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UN TRITTICO-RELIQUIARIO VERONESE DELLA METÀ DEL XIV SECOLO NELLA PIEVE DI ARBIZZANO

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UN TRITTICO-RELIQUIARIO VERONESE DELLA METÀ DEL XIV SECOLO

NELLA PIEVE DI ARBIZZANO

Introduzione

Verona ha avuto una grande produzione pittorica ad affresco nel XIV secolo, della quale rimangono innumerevoli testimonianze nelle chiese della città e della provincia.

Delle pitture su tavola invece ben poco è rimasto, ma è presumibile fosse- ro anch’esse molto numerose data l’importanza di Verona, centro politicamente assai forte, ricco di una corte rimasta famosa, e di potenti ordini religiosi, quin- di in grado di fornire una continua committenza agli artisti. Ne sono la pro- va le opere scultoree, conservatesi maggiormente per la loro stessa consistenza materica, e molto spesso rimaste nella loro collocazione originaria. Dall’esame complessivo di tutto il materiale figurativo, possiamo dire che con il secondo decennio del secolo si può veramente parlare di arte gotica veronese, con deter- minate caratteristiche peculiari che si susseguono coerentemente, sviluppandosi per tutto il secolo e oltre.

Certamente la conoscenza della pittura di Giotto, che avrebbe operato anche a Verona stando alla testimonianza di Vasari (1), dovette esercitare una forte suggestione sui pittori locali, ma probabilmente la produzione dei grandi scultori veronesi (ed è indubbio che almeno nella prima parte del Trecento la forma d’arte-guida a Verona è la scultura dipinta) contribuì fortemente a im- prontare di ‘corposità’ e di ‘pesantezza’ gli inizi della pittura gotica veronese.

Desidero ringraziare per l’aiuto e l’attenzione accordatemi la dott.ssa Claudia Adami, Biblioteca Capi- tolare di Verona, la prof.ssa Giuseppina De Sandre Gasparini, Università di Verona, il dott. Marco Girar- di, Biblioteca Civica di Verona, don Carlo Tezza, la famiglia Degli Albertini, la dott.ssa Elena Benvenuto.

(1) G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, I, a cura di L. e C.L. Ragghianti, Milano 1971, p. 373.

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Un’altra caratteristica di tutto il secolo è la stretta connessione di modi espressivi ed estetici tra la pittura ad affresco e su tavola, e la miniatura.

È in questo contesto che riveste particolare interesse la tavola-reliquiario di Arbizzano, la quale, insieme con due tavolette del Museo di Bruxelles con le Storie di Gioacchino e Anna, della Vergine e di Cristo, e con una tavola con le Storie della Bibbia del Museo di Castelvecchio a Verona, si colloca proprio tra la pittura monumentale e la miniatura, confermandone le affinità e le problema- tiche peculiari alla scuola veronese.

Le tavole ora menzionate differiscono tra loro, in quanto gli esemplari di Bruxelles e di Castelvecchio sono sequenze tratte dalla Bibbia e dai Vangeli, mentre la tavola di Arbizzano presenta immagini di santi in connessione con le loro reliquie, oggetto di devozione.

Fig. 1a. Il trittico-reliquiario di Arbizzano.

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Ma per la tecnica con cui sono state eseguite, la scelta dei colori, i par- ticolari della decorazione del fondo, esse sono assai vicine tra loro e vicine alle figurazioni dei codici miniati a Verona attorno alla metà del secolo, tanto da presentare comuni problemi di attribuzione.

La nostra ricerca si è appuntata sulla tavola di Arbizzano, che può con- siderarsi un unicum nel panorama pittorico veronese del XIV secolo in quanto visualizzazione e personificazione figurativa di reliquie delle più svariate epoche e provenienze, raccolte assieme a scopo di culto. Inoltre lo studio storico-arti- stico di questa tavola fa emergere tutte le incertezze che, nonostante vari studi sull’argomento, avvolgono la pittura veronese a metà del Trecento, dove l’inte- razione e il percorso evolutivo di alcune personalità artistiche pongono molti interrogativi.

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Descrizione

Sul primo altare a destra della Chiesa Parrocchiale di Arbizzano, dedicata a san Pietro, si conserva lo splendido reliquiario formato da tre tavole distinte, racchiuso entro un’elegante cornice lignea barocca (fig. 1a).

Le dimensioni della tavola centrale sono di cm 1,03 per la base e di cm 49 per l’altezza a cui si aggiungono, per la parte centrale cuspidata, cm 18. Le due laterali, più piccole, sono entrambe di cm 52,5 per la base e di cm 50,5 per l’altezza.

Le tre tavole sono ora unite tra loro, in una cornice di legno chiaro, di tonalità rossastra, dell’altezza di cm 4,5 e dello spessore di cm 1,5; tale cornice segue tutto il perimetro e nella parte mediana superiore si arricchisce di ele- ganti volute con motivi floreali. Nella parte inferiore vi è agganciata, in forma triangolare, con superficie che prende tutta la lunghezza della base della tavola

Fig. 1b. Numerazione delle singole figure rappresentate nel trittico.

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centrale, una targa con una cornice maggiormente decorata di quella superiore, recante un’iscrizione in maiuscole su pergamena, che indica la storia del dipinto sino al 1756 (fig. 2): «ANTIQUUM HUNC SAECULI XIII TRIPTYCHUM / CUM SACRIS IMAGINIBUS ET RELIQIIS / oLIM TESTIBUS BAGA- TA ET PERETo QUI MoNUMENTA SS. CoRPoRUM AN. MDLVII / EDIDERUNT IN TEMPLo D. ANToNII A CURSU PoSITUM VE- TUSTATE LoNGAQUE INCURIA SQUALLoRE / FoEDATUM AB DS MoNIALIBUS EXTRA AEDES PRo DERELICTo HABITUM PETRUS ANToNIUS / ANTIST(IT)IS VERoNENSIS (...) EXCEPIT AC PRo EIUS RELIGIoNE RESTITUENDUM CURAVIT RESTITUMQUE EXPIA- TUM ATQ(UE) EXoRNATUM / IN SUo DoMESTICo SACELLo AD PRISTINUM CULTUM REVoCAVIT / AN MDCCLVI».

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Ciascuna delle due tavole laterali è legata a quella centrale mediante cer- niere di metallo, poste nella cornice all’incirca a metà dell’altezza.

Viste sul retro le tavole di legno – probabilmente noce – appaiono rovi- nate dai tarli e dall’uomo. Interventi successivi nel tempo hanno lasciato scana- lature simmetriche che fanno pensare ai diversi sistemi di chiusura del trittico.

Tutte e tre le tavole sono intere, formate cioè ciascuna da un’unica asse (salvo nella centrale l’aggiunta della piccola cuspide) e dello spessore di circa cm 4. Il perimetro delle due assi laterali non è ad angolo retto ma è tagliato di sghembo.

Mentre due tavole, quella centrale e quella (per chi guarda il retro) a destra, sono di legno grezzo a vista con leggera colorazione rossa, l’altra, fino al restauro tutt’ora in corso (2), era ricoperta interamente da stucco dipinto, di una tonalità calda, rossa come il bolo. Probabilmente il legno era molto tarlato e in passato un restauratore aveva iniziato a demolire, dal retro, la tavola per eseguire il trasporto o per eliminare la parte più degradata. A un certo punto dell’assottigliamento (sono evidenti i segni della sgorbia) non è andato oltre e ha ricoperto il legno con stucco e bolo. Sicuramente si tratta di un intervento abbastanza recente, eseguito per proteggere la materia del supporto deteriorata e mantenerla così nella sua compattezza. E ancora a sinistra è inchiodata una serratura con chiavistello in ferro battuto (XVI secolo?) e un pezzo di carta incollato sul supporto ligneo dove si legge, scritto a inchiostro, «San Pietro», come pure nella parte centrale è incollato un pezzo di carta con la scritta «San Pietro-Trittico di Arbizzano».

