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3. L’unità filtrante del rene: il glomerulo

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3. L’unità filtrante del rene: il glomerulo

Il glomerulo renale consiste di un insieme compatto di capillari glomerulari tra loro

interconnessi, detto glomerulo o capillare glomerulare, circondato dalla capsula di

Bowman. La barriera di filtazione esistente a livello del corpuscolo renale e che

tutte le sostanze devono attraversare consiste di tre strati: l’endotelio del capillare

glomerulare, una membrana basale piuttosto spessa e un monostrato di cellule

epiteliali. L’endotelio dei capillari è perforato da numerose “ fenestrae” ed è una

struttura permeabile a qualsiasi soluto all’interno del sangue. La membrana basale

presente nella porzione intermedia è una struttura gelatinosa costituita da

glicoproteine e proteoglicani. Le cellule epiteliali disposte al di sopra della

membrana basale, dette podociti, fronteggiano lo spazio di Bowman (fig.2).

I podociti hanno una struttura tentacolare, detta pedicello o processo pediccellare; si

estende da ciascun braccio del podocita e si inoltra all’interno della membrana

basale. I pedicelli di vari podociti sono tra loro interdigitati. Gli spazi esistenti tra

pedicelli adiacenti costituiscono la struttura che il filtrato glomerulare, una volta

attraversato l’endotelio vasale e la membrana basale, deve attraversare per portarsi

(2)

Fig. 2 - Struttura del glomerulo. Immagini al microscopio elettronico della struttura del glomerulo. US: spazio di Bowman; B : membrana basale; En: endotelio; fp: processi pedicellari. Sono visibili l’epitelio fenestrato, la membrana basale ed i processi pedicellari.

I processi pedicellari sono rivestiti da uno spesso strato si sostanza extracellulare

che occlude parzialmente i diaframmi esistenti tra i pedicelli. Il significato

funzionale di questa disposizione anatomica è quello di permettere la filtrazione di

notevoli quantità di fluidi dai capillari verso lo spazio di Bowman.

3.1 Il poro glomerulare – caratteristiche strutturali e funzionali

3.1.1 Permeoselettività glomerulare

E’ fondamentale che il filtro rimanga integro affinché le proteine non oltrepassino

la barriera di filtrazione. Sono disponibili molti dati riguardo la struttura e la

biochimica di questo filtro [4, 5]. Una piccola molecola come l’inulina (5,2 KDa,

(3)

prima di raggiungere lo spazio di Bowman. La prima è rappresentata dalle fenestrae

dell’endotelio capillare (diametro 10 nm). La successiva è la membrana basale

(300-400 nm) che è suddivisa in tre strati: lamina rara interna, lamina densa e

lamina rara esterna. L’ultrastruttura di questa membrana basale è nota [6]. Fra la

lamina rara esterna e lo spazio di Bowman si interdigitano i processi pedicellari dei

podociti. Questi processi epiteliali sono parzialmente incastonati nella lamina rara

esterna. Tra un processo pedicellare e l’altro vi sono fessure di 30-60 nm velate da

una sottile membrana che possiede fessure di 4-14 nm di diametro attraverso le

quali passano le molecole per raggiungere lo spazio di Bowman [7].

3.1.2 Struttura della membrana glomerulare

In base alle dimensioni dei pori, la membrana basale è la prima barriera che si

oppone alla filtrazione delle proteine plasmatiche più grandi di 40-50 Å.

Comunque, la dimensione delle molecole non è l’unica caratteristica da considerare

ed inoltre, la membrana basale non è solo una barriera di filtrazione. Il contributo

dei processi pedicellari e dei loro diaframmi alla filtrazione non è del tutto chiaro.

La distanza tra i vari pedicelli è sufficiente a non impedire il passaggio delle

proteine; tuttavia sono rivestiti da sostanze che portano una carica netta negativa e

questo potrebbe essere d’ostacolo al passaggio delle proteine cariche

negativamente.

Infine, le proteine plasmatiche che raggiungono le cellule epiteliali possono essere

rimosse da queste cellule per pinocitosi. Effettivamente, un rivestimento epiteliale

integro sembra essere necessario per ostacolare il movimento delle proteine

(4)

completamente chiaro. La perdita di questo rivestimento consente il passaggio di

queste molecole attraverso la membrana basale. Quindi è stato proposto che la

funzione integra di tutti gli elementi strutturali della parete capillare glomerulare sia

fondamentale per impedire l’insorgere della proteinuria [4].

