Capitolo 1
L’ALLEVAMENTO BIOLOGICO
1.1
INTRODUZIONE
La sostenibilità ambientale è diventata, in questi ultimi tempi, un tema importante per la società globale, se ne comincia a parlare per la prima volta pubblicamente nel 1987, nel Rapporto Brundtland e poi nel 1992, nella Conferenza di Rio; il diffondersi di questa tematica indica la volontà della società moderna di essere più informata sugli effetti dello sviluppo tecnologico-industriale, con lo scopo principale di limitare conseguenze potenzialmente dannose per le risorse del pianeta e la vita delle generazioni presenti e future (Gibon et al., 1999).
La modernizzazione nei processi produttivi, lo sfruttamento intensivo delle risorse, il forte impatto ambientale e l’abbandono delle aree marginali hanno causato inquinamento e degrado, erosione del suolo, diminuzione della sicurezza alimentare e della qualità dei prodotti, perdita delle biodiversità, sia in campo vegetale che animale, e delle tradizioni, con scarse condizioni di
sensibilità, dai suoi valori e dalle sue aspettative. Le passate e recenti tragedie causate dall’uomo, come la BSE, la diossina e la blue tongue, hanno portato ad una rivoluzione nelle produzioni animali (Willer, 2002). In questo contesto viene perfettamente ad inserirsi il metodo di produzione biologico, che ha come fondamento base quello di realizzare uno sviluppo sostenibile (Rapporto Bruntland, 1987; Pagano e Lazzaroni, 2001).
Lo sviluppo dell’agricoltura biologica può essere definito come un ambito sociale ed economico caratterizzato da un’insieme di attività di produzione e di valorizzazione delle risorse naturali rinnovabili che hanno una base e che costituiscono il nucleo fondante della conoscenza contestuale del sistema stesso (Romano, 2000; Polidori, 2002).
La zootecnia estensiva biologica, in particolare, risulta particolarmente funzionale ai processi di sviluppo rurale in aree “marginali collinari e/o montane ” in quanto capace di valorizzare le risorse locali altrimenti non utilizzabili, o utilizzabili meno efficientemente (Polidori, 2002).
“La zootecnia biologica è dunque un comparto di interesse per gli allevatori anche perché consente di costruire percorsi di valorizzazione di qualità delle produzioni locali. Le caratteristiche di tipicità della razza possono trovare un moltiplicatore di valore aggiunto nella sicurezza del processo produttivo e nel ridotto impatto ambientale assicurato dai metodi di produzione biologica” (Lunati, 2001; Polidori, 2002).
Gli animali hanno rappresentato una componente essenziale nello sviluppo del metodo biologico nel corso dei decenni sin dal principio, il loro benessere e la loro salute sono obbiettivi fondamentali. Nell’allevamento biologico, infatti, gli animali diventano parte integrante dell’azienda, ovvero parte di un sistema in cui tutte le componenti interagiscono tra loro, traendone un beneficio reciproco, con un rapporto uomo-animale-ambiente in piena armonia (Vaarst et al., 2004).
L’azienda biologica costituisce un agro-ecosistema autosufficiente ed in equilibrio, fondato su risorse naturali e rinnovabili. L’azienda si basa su una visione olistica the include gli aspetti ecologici, sociali ed economici delle
produzioni agricole, sia sa un punto di vista globale che locale (Vaarst et al., 2004). Riassumendo, si può per cui dire che il biologico si fonda sul rispetto e sul miglioramento dei processi produttivi all’interno di un ciclo chiuso, usando strettamente composti di derivazione naturale, risorse rinnovabili e metodi biologici per gli interventi di controllo diretto, ad esempio contro gli insetti o le piante infestanti; inoltre prende in considerazione ampiamente l’impatto etico, sociale ed ecologico delle aziende agricole (Niggli, 2000). Gli obiettivi generali della zootecnia biologica, che riflettono il contenuto delle norme emanate dall’IFOAM (International Federation of Organic Agricolture Movements), possono essere riassunti nelle seguenti grandi aree:
1 Ecologico-ambientale, garantendo il rispetto dei principi che governano le relazioni tra gli organismi viventi e ciò che li circonda, e cercando di preservare e migliorare la qualità ambientale;
2 Etologico, rispettando le necessità fisiologiche ed etologiche degli animali, provvedendo a fornire loro condizioni che gli permettano di esprimere gli aspetti basilari del loro comportamento;
3 Etico, rispettando la natura, il valore intrinseco degli animali, produzioni di qualità;
4 Ergonometrico, provvedendo a fornire luoghi di lavoro sicuri e salutari per gli operatori agricoli;
5 Economico, usando risorse rinnovabili e derivanti, per quanto possibile, dall’azienda stessa, garantendo un adeguato reddito per il coltivatore
1.2 LEGISLAZIONE
Il movimento dell’agricoltura biologica comincia a prendere forma intorno alla metà dello scorso secolo, quando alcuni “pionieri”, di diversa nazionalità, danno origine ad un metodo di coltivazione innovativo, basato sull’idea che la salute del suolo può diventare la chiave per produrre prodotti sani ed in questo modo garantire anche la salute umana.
