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irrazionalità, illogicità, difetto di motivazione e sviamento. 8.- Violazione e falsa applicazione dell art. 47 del D.P.R. 18 dicembre 2000, n. 445.

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Omissis

FATTO

Con ricorso notificato il 5/6.5.2008, depositato il 9.5.2008, gli Avvocati in epigrafe indicati, premesso di aver impugnato innanzi al T.A.R. Friuli – Venezia Giulia gli atti pure ivi indicati, con particolare riferimento alle modalità volte a garantire la corretta osservanza dell’obbligo di formazione permanente o continua, e che, a seguito di eccezione di incompetenza formulata dal Consiglio nazionale Forense, cui i ricorrenti hanno aderito, il Presidente di detto T.A.R. con ordinanza n. 3 del 17.4.2008 ha ordinato la trasmissione degli atti del ricorso a questo T.A.R., hanno riassunto il giudizio e si sono in esso costituiti, deducendo i seguenti motivi:

1.- Violazione e falsa applicazione dell’art. 23 della Costituzione e dell’art. 1 della L. n. 241 del 1990 (principio di legalità).

2.- Violazione e falsa applicazione dell’art. 33 della Costituzione e degli artt. 16, 17 e 27 del R.D.L. 23 novembre 1933, n. 1578.

3.- Incompetenza. Violazione e falsa applicazione degli artt. 38, 54 e 55 del R.D.L. n. 1578 del 1933 e degli artt. 1 e 3 del D.L.GS. C.P.S. n. 597 del 1947.

Violazione dell’art. 1 della L. n. 241 del 1990 (principio di proporzionalità e ragionevolezza).

4.- Eccesso di potere per contraddittorietà, irrazionalità, sviamento, difetto di istruttoria.

5.- Violazione e falsa applicazione dell’art. 23 della Costituzione, dell’art. 7 del D.

Lgs. 23 novembre 1944 n. 382, dell’art. 26 del D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 e dell’artt. 1 della L. n. 241 del 1990 (principio di pubblicità, efficacia, economicità e trasparenza).

6.- Violazione dell’art. 1 della L. n. 241 del 1990 (principio di pubblicità, efficacia, economicità e trasparenza). Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità, erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria, difetto di motivazione e violazione del principio di ragionevolezza.

7.- Violazione dell’artt. 1 della L. n. 241 del 1990 (principio di pubblicità, efficacia, economicità e trasparenza). Eccesso di potere per erroneità dei presupposti,

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irrazionalità, illogicità, difetto di motivazione e sviamento.

8.- Violazione e falsa applicazione dell’art. 47 del D.P.R. 18 dicembre 2000, n.

445.

9.- Invalidità derivata.

Con atto depositato l’8.5.2008 si è costituito in giudizio il Consiglio Nazionale Forense, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile, improcedibile, irricevibile e che comunque sia respinto perché infondato.

Con memoria depositata il 26.2.2009 il Consiglio resistente ha eccepito la inammissibilità del gravame, per mancata impugnazione del presupposto art. 13 del Codice Deontologico Forense, e ne ha dedotto la infondatezza, concludendo per la reiezione.

Con memoria depositata il 27.2.2009 le parti ricorrenti, precisato che il ricorso è stato proposto nel momento in cui il regolamento, per effetto dell’emanazione dell’atto applicativo da parte del Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Trieste, ha determinato l’effettiva lesione del loro interesse sostanziale, hanno ribadito tesi e richieste.

Alla pubblica udienza dell’11.3.2009 il ricorso è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti, come da verbale di causa agli atti del giudizio.

DIRITTO

1.- Con il ricorso in esame gli Avvocati in epigrafe indicati hanno premesso di aver impugnato innanzi al T.A.R. Friuli - Venezia Giulia il regolamento per la formazione continua dell’Ordine degli Avvocati di Trieste, approvato nella seduta del 19.10.2007 e comunicato con circolare n. 7 del 2007 in data 30.10.2007 e il presupposto regolamento della formazione permanente del Consiglio Nazionale Forense (nel testo approvato in data 18.1.2007 e nel testo approvato in data 13.7.2007), nonché, per quanto occorrer possa, la relazione interpretativa del Consiglio Nazionale Forense adottata nel corso della seduta amministrativa del 26.11.2007 (comunicata con nota del 26.11.2007 prot. n. 38-C-2007), con particolare riferimento alle modalità volte a garantire la corretta osservanza dell’obbligo di formazione permanente o continua.