3.1.3 Ruolo della dimensione e della configurazione delle molecole

La dimensione, configurazione e deformabilità sono determinanti critici per il

trasporto di macromolecole attraverso la parete capillare glomerulare [4]. Agli

estremi, piccole molecole come l’inulina vengono liberamente filtrate mentre le

grandi molecole come le globuline (es. la gamma-globulina, raggio 61 Å) sono

virtualmente escluse dal filtrato glomerulare. Fra questi due estremi, la clearance

frazionale ha una proporzionalità inversa rispetto all’effettivo raggio delle

(5)

Nella seguente tabella sono riportati il peso molecolare ed il raggio effettivo di

alcune proteine.

Peso (KDa) Raggio effettivo (Å)

Inulina 5,2 14

Insulina 6,0 16

Lisozima 14,6 19

Mioglobulina 16,9 19

Ormone paratiroideo (bovino) 9,0 21

Ormone della crescita (ratto) 20,0 21

Catene leggere 44,0 28

Amilasi 48 29

Albumina 66,4 36

Gamma globulina 160 55

Ferritina 480,0 61

Tab. 1 Peso molecolare e raggio effettivo d’inulina e di alcune proteine

La permeabilità glomerulare è stata cimentata con destrani neutri. Questo polimero

è inerte e non viene eccessivamente secreto né riassorbito, possiede un raggio

effettivo minore di 18 Å ed è liberamente filtrato. La clearance della maggior parte

dei destrani neutri decresce, seppur non linearmente col crescere delle dimensioni

(6)

Clear a nce fr azionata (C d / C in )

Raggio effettivo del soluto (Å)

Fig. 3 – Clearance frazionata dei destrani neutri e solfati. La clearance frazionata dei destrani è da considerare in rapporto a quella dell’inulina, che è massima, per cui in ordinate abbiamo numeri cardinali e non “misure”.

fino ad una dimensione di 42 Å; destrani di questa dimensione e più grandi non

vengono filtrati [9]. Altri risultati da esperimenti di questo tipo indicano che il

limite dei pori è di 40-50 Å di raggio.

3.1.4 Influenza della carica nel trasporto delle macromolecole

L’osservazione che la maggior parte dell’albumina non passa attraverso la barriera

di filtrazione suggerisce che ci siano altre caratteristiche, oltre alla dimensione, ad

entrare in gioco nella barriera di filtrazione glomerulare. La carica è un elemento

fondamentale. Attraverso l’utilizzo di traccianti e di speciali coloranti policationici

come il ferro colloidale, l’alcian blue, il rosso di rutenio e il lisozima si dimostra

che alcuni siti all’interno della barriera di filtrazione possiedono cariche negative

[10-12]. In effetti, ci sono evidenze convincenti circa l’importanza di queste cariche

sulle proprietà di trasporto della barriera di filtrazione. Tutti gli strati della barriera

(7)

dell’endotelio sono ricoperte di acido sialico ed eparan solfato poliglicano, un forte

polianione [4]. Quest’ultimo è anche una componente integrale della membrana

basale ed è responsabile della carica elettrica negativa di questa struttura [10-13]. In

un modello di nefropatia membranosa, una minor carica effettiva dell’eparan

solfato determina una maggiore permeabilità glomerulare [14]. Anche i pedicelli

sono rivestiti di glicosialoproteine [15-17]. La più abbondante, la podocalixina, è

stata caratterizzata; sembra che anche questa proteina contribuisca a conferire la

carica negativa che mantiene l’integrità dei pedicelli e dei loro diaframmi [18, 19].

L’importanza delle cariche negative a vari livelli della parete capillare glomerulare

nell’ostacolare il passaggio delle proteine è stato studiato con destrani anionici e

cationici. In confronto alla frazione di escrezione del destrano neutro, l’escrezione

di vari tipi di destrano dalla dimensione comparabile è considerevolmente inferiore

per il destrano anionico (destran solfato) e considerevolmente maggiore per il

destrano cationico (dietilamminoetil destrano) [20-21]. Questa relazione è valida

per raggi effettivi compresi tra 18 e 40 Å mentre oltre questo intervallo l’effetto

della carica sulla clearance tende a scomparire [4]. Non è chiaro se l’aumento di

clearance per le specie cationiche sia solo dovuto alla carica. Per esempio,

l’infusione di esadimetrina, un policatione, comporta l’escrezione di grosse

molecole sottintendendo un aumento della dimensione funzionale dei pori [22].