I principali movimenti nati in questi anni sono: l’agricoltura biodinamica, che prende origine da Rudolf Steiner (1924), l’agricoltura organica, che si va diffondendo in Inghilterra grazie a Sir Howard (1943) e l’agricoltura biologica che nasce in Svizzera negli ’40 grazie alle idee di Hans Peter Rusch e H. Muller (intorno al 1940). Inizialmente non erano presenti delle norme scritte, ma piuttosto ci si basava su degli ideali comuni.
Nel 1972, come risultato di questo interesse nasce l’IFOAM, International Federation of Organic Agricolture Movements, un’organizzazione che coordina a livello internazionale tutte le associazioni che si occupano di agricoltura biologica. L’IFOAM stabilisce i principi base dell’agricoltura biologica a livello internazionale ed emana, nel 1980, la prima serie di norme per il biologici, a carattere volontario. A partire dagli anni ’80 le norme IFOAM si sono sviluppate ed evolute considerevolmente, grazie anche attraverso una stretta alleanza tra produttori e consumatori, in seguito ad una crescente consapevolezza, da parte di questi ultimi, dei problemi connessi alla produzione agricola convenzionale (Padel et al., 2004).
Inizialmente gli animali vengono visti solo come strumenti utili a migliorare la produzione agricola, la zootecnia biologica compare infatti più tardi, intorno agli anni ’80.
A livello comunitario, il primo Regolamento che viene emesso è il testo consolidato del Reg. CE 2092/91, che abbraccia sia le produzioni agricole che quelle zootecniche, in cui l’Art. 7 e l’allegato VIII si occupano delle produzioni animali. Nel 1999 nasce un altro Regolamento comunitario, il Reg. CE 1804/99, specifico per il comparto zootecnico.
A livello Nazionale l’allevamento biologico è normato dal D.M. del 29/03/2001 e dal D.M. del 4/08/2000, oltre a questi sono presenti leggi a livello regionale e provinciale. Alcune Regioni e Province Autonome, avevano già adottato, prima del 2000, delle proprie leggi sul Biologico, tra queste anche la Toscana con la L.R. n. 54 del 1995, “Norme per le produzioni animali ottenute mediante metodi biologici”.
Dal 2000 è stato introdotto anche un marchio per i prodotti ottenuti con metodi biologici, valido a livello comunitario, la regolamentazione per l’utilizzo del marchio è contenuta nel Reg. CE 2092/91 e nel Reg. CE 331/2000.
Questo logo può essere utilizzato dai produttori che sono stati controllati da parte di Organismi di certificazione autorizzati (tra i quali, in Italia, AIAB, Codex, CCPB, Bioagri-coop ed altri), sia per quanto riguarda i loro prodotti che i loro metodi di produzione. Infatti, tutti quegli operatori che intendono conformarsi ai metodi biologici, devono essere iscritti presso un organismo di controllo autorizzato dallo Stato dopo averne accertato i requisiti di competenza ed efficienza (Reg. CE 2092/91).
1.3
ALIMENTAZIONE
Il Reg. CE 2092/1991 stabilisce che l’alimentazione deve avere come obbiettivi principali la qualità delle produzioni ed il soddisfacimento dei fabbisogni nutrizionali degli animali, mettendo in secondo piano la massimizzazione dei livelli produttivi, in questa ottica è facile capire che l’alimentazione forzata è fortemente vietata.
