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STUDI LATINI Collana diretta da Giovanni Cupaiuolo e Valeria Viparelli N.S. 92. De constantia sapientis La fermezza del saggio

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STUDI LATINI

Collana diretta da Giovanni Cupaiuolo e Valeria Viparelli – 92 –N.S.

De constantia sapientis La fermezza del saggio

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N.S.

Direzione : Giovanni Cupaiuolo (Messina) e Valeria Viparelli (Napoli) Comitato Scientifico: Mireille Armisen-Marchetti (Toulouse)

Giovanni Cupaiuolo (Messina) Arturo De Vivo (Napoli) Antonio Marchetta (Roma) Valeria Viparelli (Napoli)

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L. ANNAEI SENECAE

De constantia sapientis La fermezza del saggio

a cura di Francesa Romana Berno

PAOLO

LOFFREDO

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PAOLO LOFFREDO

ISBN 978-88-99306-85-4 ISNN collana 2611-1411

© 2018 by Paolo Loffredo Editore srl 80128 Napoli, via U. Palermo 6

www.paololoffredo.it - [email protected]

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Ai miei genitori

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vo alla generosa disponibilità di Alessandro Schiesaro l’apertura verso prospettive esegetiche e contesti internazionali per me nuovi. Ha arric- chito non poco la mia ricerca la fitta corrispondenza senecana, anch’essa di lungo corso, con Rita Degl’Innocenti Pierini. Ho avuto l’opportunità di potermi avvalere della lettura fine, accurata e sensibile di Gianfranco Lotito; preziosi consulenti su questioni puntuali sono stati Gian Luca Gre- gori, Giuseppe Lentini, Daniele Pellacani, Mario Varvaro, Matthijs Wi- bier. I colleghi dell’Area didattica di Lettere Classiche della Sapienza mi hanno offerto un costante e caloroso supporto.

Sono profondamente grata alla mia famiglia, che ha sopportato con immancabile ironia pasti sommari e trascuratezze di ogni genere; infine, a mia madre. A differenza dei precedenti, il mio debito nei suoi confron- ti è inesprimibile e incommensurabile.

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INTRODUZIONE

“Keep calm and carry on.”

(Slogan del governo britannico, 1939)

1. Titolo1 e fonti2

Il titolo comunemente attribuito a questo saggio è presumibilmente un’etichettatura a posteriori dell’argomento, come lasciano supporre due considerazioni, l’una meramente formale, l’altra concettuale: non vi so- no ricorrenze di constantia nel De constantia sapientis, e inoltre questa stessa virtù, nelle ricorrenze che troviamo in Seneca3, e prima di lui in Cicerone4, richiama più la coerenza etica che l’impassibilità di fronte al- le offese, definita semmai, come in questo dialogo, magnitudo animi o firmitas (const. 3, 4; 6, 2; 13, 1). Il titolo così abbreviato non compare nei manoscritti né nell’editio princeps5; lo troviamo, ad esempio, in quella di Lipsio6, a cui forse si deve. E reca forse memoria di un passo del De pro- videntia che tratteggia una situazione molto simile a quella da cui prende le mosse il nostro testo: unde possum scire quantum adversus ignominiam et infamiam odiumque populare constantiae habeas, si inter plausus se- nescis...? (prov. 4, 5)7. Nel De providentia, dunque, Seneca definisce con-

1 Da ultimo Ker 2014, 143; Scott Smith 2014, 121.

2 Giusta 1967, 370-378; Grimal 1953, 18-23; Scott Smith 2014, 125-126.

3 Cfr. ad es. epist. 55, 5; 102, 13: numquam autem falsis constantia est: variantur et dissident.

4 Tracy 2012.

5 Moravus 1475, dove il testo, che viene presentato dopo il De tranquillitate, ha come titolo Quo- modo in sapientem non cadit iniuriam.

6 I codici del ramo della tradizione  recano Sapientem non accipere iniuriam nec contumeliam.

Se nelle edizioni curate da Lipsio (cfr. infra, 29, n. 81), dove il dialogo è collocato dopo il De tran- quillitate animi, compare la dicitura De constantia sapientis, sive quod in sapientem non cadit iniu- ria, ancora l’edizione di Iohannes Maire del 1650 (L. Annaei Senecae Opuscula philosophica selecta minora) reca solamente Quod in sapientem non cadit iniuria. Va rilevato che in un certo numero di manoscritti il dialogo viene catalogato come secondo libro del De providentia (Navoni 2001, 164), errore questo che perdura in alcuni eruditi del ’400 (come nella traduzione annotata di Alonso de Cartagena 1385-1456, la prima realizzata in castigliano: Blüher 1969, 103-104).