3.1.5 Effetti emodinamici

I cambiamenti emodinamici possono influenzare direttamente il trasporto delle

proteine attraverso la barriera glomerulare. Un flusso normale o aumentato

(8)

macromolecole. In queste condizioni non passano attraverso le finestrae né

l’albumina né le IgG [23]. Invece, se il flusso si riduce, la clearance dell’albumina

e dei destrani ad alto peso molecolare aumenta molto [24-26]. Durante questa fase

l’albumina raggiunge lo spazio di Bowman [23, 27, 28]. Il meccanismo che porta a

questo aumento di permeabilità non è del tutto chiaro. Un ridotto flusso altera anche

l’equilibrio ormonale locale. Alti livelli di angiotensina causano un aumento del

flusso attraverso grandi pori non selettivi e quindi proteinuria [29]. Anche gli

eicosanoidi possono influenzare la permeabilità della barriera glomerulare

direttamente o tramite l’alterazione dell’emodinamica glomerulare [30].

Qualunque sia il meccanismo, cambiamenti nel flusso possono influenzare la

capacità di filtrazione glomerulare.

3.2 Un modello matematico che simula la selettività della filtrazione del poro glomerulare

W. M. Deen e collaboratori [31] ci suggeriscono un modello di poro glomerulare

che giustifica la selettività delle molecole da filtrare. Questo modello evidenzia tre

parametri fondamentali: due di questi riguardano le molecole da filtrare e sono la

distribuzione di carica di esse e la loro relativa idrofilicità; il terzo parametro

riguarda i pori ed in particolare la loro forma e dimensione globale. Più

precisamente, essi hanno sviluppato un modello dapprima isoporoso, ovvero con i

pori tutti della stessa grandezza ed uniformità di carica e in un secondo momento ad

eteroporo, cioè dove i pori presentano sia una forma e una grandezza eterogenea che

una diversa distribuzione delle cariche negative esposte verso il lume di ogni poro.

Lo scopo fondamentale di questo modello è quello di spiegare la selettività della

(9)

filtrante che come molecola da filtrare il destrano, un polisaccaride della famiglia

delle cellulose, per cui esso non presenta cariche ma è un poli-olo, cioè presenta più

gruppi OH con funzione alcolica. Nella funzione filtrante essi fungono da setaccio

molecolare nelle diverse colonne cromatografiche di cui gli stessi autori fanno uso.

Inoltre, i vari tipi di destrani sono polisaccaridi con funzioni di deposito che si estraggono da alcuni lieviti e dai batteri [32] che contengono solamente unità di α-glucosio i cui residui sono legati insieme, quasi esclusivamente, da legami

glicosidici α-1,6 e presentano poche ramificazioni di tipo α-1,2 , α-1,3 o α-1,4 a seconda della specie.

La formula chimica generale del destrano è [C6H10O5]n , dove n è il numero di unità

di α−D-glucosio che si ripetono nei vari tipi di questi polisaccaridi; i loro pesi molecolari relativi (Mr) variano da 1,5 KDa ad oltre 500 KDa, a seconda del numero

dei residui di glucosio e dalla quantità di ramificazioni che compongono i destrani.

Gli autori hanno impiegato destrani neutri, aventi un raggio compreso tra 26 e 58 Å,

come molecole da filtrare; inoltre viene impiegato come molecola da filtrare il

destrano-40 che ha un peso molecolare intorno a 40 KDa [31]; preparano, per

simulare la filtrazione glomerulare, colonne cromatografiche con Sephacryl S-300 e

il destrano blue (Blue Dextran, PM ~ 2000 KDa) come sostanza filtrante; il

Sephacryl, in generale è una resina composta da una miscela di destrani e

acrylamide. Significa che i vari destrani, come molecole da filtrare, sono stati sintetizzati per successiva polimerizzazione dell’α-glucosio in modo variabile a seconda della dimensione della molecola che volevano ottenere, tenendo presente

che i destrani di più ampio raggio (55-60 Å ) presentano un maggior numero di

(10)

Fig. 4. Struttura base del destrano. I legami rappresentati dalle frecce rosse sono quelli comuni a tutti i tipi di destrani e quelli maggiormente presenti.

Nella figura 4 il destrano presenta il legame glicosidico α-1,6 e una ramificazione di tipo α-1,4; gli altri tipi di destrani presentano tutti una serie di legami glicosidici α-1,6 lineari, ramificazioni α-1,4 in minor numero dei legami lineari α-1,6 e inoltre ramificazioni o di tipo α-1,2 o di tipo α-1,3 , a seconda della grandezza e della lunghezza delle catene glicosidiche che compongono i vari tipi di destrani [31].