Sia nella tavola centrale che nelle due laterali, alle estremità, sono visibili delle scanalature a punta di freccia, due in alto, due al centro e due in basso, dovute certamente a uno dei precedenti sistemi di chiusura delle due ante laterali su quella centrale. Inoltre si nota nella tavola mediana un pezzo di tela incollato sul retro, in corrispondenza della seconda nicchia porta-reliquie del registro superiore, e due anelli formati da filo di ferro attorcigliato e fissato con viti. Nella parte bassa della tavola lignea di destra, sul bordo della cornice, vi è un gancio rotondo in ferro mentre nella parte alta sono infisse due parti di cermera.

Tutte queste manipolazioni fanno parte della storia del trittico e dei suoi diversi modi di esposizione al pubblico. Probabilmente era tenuto aperto con l’ausilio di ganci posti sul retro. Veniva poi chiuso in modo che le due estremità laterali, come sportelli, convergessero sulla parte centrale. Tale posizione è ri- cordata dall’attuale parroco di Arbizzano, don Carlo Tezza, che ha fatto fissare sul retro, con delle viti, un’asta metallica nel senso della lunghezza di tutte e tre le tavole per tenerlo aperto e per poterlo fissare al muro.

(2) Ringrazio la dott.ssa Anna Malavolta, ispettrice della Soprintendenza ai Beni Artisitici del Veneto, per aver autorizzato nel febbraio del 1999 una mia visita presso l’atelier del restauratore Massimo Tisato.

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Si può ipotizzare una cornice originale di legno e stucco dorati, come è di tutte le tavole lignee trecentesche. Anche i dossali in pietra avevano ricche cornici scolpite. Citiamo per esempio la tavola del Turone a Castelvecchio e il Paliotto in pietra nella chiesa di Santa Maria in organo, con cornice a colon- nine tortili e fogliame e con le estremità terminali dei due battenti laterali, una volta richiusi sulla tavola centrale, coincidenti con la cuspide. Infatti la tavola mediana, la maggiore per dimensioni, con la Pietà e la croce, di colore marrone, sul fondo d’oro, prosegue verso l’alto e si conforma a cuspide trilobata.

Dall’analisi a occhio nudo dei vari strati preparatori, a partire dal sup- porto ligneo, si nota l’esistenza di tela da incamozzatura (visibile nelle lacune di colore e preparazione) sulla quale vi sono la preparazione, l’imprimitura, il bolo e la foglia d’oro. In alcune zone di tutte tre le tavole, è ancora visibile nello sfondo oro l’originaria quadretta tura obliqua eseguita a punzone con doppia linea; pure eseguite a punzone e chiodo sono le aureole di tutti i santi.

La materia pittorica è costituita da tempera abbastanza compatta, con una stesura a piccole pennellate e con una scelta cromatica che va dal bianco al giallo ocra, dalla terra di Siena alla terra d’ombra naturale, dal rosato al rosso acceso, dal blu al verde e al nero. Vi è inoltre una stesura assai debole e unifor- me di vernice. Naturalmente è possibile che queste osservazioni debbano essere modificate a restauro ultimato.

Fig. 2. La targa inserita nella cornice settecentesca.

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Note storiche

Per tracciare una storia del reliquiario bisogna partire dall’iscrizione su pergamena, inserita nella cornice barocca, da leggere attentamente per chiarirne bene il significato.

Propongo di leggere il testo secondo la seguente traduzione: «Questo antico trittico del secolo XIII (sic) con sacre immagini e reliquie, un tempo, secondo la testimonianza di Bagata e Pereto che resero note le vicende dei santi corpi nell’anno 1557, posto nella chiesa di Sant’Antonio al Corso, per la an- tichità e per la lunga incuria ridotto allo squallore, dalle monache (3) portato fuori [dalla chiesa], ritenuto come derelitto, Pietro Antonio del vescovo (4) ve- ronese ... riprese e per la devozione di quello si adoperò a che fosse restaurato, e, restaurato e riconsacrato e decorato, nella sua cappella domestica fece tornare al suo primitivo culto nell’anno 1756».

Il trittico si trovava dunque nella chiesa di Sant’Antonio al Corso (5), monastero femminile dell’ordine Benedettino, da collocarsi nell’attuale via Valverde a Verona (6).

La chiesa di Sant’Antonio al Corso, con annesso Convento e poi ospe- dale, sorta nei primi anni del Duecento (7), subì varie vicissitudini nei secoli con l’avvicendarsi di diversi gruppi e ordini di monache e con interventi di alcuni vescovi di Verona che si adoperarono per riunirvi un numero cospicuo di religiose (8).

Nel 1529, nella relazione della visita pastorale del vescovo Gian Mat- teo Giberti si legge: «Visitavit post haec ecclesiam Sancti Antonii qua est venerabilium monalium Sancti Antonii a Cursu, qua est penitus desolata et

(3) C. Du Cange, Glossarium mediae et infimae latinitatis, Parisiis 1840-1850, IV, «monialis»: mo- naca.

(4) E. PorCellini, Lexicon totius Latinitatis, Padova 1864-1890, I, 1720, p. 270, «antistes, istitis: qui ante alios stat, qui aliis praest et irnperat [...] Speciatim frequentissime dicitur de iis, qui sacris praesunt, et in templis sacrificia aliosque religiosus ritus administrant». Du Cange, Glossarium ..., I, p. 306, «“anti- stes”: hoc honoris nomen non Episcopis solum et Abbatibus, sed quandoque etiam Prioribus et Parochis datum fuisse norunt, qui antiqua legerunt instrumenta».

(5) G.M. rossi, Nuova guida di Verona e della sua Provincia, Verona 1854, p. 87. G. BeViglieri, Guida alle chiese di Verona, Verona 1898, pp. 105-107. L. simeoni, Verona. Guida storico-artistica della città e della provincia, Verona 1909, pp. 193-194. V. Fainelli, Chiese esistenti e distrutte, Verona 1910, p. 2. T.

lenotti, Chiese e conventi scomparsi, a destra e a sinistra dell’Adige, Verona 1955, p. 52.

(6) E. moranDo Di Custoza, Verona in mappa, Verona 1977, n. 3107, p. 105, Via Valverde, n. 40- 42. Vedasi mappe catasto napoleonico (1817), n. 2793, p. 83; catasto austriaco (1847), n. 4277, p. 203;

pianta aerofotogrammetrica del 1960, p. 309.

(7) Anche se all’Archivio di Stato di Verona (d’ora in poi ASVr) sono conservate pergamene a partire dal 1117: Regesto per fondi, Fondo di S. Antonio al Corso, pergamene dal 1117 al 1805. Registro mona- steri femminili in città, n. ord. 199 (anno 1220-XVIII), n. ord. 200 (anno 1400-1676).

(8) G. BianColini, Notizie storiche delle chiese di Verona, Verona 1749-1766, III, p. 59, V (parte II), p. 220.

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destructa» (9). Il complesso monastico è ancora attivo nel Settecento, ma è destinato a scomparire con decreto napoleonico del 6 giugno 1805 sull’orga- nizzazione del clero secolare, regolare e delle monache, e con i sucessivi decreti, particolarmente quelli del 18 e 25 aprile 1806 per cui si ridussero le chiese parrocchiali e i conventi. Con decreto 25 aprile 1810 la chiesa di Sant’Antonio al Corso viene soppressa e la Congregazione della Carità destinata all’ospedale Civile (10).

Per conoscere il contenuto figurativo della tavola è necessario consultare il testo, già citato, di Raffaele Bagata e Battista Peretti, che consiste in una rac- colta di tutti i santi e reliquie venerate dalla chiesa veronese. A c. 77r nell’In- dex Reliquiarum troviamo: «In Ecclesia S. Antonii, seu Monasterio Monalium asservantur reliquiae SS. Sidrach, Misac e Abdenago, S. Joannis Baptistae, SS.

Petri e Pauli, S. Andreae, SS. Innocetium, S. Stephani, S. Laurentii, S. zenonis, S. Blasii, S. Alexandri Mar., SS. Faustini e Jouvite, S. Marcelli, S. Crescentiani, SS. Primi e Feliciani, S. Roberti, S. Juliani, S. Cataldi, SS. Cantii, Cantiani e Cantianellae, S. Gregorii, S. Hieronymi, S. Remigii, S. Martini, S. Proculi, S.