7 Ringrazio Gianfranco Lotito per la segnalazione. Si noti inoltre che i frammenti di Von Arnim sulle cosiddette passioni positive, , sono intitolati De tribus constantiis, anche se nei testi

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2 W.-H. = SVF III 578), nonché annoverato dallo stesso Seneca fra i pa- radossi stoici: negamus iniuriam accipere sapientem, tamen qui illum pu- gno percusserit, iniuriarum damnabitur (benef. 2, 35, 2 = SVF III 580).

Se l’ossatura dell’argomentazione è stoica, la distinzione fra iniuria e con- tumelia basata sulla gravità dell’offesa (const. 5, 1: prior illa [sc. iniuria]

natura gravis est, haec [sc. contumelia] levior) non si lascia ricondurre in toto a quella fra adikia e hybris di cui parla Stobeo a questo proposito (infra, 108-109)9, ma dimostra di essere radicata nella cultura giuridica:

le parole di Seneca trovano corrispondenza in Iust. dig. 47, 10, 1 pr. (Ulp.

ad ed. 56): iniuria ex eo dicta est quod non iure fiat: omne enim quod non iure fit, iniuria fieri dicitur: hoc generaliter. Specialiter autem iniuria di- citur contumelia. Interdum iniuriae appellatione damnum culpa datum significatur, ut in lege Aquilia dicere solemus…10 L’iniuria infatti, a dif- ferenza della contumelia, era citata come illecito già nelle dodici tavole

latini riportati il termine non ricorre se non in funzione avverbiale, per definire le modalità di perce- zione di voluntas e gaudium in Cicerone (Tusc. 4, 12-13 = SVF III 438).

8 “Dicono che il sapiente non è mai prepotente []: egli non riceve e non fa pre- potenza, perché la prepotenza [] è una forma di ingiustizia [] che procura danno e umi- liazione, mentre il saggio non lo tocca l’ingiustizia né può subire danno. Invero, non manca chi si comporta con lui sgarbatamente e con prepotenza e per questo si comporta male. La prepotenza, però, non è un’ingiustizia occasionale, bensì quella ingiustizia che vuol umiliare e prevaricare. Ma l’uo- mo di senno non è colpito [] da queste cose e non le avverte come umiliazioni: il bene l’ha chiuso in sé e così pure la divina virtù, e perciò va esente da ogni male e da ogni danno.” Con SVF si fa riferimento agli Stoicorum Veterum Fragmenta, risalenti a diversi periodi e autori, raccol- ti da Hans von Arnim, pubblicati tra il 1903 e il 1905 e ristampati nel 1998, con traduzione a fronte in italiano, da Roberto Radice. I riferimenti agli autori e ai passi verranno esplicitati solo nei casi in cui, come qui, sono di particolare rilievo.

9 Cfr. nota prec.; Grimal 1953, 21. Per i raffronti con le fonti giuridiche mi sono stati preziosi i suggerimenti di Mario Varvaro e Matthijs Wibier.

10 Cfr. coll. 2, 5, 1 (Paul. l. sing. et tit. de iniur.): generaliter dicitur iniuria omne, quod non iu- re fit; specialiter alia est contumelia.

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(tab. 8, 4: si iniuriam alteri faxsit), veniva etimologicamente intesa come atto contrario alla legge ed era perciò sanzionata penalmente, nel periodo repubblicano, da due leggi fondamentali, la lex Aquilia del 287 a. C. e la lex Cornelia de iniuriis emanata da Silla11. Anche gli esempi forniti da Seneca, specie nella seconda parte del dialogo, fanno riferimento alla con- creta esperienza di vita del nobile a lui contemporaneo: dall’insolenza femminile all’alterigia dei portinai (14, 1-2), dalle ingiurie ricevute nel foro alle mancanze di rispetto nella disposizione a banchetto (15, 1). An- cora, considerazioni apparentemente filosofiche come quella secondo cui i bambini e i malati di mente, anche se recano danno, non sono responsa- bili di iniuria poiché manca loro l’intenzionalità (10, 3; 13, 1), corrispon- dono a quanto documentato dalla giurisprudenza romana successiva: Iust.