Le materie prime utilizzate devono essere esclusivamente biologiche e, ricordando che uno dei principi basilari dell’agricoltura biologica è che l’allevamento costituisce parte integrante del sistema aziendale, l’alimentazione dovrebbe basarsi principalmente su prodotti dell’azienda; si raccomanda infatti che questa quota rappresenti almeno il 50% della razione oppure, ove questo non sia possibile, essa deve provenire comunque da altre aziende biologiche con cui è stato stabilito un rapporto contrattuale. È ammesso l’utilizzo fino ad una percentuale del 50% di alimenti in fase di conversione, la percentuale può essere aumentata fino all’80% se gli alimenti sono prodotti in azienda. A partire dal 2009 le percentuali saranno ridotte rispettivamente al 30 ed al 60%.
Auspicabile è l’utilizzo del pascolo, che dovrebbe rappresentare il metodo di allevamento principale, naturalmente in relazione ai diversi periodi dell’anno ed alla zona.
Secondo la normativa nazionale è infatti obbligatorio, nei limiti consentiti dalle condizioni pedo-climatiche, garantire agli animali nell’arco dell’anno un’adeguata fruizione dei pascoli, anche limitatamente ad una fase produttiva.
Almeno il 60% della sostanza secca della razione dovrebbe essere composta da foraggi, freschi, essiccati o insilati; tuttavia è possibile ottenere una riduzione fino al 50% nei tre mesi precedenti il parto per venire incontro alle esigenze delle fattrici. Gli insilati non devono superare il 20% della razione, limite aumentabile sino al 40% nel caso del fienosilo. Sono ammessi gli insilati
di mais a condizione che abbiano un minimo del 30% di s.s. e che presentino buone caratteristiche organolettiche, chimiche e microbiologiche.
Se l’allevatore non è in grado di procurarsi alimenti biologici in quantità sufficienti da soddisfare le esigenze aziendali, l’autorità di controllo può autorizzare, dopo gli opportuni controlli, l’utilizzo di alimenti convenzionali in quantità limitate. La percentuale massima in questi casi può essere del 10% annuo di sostanza secca, corrispondente al 25% massimo della sostanza secca giornaliera, ad eccezione dei periodi di transumanza. Il fornitore deve attestare tramite certificazione l’assenza di OGM dagli alimenti.
In caso di perdita della produzione foraggiera per cause climatiche o per la diffusione di malattie infettive o contaminazione da tossici, l’autorità competente consente l’utilizzo per brevi periodi di percentuali più elevate di mangimi convenzionali.
Esistono delle limitazioni per quanto riguarda le materie prime per mangimi di origine agricola o animale utilizzabili, quelle utilizzabili sono elencate nell’allegato II, parte C, sezione C.1 e C.2, inoltre per quanto concerne quelle vegetali non devono essere state trattate con solventi chimici.
Altre restrizioni riguardano l’uso di sostanze minerali, vitamine, pro-vitamine ed altri additivi. Non sono ammessi coccidiostatici, antibiotici e sostanze ormonali.
Per quanto riguarda i giovani è preferibile l’utilizzo di latte naturale, meglio se materno, fino ad almeno 45 giorni nel caso degli agnelli
1.4
PROFILASSI E CURE VETERINARIE
La profilassi dovrebbe partire dalla scelta accurata delle razze da utilizzare in un allevamento biologico, possibilmente razze autoctone più rustiche e maggiormente adattate all’ambiente in cui si trovano, cercando di gestire l’allevamento in un modo consono alle esigenze degli animali e permettendo loro di sviluppare un certo grado di protezione immunitaria. Fondamentali allo sviluppo delle difese immunitarie sono anche un’alimentazione equilibrata ed il movimento fisico, evitando il sovraffollamento.
La normativa sul biologico, sempre nell’ottica di una produzione di qualità, tende ad incentivare l’utilizzo di medicine alternative come l’omeopatia, la fitoterapia e gli oligoelementi, a sfavore dei farmaci allopatici, così da ridurre al minimo i rischi di residui negli alimenti di origine animale e prevenire l’aumento dell’antibiotico resistenza.
Le limitazioni provengono in parte dal desiderio ridurre l’utilizzo di sostanze chimiche e di rendere il trattamento di malattia meno attraente, aumentando i costi per i prolungati periodi di sospensione ed i maggiori costi di manodopera che derivano dai trattamenti individuali rispetto ai trattamenti di massa (Vaarst et al., 2004). Per questo si può ben capire l’importanza che assume la profilassi nell’allevamento biologico, questa prevede un insieme di misure che cercano di prevenire lo svilupparsi di stati patologici.