I suddetti ricorrenti, a seguito di eccezione di incompetenza formulata dal

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Consiglio nazionale Forense, cui essi hanno aderito, e di ordinanza n. 3 del 17.4.2008 del Presidente di detto T.A.R., che ha ordinato la trasmissione degli atti del ricorso a questo T.A.R., hanno riassunto il giudizio e si sono in esso costituiti.

2.- Innanzi tutto il Collegio, stante la natura di ente pubblico non economico degli enti intimati ed il carattere degli atti impugnati, soggettivamente ed oggettivamente amministrativi, nonché emessi nell'esercizio di palesi poteri autoritativi, ritiene che la giurisdizione in materia de qua sia devoluta al Giudice Amministrativo, anche perché essi atti hanno valenza di ordine generale (Consiglio Stato, sez. IV, 21 agosto 2006, n. 4859).

3.- In secondo luogo il Collegio deve verificare la fondatezza della eccezione di inammissibilità del gravame, formulata dalla difesa del costituito Consiglio Nazionale Forense per mancata impugnazione del presupposto art. 13 del Codice Deontologico Forense (che prevede l’obbligo deontologico dell’Avvocato di rispettare i regolamenti del C.N.F. concernenti gli obblighi ed i programmi formativi), di cui costituirebbero diretta attuazione il dovere di formazione continua degli Avvocati ed il regolamento emanato dal C.N.F..

Va al riguardo evidenziato che detto art. 13, nel testo approvato dal C.N.F. nella seduta del 17.1.1997 e a seguito delle subite modifiche (fino a quella apportata nella seduta del 14.12.2006), stabilisce che è dovere dell’Avvocato di curare costantemente la propria preparazione professionale, conservando ed accrescendo le conoscenze con particolare riferimento ai settori nei quali svolga l’attività. Aggiunge la disposizione che l’Avvocato realizza la propria formazione permanente con lo studio individuale e la partecipazione a iniziative culturali in campo giuridico e forense e che è suo dovere deontologico quello di rispettare i regolamenti del C.N.F. e del Consiglio dell’Ordine di appartenenza concernente gli obblighi e i programmi formativi.

E’ precisato in ricorso che non è in discussione la previsione di un obbligo di formazione permanente o continua, ma la prescrizione da parte del Consiglio Nazionale Forense e dell’Ordine degli Avvocati di Trieste delle modalità volte a garantire la corretta osservanza dell’obbligo di formazione permanente o continua da parte degli Avvocati.

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Tanto comporta, esclusivamente e limitatamente alla impugnazione di dette modalità concretamente individuate da detti Organi, la impossibilità di condivisione della eccezione in esame, non essendo esse regolamentate da detto art. 13 del Codice Deontologico Forense.

Con riguardo alle censure con cui sono state contestate prescrizioni contenute in detto art. 13 la eccezione è da condividere, come sarà in prosieguo specificato.

4.- In terzo luogo il Collegio ritiene che il ricorso sia stato tempestivamente proposto anche avverso il regolamento della formazione permanente del Consiglio Nazionale Forense nel testo approvato in data 18.1.2007 e nel testo approvato in data 13.7.2007, a seguito della emanazione dell’atto applicativo consistente nel regolamento per la formazione continua dell’Ordine degli Avvocati di Trieste, approvato nella seduta del 19.10.2007 e comunicato con circolare n. 7 del 2007 in data 30.10.2007.

In tema di atti regolamentari o generali, infatti, il termine per l'impugnazione decorre non dall'adozione della disposizione generale, ma dalla sua concreta applicazione, che sostanzia l'effettiva lesività delle posizioni giuridiche soggettive che si vogliono tutelare in sede giurisdizionale.

5.- Con il primo motivo di ricorso è stata dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 23 della Costituzione e dell’art. 1 della L. n. 241 del 1990 (principio di legalità).