dig. 9, 2, 5, 2 (Ulp. ad ed. 18): Et ideo quaerimus, si furiosus damnum dederit, an legis Aquiliae actio sit? Et Pegasus negavit: quae enim in eo culpa sit, cum suae mentis non sit? Et hoc est verissimum. … Sed et si in- fans damnum dederit, idem erit dicendum. E l’elenco delle violenze su- bite dal saggio (Sen. const. 16, 2: verberari et impelli et aliquo membro carere) somiglia a quello documentato per la lex Cornelia (Iust. dig. 47, 10, 5, pr. [Ulp. ad ed. 56]: Lex Cornelia de iniuriis competit ei, qui iniu- riarum agere volet ob eam rem, quod se pulsatum verberatumve domum- ve suam vi introitam esse dicat). Trova dunque conferma l’ipotesi, già prospettata da Grimal12 e pienamente condivisibile, secondo cui l’operet- ta si iscriverebbe in un contesto di scritti stoici a noi noto solo per fram- menti, ma rielaborato profondamente in funzione della realtà sociocultu- rale contemporanea.

Cicerone, che a questi testi aveva presumibilmente accesso, non fa cenno alla questione dell’iniuria, ma si sofferma piuttosto sul paradosso

11 Rimando ancora alla premessa a 5, 1; per le definizioni e ricorrenze giuridiche dei due termi- ni, VIR II 1011-1012, s. v. contumelia; III 741-750, s. v. iniuria; cfr. Rh. Her. 4, 35: iniuriae sunt quae aut pulsatione corpus aut convicio auris aut aliqua turpitudine vitam cuiuspiam violant; Gai. inst.

3, 220: iniuria autem committitur non solum, cum quis pugno puta aut fuste percussus uel etiam uer- beratus erit, sed etiam si cui conuicium factum fuerit. Qui e nel commento, con VIR si fa riferimen- to al Vocabularium Iurisprudentiae Romanae, la cui prima edizione risale al 1894, ripubblicato a Berlin-New York nel 1987. Per un inquadramento del discusso concetto di iniuria nelle giurispru- denza romana, Buckland 1921,584-588; Watson 1965, 248-255; Huvelin 1971; Manfredini 1977;

Wibier (forthcoming); per Seneca cfr. Scolari 2011.

12 Grimal 1953, 18-23, seguito da Scott Smith 2014, 125-126.

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fo. L’ipotesi dossografica , secondo cui il dialogo deriverebbe da una fonte comune all’Epitome di Ario Didimo, filosofo attivo alla corte di Au- gusto, viene infatti fatalmente indebolita dall’impossibilità di trovare cor- rispondenze precise fra i due testi (il secondo dei quali, com’è noto, ci viene trasmesso da Stobeo nel V secolo, non si sa quanto fedelmente) al di là del passo citato sopra (n. 8), che non è attribuito precisamente ad Ario, ma si iscrive piuttosto in un comune sentire stoico, e inoltre non è sovrapponibile perfettamente con il dettato senecano.

All’impianto stoico e alla griglia giuridica romana che strutturano l’opera vanno aggiunte fonti relative a punti specifici del testo, in par- ticolare la Politica di Aristotele, da cui Seneca trae alcune immagini ini- ziali (1, 1), e il De re publica ciceroniano, da cui deriva l’obiezione che apre il dialogo vero e proprio (1, 3)14. La rielaborazione attualizzante dell’autore è dimostrata anche dai numerosi esempi storici romani (Ca- tone, Vatinio, Caligola etc.) e dagli aneddoti tratti dalla vita di corte:

l’intento di questa ‘romanizzazione’ del materiale filosofico sembra es- sere quello di mostrare le possibilità, i limiti e i rischi dell’attività poli- tica durante la seconda fase della dinastia giulio-claudia (v. infra, 18- 19; comm. a 19, 4).

2. Datazione

“Una precisa datazione di questo dialogo è impossibile”. Così Gian- cotti15 al termine di una lucida analisi, datata ma non per questo invalida-

13 Giusta 1967, 370-378.

14 Cfr. infra, 73-75; comm. ad l.

15 1957, 191; cfr. Isidro 2008, 14-16; Scott Smith 2014, 121.

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