Per quanto riguarda la cura degli animali malati, nel caso in cui le medicine alternative non risultino efficaci e lo stato patologico rappresenti motivo di sofferenza e disagio per l’animale è possibile ricorre ai medicinali allopatici, infatti evitare la sofferenza viene prima delle limitazioni nell’uso dei farmaci. Tra le varie alternative alle medicine convenzionali, la più comunemente utilizzata è l’omeopatia.
In questi casi l’impiego di specialità medicinali è subordinato alla diagnosi della malattia da parte di un medico veterinario (Macrì, 2003). L’organismo di controllo o all’autorità competente devono essere avvisate del trattamento che ci si appresta ad effettuare, e l’allevatore deve comunicare le
informazioni inerenti a: diagnosi effettuata, prodotto utilizzato e principi attivi, via di somministrazione, durata del trattamento e tempo di sospensione. Gli animali devono essere ben identificati ed eventualmente isolati. I tempi di sospensione sono doppi rispetto a quelli dell’allevamento convenzionale in base al principio di prevenzione o pari a 48 ore se non è indicato sulla confezione.
Il DM del 04/08/2000, data l’elevata incidenza delle malattie parassitarie, consente due trattamenti annui contro ectoparassiti ed endoparassiti, somministrati per via parenterale o con applicazioni esterne; le molecole da utilizzare per detti trattamenti devono avere basso impatto ambientale, rapida metabolizzazione, limitati effetti tossici e tempi di sospensione inferiori ai dieci giorni.
Gli antibiotici e gli altri medicinali allopatici non possono essere usati per trattamenti preventivi, non è consentito l'impiego di sostanze destinate a stimolare la crescita o la produzione e di ormoni o sostanze analoghe destinati a controllare la riproduzione, ad eccezione di fini terapeutici.
Sono autorizzate le cure veterinarie e l'impiego di sostanze immunologiche se è riconosciuta la presenza di malattie nella zona in cui è situata l'unità di produzione.
Ad eccezione dei trattamenti antiparassitari, delle vaccinazioni e dei piani di eradicazione obbligatori, sono consentiti due o tre cicli di trattamenti con medicinali allopatici annuali, gli animali trattati con farmaci di sintesi o
1.5
BENESSERE ANIMALE
La sensibilità verso il benessere animale è andata crescendo negli ultimi anni in contemporanea ad una maggiore sensibilità da parte dei consumatori riguardo alle condizioni degli animali allevati, conseguentemente si è verificato un aumento della domanda di alimenti di qualità ottenuti da allevamenti gestiti nel rispetto degli animali e dell’ambiente.
Gli allevatori sono chiamati in prima persona ad uniformarsi a questi cambiamenti e sono chiamati a livello comunitario a spostare i propri obiettivi puntando più alla produzione di alimenti di qualità che ad un incremento delle quantità, così da poter mantenere la competitività sul mercato.
La ricerca internazionale ha fatto notevoli passi avanti nel settore dell’Etologia Applicata, dimostrando che il rispetto del Benessere Animale è applicabile alle diverse forme di allevamento e può condurre anche ad un miglioramento, quantitativo e qualitativo, delle produzioni (Carenzi e Gualandi, 2003).
Identificare e conoscere i punti critici dell’allevamento che influiscono sul benessere degli animali è fondamentale per una corretta applicazione della legislazione e per fornire al consumatore un prodotto che corrisponda alle proprie aspettative (Carenzi e Gualandi, 2003).
La tutela del benessere animale ha un duplice obbiettivo, da una parte si prefigge come scopo la prevenzione delle malattie, soprattutto le zoonosi, per la salvaguardia della salute umana e dall’altra quello di migliorare il rapporto tra uomo-animale-ambiente assicurando agli animali una buona qualità della vita.
Allo stesso modo, da un punto di vista legislativo, esistono due tipologie di norme che si occupano di benessere animale, quelle dirette al controllo ed all’eradicazione delle malattie infettive, che fa parte del Regolamento di Polizia Veterinaria, e quelle che riguardano la salvaguardia del benessere
individuale dell’animale e che va ad agire a tutti i livelli della vita produttiva dell’animale: allevamento, trasporto, mercato e macellazione.
Si riportano di seguito, nella tabella 1.1 e 1.2, le principali norme attualmente in vigore sia a livello comunitario che nazionale.
Tabella 0.1. Normativa Comunitaria attualmente in vigore in materia di Benessere
Animale.