Nonostante che il C.N.F. e il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Trieste abbiano individuato il potere disciplinare ad essi attribuito da leggi speciali non esisterebbero norme che consentano l’attribuzione a detti Organi della competenza ad imporre ai propri iscritti, per mezzo di atti regolamentari, le modalità di adempimento dell’obbligo di formazione permanente posto dal Codice Deontologico Forense, non potendosi, a tali fini, fare ricorso alla previsione di cui all’art. 5, IV c., del D. Lgs. 2 febbraio 2001, n. 96.

Osserva in proposito il Collegio che la censura in esame è innanzi tutto inammissibile per omessa tempestiva impugnazione dell'art. 13 del Codice Deontologico Forense, che stabilisce che è dovere deontologico dell’Avvocato quello di rispettare i regolamenti del C.N.F. e del Consiglio dell’Ordine di

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appartenenza concernenti gli obblighi e i programmi formativi, il che presuppone la competenza di detti Organi a regolamentare dette attività.

Aggiungasi che essa censura è comunque da valutare non condivisibile, dovendo ravvisarsi il potere di imporre le prescrizioni per cui è causa, oltre che nel citato e non impugnato art. 13, nell’art. 2, III c., del D. L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, in L. 4 agosto 2006, n. 248, che stabilisce che “Le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina che contengono le prescrizioni di cui al comma 1 sono adeguate, anche con l'adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali, entro il 1° gennaio 2007. In caso di mancato adeguamento, a decorrere dalla medesima data le norme in contrasto con quanto previsto dal comma 1 sono in ogni caso nulle”.

6.- Con il secondo motivo di gravame è stata dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 33 della Costituzione e degli artt. 16, 17 e 27 del R.D.L. 23 novembre 1933, n. 1578.

A seguito dei provvedimenti impugnati sarebbe stato introdotto per la conservazione dell’iscrizione all’Albo degli Avvocati il requisito ulteriore (al superamento dell’esame di Stato e all’iscrizione nell’Albo professionale), consistente nella partecipazione alle attività di formazione professionale continua, in contrasto con l’art. 33 della Costituzione e con gli artt. 16, 17 e 27 del R.D.L.

n. 1578 del 1933.

Osserva in proposito il Collegio che l’art. 33, V c., della Costituzione Italiana prevede che “È prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale”.

Detta disposizione detta prescrizioni per il conseguimento dell’abilitazione professionale e non per la conservazione della iscrizione negli Albi professionali, quindi non può ritenersi violata dalle impugnate disposizioni.

Osserva ulteriormente il Collegio che l’art. 16, III c., del R.D.L. n. 1578 del 1933 stabilisce che “Il Consiglio dell'ordine degli avvocati [e dei procuratori] procede al principio di ogni anno alla revisione degli albi ed alle occorrenti variazioni, osservate per le cancellazioni le relative norme. La cancellazione è sempre

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ordinata qualora la revisione accerti il difetto dei titoli e requisiti in base ai quali fu disposta l'iscrizione, salvo che questa non sia stata eseguita o conservata per effetto di una decisione giurisdizionale concernente i titoli o i requisiti predetti”.

L’art. 17 di detto R.D.L. prevede i requisiti necessari per l'iscrizione nell'Albo dei Procuratori e il successivo art. 27 è stato abrogato dall'articolo 6 della L. 24 febbraio 1997, n. 27.

Nessuno di essi articoli detta disposizioni per la conservazione della iscrizione nell’Albo professionale degli Avvocati, ma solo per l’accesso ed il corretto esercizio della professione. Essi non sono stati quindi violati dai provvedimenti impugnati.

Le censure che precedono non sono quindi suscettibili di positiva valutazione.

7.- Con il terzo motivo di ricorso sono state dedotte incompetenza, violazione e falsa applicazione degli artt. 38, 54 e 55 del R.D.L. n. 1578 del 1933 e degli artt.

1 e 3 del D.L.GS. C.P.S. n. 597 del 1947, nonché violazione dell’art. 1 della L. n.

241 del 1990 (principio di proporzionalità e ragionevolezza).

