ponte che portava al territorio dei Troll.

Quindi si incamminarono piano piano e, all’improvviso, attaccarono tutti insieme contro i Troll.

Buck li stordì con il suo corno. Per fortuna i Troll erano di meno degli Elfi, sennò sarebbe stata dura sconfig- gerli tutti. Dopo un po’ di tempo i Troll iniziarono a diminuire.

Ad un certo punto, finalmente venne- ro sconfitti. Allora tutti insieme esul- tarono per la vittoria.

Quando tornarono dal loro popolo, i tre re andarono dal loro mago perso- nale (di nome Magnus) per far molti- plicare l’arco dei tre elementi. Quando Magnus pronunciò la magia, sulle loro mani apparve un arco per ciascuno e si aggiunse anche un pugnale magico come premio per Buck.

Tutti e quattro ringraziarono Magnus per l’arco ed il pugnale. E Buck per l’aiuto che aveva dato loro. I tre re diventarono così legati da amicizia che non fecero mai più guerra.

Alla fine andarono ad una festa che avevano deciso insieme a bere tanta birra e anche a mangiare tante cose.

CT

Un’alleanza tra Elfi

Una ragazza speciale

In una foresta incantata, c’era un ca- stello tutto colorato, che di notte si illuminava tutto.

In quel castello c’erano un re e una regina: re Marco e la regina Ginevra.

Una bella mattina, la regina ebbe una figlia.

Tutto il popolo era gioioso e la regina chiamò sua figlia Rebecca.

Mentre tutti i cittadini festeggiavano, il re e la regina non si accorsero che la loro foresta, che di solito era tutta colorata, divenne nera, le case dei cittadini divennero cenere e i cittadini si trasformarono in statue.

Ma poi videro cosa stava accadendo e quindi:

‘’La nostra barriera protettiva!’’ -urlò la regina- ‘’Presto!’’

Il re Marco schiacciò un pulsante d’o- ro e, intorno al castello, si formò co- me una bolla arcobaleno.

Il re e la regina chiusero tutte le porte del castello e rimasero all’interno, protetti dalla bolla.

Passarono dieci anni e Rebecca era ancora giovane.

Era magra e alta, con il viso piccolo, con un piccolo naso e gli occhi verde smeraldo. Aveva anche una bocca sottile, la pelle rosea, i capelli castano

chiaro e mossi e una voce simpatica e dolce. Rebecca non era come i suoi genitori, ma aveva il potere del domi- nio dell’acqua, cioè riusciva a sposta- re l’acqua con delle mosse speciali.

Un giorno Rebecca propose, felice:

‘’Mamma giochiamo!’’

La madre chiese:

‘’Sì, ma a cosa?’’

Rebecca rispose:

‘’Dobbiamo scoppiare sulla nostra testa dei palloncini pieni d’acqua e, se prendiamo quello con la farina, abbia- mo perso.

Forse è meglio farlo fuori, così non sporcheremo casa!’’

(segue alla pag. successiva)

(11)

‘’No!’’ -urlò la madre- ‘’Semmai lo faremo un altro giorno.’’ e se ne andò.

La ragazzina non sapeva il motivo per cui la madre non la facesse mai uscire, non la lasciava neanche aprire la fine- stra per guardare fuori.

Ormai si era fatta sera, Rebecca si mise sotto le coperte e si addormentò subito.

Alle tre di notte la principessa si sve- gliò all’improvviso perchè sentì il padre e la madre urlare.

Si spaventò moltissimo e corse a ve- dere cosa era successo.

I suoi genitori non c’erano da nessuna parte, li cercò ovunque e non li trovò;

allora si costrinse ad aprire per la pri- ma volta la finestra per vedere se per caso fossero fuori.

In quel momento capì perché sua ma- dre non le faceva neanche aprire la finestra: all’esterno c’erano alberi neri e statue oscure.

Lei si rese conto che avrebbe dovuto uscire, ma non voleva camminare sulla cenere e in mezzo a quella deso- lazione, allora aprì il rubinetto dell’ac- qua e fece delle mosse strane.