Nello spiegare questo modello, essi adottano tecniche di clearance dei destrani

differenti e il modello che inizialmente rappresentava meglio la selettività della

grandezza dei pori glomerulari sembrava essere quello che idealizza la barriera di

filtrazione come una membrana isoporosa, cioè fatta da pori tutti uguali e a forma

cilindrica, aventi un raggio di 50Å e assumono che le molecole che devono essere

filtrate siano tutte uguali. Questo approccio sembra essere utile per capire i dati di

(11)

nefropatici e anche negli organismi umani con minimi cambiamenti di nefropatia

[31].

Si osservava che la clearance frazionata dei destrani (clearance dei destrani relativa

a quella dell’inulina), nei pazienti proteinurici gravi, tendeva ad aumentare per i

destrani più grandi di 45 Å di raggio e spesso diminuiva per quelli più piccoli, se

confrontati con quelli negli individui sia affetti da una grave glomerulopatia che

non [33]. In fisiologia, si definisce la clearance come volume del plasma che il rene

è capace di depurare completamente nell’unità di tempo; solitamente la clearance ci

dà un’idea di quanto i reni siano efficienti e come valore di riferimento si usa la

clearance dell’inulina, che in termini assoluti corrisponde alla GFR; l’inulina è un

polisaccaride complesso simile al destrano ma ha, generalmente, una massa e una

dimensione più piccola; viene presa come riferimento in questo modello di

filtrazione ma anche nella fisiologia renale classica in quanto essa viene

completamente filtrata e la sua clearance viene, perciò, considerata del 100%.

Questo ha suggerito che il selettivo aumento di clearance nella filtrazione con

destrani più grandi potrebbe essere spiegata dalla necessità di un secondo tipo di

modello e quindi di pori, relativamente pochi in quantità ma di più grande misura:

si tratterebbe, quindi, della necessità di un modello ad eteroporo che possa spiegare

(12)

3.2.1 Modello ad isoporo

Nel modello ad isoporo il glomerulo viene rappresentato come un numero di

capillari uguali, in parallelo all’uniformità della circonferenza o delle proprietà di

permeabilità che possiedono nella loro lunghezza [31].

In questo modello vengono effettuate delle equazioni differenziali di bilanciamento

di massa per la determinazione delle varie concentrazioni e delle distribuzioni del

flusso lungo il capillare il quale viene mediato e usato nella predizione dell’intera

composizione del filtrato. Sia le variazioni in concentrazione radiale all’interno di

un capillare che la diffusione assiale si assume siano trascurabili. In queste

condizioni di lavoro, le equazioni di conservazione dello stato stazionario per

volume, proteine plasmatiche, macromolecole test (destrani) sono date

rispettivamente da:

1) dQ/dy = -SJv

2) d(QCP)/dy = 0

3) d(QCi)/dy = -SJi ,

dove:

S è l’area superficiale del capillare; Q è la velocità di flusso plasmatico; Jv rappresenta il flusso del volume;

CP è la concentrazione delle proteine totali;

Ci e Ji sono rispettivamente la concentrazione del soluto i e il volume del flusso del

soluto i (destrano);

(13)

Le equazioni differenziali sopra scritte danno un’idea delle variazioni a livello

glomerulare della velocità del flusso plasmatico, della concentrazione delle proteine

totali e di quella del soluto i (destrano); si deve notare che lungo il capillare la

velocità del flusso plasmatico diminuisce in relazione all’area superficiale del

capillare moltiplicata scalarmente per il flusso del volume, il cui prodotto dà come

risultato il valore di un flusso; così pure diminuisce la velocità del flusso plasmatico

moltiplicata scalarmente per la concentrazione del soluto i (destrano). Questo è

evidente dalle equazioni 1) e 3) mentre l’equazione 2) dice che la variazione della

velocità del flusso plasmatico moltiplicata scalarmente per la concentrazione delle

proteine totali non varia (derivata pari a zero) lungo il cammino di un qualsiasi

capillare glomerulare [31]. I parametri presi in considerazione nelle equazioni

differenziali 1-3, insieme al parametro QA (velocità del flusso plasmatico afferente)

servono per far vedere l’andamento del volume del flusso (Jv) nel plasma lungo un

(14)

Fig. 5. Variazione teorica del flusso del volume ( Jv ) lungo il capillare (y); sono riportati due

valori della velocità del flusso plasmatico afferente ( QA ); per “esatto” e “approssimato” si intende

calcolato precisamente (esatto) oppure facendo nei calcoli molte approssimazioni, talvolta non proprio trascurabili.

L’approssimazione usata per la concentrazione lungo il capillare di una

macromolecola campione è basata sul fatto che il grado al quale Ci(y) aumenta è

strettamente correlato al flusso del volume che invece diminuisce lungo il capillare

in modo inversamente proporzionale.