Posto che al C.N.F. spetta la determinazione dei principi di deontologia professionale e delle ipotesi di violazione degli stessi, mentre agli Ordini degli Avvocati spettano compiti di concreta esecuzione ed attuazione di detti principi deontologici, con i provvedimenti impugnati il C.N.F. e l’Ordine degli Avvocati di Trieste avrebbero determinato, eccedendo dalle loro competenze, le modalità obbligatorie della formazione permanente in modo vincolante, ritenendo che tanto rientrasse nel loro potere di fissare norme disciplinari, violando le norme indicate nell’epigrafe del motivo in esame e del primo, in precedenza indicato, nonché i principi di proporzionalità e ragionevolezza.

Il Collegio, ribadisce innanzi tutto che il motivo in esame è inammissibile per mancata impugnazione dell'art. 13 del Codice Deontologico Forense, che stabilisce che è dovere deontologico dell’Avvocato quello di rispettare i regolamenti del C.N.F. e del Consiglio dell’Ordine di appartenenza concernenti gli obblighi e i programmi formativi, il che presuppone la competenza a regolare anche le relative modalità applicative.

Osserva poi il Tribunale che l’art. 38 del R.D.L. n. 1578 del 1933 regola il procedimento disciplinare da esercitare sugli Avvocati che si rendano colpevoli di

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abusi o mancanze nell'esercizio della loro professione o comunque di fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale, che il seguente art. 54 prevede che il Consiglio Nazionale Forense pronuncia sui ricorsi ad esso proposti a norma di detta legge e che esercita il potere disciplinare nei confronti dei propri membri;

inoltre che il successivo art. 55 prevede divieti di partecipazione alle decisioni della Commissione Centrale sui ricorsi presentati contro i provvedimenti del Sindacato Nazionale.

L’art. 1 del D.L.GS.C.P.S. n. 597 del 1947 stabilisce poi che “La competenza a procedere disciplinarmente in confronto dell'avvocato o del procuratore che è componente del Consiglio dell'ordine, appartiene al Consiglio costituito nella sede della Corte d'appello. Se egli appartiene a quest'ultimo, è giudicato dal Consiglio costituito nella sede della Corte d'appello più vicina”; il seguente art. 3 stabilisce che “Il Consiglio nazionale forense, oltre ad esercitare le altre funzioni demandategli dall'ordinamento sulle professioni di avvocato e di procuratore, decide: a) sui conflitti di competenza fra i Consigli degli ordini; b) sul reclamo del praticante avverso il diniego del rilascio di certificato di compiuta pratica”.

Dette disposizioni non vietano l’esercizio del potere di determinare le modalità obbligatorie della formazione permanente in modo vincolante.

Rileva ulteriormente il Collegio che deve ritenersi generica la cesura di violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, non essendo adeguatamente dimostrato con il motivo in esame che i provvedimenti impugnati abbiano imposto obblighi sproporzionati al conseguimento del pubblico interesse alla formazione continua degli Avvocati.

8.- Con il quarto motivo di gravame è stato prospettato il vizio di eccesso di potere per contraddittorietà, irrazionalità, sviamento e difetto di istruttoria.

L’opzione prescelta con i provvedimenti impugnati per disciplinare le modalità dell’assolvimento dell’obbligo della formazione sarebbe non aderente a canoni di razionalità e logicità, sia perché sussistono obblighi deontologici censuranti comportamenti più riprovevoli rispetto al mancato assolvimento dell’obbligo di formazione, sia perché le norme deontologiche configurano l’obbligo in forma libera e non vincolata (mediante la fissazione di regole che procedimentalizzano

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l’obbligo del suo assolvimento), sia perché censurano comportamenti non dotati di effettiva idoneità lesiva nei confronti del fruitore della prestazione (i provvedimenti impugnati sanzionano la violazione dell’obbligo di aggiornamento anche se tanto non si sia tradotto in un errore professionale).

Il motivo in esame non appare al Collegio apprezzabile in senso positivo, sia perché la previsione di obblighi deontologici relativi a comportamenti più gravi rispetto a quello oggetto dei provvedimenti impugnati non esclude e non rende illogica la previsione, come illecito disciplinare, anche della violazione dell’obbligo di formazione permanente (stante la gradualità delle sanzioni applicabili a seconda della gravità della infrazione posta in essere), sia perché nessuna disposizione vieta la procedimentalizzazione e la previsione di obblighi imposti agli iscritti agli Ordini professionali degli Avvocati (anche se la loro violazione non abbia ancora causato concreti errori professionali). Detta previsione dell’obbligo in questione, peraltro, non appare illogica, essendo idonea, al pari di altri doveri incombenti sulla figura professionale dell’avvocato, a garantirne il corretto svolgimento della attività.