Dopo circa dieci secondi si formò uno squalo completamente fatto d’acqua che poteva anche volare! Rebecca non perse tempo: salì sul suo nuovo aiu- tante squalo (ovviamente gli squali erano i suoi animali preferiti) e uscì.

Esplorò un po’ quella foresta oscura alla ricerca del re e della regina.

Non li vedeva da nessuna parte, ma appeso a un albero, trovò un biglietto con su scritto:

‘’Tu sei la principessa Rebecca, vero?

Io sono quello che ha rapito i tuoi genitori e, quando prenderò anche te, forse vi manderò in pasto ai lupi, op- pure vi farò tutti prigionieri. Poi pren- derò una gemma importantissima che è il cuore della foresta. Al momento essa è a casa tua, ma contro una bam- bina come te ce la farò di sicuro e la avrò per sempre. Firmato: Spettro Malicius’’.

Rebecca si ricordò che, quando aveva sette anni, sua madre le aveva detto:

‘’Vedi questa pietra che ho chiuso in questo armadio? Questa pietra è il cuore della foresta e, se messa nelle mani giuste, la foresta diventerà bel- lissima e darà una forza incredibile.

Quando sarai un po’ più grande sarà tua, tienila bene’’.

Rebecca andò a casa sua a prendere la pietra e se la mise in tasca. Poi ripartì sul suo squalo.

Sugli alberi della foresta c’erano dei segni che sembravano portare da qual- che parte, allora Rebecca li seguì.

Quei segni arrivavano a un cancello (anche quello tutto nero) che si aprì quando giunse Rebecca.

C’era come una cella dove… dove…

dove c’erano i suoi genitori! Rebecca corse subito da loro, ma intorno alla gabbia giravano dei cavalli tutti neri con occhi cattivi e rossi.

La madre e il padre le urlavano:

‘’Rebecca scappa! Va’ via da qui!’’

Rebecca si era appena girata quando, per poco, non andava addosso a un signore con il viso coperto da un cap- puccio (nero). Si vedevano solo la bocca con le labbra screpolate e la pelle pallidissima.

Lo strano signore disse a Rebecca:

‘’Salve signorina. Tu mi hai già cono- sciuto grazie alla lettera appesa all’al- bero che ti ho mandato.

Dammi subito la pietra o darò in pasto ai lupi i tuoi genitori.’’

Rebecca, per un momento, avvertì un ricordo veloce e lontano nel quale lei era appena nata e quella foresta, da colorata, era diventata nera.

Rebecca ci teneva tanto ai suoi genito- ri, allora disse allo spettro:

‘’Va bene, te la darò, ma tu lascia andare i miei genitori’’.

E consegnò la pietra allo spettro.

Malicius urlò dalla felicità e disse:

“Sì! Adesso ho il potere supremo e…

e… e… Ma questa pietra è finta, mi hai ingannato!

Cavalli oscu- ri, prendete- la!”

Rebecca si sollevò velo- cemente in aria con il suo squalo. Cre- deva che così in alto i caval- li non potes- sero raggiun- gerla, ma si sbagliava: i cavalli sape- vano anche volare!

Il suo squalo, con la coda, buttò a terra un po’ di ca- valli, mentre Rebecca con il suo dominio

dell’acqua cercava di indebolirli, ma… ma la pietra (cioè il cuore della foresta) le cadde dalla tasca e atterrò proprio nelle mani di Malicius.

Rebecca disse allo squalo:

“Per un po’ te ne dovrai occupare tu dei cavalli, ma sistemerò tutto, te lo giuro!”

Rebecca scese dallo squalo e si gettò di sotto.

Atterrò proprio sopra allo spettro, al quale, per la sorpresa, era scivolata di mano la pietra.

Rebecca corse a prenderla, se la mise vicino al cuore.

Dal cuore della foresta uscì una luce bellissima con tutte le tonalità dell’ar- cobaleno.

La foresta ritornò ad essere tutta colo- rata.

Le case si ricostruirono.

Le statue si ri-trasformarono in citta- dini.

I cavalli oscuri divennero bellissimi unicorni arcobaleno.

Lo spettro Malicius si tramutò in una statua e finalmente i genitori di Re- becca si liberarono.

Tutta la famiglia di Rebecca (compreso lo squalo) tornò a casa, felice.