Direttiva del consiglio 91/628/CEE del 19 novembre 1991 relativa alla protezione degli animali durante il trasporto e recante modifica delle direttive 90/425/CEE e 91/496/CEE
Direttiva del consiglio 91/629/CEE del 19 novembre che stabilisce le norme minime per la protezione dei vitelli
Direttiva del consiglio 91/630/CEE del 19 novembre 1991 che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini
Direttiva del consiglio 93/119/CE del 22 dicembre 1993 relativa alla protezione degli animali durante la macellazione o l’abbattimento
Direttiva del consiglio 95/29/CE del 29 giugno 1995 che modifica la direttiva 91/628/CEE relativa alla protezione degli animali durante il trasporto
Regolamento del consiglio 1255/97/CE del 25 giugno 1997 riguardante di criteri comunitari per i punti di sosta e che adatta il ruolino di marcia
a c o m u n it a ri a a tt u a lm e n te i n v ig o re
Tabella 0.2 Normativa Nazionale attualmente in vigore in materia di Benessere
Animale.
DPR n. 624/82 “Protezione degli animali nei trasporti internazionali”
Legge n. 623/85 “Ratifica ed esecuzione di convenzioni sulla protezione degli animali negli allevamenti e nei macelli
D. Lgs n. 116/92 “Protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o per altri fini scientifici
D. Lgs n. 532/92 “Protezione degli animali durante il trasporto”
Legge n. 413/93 “norme sull’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale”
D. Lgs n. 388/98, attuazione della direttiva 95/29/CE in materia di protezione degli animali durante il trasporto
D. Lgs n. 146/2001, attuazione della direttiva 98/58/CE relativa alla protezione degli animali negli allevamenti
N o rm a ti v a n a z io n a le a tt u a lm e n te i n v ig o re
Legge n. 189/2004, disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali nonché l’impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate
Alle norme sopraelencate, di carattere orizzontale, vanno aggiunte poi anche quelle verticali, che si occupano di ogni singola specie, relative a bovini, suini ed avicoli.
Il problema del benessere animale è sorto primariamente negli allevamenti intensivi, dove le condizioni degli animali allevati, e di conseguenza i livelli di benessere, sono solitamente inferiori rispetto a quelli dell’allevamento biologico. Questo è avvalorato dal fatto che uno dei punti cardini dell’allevamento biologico è quello di concedere agli animali una qualità della vita migliore, rispettando le loro innate necessità. Nel biologico i ricoveri sono diversificati in base alle esigenze specie specifiche, la conservazione e la
promozione della salute animale risultano da un’ottimizzazione delle strutture, dell’alimentazione, delle tecniche di allevamento e delle cure.
Uno dei problemi è rappresentato dalla difficoltà di trovare una definizione univoca di benessere, in quanto quelle che sono state date sono spesso vaghe (Spoolder, 2007). Secondo Broom (1986), il benessere può essere definito come la situazione di un organismo in relazione ai tentativi di adattarsi all’ambiente in cui si trova. Un’altra definizione inquadra il benessere animale come lo stato di un animale in armonia con l’ambiente, sia da un punto di vista fisiologico che etologico (Hughes, 1976).
Si può affermare, in ogni caso, che il più importante prerequisito per ottenere una situazione di benessere è la salute, intesa non solo come assenza di malattia, ma in un senso più globale, come uno stato in cui l’animale può esplicare le normali funzioni fisiche, sociali e mentali.
Quando vengono superate le capacità di adattamento dell’animale, questo viene a trovarsi in una situazione di stress, molteplici sono i fattori che agiscono, di natura funzionale, psichica, metabolica, immunitaria e riproduttiva.
Per fini pratici il concetto di benessere animale può essere tradotto nelle cosiddette “cinque libertà” (Spoolder, 2007).
Queste cinque libertà, che il “British Farm Animal Welfare Council” ha sviluppato partendo dal rapporto Brambell (1965), offrono i principi che ogni allevatore dovrebbe adottare affinché sia rispettato il welfare. Le cinque
4 Libertà di esprimere un comportamento normale: provvedendo a fornire un sufficiente spazio e garantendo all’animale i rapporti sociali con i suoi simili;
5 Libertà dalla paura e dall’angoscia: assicurando condizioni che evitino sofferenze fisiche e mentali agli animali.
Dopo aver cercato di dare una definizione di benessere, si pone il problema di come andare a valutare se questa condizione è effettivamente presente negli animali. Secondo Broom e Johnson (1993), il benessere è una caratteristica intrinseca dell’animale, può variare da ottimo a pessimo e si può misurare in modo scientifico. Nella realtà pratica la valutazione del benessere non può basarsi solo su variabili oggettive e quantificabili, ma al contrario deve integrarsi con la componente emotiva e comportamentale degli animali. Per la valutazione del benessere vengono utilizzati i cosiddetti indicatori biologici, definiti come quei rilievi che permettono di stabilire il grado di adattamento di un individuo o di una popolazione all’ambiente ed alle altre popolazioni della biocenosi in cui vive, attraverso il tempo (Biagi, 2007).