Lupicini Episcopi, S. Benedicti, S. Antonii, S. Mariae Magdalenae, S. Marthae, SS. Undecim milium Virg., S. Margaritae, S. Felicitatis, S. Iulianae, S. Secu- dianae, et aliorum Sanctorum, quorum nomina ignorantur, De Indumento Domini» (11).

Dunque almeno sino al 1576, anno dell’edizione del libro, il trittico era nella chiesa di Sant’Antonio e si può pensare fosse in buono stato di conserva- zione, dato che vengono accuratamente descritti i santi di cui sono presenti le reliquie, anche se è da notare che anche allora erano ignorati i nomi di alcune figure; forse alcune pergamene erano già illeggibili.

In seguito al deterioramento del convento e della chiesa, peraltro sotto- lineato e nella relazione della visita pastorale del vescovo Giberti e dallo storico Biancolini che ci ricorda diversi lavori di rinnovamento del complesso monasti- co (12), possiamo pensare che anche la tavola non fosse in buone condizioni, per

(9) Archivio Storico della Curia di Verona (d’ora in poi ACVr), Riforma pretridentina della Diocesi di Verona. Visite pastorali del vescovo G.M. Giberti (1525-1542), a cura di A. Fasanari, Vicenza 1989, 22 gennaio 1529, III, p. 1569.

(10) R. Fasanari, Gli ordinamenti napoleonici in materia ecclesiastica nella loro applicazione a Verona,

«Atti dell’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona», XIII, (1961-62), serie VI, pp. 1-90. V. Fai-

nelli, Storia degli Ospedali Civili di Verona dai tempi di S. Zeno ai giorni nostri, Verona 1962, pp. 303-336.

(11) R. Bagata - B. Peretti, SS. Episcoporum veronensium antiqua monumenta et aliorum sanctorum quorum corpora, et aliquot quorum ecclesiae habentur Veronae, per Raphaelem Bagatam archipresbiterum ecclesiae SS. Apostolorum et Baptistam Perettum rectorem Ecclesiae S. Teuteriae summo studio, ac diligentia collecta ..., Venetiis 1576. A c. 76v dell’«Index Reliquiarum SS. quae in ecclesiis Verone asservantur, preter eas, quae in altaribus sunt reconditae, quorum nomina inveniri non potuerunt».

(12) ACVr, Riforma pretridentina ..., 22 gennaio 1529, III, p. 1529. BianColini, Notizie storiche ..., III, p. 59; V, p. 220.

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cui fu lasciata in abbandono, fino a quando alla metà del Settecento un certo Pietro Antonio, sacerdote d’influente potere e dotato di fine sensibilità, per volontà del vescovo la fece restaurare e restituendole il ‘primitivo splendore’ la collocò nella sua cappella privata. La pergamena è raschiata proprio nel punto dove viene nominato il vescovo, ma facilmente lo si può identificare con Gio- vanni Bragadino che resse la Chiesa veronese dal 1733 al 1758 (13). Sappiamo che nel 1757, 2 settembre, avvenne una piena dell’Adige con inondazione della città che bloccò il vescovo nel suo palazzo, per cui egli diede l’incarico al suo vicario generale di prodigarsi nei confronti dei bisognosi. Il vicario era mons.

Pietro Antonio Albertini che direi essere il Pietro Antonio incaricato di salvare il nostro trittico dal degrado in cui si trovava.

L’Albertini nacque a Verona da famiglia agiata, avendo così la fortuna di poter studiare e di seguire la carriera ecclesiastica. Fu consultore del Santo Ufficio e consultore vescovile, parroco nella chiesa dei Santi Fermo e Rustico ed esaminatore sinodale e, forse quello che più ci interessa, «Ispettore sopra gli Affari monastici e del Venerabil Seminario, quando d’altre cose Ecclesiastiche, or pubbliche ed or private, or della Città, or della Diocesi» (14). Nello svolgere con grande zelo l’incarico di vicario generale pensiamo potesse disporre di una certa libertà di azione, forse quella che gli permise di conservare personalmente il reliquiario da lui restaurato.

Viene definito appartenente a potente famiglia in ascesa di mercanti e uomini di chiesa: il fratello Alberto era mercante e grazie alla sua proficua opera di investimenti fondiari consolida la posizione economica e sociale della fami- glia; la sorella Maria Teresa è monaca domenicana e ben due figli di Alberto, Francesco Domenico e Albertino Pio, saranno ecclesiastici (15).

I due fratelli Albertini, Alberto e Pietro Antonio, rilevarono nel 1734 da Giò Maria Stappo e Antonio Marchi una villa, messa in vendita per soddisfare i loro crediti nei confronti del proprietario Andrea Valeggia.

La «villa del Paradiso» si trovava tra Valeggio e Peschiera, e si compo- neva di «una casa domenicale con sua chiesa e giardino» e altre case di «lavo- renzia» (16). La chiesa fu fatta erigere a opera del Valeggia, come apprendiamo dal documento, custodito presso l’Archivio Albertini di Peschiera, Processo

(13) G. BianColini, Dei vescovi e governatori di Verona, Verona 1757, p. 53. G. eDerle, Dizionario cronologico bio-bibliografico dei vescovi di Verona, Verona 1965, pp. 83-84.

(14) L. FeDeriCi, Elogi istorici de’ più illustri ecclesiastici veronesi, III, Verona 1819, pp. 28-30.

(15) L. Franzoni, Il collezionismo dal Cinquecento all’Ottocento, in Cultura e vita civile a Verona, a cura di G.P. Marchi, Verona 1979, p. 633. M. girarDi, Un possidente, benefattore, prete Pietro Antonio Albertini e Nicola Mazza, in Miscellanea studi mazziani, I, Verona 1990, pp. 515-539.

(16) Archivio privato Albertini (d’ora in poi AAP), Fascicolo «Paradiso» doc. notarile 22 dicembre 1734, p. 205, ms. XVIII secolo: «La Notta di tutti li Processi esistiti a noi fratti Albertini ...». E inoltre, datato 20 maggio 1733, l’«inventario dei mobili, et utensili che si trovavano nella Chiesa, e casa del Pa- radiso ...».

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per l’erettione della Ven. Chiesa intitolata l’Angielo Custode al Paradiso, datato 1714 (17).

Gli Albertini nell’ottocento possedevano numerose ville nel territorio veronese (a Garda, Sommacampagna, San Felice Extra, Minerbe, Arcè), ma nel Settecento quella di Peschiera era l’unica e assai considerevole (18) e viene da ipotizzare – rileggendo attentamente la pergamena – che il sacerdote Pietro Antonio abbia portato il trittico proprio nella chiesa dell’Angelo Custode al Paradiso alla metà del Settecento.

Nel secolo seguente poi, un altro sacerdote, Pier Antonio Albertini, figlio di Alberto che era a sua volta nipote del Pietro Antonio, vicario generale del Bragadino, dopo averlo custodito nel suo oratorio lo dona alla pieve di Arbiz- zano (19). Il donatore, che si chiamava come l’avo settecentesco, abitava in città (20), ma si era fatto costruire, nella prima metà dell’ottocento, una villa per i suoi otia proprio in Arbizzano dove possedeva fondi e case. Il fondo lo aveva acquistato nel 1833 e la villa neoclassica che porta sulla facciata l’iscrizione Otio non desidiae non è lontano dalla parrocchiale (21).