L’intero regno organizzò una festa dedicata alla sua salvatrice: Rebecca.

ESCR

Una ragazza speciale

(12)

Era una giornata importante per Tey- la, era il suo compleanno, e lo sarebbe diventata ancora di più quella notte…

una meravigliosa avventura la stava aspettando.

Teyla era una ragazzina di dieci anni con un corpo esile e alto, aveva il na- so appuntito e una bocca sottile come un filo. Aveva una pelle pallidissima e dei capelli lunghi e dorati come il miele.

Il giorno del suo compleanno, Teyla ricevette in regalo un fiore con un bigliettino sul quale era scritto:

“Fiore di KATNISS, un fiore molto speciale e in pericolo… ti porterà nei luoghi più remoti”.

Teyla staccò il biglietto e si mise il fiore in testa, fra i capelli.

Alla fine di quella lunga giornata, Teyla andò a dormire e, quando si svegliò, si ritrovò in una foresta, una foresta che sembrava strana agli occhi della ragazza, come fosse incantata.

La ragazza si toccò i capelli morbidi, ma non sentì il fiore; lo aveva perso:

allora cercò a terra finchè non lo ritro- vò. Pensò al bigliettino che vi era at- taccato e ricordò la frase:

“…Ti porterà nei luoghi più remoti”.

Allora capì che il fiore doveva avere dei segreti.

Così si alzò e andò a cercare aiuto nel buio di quella foresta, forse incantata.

Passò qualche ora, da quando aveva iniziato a camminare, allora si sedette su una pietra che al suo passaggio aveva scricchiolato, incuriosendola.

Quella pietra non sembrava normale perché sopra aveva delle incisioni di piccoli uomini, come se vi fossero disegnati dei folletti o degli gnomi.

Infatti, dopo qualche secondo, da un tronco uscì uno strano esserino che canticchiava.

Sembrava che la stesse ignorando, ma non era così. Infatti, appena si girò, si mise ad urlare e Teyla lo zittì.

Il folletto non ne sembrò felice, anzi, si rimise ad urlare solo per qualche secondo. Poi si fermò e chiese a Teyla con voce stridula:

“E tu… chi saresti per permetterti di zittirmi, e perché porti in testa il sacro fiore di KATNISS?”

Teyla ribattè:

“Io mi chiamo Teyla Elora e questo fiore me lo hanno regalato al mio compleanno. E poi chi saresti tu? Non ti sei nemmeno presentato!”

Il folletto, arrabbiato, disse:

“Non sai chi sono, beh, lo dovresti sapere visto che sei nella foresta dei

folletti. Quindi credo di poter afferma- re senza dubbio di essere un folletto.

E aggiungo che non sono un folletto qualsiasi, ma anche uno molto impor- tante, mi chiamo…”

Proprio in quel momento sentirono uno strano boato, che assomigliava ad un ruggito, ma più profondo, come quello di un drago o di un orco.

Il folletto urlò e prese Teyla per un braccio, trascinandola in un rifugio scavato nella terra che proseguiva con un condotto che attraversava un lago colmo di acqua cristallina.

Lo percorsero fino alla fine e giunsero in un villaggio con casette strette e basse.

Teyla disse:

“Mi potresti dire il tuo nome, adesso, e anche perché siamo corsi così di fretta in questo minuscolo villaggio?”

Il folletto ribattè:

“Io mi chiamo Lorax e sono il re di questo luogo, siamo venuti in questo minuscolo villaggio per nasconderci dai D-D-DRAGHI”.

“Ci sono dei draghi?”

Ribattè Teyla sconvolta.

“Purtroppo, sì, e stanno cercando quel fiore. Mi devi dire chi te lo ha dato e subito!”

Concluse il folletto.

Teyla rispose che, sul biglietto che accompagnava quel dono, non c’era la firma e perciò lei non aveva la più pallida idea di chi potesse averglielo dato.

Il folletto capì che l’unica persona che poteva averglielo regalato era suo nonno, l’unica persona che era a co- noscenza dell’esistenza della foresta e la sola persona della quale Lorax si fidava.