Gli indicatori utilizzati devono possedere alcune caratteristiche fondamentali, ovvero devono riflettere effettivamente lo stato di benessere dell'animale, devono essere ripetibili nel tempo, riproducibili, avere un’elevata praticabilità, essere rilevabili ed analizzabili statisticamente (Alban et. al., 1999).
Gli indicatori che vengono presi in considerazione per la valutazione del benessere sono solitamente quattro:
1 Patologici: valutano le cause di mortalità e morbilità degli animali, la suscettibilità alle malattie e la capacità degli animali di reagire a fenomeni patologici;
2 Fisiologici: valutano se sono soddisfatte tutte le esigenze necessarie all’organismo per esprimere al meglio le proprie potenzialità (es. accrescimento), servendosi dei parametri biochimici e biofisici, come ad esempio la frequenza cardiaca, i livelli ormonali, etc…;
3 Produttivi: includono la valutazione delle performance produttive e riproduttive (es. regolarità dei calori, produzione di latte…);
4 Comportamentali: valutano la presenza di comportamenti anormali o disturbati, per far questo è necessario conoscere l’etogramma, ovvero il normale comportamento delle diverse specie animali.
L’aspetto comportamentale riveste un ruolo di notevole importanza perché riflette l’equilibrio dell’organismo, una modificazione nel normale comportamento è infatti più facilmente rilevabile rispetto a quelle degli altri parametri indicati.
Il problema dell’etologia è inoltre molto sentito nell’ambito dell’allevamento biologico, dove si mira a rendere il processo di produzione zootecnica il più naturale possibile ed a garantire agli animali l’espressione del loro comportamento naturale.
Uno degli obiettivi principali dell’IFOAM è quello di fornire a tutti gli animali una condizione di vita nella piena considerazione degli aspetti di base del loro comportamento innato (IFOAM 2000).
Un altro problema da affrontare, dopo avere compreso cosa è il benessere animale, come lo si può misurare e l’importanza nell’allevamento biologico, è quello di trovare uno strumento di facile applicabilità e sicuro per una valutazione del benessere in azienda (Verga e Ferrante, 2001). Questo strumento deve essere di facile e rapida applicazione sia nella singola azienda sia su larga scala (Bartussek, 2000).
Tenendo presente la natura multifattoriale del benessere animale, sono stati progettati dei sistemi che ne valutano i diversi aspetti a ciascuno un
consultivo negli allevamenti biologici della Germania.
In Italia, così come in altri paesi, quali ad esempio la Francia, si stanno ancora mettendo a punto delle schede idonee adatte alle diverse tipologie di allevamento.
1.6 GESTIONE ZOOTECNICA E STRUTTURE
Nell’allevamento biologico la riproduzione dovrebbe basarsi principalmente su metodi naturali, è tuttavia consentita l’inseminazione artificiale, mentre sono vietate embrio-transfer ed altre tecniche di riproduzione.
Qualsiasi operazione di mutilazione, come applicazione di anelli di gomma alla coda degli ovini o la recisione della coda e la spuntatura dei denti nei suini, è vietata; fanno eccezione quei casi in cui sono necessari per migliorare la salute degli animali o per motivi di sicurezza.
La castrazione è consentita solo prima del raggiungimento della maturità sessuale e al fine di mantenere la qualità dei prodotti.
Gli animali dovrebbero avere la possibilità di muoversi liberamente, in accordo anche con le normative sul benessere, di conseguenza la stabulazione fissa non è consentita, a meno che non si tratti di strutture costruite prima del 2000 e sia già stato previsto un piano di adeguamento, per cui è una situazione temporanea. Tuttavia, in questo periodo di tempo gli animali devono essere movimentati giornalmente in zone dotate di lettiera, rispettando tutti i requisiti atti a garantire una situazione di benessere. In caso di stabulazione fissa è obbligatoria la presenza del pascolo, al contrario in caso di stabulazione libera non è un requisito fondamentale. È consentita la stabulazione fissa se viene applicata ad un singolo capo e per un periodo di tempo limitato durante situazioni particolari.