L’Albertini visse tra il 1786 e il 1863 ed è ricordato come grande benefat- tore dei Gesuiti, munifico nelle sue donazioni, pieno di attenzioni verso i biso- gnosi e verso la cura degli edifici ecclesiastici (22). Nella villa c’era un oratorio, di cui siamo a conoscenza grazie alla relazione della visita pastorale del vescovo Grasser nel 1839 (23). Possiamo continuare a supporre che il nostro trittico dalla

(17) AAP, Fascicolo «Processo per l’erretione della Ven. Chiesa intitolata l’Angielo Custode al Paradiso - ottenuta da mè Andrea Valeggia qn. Giò Batta», doc. notarile 11 luglio 1714, ms. XVIII secolo. AAP, Fascicolo «Paradiso», «visita pastorale Bartolomeo Card. Bacilieri all’oratorio pubblico di S. Maria degli Angeli, in contrada Paradiso, di proprietà dell’ill.mo Carlo Albertini», 14 agosto 1910, in cui però non si fa menzione della tavola reliquiario.

(18) F. ViViani, La villa nel veronese, Verona 1975, pp. 305-309.

(19) L. sormani moretti, La Provincia di Verona. Monografia Statistico-economico-amministrativa, Firenze 1904, III parte, p. 111.

(20) A. Cartolari, Cenni sopra varie famiglie illustri di Verona, II, Verona 1855, p. 1. ASVr, Notarile Donatelli Giuseppe, 2 aprile 1861, n. 7952: Testamento di Pietro Antonio co. degli Albertini, defunto il 25 aprile 1863, in cui lascia al pronipote Pietro Albertini la proprietà di Arbizzano e «la mia casa di abitazione in città, cioè la casa in Verona, in contrada S. Nicolò, Stradone S. Fermo ai civici numeri 1605-1606». Archivio Parrocchiale di Arbizzano (d’ora in poi APA), Registro con lo stato d’anime fatto nell’anno 1833; inoltre ho consultato i «Registro dei morti 1816-1847», e quello «1820-1889», tenuti dai parroci, quali ufficiali dello stato civile, a norma delle disposizioni governative di allora.

(21) La villa conserva nel suo intorno una lapide con la seguente iscrizione: «Alla memoria del conte don Pietro degli Albertini il pronipote conte Pietro degli Albertini istituito da lui erede di questa villa e della casa in città riconoscentissimo MDCCCLXIII». È attualmente Centro Diocesano Pastorale Pre- adolescenti, intitolato «Card. A. Valier». L. messeDaglia, Arbizzano e Novare. Storia di una terra della Valpolicella, Verona 1944, p. 114.

(22) girarDi, Un possidente, benefattore ..., pp. 524-539. C.C. BresCiani, In morte del Rev. Nob. Conte P. Antonio degli Albertini, orazione letta nella parrocchiale chiesa di San Nicolò, Verona 1863.

(23) ACVr, Indice delle viste pastorali sec. XV-XIX: n. 5, busta 8, p. 470. Visita pastorale del vescovo Grasser il 23 ottobre 1839 alla Chiesa di Arbizzano e «all’oratorio privato del Rev. S. Don Pietro Albertini e trovato ogni cosa a dovere».

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villa Paradiso sia passato all’oratorio di Arbizzano e infine alla pieve di questo villaggio.

Sappiamo inoltre che dal 1846 al 1876 vi era assai attivo il parroco don Giuseppe Graziero, che si adoperò oltre che alla cura d’anime, stringendo mol- te amicizie, a quella della chiesa, arricchendo l’edificio per quanto riguarda gli arredi sacri (24).

Di Pietro Antonio Albertini, di cui si conosce anche la dote assegnatagli dal padre nel 1807 quando era chierico (25), si hanno numerosi documenti che testimoniano l’intensa attività nel gestire il patrimonio familiare utilizzandolo nell’opera di restaurazione religiosa. Negli scritti testamentari, assai circonstan- ziati (1861) (26), non si fa cenno della tavola, per cui si può ben ritenere che essa fosse già stata donata alla Pieve.

Peraltro nell’Archivio parrocchiale di Arbizzano non vi è alcun documen- to che testimoni la donazione, la quale invece viene citata da Sormani Moretti, che forse è semplicemente testimone de auditu (27).

Da allora il trittico è ricordato ora nella canonica ora nella sacrestia (28) della chiesa di San Pietro e ancora nel granaio della canonica per tema di furto, da dove l’attuale parroco nel 1981 l’ha trasferito all’interno della chiesa.

Analisi iconografica

Il trittico-reliquiario rappresenta, nella tavola centrale, <1> la Pietà: da- vanti alla croce, la Vergine, con il manto blu costellato di stelle dorate, compone il Cristo morto, a mezzo busto, nel sepolcro (fig. 3); accanto, da ambo i lati,

(24) L. stegagnini, Elogio funebre del molto Rev. Nob. G. Graziero, Verona 1876, a p. 15: «Inteso a promuovere col sentimento religioso il culto esteriore ... dotò la chiesa di ricchissimi arredi; ed essendo la sua anima temprata al bello, volle sempre che alla preziosità della materia con isquisito gusto si acopiasse il pregio artistico del lavoro, e tanto fece che la chiesa di Arbizzano può vantarsi di possedere tali capi, da essere invidiata alle più insigni Basiliche» e a p. 27: «Uomo venerato da tutti, è stimato grandemente per il suo sapere e santità di vita da ragguardevolissimi personaggi, che ne desideravano l’amicizia». messeDa-

glia, Arbizzano e Novare ..., pp. 70-72.

(25) F. segala, Indice dei patrimoni ecclesiastici dei sacerdoti della Diocesi di Verona dall’anno 1800 al 1910, Verona 1985: n. 2, Patrimonium di Pietro Albertini, 25 luglio, 1807.

(26) ASVr, Notarile, Donatelli Giuseppe, 2 aprile 1861, n. 7952, in cui: «Lascio pure allo stesso mio pronipote Pietro Albertini, figlio del mio detto nipote Alberto, il mio stabile di Arbizzano, composto di casa dominicale, giardino, brolo, orto, cedrara e fiorita e le possessioni di mia proprietà denominate ...

Lascio pure allo stesso mio pronipote la mia casa di abitazione in città, cioè la casa in Verona in contrada S.

Nicolò, Stradone S. Fermo ai civici numeri 1605 -1606 ... Voglio che tutte le cose mobili di mia proprietà che al mio decesso esistono sia nella mia villeggiatura di Arbizzano, sia nella mia casa di abitazione in Verona, appartengano e siena di proprietà del mio pronipote Pietro ... Sono solo esclusi da questo legato, i libri e la libreria, e gli oggetti di chiesa, dei quali oggetti disporrò altrimenti ...».

(27) sormani moretti, La Provincia di Verona ..., III, p. 111.

(28) simeoni, Verona. Guida ..., pp. 370-371. E. sanDBerg VaValà, A fourtheenth-century veronese triptych, «The Burlington Magazine», (1928), V, pp. 110-116. messeDaglia, Arbizzano e Novare ..., pp.

97-98. G. silVestri, La Valpolicella, Verona 1970, pp. 108-111.

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Fig. 3. La tavola centrale del trittico-reliquiario.

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sul fondo dorato, sono dipinti su due ordini alcuni santi in posizione frontale e piccole scene relative alla vita di altri santi.

Sono ben quindici le figure di martiri e santi che circondano l’immagine centrale. Vi sono nove piccole aperture riquadrate sotto i gruppi di figure, divise in due ordini, distribuite in modo simmetrico, quattro nel registro superiore e cinque in quello inferiore, dove la quinta nicchia è sul sepolcro di Cristo, men- tre tutte le altre – anche quelle delle tavole laterali, che sono sei per ciascuna – sono sempre ritagliate in modo da sfiorare o da sovrapporsi di poco alle figure stesse.

Le aperture rettangolari sono sottolineate da una linea perimetrale di co- lore rosso e alloro interno alcune, racchiuse da vetro, conservano ancora l’og- getto di culto: in tutte su una striscia di pergamena c’è l’indicazione a caratteri gotici del santo o dei santi rappresentati. Purtroppo alcune di queste scritte non sono più leggibili.