9.- Con il quinto motivo di ricorso è stata dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 23 della Costituzione, dell’art. 7 del D. Lgs. 23 novembre 1944 n. 382, dell’art. 26 del D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 e dell’art. 1 della L. n. 241 del 1990 (principio di pubblicità, efficacia, economicità e trasparenza).

Le disposizioni impugnate prevedono che la partecipazione agli eventi formativi sia posta a carico degli iscritti all’Ordine e, se possibile, sia posta a carico delle risorse dell’Ordine o di sovvenzioni erogate da soggetti pubblici o privati.

Nel primo e nel secondo caso sarebbe violato l’art. 23 della Costituzione, che prevede una riserva di legge per le prestazioni patrimoniali imposte, e l’art. 7 del D.L.L. n. 382 del 1944, mentre, nel terzo caso, sarebbe comunque posta in essere una indiretta imposizione di oneri contributivi a carico della finanza pubblica allargata; infine, nel quarto caso, l’ipotesi rientrerebbe nei “contratti di sponsorizzazione” previsti dall’art. 26 del D. Lgs. n. 163 del 2006, ma violerebbe sia tale norma, per non essere specificati i criteri da seguire per la scelta del soggetto privato erogatore, sia i principi di cui all’art. 1 della L, n. 241 del 1990.

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9.1.- Osserva al riguardo il Collegio, quanto alla previsione che la partecipazione agli eventi formativi sia posta a carico degli iscritti all’Ordine e, se possibile, sia posta a carico delle risorse dell’Ordine, innanzi tutto che non può configurarsi come prestazione patrimoniale imposta, ai sensi dell'art. 23 della Costituzione il contributo, determinato con riferimento alla misura dei costi sostenuti dall'ente, stabilito quale corrispettivo dell'erogazione di un servizio o dell'offerta di un bene, atteso che ricadono nell'ambito applicativo della norma costituzionale citata le sole prestazioni pretese dall'amministrazione in mancanza di un collegamento con un'utilità offerta dall'ente (Consiglio Stato, sez. V, 10 giugno 2002, n. 3202), anche perché il principio costituzionale non può ritenersi violato in relazione alla modesta entità del sacrificio imposto a fronte del beneficio che indirettamente l'utente ne riceve (Cassazione civile, sez. II, 10 ottobre 2008, n. 24942).

Aggiungasi che, comunque, è stata dedotta la violazione dell’art. 23 della Costituzione Italiana sulla base di un presupposto – quello che, in base all'evocato parametro costituzionale, ogni prestazione personale o patrimoniale deve essere determinata integralmente dalla legge – erroneo, in quanto il principio della riserva di legge di cui all'art. 23 della Costituzione va inteso in senso relativo, limitandosi esso a porre al legislatore l'obbligo di determinare preventivamente sufficienti criteri direttivi di base e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa (Corte costituzionale, 26 ottobre 2007, n. 350).

Pertanto la norma non esige che la prestazione sia imposta "per legge", ma "in base alla legge", sicché essa deve intendersi come rispettata anche in assenza di un'espressa indicazione legislativa dei criteri, limiti e controlli sufficienti a circoscrivere l'ambito di discrezionalità della P.A., purché gli stessi siano desumibili dalla destinazione della prestazione, ovvero dalla composizione e dal funzionamento degli organi competenti a determinarne la misura (T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 7 luglio 2004, n. 1076).

Dette prestazioni non possono quindi essere imposte direttamente da una fonte secondaria, ma non è escluso che il precetto legislativo possa essere da detta fonte integrato, essendo anche ammissibile il rinvio a provvedimenti amministrativi diretti a determinare elementi o presupposti della prestazione,

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purché risultino assicurate, mediante la previsione di adeguati parametri, le garanzie in grado di escludere un uso arbitrario della discrezionalità amministrativa (Cassazione civile, sez. II, 18 ottobre 2006, n. 22322).