Per quanto riguarda i mammiferi, a tutti dovrebbe essere permesso l’accesso al pascolo, se le condizioni climatiche e fisiche dell’animale lo permettono. Per quanto riguarda i locali di stabulazione, è necessario offrire agli animali delle condizioni alle loro esigenze fisiologiche e comportamentali; le
mangiatoie e gli abbeveratoi devono essere facilmente accessibili a tutti, le strutture devono essere costruite in modo da garantire un’adeguata illuminazione, ventilazione ed isolamento, così da creare le condizioni ottimali per gli animali, evitando un’eccessiva polverosità ambientale e consentendo di avere una concentrazione dei gas nei limiti della norma, inoltre tutte le attrezzature e le costruzioni non devono essere realizzati con materiali tossici.
I locali di stabulazione devono avere pavimenti lisci non sdrucciolevoli, la zona di riposo deve essere asciutta a pulita, di dimensioni adeguate, con superficie non fessurata, coperta da paglia o altri materiali naturali.
I pascoli e gli spazi all’aperto devono essere dotati di ripari dalla pioggia, dal vento, dal sole e dalle temperature esterne, idonee in base alla specie allevata ed alle condizioni climatiche locali.
Tutte le strutture e le attrezzature devono essere pulite e disinfettate in modo tale da evitare la proliferazione e la diffusione di agenti patogeni, inoltre è necessario allontanare frequentemente le deiezioni per evitare la formazione eccessiva di gas e l’arrivo di insetti ed animali indesiderati. Sia le operazioni di pulizia che l’allontanamento degli insetti possono essere effettuate solo con i prodotti indicati nell’allegato II parte E del Reg. CEE 2092.
La normativa raccomanda la formazione di gruppi omogenei per classe di età e categoria, di dimensioni adeguate in base alle esigenze comportamentali
Tabella 0.3 Superfici minime che devono essere messa a disposizione per ciascun animale ed altre caratteristiche di stabulazione per le specie e categorie di animali.
Superfici coperte
(superficie netta disponibile per gli animali) Superfici scoperte (spiazzi liberi, esclusi i pascoli)
Peso vivo minimo
(Kg) m 2/capo m2/capo Bovini e equini da allevamento e destinati all’ingrasso Fino a 100 Fino a 200 Fino a 350 Oltre 350 1,5 2,5 4,0 5 con un minimo di 1 m2/100 Kg 1,1 1,9 3 3,7 con un numero di 0,75 m2/100Kg Vacche da latte 6 4,5 Tori da allevamento 10 30
Pecore e capre
1,5 per pecora/capra 0,35 per agnello/capretto 2,5 per pecore e capre 0,5 per agnelli e caprettiScrofe in allattamento con
suinetti fino a 40 giorni 7,5 per scrofa 2,5
Suini da ingrasso Fino a 50 Fino a 85 Fino a 110 0,8 1,1 1,3 0,6 0,8 1
Suinetti Oltre 40 giorni e fino
a 30 Kg 0,6 0,4 Suini da allevamento 2,5 per femmine 6 per maschio 1,9 8
1.7
NUMERO DI ANIMALI
Il numero di animali deve essere scelto con l’obbiettivo di garantire loro una condizione di massimo benessere, in relazione alle esigenze fisiche e psicologiche.
Ciascun animale deve la possibilità di sdraiarsi, pulirsi e girarsi e svolgere il proprio comportamento naturale. Se gli animali sono tenuti all’aperto il carico dovrà essere stabilito in modo tale che il terreno non diventi fangoso e che il pascolo non venga consumato in tempi troppo brevi.
Il carico di animali per ettaro viene calcolato prendendo in considerazione un limite totale di produzione di azoto pari a 170Kg/ha per anno di superficie agricola utilizzabile. Le deiezioni devono essere spanse preferibilmente all’interno dell’azienda, tuttavia è prevista la possibilità di una cooperazione con altre aziende che praticano il metodo biologico.
Nella tabella 1.4 si riporta il numero massimo di animali per ettaro calcolato in base alla quantità di azoto prodotto.
Tabella 0.4 Numero massimo di animali per ettaro calcolato in base alla quantità di azoto prodotto.