<2> <3> <4> Da sinistra a destra tre martiri: Reliquie Sanctorum Mar- tirum Canciani et Canci e Cancianille. I primi tengono con la mano destra la palma e ognuno indossa una gonnella (ossia una veste che segue la linea della persona), una di colore arancio con bordura e una rossa, mentre il terzo indossa una gonnella verde scura con il mantello bordato di pelliccia. Portano calzari di colore arancione, verde scuro e marrone. Sono Canzio, Canziano e Canzianel- la, fratelli romani della nobile famiglia Anicia, che durante la persecuzione di Diocleziano predicarono coraggiosamente la fede cristiana e operarono molti miracoli. Furono decapitati e le loro spoglie tumulate vicino ad Aquileia. Verso la fine del VI secolo le loro reliquie furono trasportate nel Duomo di Grado e deposte sotto l’altare principale. Le chiese di Santa Maria in organo e di San Nazzaro e Celso a Verona si vantavano di possederne reliquie (29).

<5> Un soldato dal corto mantello marrone con calza scura, con elmo, spada e scudo decapita un personaggio barbuto inginocchiato: probabilmente san Giovanni Battista (30). Questi ha un corto mantello color arancione e una tunica di colore terra d’ombra, sulla quale piccole pennellate di colore giallo- gnolo potrebbero voler essere peli di cammello, e ha stretta in vita una cintura

(29) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., 1576, p. 20v. F. Corna Da sonCino, Fioretto de le antiche cronache de Verona ..., a cura di G.P. Marchi e P. Brugnoli, Verona 1980, p. 71 «In Santa Maria organa ... San Cancio e San Canciano e la sorella, che sta con li fratelli acolocati, et è chiamata Santa (an- cianella» alle pp. 74-75: «... a San Nazaro ... el g’è reliquie ... de Cancio se ritrova e de Canziano ...». Biblio- teca hagiographica latina, Bruxelles 1898-1900, pp. 231-232. Biblioteca Sanctorum, III, Romae 1963, pp.

758-760. KaFtal, Iconography of the saints in the painting of North East Italy, Firenze 1978, coll. 183-186.

(30) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 77r «S. Joannis Baptistae». Biblioteca San- ctorum, VI, 1965, pp. 599-624. KaFtal, Iconography of the saints..., 1978, coll. 509-525: «Represented generally as a youthful ascetic hermit with a dark beard, wearing a hairshirth ... his beheading». J. Hall, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, Milano 1983, p. 204.

(15)

di cuoio. La testa caduta è quella di una persona di media età con la barba folta e i capelli lunghi e arruffati. È visibile il sangue rosso su tutte e due le parti tagliate del collo.

<6> Un giovane dalla tunica arancione solleva alta la spada con la mano destra mentre trattiene con la sinistra un bimbo, che nell’atto di divincolarsi dalla presa volge la testolina ai due compagni ormai morti (sono visibili sui cor- pi ferite color rosso sangue): è la Strage degli Innocenti. In occidente gli inno- centi furono venerati come martiri alla fine del IV secolo e il culto ebbe grande successo con il diffondersi di loro presunte reliquie. In Italia le rappresentazioni dei santi Innocenti si moltiplicarono a causa della fondazione di ospizi di trova- telli posti sotto la loro protezione (31).

Secondo Bagata e Peretti nella chiesa di Santo Stefano vi era una scatola d’argento contenente le polveri dei giovani martiri (32).

È assente la nicchia sottostante che si trova invece sotto la figura seguen- te: <7> in abito scuro, un monaco anziano con barba bianca regge un bastone a forma di stampella e un codice (la Regola), ai suoi piedi si trova un maiali- no: è sant’Antonio Abate (251?-356), santo eremita, considerato l’iniziatore del monachesimo. La sua vita è intessuta di prodigi, di lotte contro il demonio che lo resero uno dei santi più venerati di tutto il mondo cristiano. Il culto di sant’Antonio cominciò durante la sua vita e la sua popolarità incrementò una ricca iconografia, favorendo la consuetudine di imporre il suo nome ai bambini e quella di intitolargli ospedali, confraternite, chiese, oratori, edicole (33).

<8> All’estremità destra della tavola identifichiamo sant’orsola in abito rosato, che regge il vessillo cristiano della vittoria (una croce rossa in campo bianco), e le sue compagne, in abiti dai colori rosso, verde, arancione, su una navicella con le vele spiegate. La martire al centro della navicella e ai lati le sue giovani compagne, disposte in due gruppi di tre, in rappresentanza delle 11.000 (o forse semplicemente 11) vergini, che nel IV secolo subirono a Colonia il martirio per la fede e per la purezza. Viene invocato il patrocinio della santa in epoche di guerra, per ottenere una buona morte e contro le sofferenze prodotte dal fuoco; inoltre la s’invoca come patrona per un buon matrimonio, patrona delle maestre, dei negozianti di panni e infine dell’ordine delle orsoline.

(31) Vangelo di Matteo 2, 1-18. Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 77r «SS. Innoce- tium». Biblioteca hagiographica latina, pp. 633-634. Biblioteca Sanctorum, VII, 1966, pp. 819-832. Hall, Dizionario dei soggetti ..., p. 381.

(32) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., a c. 26r: «... quatuor corpora requiescunt in Ecclesia S. Stephani». Biblioteca hagiographica latina, pp. 633-634.

(33) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 77r «S. Antonii». Biblioteca hagiographica latina, pp. 99. Biblioteca Sanctorum, II, 1962, pp. 106-136. KaFtal, Iconography of the saints ..., 1978, coll.

51-77. Hall, Dizionario dei soggetti ..., p. 48.

(16)

La Compagnia di Sant’orsola fu fondata nel 1535 ed ebbe per scopo l’istruzione cristiana delle giovani (3434).

<9> <10> Nel registro inferiore due uomini, a piedi scalzi, in posizione frontale: il primo, alto, di media età con capelli e barba nera, una tunica rossa con mantello verde-blu scuro, con la spada, segno del suo martirio (che com- pare nell’iconografia solo intorno al XIII secolo); l’altro, vecchio con capelli bianchi e barba corta e aricciata, i tratti somatici marcati e da popolano, leg- germente più piccolo nelle dimensioni, in tunica azzurro-verde, con mantello giallo, regge nella mano sinistra un codice (Vangelo) e nella destra le chiavi (una d’oro e l’altra d’argento): sono san Paolo e san Pietro, che si presentano secondo l’iconografia tradizionale (35).

<11> Più oltre, in abito rosso, un cavaliere con una spada in atto di fendere un mantello rosso per offrirlo dall’alto del suo cavallo a un pellegrino ignudo che gli sta alla staffa (i finimenti, la staffa e le bordure della sella sono d’oro): si tratta del famoso gesto che caratterizza la figura di san Martino e il cui nome è confermato dalla scritta Reliquie Sancti Martini epi(scopi). Vissuto nel IV secolo, fu consacrato vescovo di Tours (36).

<12> <13> Due figurette con barba, l’una in gonnella gialla con la palma del martirio e l’altra in gonnella verde, con calzari rosso e terra di Siena, con la spada, rappresentano Faustino e Giovita con l’indicazione Reliquie Sanctorum Faustini et Jovite nella nicchia chiusa da vetro color verde. Faustino e Giovita, raffigurati ora come soldati ora come sacerdote e diacono, sono particolarmente celebrati a Brescia e il loro culto risale al V secolo (37).

Delle tre figure che chiudono la fila <14> la prima, in gonnella rosa con mantella blu, ha gli attributi della palma e del libro, forse si tratta di santa Mar- gherita. Se ci si affida al testo di Bagata e Peretti che citano santa Margherita, possiamo identificare questa santa con Marina, martire di Antiochia (la cui pas- sio intessuta di episodi fantastici fu tradotta in latino con il nuovo appellativo di Margherita), il cui culto si diffuse ampiamente in occidente durante il medio

(34) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 77r «SS. Undecim milium Virg.». Biblioteca hagiographica latina, pp. 1218-1221. J. Huizinga, L’Autunno del Medio Evo, Firenze 1942, p. 206. Biblio- teca Sanctorum, IX, 1967, pp. 1252-1271. KaFtal, Iconography of the saints ..., 1978, coll. 1012-1030.