9.1.1.- Quanto alla dedotta violazione dell’art. 7 del D.L.L. n. 382 del 1944, osserva il Collegio che esso stabilisce che “Il Consiglio provvede all'amministrazione dei beni spettanti all'ordine o collegio e propone all'approvazione dell'assemblea il conto consuntivo ed il bilancio preventivo.

Il Consiglio può, entro i limiti strettamente necessari a coprire le spese dell'ordine o collegio, stabilire una tassa annuale, una tassa per l'iscrizione nel registro dei praticanti e per l'iscrizione nell'albo, nonché una tassa per il rilascio di certificati e dei pareri per la liquidazione degli onorari.

Ferma rimanendo l'efficacia delle norme che impongono contributi a favore di enti previdenziali di categoria, nessun pagamento, oltre quelli previsti da questo decreto, può essere imposto o riscosso per l'esercizio della professione a carico degli iscritti all'albo”.

Poiché l’art. 7, III c., del regolamento del C.N.F., non impugnato, stabilisce che gli Ordini degli Avvocati favoriscono la formazione gratuita, per garantire l’adempimento dell’obbligo formativo, realizzando eventi non onerosi, determinando la contribuzione dei partecipanti con il limite massimo del solo recupero delle spese vive sostenute, può ritenersi che è stato previsto a carico degli iscritti all’Ordine il solo pagamento di esse spese, che non è in contrasto con il secondo comma di detto art. 7 del D.L.L. n. 382 del 1944, che prevede la imposizione di una tassa necessaria a coprire le spese dell’Ordine.

9.2.- Quanto al terzo caso, relativo a contribuzioni erogate da soggetti pubblici, che censura la previsione di una indiretta imposizione di oneri contributivi a carico della finanza pubblica allargata in assenza di una previsione normativa legittimante, il Collegio non valuta favorevolmente il motivo, per le medesime ragioni espresse in precedenza con riferimento alla dedotta violazione dell'art. 23 della Costituzione, con particolare riguardo alla impossibilità di riconduzione nell'ambito applicativo della norma costituzionale (che stabilisce il principio assuntamente violato) di prestazioni pretese dall'Ordine in collegamento con

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un'utilità offerta dall'ente (nel caso di specie il sostanziale vantaggio che ne consegue il pubblico interesse alla formazione continua degli Avvocati).

9.3.- Quanto al quarto caso, relativo a sovvenzioni o contribuzioni di soggetti privati, non può essere condivisa la dedotta tesi che l’ipotesi rientrerebbe nei

“contratti di sponsorizzazione” previsti dall’art. 26 del D. Lgs. n. 163 del 2006, ma violerebbe sia tale norma, per non essere specificati i criteri da seguire per la scelta del soggetto privato erogatore, sia i principi di cui all’art. 1 della L. n. 241 del 1990.

Non è, infatti, applicabile alla fattispecie in esame detto articolo 26, che è relativo ai lavori di cui all'allegato I, nonché agli interventi di restauro e manutenzione di beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ovvero ai servizi di cui all'allegato II, ovvero alle forniture disciplinate dal codice di cui al D. Lgs. stesso, quando i lavori, i servizi, le forniture sono acquisiti o realizzati a cura e a spese dello sponsor.

Generica è, peraltro, la censura di contraddizione con i principi di pubblicità, trasparenza, economicità ed efficienza di cui all’art. 1 della L. n. 241 del 1990, non essendo assolutamente provato che le previsioni impugnate siano già idonee a violare detti principi.

10.- Con il sesto motivo di gravame sono stati dedotti violazione dell’artt. 1 della L. n. 241 del 1990 (principio di pubblicità, efficacia, economicità e trasparenza), nonché eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità, erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria, difetto di motivazione e violazione del principio di ragionevolezza.

Pur essendo previsto negli atti impugnati che gli eventi formativi utili al conseguimento dei crediti formativi debbano essere previamente accreditati dal parte del C.N.F. o dal Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Trieste, non sarebbero stati previsti i criteri in base ai quali i corsi possano essere accreditati, con incertezza ed indeterminatezza degli stessi e possibilità di determinazione di grave disparità di trattamento, potendo verificarsi che i criteri prescelti da un Ordine professionale possano essere non congruenti con quelli di un altro Ordine,

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sicché il medesimo evento formativo potrebbe determinare o meno l’accreditamento.