E così disse:

“Teyla, quel fiore ha poteri incredibili e pericolosi, perciò tieni a mente che lo dovrai proteggere. Dovrai portarlo in salvo senza mostrarlo alla regina degli spettri e ai suoi draghi.”

“D’accordo lo farò”

Rispose felice Teyla.

Il folletto e Teyla si incamminarono verso la montagna, dove era celato il nascondiglio “delle tenebre”, il luogo dove si rifugiavano la regina degli spettri e i suoi temuti draghi.

Lorax spiegò a Teyla che la regina degli spettri era una bruttissima perso- na. Aveva una corporatura magra e alta, con un volto ripugnante, dotato di un naso piatto e affilato. La sua bocca era crudele, ornata da pelle bianca come la neve, e i capelli erano

neri e lisci. L’età della strega era inde- finibile, grazie anche alla sua voce acuta e insopportabile.

Teyla aveva i brividi, ma era anche curiosa e continuava a fare domande a Lorax che sbraitò:

“Smettila per favore! La regina ti po- trebbe sentire, perciò, zitta! Siamo quasi in cima alla montagna e il peri- colo si fa più alto!”

Dopo qualche minuto arrivarono alla grotta della regina, che stizzita stava dando ordini ai suoi draghi:

“Andate a cercare il fiore, oppure vi polverizzo!”

Teyla considerò che doveva essere davvero pesante restare agli ordini di quella brutta strega che, per di più, ti minacciava di essere polverizzato;

pensò anche che dovevano organizza- re un piano e così rimasero lì un bel po’ a discutere.

Ad un certo punto Lorax disse:

“Ho un’idea! Aspettiamo che la regi- na si sposti e poi entriamo in azione.

Metteremo il fiore nella teca di lava e faremo tornare la pace nel regno. Sarà facile, non trovi?”

Quando Lorax si girò, non vide più Teyla e si preoccupò pensando che fosse stata trasportata via dal KAT- NISS, ma non era così. Anzi: lei si era già avventurata nel buio perché la strega era un attimo uscita.

Allora Lorax la seguì, ma non fu una buona idea, perché la strega aveva dimenticato lo scettro e, tornando in- dietro per recuperarlo, vide Teyla, Lorax e il fiore.

Teyla, spaventata, si mise il fiore tra la mani, lo girò velocemente per riu- scire a scomparire e teletrasportarsi da qualche altra parte, ma non funzionò, come se nella grotta ci fosse una bolla antimagia.

Purtroppo era proprio così e solo la regina poteva usarla.

(segue alla pag. successiva)

Teyla e il segreto del fiore

(13)

Nella foresta di Novaglie, esistevano silenziose e maestose le Fate, che po- tevano essere di vari villaggi. A se- conda di dove vivevano potevano essere: Fate dei Fiori, Fate degli Albe- ri, degli Animali e dei Frutti.

Però, non era tutto troppo pacifico.

Infatti, nei villaggi opposti, esistevano le Frode, che erano le fate cattive ed erano tutto l’opposto delle Fate.

La nostra storia ha inizio nel villaggio delle Fate dei Fiori, dove vivevano il re Narciso e la regina Gelsomina. La regina aveva occhi blu come il cielo e capelli ricci e castani come un tronco d’albero. Il re aveva capelli neri come la pece e occhi verdi come gambi di Girasoli.

Essi avevano due figlie: Margherita e Violetta.

Margherita aveva dieci anni, capelli chiari come il miele e occhi dolci e castani come quelli di un cerbiatto. La sorella aveva tredici anni, occhi neri come la notte e capelli scuri.

Ormai era da giorni che il re continua- va a dire a Margherita che sarebbe dovuta salire al trono, perché Violetta, anche se più grande, non aveva un cuore puro come quello della sorella minore, che rideva spesso perché per lei era tutto come un gioco; infatti lei pensava che il Mondo fosse come una margherita che viene solleticata dal vento.

La regina era molto calma, in quanto non si preoccupava di certe cose.

Margherita possedeva un Colo. I Colo erano gli animali delle Fate dei Fiori, erano gatti minuscoli con le ali e con caratteristiche di animali esotici. Na-

scevano addirittura dentro ai petali dei fiori, e il colo di Margherita aveva: ali gialle, pelliccia marroncina e il

“potere” del camaleonte, cioè di mi- metizzarsi, cosa molto utile.