Hall, Dizionario dei soggetti ..., p. 311.

(35) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 77r «SS. Petri e Pauli». Biblioteca hagio- graphica Latina, pp. 953-955; 966-972. Biblioteca Sanctorum, X, 1968, pp. 165-228; 588-650. KaFtal, Iconography of the saints ..., 1978, coll. 812-816; coll. 824-841.

(36) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 77r «S. Martini». Biblioteca Sanctorum, VIII, 1966, pp. 1248-1291. KaFtal, Iconography of the saints ..., 1978, coll. 691-704. Hall, Dizionario dei soggetti ..., p. 273.

(37) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 77r «SS. Faustini e Jouvite». Biblioteca ha- giographica Latina, pp. 426-427. Biblioteca Sanctorum, V, 1965, pp. 483-492. KaFtal, Iconography of the saints ..., 1978, coll. 313-316. Sono presenti a Verona reliquie nella chiesa di Santo Stefano.

(17)

evo. Però gli attributi da cui solitamente è accompagnata, cioè le margherite, la corona di perle sul capo, il drago e gli strumenti del martirio qui non ci sono (38).

<15> <16> Le ultime due sono facilmente identificabili con santa Maria Maddalena, ammantata dai lunghi capelli e reggente un cartiglio con la scritta ben leggibile ne desperetis vos qui peccare soletis (39), e con Marta di Betania (veste rosso acceso e mantello blu foderato di zibellino) che, oltre all’attributo della croce latina tenuta dalla mano destra, si presenta con il drago legato ai suoi pie- di che, secondo la leggenda provenzale, essa sconfisse a Tarascona (40).

Nelle due tavole laterali sono trentacinque santi e martiri, di cui sei sono sicuramente figure femminili, tutte poste frontalmente e con l’aureola, mono- tone nella tipologia delle vesti e nella scelta dei colori.

Su due ordini rispettivamente: in quello di sinistra, diciotto figure, per lo più a gruppi di tre, in quello di destra diciassette, leggermente più distanziate nel registro inferiore.

Nel registro superiore a sinistra per chi guarda troviamo tre personaggi ecclesiastici di grande fama (fig. 4).

<17> Papa Gregorio Magno (VI secolo), un vecchio dalla corta barba bianca (indossa su tunica bianca, veste blu e pianeta rossa e una semplice tiara papale), in atteggiamento benedicente, tiene nella mano sinistra il pastorale (41).

<18> San Girolamo (IV-V secolo), uno dei quattro Padri della Chiesa occidentale, anziano, con barba e capelli bianchi, con copricapo cardinalizio (indossa un piviale rosso su tunica bianca) e tiene un libro nella mano sinistra mentre con la destra benedice (42), come la figura accanto: <19> Remigio, ve- scovo di Reims, vissuto tra il V e il VI secolo; ricordato soprattutto per aver convertito al Cristianesimo il re franco Clodoveo I. Indossa una veste arancione

(38) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 77r «S. Margaritae». Biblioteca hagiographica latina, pp. 787-788. Biblioteca Sanctorum, VIII, 1966, pp. 1150-1165. KaFtal, Iconography of the saints ..., 1978, coll. 649-664: «Beheaded at Antioch in Pisidia. Called Marina by the Greeks ... her cult is very popular in Italy. Represented as a young early Christian virgin martyr. Showing the palm of her hand as bearing witness ..., holding a book». Ricordo la presenza nella Biblioteca Civica di Verona del codice miniato n. 1853: Leggenda di S. Giorgio e Leggenda di S. Margherita.

(39) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 77r «S. Mariae Magdalenae». Biblioteca hagiographica latina, pp. 804-811. Biblioteca Sanctorum, VIII, 1966, pp. 1078-1107. KaFtal, Iconography of the saints ..., 1978, coll. 707-724.

(40) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 77r «S. Marthae». Biblioteca Sanctorum, VIII, 1966, p. 1204-1217. KaFtal, Iconography of the saints ..., 1978, coli. 689-690.

(41) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 77r «S. Gregorii». Biblioteca hagiographica latina, pp. 542-544. Biblioteca Sanctorum, VII, 1966, pp. 168-403. KaFtal, Iconography of the saints ..., 1978, coll. 383-389.

(42) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 77r «S. Hieronymi». Biblioteca hagiographica latina, pp. 576-579. Biblioteca Sanctorum, VI, 1965, pp. 1109-1137. KaFtal, Iconography of the saints ..., 1978, coll. 477-505.

(18)

su tunica bianca, e una pianeta chiara ornata da bande rosse che formano una croce sul petto, porta la mitria sui capelli scuri (43).

L’iscrizione al di sotto dei santi: Reliquie Sanctorum Gregorio, Jeronimo e Remigio. L’altro gruppetto di tre è formato da: <21> al centro san Biagio, vescovo di Sebaste, martire cristiano giustiziato forse durante le persecuzioni dell’imperatore Licinio all’inizio del IV secolo. Forse tiene qualcosa nella mano destra: potrebbe essere un pettine che è infatti il suo attributo, simbolo della tortura che subì quando gli lacerarono la pelle con pettini di ferro: indossa una pianeta rosata su tunica verde decorata verso il basso, e porta la mitria (44); <20>

alla sua sinistra, il patrono di Bergamo, sant’Alessandro (IV secolo), giovane cavaliere cristiano (indossa una veste rossa, una sopraveste gialla e un mantello verde-blu e porta calzari rossi) con in mano la spada (45); <22> alla destra un santo che indossa una veste arancione riccamente bordata di vaio e ha sulle spalle una mantella blu pure foderata di vaio e il cui nome apprendiamo dalla pergamena sottostante: san Giuliano, forse il martire istriano (III secolo) vene- rato a Rimini, il cui culto, a partire dal XII secolo, fiorì grandemente, anche se legato alla sola città adriatica. È qui raffigurato come un giovane senza barba, in abiti medievali con mantello blu foderato di pelliccia su una veste che è pure impreziosita da bordure di pelo, e porta calzari rossi. Tiene nella mano sinistra la palma (46). Al di sotto di questo gruppo l’iscrizione Reliquie Sanctorum Blaxi, Alexandri, Juliani martirum.

Delle tre figure che chiudono la fila superiore e che mancano di indi- cazione, tra due vescovi <23> <25> (che rispettivamente indossano uno una pianeta rossa e l’altro blu con decorazioni rosse come piccole fiammelle), <24>

(43) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 77r «S. Remigi». Biblioteca hagiographica la- tina, pp. 1039-1041. g. KaFtal, Iconography of the saints in the painting of Central and South Italy, Firenze 1965, coll. 261-964. Biblioteca Sanctorum, XI, 1968, pp. 102-114.

(44) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 77r «S. Blasii». Biblioteca hagiographica latina, pp. 204-205. Biblioteca Sanctorum, III, 1963, pp. 157-172. g. KaFtal, Iconography of the saints ..., 1978, coll. 157-174. Hall, Dizionario dei soggtti ..., 1983, pp. 77-78.

(45) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 77r «S. Alexadri». Biblioteca Sanctorum, I, 1961, pp. 770-774. Iconography of the saints ..., 1978, coll. 23 -24: «Represented as a young beardless Christian Knight holding a sward». È l’unica immagine conosciuta del santo nell’Italia del nord. I nomi di Alessandro e Biagio appaiono più volte in documenti veronesi, ma non si è sicuri dell’esistenza dei due ve- scovi a Verona, essendo le notizie al riguardo assai controverse. In un lezionario della Cattedrale del 1373 (Biblioteca Sanctorum, I, 1961, p. 791), si afferma che nella chiesa veronese di Santo Stefano erano con- servate le loro reliquie, e un altare ora scomparso recava incisa nel parapetto la dicitura: «Hic sanctorum episcoporum veronensium Blasii et Alexandri corporae veneratur antiquitas». Sono ancora menzionati da Bagata e Peretti a p. 4v: «In Ecclesia S. Stephani de Verona haec speciale corpora Sanctorum requiescunt in pace» e a p. 37v: «Sepultus est in cripta Sancti Stephani, ubi eius in honorem, e Sancti Blasii, eiusdem urbis Episcopi, altare est erectum» per Alessandro e a p. 6r per Biagio.