Inoltre l’ampia discrezionalità concessa agli Ordini Territoriali in merito all’accreditamento da parte del Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Trieste denoterebbe carenza di uniformità e la individuazione di “sottoaree” di competenza professionale e sarebbe viziata da una “autonoma qualificazione dell’iscritto, riconosciuta in assenza di riscontri obbiettivi”.

Il Collegio, ritiene la censura non solo infondata, perché l’art. 3 del Regolamento sulla formazione continua approvato dal C.N.F. il 13.7.2007 specifica sufficientemente ed in maniera logica i criteri cui attenersi nella procedura di accreditamento, ma anche inammissibile per insussistenza di interesse attuale dei ricorrenti alla formulazione del motivo in esame, essendo solo ipotetica la paventata verifica di disparità di trattamento e non essendo evidenziati concreti effetti lesivi della ipotizzata carenza di uniformità e della individuazione di

“sottoaree”.

11.- Con il settimo motivo di ricorso sono stati dedotti violazione dell’artt. 1 della L. n. 241 del 1990 (principio di pubblicità, efficacia, economicità e trasparenza), nonché eccesso di potere per erroneità dei presupposti, irrazionalità, illogicità, difetto di motivazione e sviamento.

Il criterio di misura del sistema di formazione permanente delineato dai provvedimenti impugnati, cioè il “credito formativo”, sarebbe incongruo ed irrazionale, perché non consentirebbe di verificare in concreto l’efficacia dell’attività formativa sostenuta dall’iscritto, non essendo utile la mera rilevazione della presenza fisica del frequentante l’evento formativo a verificare la reale efficacia nei confronti del discente e la qualità dell’operato del docente, con conseguente indifferenza della scelta dei formatori.

Il Collegio non può al riguardo che rilevare la inammissibilità delle censure sia per genericità, sia per carenza di interesse attuale e sia per omessa impugnazione dell'art. 13 del Codice Deontologico Forense, che stabilisce che l’Avvocato realizza la propria formazione permanente anche con la mera partecipazione ad iniziative culturali, così escludendo qualsiasi possibilità di valutazione del “profitto” tratto

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dal professionista dalla frequenza di dette iniziative.

12.- Con l’ottavo motivo di gravame è stata dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 47 del D.P.R. 18 dicembre 2000, n. 445.

Il Regolamento del C.N.F., agli artt. 6, 7 ed 8, nonché il Regolamento dell’Ordine di Trieste, agli artt. 2, 3 e 6, prevedono le specifiche modalità di documentazione dell’adempimento dell’obbligo formativo e di controllo delle dichiarazioni degli iscritti, senza contemplare il ricorso alla autocertificazione del credito formativo, con violazione dell’art. 47 del D.P.R. n. 445 del 2000.

Il Collegio ritiene la censura non condivisibile, atteso che proprio l’art. 6 del Regolamento della Formazione Continua prevede il deposito da parte di ciascun iscritto di una sintetica relazione “che certifica” il percorso formativo seguito, nonché considerato che il seguente art. 7 stabilisce che ciascun Consiglio dell’Ordine vigila sull’effettivo adempimento dell’obbligo formativo con i mezzi ritenuti più opportuni, così prevedendo la possibilità proprio di detta autocertificazione e della successiva verifica della veridicità della stessa.

A sua volta l’art. 6 del Regolamento dell’Ordine di Trieste prevede, al primo comma, che ciascun iscritto deve depositare una sintetica relazione certificante il percorso formativo seguito, indicando gli eventi formativi seguiti “anche mediante autocertificazione”.

13.- Con il nono motivo di ricorso è stata dedotta invalidità derivata del provvedimento del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Trieste da quella del presupposto Regolamento del C.N.F..

La censura non è, ad avviso del Collegio, suscettibile di favorevole apprezzamento, stante la rilevata insussistenza di autonomi vizi a carico del Regolamento del C.N.F. citato.

14.- Il ricorso deve essere, pertanto, respinto.

15.- Le spese del giudizio, stante la particolarità della fattispecie, possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sezione terza quater - respinge il ricorso in epigrafe indicato.

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Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla pubblica amministrazione.

Così deciso in Roma, dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sezione III quater -, nelle camere di consiglio dell’11.3.2009 e del 20.5.2009

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