Classe o specie Numero massimo di animali per ettaro
(equivalente a 170 kg N/ha/anno)
Equini di oltre 6 mesi 2
Vitelli da ingrasso 5
Altri bovini di meno di 1 anno 5
Bovini maschi da 1 a meno di 2 anni 3,3
Bovini femmine da 1 a meno di 2 anni 3,3
Bovini maschi di 2 anni e oltre 2
Giovenche da allevamento 2,5
Giovenche da ingrasso 2,5
Vacche da latte 2
Vacche lattifere da riforma 2
Altre vacche 2,5 Coniglie riproduttrici 100
Pecore
13,3
Capre 13,3 Suinetti 74 Scrofe riproduttrici 6,5 Suini da ingrasso 14 Altri suini 14 Polli da tavola 580 Galline ovaiole 2301.7
Scelta della razza ed origine degli animali
La zootecnia biologica punta, come già ripetuto più volte in precedenza, verso una maggiore qualità dei prodotti più che verso la quantità, cercando di ristabilire un corretto rapporto uomo-ambiente-animale ed operandosi per il mantenimento della bio-diversità.
La zootecnia biologica tende quindi a preferire animali dotati di resistenza, rusticità e facilmente adattabili.
In questa ottica è stato rivalutato l’utilizzo delle razze autoctone; molte di queste sono andate perdendosi negli anni subendo una notevole riduzione numerica in seguito alla sostituzione da parte di razze altamente selezionate, le uniche zone dove hanno resistito sono quelle più marginali perché sono le uniche capaci di sfruttare risorse altrimenti inutilizzabili (AIAB, 2002).
Del resto, anche la normativa comunitaria sulle produzioni biologiche (Reg. CEE 2092/91) promuove l’utilizzo delle razze autoctone affermando: “Nella scelta delle razze o delle varietà si deve tener conto della capacità degli animali di adattarsi alle condizioni locali nonché della loro vitalità e resistenza alle malattie. Inoltre le razze e le varietà devono essere selezionate al fine di evitare malattie specifiche o problemi sanitari connessi con alcune razze e varietà utilizzate nella produzione intensiva (ad es. sindrome da stress nei suini, PME, morte improvvisa, aborto spontaneo…), dando la preferenza a razze e varietà autoctone”.
pressioni selettive di quelle cosmopolite. Bisogna considerare, però, la notevole qualità dei prodotti ed il valore aggiunto che hanno sul mercato. Le razze e gli ibridi che attualmente sono utilizzate negli allevamenti intensivi, sono stati notevolmente selezionati allo scopo di ottenere performance produttive sempre più elevate a discapito della qualità, hanno inoltre un notevole impatto ambientale e problemi di adattamento all’ambiente climatico e nutrizionale.
Il Reg. CE 2092/91 Stabilisce che gli animali devono provenire da allevamenti biologici, tuttavia prevede anche alcune deroghe che si riassumono brevemente.
1.1Il bestiame tenuto in azienda e che non è allevato secondo il metodo biologico, autorizzato dall’organismo di controllo, può essere convertito;
2. In caso di prima costituzione del patrimonio, se non si riesce a reperire un numero sufficiente di animali allevati secondo le norme di produzione biologiche, è possibile introdurre animali allevati con metodi diversi sottostando a particolari disposizioni. Ad esempio, per quanto riguarda gli ovini, questi devono avere meno di 60 giorni o comunque prima dello svezzamento, e così via;
3. è previsto il rinnovo o la ricostituzione del patrimonio, se autorizzato dall’organismo di controllo e in mancanza di numero sufficienti di animali allevati conformemente alle normative, in casi particolari come ad esempio fenomeni di mortalità dovuti a problemi sanitari straordinari e catastrofi;
4. È possibile ricorrere a rimonte non allevate biologicamente per il rinnovo del patrimonio entro un massimo del 10% per quanto riguarda bovini ed equini e del 20% per quanto riguarda ovini, caprini e suini, che possono arrivare al 40% se l’azienda si espande in modo consistente, se viene cambiata la razza allevata, se viene avviato un nuovo processo produttivo o per razze in rischio di abbandono;
non biologico, se dal momento dell’acquisto l’animale viene allevato con metodi biologici.
I prodotti ottenuti da animali che rientrano nelle categorie precedenti possono essere venduti come biologici solo se sottostanno ad un periodo di conversione diverso in base alla specie.