(46) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 77r «S. Iuliani». Biblioteca hagiographica latina, p. 672. Biblioteca Sanctorum, VI, 1965, pp. 1189-1220. Iconography of the saints ..., 1978, coll.

557-562.

(19)

al centro un vecchio con barba bianca e dalla testa a tonsura, con saio marrone scuro, pastorale e codice, ritengo sia san Benedetto, vissuto tra il V e il VI seco- lo, fondatore dell’ordine Benedettino e della Regola (47).

Nel registro inferiore: <27> una figura maschile in abito vescovile con pianeta rossa, con la mitria sul capo, un codice nella mano sinistra mentre con la destra benedice; <26> <28> ai suoi lati due figure femminili con gonnelle di

(47) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 9r e p. 77r «S. Benedicti». Biblioteca Sancto- rum, II, 1962, pp. 1108-1184. KaFtal, Iconography of the saints ..., 1978, coll. 125- 140. P.J. geary, Furta sacra, Princeton 1990, pp. 120-122.

Fig. 4. La tavola sinistra del trittico-reliquiario.

(20)

colore giallo-arancio, riccamente decorate con motivi floreali scuri e a sottili fasce oblique rosse. Entrambe indossano un mantello foderato di zibellino. La figura <26> intorno al collo ha un rosario o una catena. La pergamena sotto- stante è senza iscrizione.

A seguire tre figure maschili: <30> quella centrale, un vescovo dalla pia- neta rossa, in atteggiamento benedicente con la mano destra, secondo il modo latino, con pastorale nella mano sinistra, accompagnata dall’indicazione De ve- stimenta Sancti Nicolai et reliquie aliorum Sanctorum. Uno dei santi più popola- ri della cristianità, il cui nome è ampiamente diffuso sia in oriente, dove visse e operò (IV secolo), sia in occidente, dove a Bari (48) sono conservate le sue reliquie, che l’Italia custodisce e venera. Curiosamente nell’elenco delle reliquie dei santi redatto da Bagata e Peretti il santo non viene nominato.

Delle due figure ai lati, quella di sinistra a piedi nudi <29> sotto il man- tello di color arancio-marrone ha una tunica verde assai finemente decorata a riquadri con le linee arancioni, mentre quella all’estrema destra, con calzari

<31>, indossa sopra la tunica un abito tipicamente medievale, una guarnacca (sopraveste aperta ai lati) rossa e mantello blu con bordo di vaio intorno al collo e con copricapo rosso con risvolto di zibellino e bande ricadenti ai lati;

porta i guanti e tra le mani forse una pisside o un contenitore per unguenti o un cartiglio.

Infine tre figure: <32> <33> due maschili (la prima sulla tunica bianca decorata indossa un piviale rosso con bande verdi, la seconda, centrale, è un vescovo, vestito con tunica bianca, veste arancione e piviale verde con bande rosse), <34> una femminile in gonnella giallo-rosa con mantello rosso dai lun- ghi manicotti foderati di vaio, che regge una palma.

Nell’altra tavola laterale, quella di destra (fig. 5), a partire da sinistra in alto: tre sante rispettivamente <35> santa Felicita, martire di Roma, madre di sette fratelli martiri (vissuta tra l’VIII e il IX secolo e commemorata il 23 no- vembre) (49), in gonnella giallognola con la palma nella mano destra, un codice nella sinistra; <36> santa Giuliana di Nicomedia, giovane vergine martire cri- stiana (IV secolo) in gonnella verde con manicotti rossi, forse nella mano sini-

(48) Biblioteca hagiographica latina, pp. 890-899. Biblioteca Sanctorum, X, 1968, pp. 923-948. KaFtal, Iconography of the saints ..., 1978, coll. 764-773. Hall, Dizionario dei soggetti ..., pp. 300-301. geary, Furta sacra ..., pp. 94-103.

(49) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 77r «S. Felicitatis». Biblioteca Sanctorum, V, 1964, pp. 604-610. KaFtal, Iconography of the saints ..., 1965, coll. 427-429. E. Cozzi, Verona, in aa.VV., La pittura nel Veneto, II, Il Trecento, Milano 1992, pp. 333-334. A Verona, nella chiesa a lei dedicata (sop- pressa nel 1806) esistevano numerosi affreschi ora nel Museo G.B. Cavalcaselle presumibilmente con le storie della santa, da Cozzi attribuiti a un maestro attivo verso la metà del XIV secolo.

(21)

stra tiene una corona e nella mano destra un codice (50); <37> santa Secondina, giovane di Anagni (VI secolo), in gonnella rossa, anch’essa con un codice e la

(50) Secondo Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., a p. 26r, santa Giuliana vergine e martire fu sepolta nella chiesa dei Santi Nazzaro e Celso (dell’ordine Benedettino) e inoltre vi erano sue reliquie nelle chiese dei Santi Apostoli e Santa Maria in organo, e a p. 77r «Iulianae». Biblioteca hagio- graphica latina, pp. 670-671. Biblioteca Sanctorum, VI, 1965, pp. 1176-1177. KaFtal, Iconography of the saints ..., 1978, coll. 575-576: «Her body was traslated in 1774 from the orient to the church of SS.

Nazaro e Celso in Verona. Represented generally as a young Christian virgin martyr, holding her band as bearing witness, holding a palm, a book. Wearing a crown».

Fig. 4. La tavola destra del trittico-reliquiario.

(22)

palma; il suo culto non è largamente diffuso (51). Sono indicate dalla pergamena con Reliquie Sanctarum Felicitatis, Juliane et Secudiane martirum.

<38> <39> Due santi che potrebbero essere Primo e Feliciano (IV seco- lo), fratelli romani flagellati perché si rifiutarono di adorare degli idoli pagani.

Sono giovani, il primo ha la barba e indossa una tunica verde impreziosita da bordure di pelliccia e porta calzari rossi, mentre il secondo sbarbato indossa, fissato con fermaglio sulla spalla destra, un mantello rosato su una tunica rossa e reca nella mano sinistra la palma (52). Per questi due santi e per i quattro se- guenti mancano le indicazioni delle pergamene sottostanti.

<40> Un santo vescovo che indossa una pianeta rossa su tunica bianca e veste verde, <41> <42> due personaggi con paludamenti e copricapi trecente- schi con fodera bianca rovesciata e con le caratteristiche bande che scendono ai lati (il terz’ultimo regge la spada), <43> un giovane imberbe con tunica verde con cintola in vita e mantello rosso, fissato con fermaglio sulla spalla sinistra. I calzari sono di colore rosso e verde.

Nella parte inferiore: <44> <45> due giovani martiri (santo Stefano (53) e san Lorenzo?) ambedue con gli attributi del codice e della palma, il secondo in abito giallognolo finemente decorato con motivo a quadrettature oblique, che potrebbe richiamare il martirio subito sulla graticola.

A seguire, aiutati dalla scritta sottostante Reliquie Sanctorum Martirum Marceli, Crescenciani et Sancti Roberti, <46> Crescenzio (XII-XIII secolo), gio- vane imberbe con mantello rosso e blu su tunica bianca, con cintola in vita e calzari rossi, la palma nella mano destra, rappresentato come laico, nobile discendente della famiglia di Camposampiero, è venerato a Padova e, secondo Bagata e Peretti, il suo corpo riposa in San zeno Maggiore (54).

<47> Vescovo con piviale rosso dai motivi decorativi floreali, su veste bianca, porta nella mano sinistra un codice mentre con la destra benedisce. La mitria è decorata con bordura rossa. È estremamente difficile stabilire di quale san Marcello si tratti (55).

(51) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 77r «S. Secudianae». Biblioteca hagiographica latina, p. 1095. Biblioteca Sanctorum, XI, 1968, pp. 809-811. KaFtal, Iconography of the saints ..., 1965, coll. 1004-1008.