Il giorno in cui Margherita salì al tro- no fu il sei maggio. Ella, come di con- sueto, rise.

Dopo tre mesi, la froda Mangrovia, una donna con capelli corvini e voce gracchiante, lo venne a sapere e rima- se di sasso.

Lei desiderava da sempre diventare la regina dei fiori, così si infuriò tanto da voler organizzare una vendetta tal- mente diabolica che perfino le altre frode ne ebbero paura.

Alla fine il piano di Mangrovia non divenne più tanto segreto, infatti il re Narciso lo scoprì: mise in guardia Margherita e le diede, per proteggersi, uno strano amuleto.

Aveva la forma di tre fiori: papavero, margherita, girasole.

Le disse che, se ella avesse toccato la margherita, sarebbe diventata notte;

ogni volta che avesse toccato il gira- sole sarebbe stata mattina e, ogni vol- ta che avesse toccato il papavero, sa- rebbe stata sera.

Poi il re aggiunse che Margherita avrebbe dovuto compiere una missio- ne: doveva salvare il villaggio. Per farlo, doveva andare a prendere l’uni- ca cosa che Mangrovia voleva: una lacrima di unicorno.

Una lacrima pura e naturale, una sola di numero.

Così, il mattino seguente, Margherita si incamminò verso un’avventura stra- na, ma affascinante.

Per prima cosa, dovette passare attra- verso la Valle del sonno e portò con sè il suo Colo che chiamò Wendy.

Nella valle c’erano tartarughe di terra gigantesche, ma tutte dormivano co- me ghiri, tranne una, la più anziana, che disse a Margherita:

“Dove stai andando è un luogo oscu- ro, eppure tu cerchi qualcosa di puro.

Io ti consiglio di andare in un posto altrettanto lugubre,

dalle sirene con voci stridule, ma a loro chiederai soltanto una cosa:

dove si trova la magica rosa, ne prenderai un petalo e basta, lo mischierai con un’altra sostanza, qualcosa di puro,

una lacrima d’oro,

luccicante come dell’animale è il teso- ro. Assieme al petalo otterrai una miscela che donerai alla froda Mangrovia dell’aldilà.”

Dopo aver ascoltato questo discorso, Margherita si incamminò verso il ma- re delle sirene con il cuore in gola, ma poi si ricordò di una cosa che le aveva detto una volta sua mamma:

”Non devi temere il tuo destino, per- ché è lui che sa veramente cosa fare”.

E si tranquillizzò.

Dopo di che vide le sirene e chiese gentilmente loro della rosa.

Esse risposero con voce gracchiante:

“Di solito facciamo del male ai visita- tori, perché non ci chiedono mai nien- te, ma dato che tu sei stata educata, allora ti rispondiamo: la rosa si trova di fianco al nostro mare, lì dove c’è una boa azzurra.

(segue alla pag. successiva)

Teyla e il segreto del fiore

Così Teyla e Lorax dovettero cavarsela con delle spade trovate a terra per pura fortuna.

Durante la lotta, il fiore cadde e la regi- na lo volle prendere, richiamò i draghi che la aiutarono e Lorax chiamò i follet- ti che lo aiutarono a sua volta.

Lorax aveva un piano che spiegò a Tey- la: “Allora: i miei aiutanti faranno impazzi- re i draghi correndogli attorno, mentre tu distruggerai la teca e posizionerai al suo interno il fiore!”

Teyla annuì e agì proprio come le aveva detto di fare Lorax. La regina cadde a terra.

Al posto dei suoi draghi c’erano muc- chi di cenere, al posto della lava c’era- no tanti fiori e un portale.

Da questo passaggio la ragazza se ne andò salutando calorosamente Lorax e dicendogli che sarebbe tornata.

Così Teyla rientrò a casa, ma ripensò per sempre a Lorax e alla loro vittoria contro le forze del male.

MC

Le fate e le frode

(14)

Infatti, mettendo la trappola nella valle, aveva fatto sì che gli unicorni si prendes- sero un bello spavento.

E Margherita fu libera.

Mangrovia, infuriata, mise allora delle trappole in tutta la foresta.

Ma non c’era niente da fare:

gli animali e le fate o frode del bosco, volevano troppo bene a Margherita; infatti, tutte le volte che si cacciava nei guai, loro l’aiutavano sempre.

Alla fine Mangrovia lasciò arrivare Margherita nella sua casa.

Margherita consegnò a Mangrovia la lacrima, ma, prima che Margherita se ne andasse, Mangrovia le diede da tenere in mano una lepre, così …. i cani da caccia di Mangrovia la attaccarono! E, contemporaneamente, cadde sopra a Margherita una gabbia che la intrap- polò.

Margherita era triste, ma poi si accor- se di una cosa: Wendy era abbastanza piccola e minuta da poter passare at- traverso le sbarre, ma non abbastanza forte da distruggere il lucchetto di platino.

Infatti la gabbia era chiusa da un luc- chetto. E la chiave? L’aveva ingoiata Mangrovia.

Margherita però aveva un asso nella manica: quando era stata intrappolata a casa di Mangrovia, aveva visto che, da dietro la porta, Martina aveva nota- to tutto e così Margherita le chiese aiuto.

Però era ancora giorno, allora Mar- gherita toccò il suo ciondolo proprio Ci raccomandiamo: prendine solo un

petalo. Arrivederci.”

Margherita prese delicatamente un petalo della rosa: il petalo era meravi- glioso, era tutto azzurro con una pol- verina argento. Poi ringraziò e salutò le sirene.

Margherita, però, non sapeva che una sirena era andata a spifferare tutto a Mangrovia. La froda, sapendo ce la piccola stava andando alla valle uni- cornosa, le organizzò una trappola:

mise una gabbia ben nascosta nella valle degli unicorni, in modo da in- trappolarla e far vedere alla regina degli unicorni la piccola ladra di lacri- me. La regina si chiamava Martina ed aveva capelli d’oro e occhi dolci e castani.

Non appena Margherita venne intrap- polata e la regina Martina se ne accor- se, Martina liberò Margherita e, anzi, si arrabbiò con Mangrovia.

dove c’era il papavero, In questo mo- do, presto diventò sera e Mangrovia disse: “Buona notte a tutti“.

Poi arrivò Martina, che assieme agli animali del bosco riuscì a rompere il lucchetto, così Margherita fu subito libera.

Il giorno dopo, Mangrovia vide che Margherita era scomparsa, così le dichiarò battaglia.

Margherita vinse perché con sé aveva un coltellino e tagliò una corda che reggeva il ponte di mezzo che divide- va il mondo delle fate dal mondo delle frode.

Così Mangrovia le urlò contro:

”Non puoi vincere sempre tu , Mar- ghe!!!”.

Ma Margherita non le diede ascolto.

Poi vide per terra un pugnale. Martina le disse che avrebbe potuto uccidere finalmente Mangrovia, ma lei non lo fece perché non le piaceva la violenza, così Margherita se ne tornò a casa tutta contenta e festeggiò un sacco.

Oltretutto quel giorno era il com- pleanno di Wendy e quindi fecero una festa super bella, con: torte all’ananas, gentilmente offerte dalle fate dei frut- ti, pasticcini al miele, offerti dalle fate degli animali e tanti giochi in resina naturale offerti dalle fate degli alberi.

Margherita, inoltre, regalò a Wendy anche una coroncina da principessa fatta di oro con rose attorno in argento e una pietra di luna sulla punta, pecca- to che le stesse troppo grande!!!

Comunque fu una festa così bella che le tartarughe si svegliarono e vennero a ballare assieme a tutti gli altri. Ci fu anche un concerto. Le cantanti? Le sirene! Certo non fu un concerto trop- po memorabile, ma almeno, c’era talmente tanta gente che ci si divertì comunque. “Più siamo e meglio è!”

disse Margherita.

Poi si mise a dormire per dissolvere gli effetti del passaggio nella Valle del sonno e riposò per giorni.

Le fate e le frode

Scuola primaria - via Chiesa, 2 - 37034 Novaglie, Verona telefono e fax: 045 525798

e-mail: merighi.novaglie@ic16verona.edu.it

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