(52) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 77r «SS. Primi e Feliciani». Biblioteca hagio- graphica latina, 1898, p. 1008. Biblioteca Sanctorum, X, 1968, pp. 1104-1107. KaFtal, Iconography of the saints ..., 1978, coll. 881-882.

(53) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ...,, p. 77r «S. Stephani». Biblioteca Sanctorum, XI, 1968, pp. 1376-1392. KaFtal, Iconography of the saints ..., 1978, coll. 945-953.

(54) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 8v; 21r; 77r «S. Crescentiani». Corna Da

sonCino, Fioretto ..., p. 71, 77: reliquie in Santa Maria in organo e Santa Maria Antica. Biblioteca Sanc- torum, IV, 1964, pp. 287-292. KaFtal, Iconography of the saints ..., 1978, coll. 245-246.

(55) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 77r «S. Marcelii». Biblioteca hagiographica latina, pp. 777-778. Biblioteca Sanctorum, VIII, 1966, pp. 661-663, 668, 672-676. KaFtal, Iconography of the saints in the painting of North West Italy, Firenze 1985, col. 460.

(23)

<48> Giovane imberbe con mantello arancione su tunica rosa. Come per la figura precedente permangono gli stessi dubbi per Roberto (56).

La quinta figura si rivolge piuttosto che alla sua destra – formando così il classico gruppetto a tre – alla sua sinistra, verso un <49> anziano personaggio con il volto severo e barbuto, con l’attributo della croce latina, legata al suo martirio, e un codice (porta sopra la tunica blu un mantello giallo-rosa): grazie anche alla scritta sottostante, è l’ultima figura che si riconosce, cioè sant’Andrea apostolo, nato a Betsaida, pescatore in Galilea, il primo a seguire Gesù. Fu fatto giustiziare dal governatore romano a Patrasso, nel Peloponneso. Le sue reliquie nel IV secolo furono portate da Costanzo a Costantinopoli e da qui, nel XIII secolo, giunsero ad Amalfi e poi a Roma (57).

È seguito da due giovani santi, forse apostoli, che chiudono la fila: <50>

con mantello rosso acceso su tunica verde, <51> con mantello giallo-verde su tunica ocra-rosa, entrambi reggono un codice e la pergamena reca l’iscrizione Reliquie Sancti Andrei et aliarum Sanctorum.

Il culto delle reliquie

Il culto dei santi, che è una forma del culto dei morti, è fondato sulla ve- nerazione delle loro reliquie. Lo studio delle reliquie, che costituisce una parte importante dell’agiografia, porta il nome di lipsanografia (dal greco λειψανον) (58). Con reliquia s’intende ciò che resta del corpo di un santo o qualunque oggetto che abbia avuto con lui relazione, sia da vivo sia dopo la morte (59).

Il culto delle reliquie provocò la diffusione del culto dei santi, e il luogo dove vennero poste le reliquie fu considerato come la tomba. Ne conseguì una mol- tiplicazione dei santuari, e inoltre il ritenere che gli oggetti posti a contatto dei santi nel sepolcro divenissero come altrettanti corpi di santi facilitò in modo straordinario la possibilità di avere reliquie, che vennero ricercate soprattutto per le dedicazioni delle chiese.

Per conservare le reliquie anticamente si utilizzavano sarcofagi in pietra che più tardi furono sostituiti da casse in metallo prezioso, alle quali venne data

(56) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 77r «S. Roberti». Biblioteca hagiographica latina, pp. 1053-1054. Biblioteca Sanctorum, XI, 1968, pp. 228-231, 235-245.

(57) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 77r «S. Andreae». Biblioteca hagiographica latina, pp. 71-73. Biblioteca Sanctorum, I, 1961, pp. 1094-1170. KaFtal, Iconography of the saints ..., 1978, coll. 36-48.

(58) H. DeleHaye, Les origines du culte des martyrs, Bruxelles 1933. L. reau, Iconographie de l’art chrètien, I, Paris 1955, pp. 391-409. A. Frolow, Les reliques, Paris 1961. H. DeleHaye, Sanctus. Essai sur le culte des saints dans l’antiquitè, Bruxelles 1977. P. Brown, Il culto dei santi. L’origine e la diffusione di una nuova religiosità, Torino, 1983.

(59) N. turCHi, s.v. reliquie, in Enciclopedia cattolica, X, Roma 1953, pp. 749-761. L. roCCi, s.v.

λειψανον, οu, tο, in Vocabolario Greco-Italiano, 1943.

(24)

la forma di una chiesa in miniatura, o da contenitori trasparenti in cristallo.

Parimenti si sviluppa il tipo foggiato a somiglianza della parte della reliquia da custodire, cioè a mezzo busto, a testa, a braccio, a piede etc.

Rari in oriente, i reliquiari erano assai numerosi in occidente. Purtrop- po essi sono stati vittime, a causa della ricchezza dei materiali con cui erano eseguiti, di cupidigia e di fanatismo e perciò moltissimi sono andati perduti.

Per quanto riguarda le iscrizioni relative ai martiri si possono distinguere l’epitaffio del martire, la segnalazione della presenza di reliquie con autentifica- zione (60), la relazione della deposizione, la designazione del santo, il nome del vescovo consacrante, la data o l’anno, talvolta anche il nome del committente o del donatore oppure, come è il nostro caso, semplicemente il nome dei martiri, senza la data della commemorazione. Infine vi sono le dediche e le invocazioni (61). ora viene spontaneo chiederci perchè e come sia stato realizzato il nostro reliquiario; se un particolare culto di questi santi esisteva nell’ambito dell’ordi- ne benedettino o del convento di Sant’Antonio al Corso o della popolazione cittadina. Forse queste reliquie erano in possesso del convento e furono raccolte da qualcuno, forse preposto alla loro cura, e collocate nel modo in cui ora le vediamo. In generale si può dire che era il vescovo della città che ripartiva e attribuiva le reliquie fra le varie congregazioni, mentre talvolta erano persone devote che le regalavano al convento.

Ritengo che il reliquiario, così come ora a noi appare, sia stato realizzato in un unico momento. Anche le scritte su pergamena relative ai santi sono tutte contemporanee e certamente della stessa epoca delle immagini (62).

ovviamente rimangono aperti molti interrogativi, per quello che riguar- da alcune finestrelle che recano la pergamena bianca: mancavano le reliquie relative alle immagini già dipinte? Sono frutto di una manomissione posteriore?

Per trafugamento (poco probabile) o per deterioramento dell’iscrizione origi- nale? Un grosso interrogativo si pone riguardo la logica della scelta dei santi raffigurati, forse da ricercarsi nelle usanze e credenze della pietà popolare.

Solo tre di essi sono tipici del culto a Verona e quindi legati alla Chiesa veronese, e precisamente sono i vescovi san Lupicino (V secolo) (63), san Procolo

(60) Il commercio delle reliquie, dall’XI secolo, è regolato da una clausola fissa, tipica dei fogli di accompagnamento (autentiche). Nel testo di N. Hermaner - masCarD, Les reliques des Saints. Formation coutumiere d’un droit, Paris 1975, si riportano alcune formule delle autentiche; ne cito una per esempio:

«Universis et singulis praesentes nostras litteras ispecturis fidem tacimus et attestamur particulas ex ...

filo serico rubri coloris colligatam ac parvo sigillo in cera rube a hispanica munitam ... se retinendi, alteri donandi, et in quacumque ecclesiae pubblicae ... venerationi exponendi».

(61) a.a.V.V., s.v. Martirio, in Dizionario patristico e di antichità cristiane, a cura di A. Bernardo, Torino 1983, pp. 2133-2154. P. golinelli, L’agiografia, un genere letterario tra geografia e storia, Modena 1986, pp. 9-17.

(62) Scrittura gotica libraria minuscola.

(63) Bagata - Peretti, SS. Episcoporum veronensium ..., p. 9r: «S. Lupicini episcopi veron. corpus re- quiescit in ecclesia S. zenonis Maioris» e ancora a p. 9r «In ecclesiis Monalium S. Antonii, e S. Ioanis inter

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