Il confronto tra i valori di Ci(y)/CiA calcolati usando le equazioni “approssimate” e

quelli ottenuti da soluzioni numeriche di equazioni “esatte” di bilancio di massa e di

(15)

Fig. 6. Variazione teorica della concentrazione plasmatica del soluto i (Ci ) lungo la posizione

del capillare (y). La concentrazione del soluto i è espressa in funzione di quella del medesimo ma afferente, ovvero il capillare che entra nel complesso glomerulare; il soluto i ha un raggio ri= 30 Å

mentre il poro si assume di raggio r0 = 50 Å.

Il rapporto tra la concentrazione media del soluto i nello Spazio di Bowman e quella

del plasma afferente (CiA), basata su un particolare poro di raggio r0 è chiamata

θi(r0) ed è data da: θi(r0) = 1/CiA ( ∫0 1 Ji dy / ∫ 0 1 Jv dy) , dove:

Ji è il volume del flusso del soluto i (destrano),

Jv è il flusso del volume,

(16)

L’equazione sopra scritta si risolve secondo un ben preciso modello matematico

supponendo anche che, secondo il modello dell’isoporo, la posizione normalizzata

lungo i capillari (y) sia compresa tra 0 e 1.

Il rapporto dei due integrali dà come risultato un numero ma i singoli integrali si

possono calcolare come aree dei grafici delle figure 5 e 6 sopra riportate.

E’ stato usato il modello ad isoporo con ri = 30 Å e r0 = 50 Å e con altri dati per un

singolo nefrone, come in figura 5. Alla più bassa velocità di flusso, il calcolo

approssimato sovrastima un po’ Ci(y) ma in entrambi i casi la concordanza è

ragionevole.

3.2.2 Modello ad eteroporo

Viene esteso il modello dell’isoporo ad uno eteroporoso nel tentativo di spiegare

meglio le proprietà funzionali della barriera di filtrazione glomerulare perché

veniva osservato che per destrani neutri con raggio compreso tra 45 e 50 Å si aveva

un aumento della loro clearance e diminuiva per i destrani inferiori ai 45 Å di

raggio.

Per estendere il modello presentato sopra e comprendere una distribuzione di raggi

di poro, distribuzioni di probabilità di g(r) e di Ω (r) sono definite come seguono:

g(r) dr = frazione del numero totale dei pori aventi raggio tra r e (r + dr) ;

Ω(r) dr = frazione del volume del filtrato che passa attraverso i pori di raggio compreso tra r ed (r + dr).

E’ stato assunto che queste funzioni di distribuzione siano indipendenti da y; cioè,

(17)

qualsiasi posizione lungo il capillare. Così che, la derivazione può essere la più

generale possibile; saranno ammessi, così, tutti i valori dei raggi dei pori

da 0 a . Ecco perché l’equazione seguente contiene un integrale semiaperto,

ovvero dove l’estremo inferiore (minimo) è 0 e quello superiore (massimo) è

.

Per calcolare il rapporto tra la concentrazione del filtrato e quella plasmatica per il

soluto i si utilizza la seguente espressione :

θi =

0 ∞

Ω(r) θi(r) dr

θi rappresenta la clearance frazionata del soluto i , calcolata o misurata;

Ω (r) dr è la frazione del volume del filtrato che passa attraverso i pori di raggio compreso tra r e (r + dr);

θi(r) rappresenta la clearance frazionata del soluto i calcolata per un poro di

raggio r.

L’integrando dell’equazione sopra scritta θi(r) indica la clearance frazionata che dovrebbe essere predetta per il soluto i nel caso di un modello ad isoporo

assumendo r0 = r. Pertanto, l’equazione indica che i contributi delle grandezze

individuali dei pori al globale valore di θi può essere valutato in accordo con il

volume della frazione filtrata ( Ω (r)) che passa attraverso ciascun poro [31].

Anche se non vengono rappresentati grafici di flussi del volume lungo un capillare

né della concentrazione del destrano nel plasma lungo la posizione del capillare,

relativi a questo modello ad eteroporo, risulta evidente che i grafici precedenti (figg.

5 e 6) fittano bene una situazione reale per cui la conclusione è che il tentativo di

(18)

3.3 Modello ad isoporo v/s osservazioni cliniche

Attraverso uno studio matematico, che simula la selettività della filtrazione

glomerulare , è stato concluso che il modello ad isoporo può rappresentare meglio

la situazione reale quando le molecole interessate alla filtrazione sono tutte uguali

di dimensione e di distribuzione di carica.

Alcuni clinici come Myers e collaboratori [33] hanno dimostrato che in alcune

malattie renali come la nefropatia diabetica il modello che simula meglio la

selettività della filtrazione glomerulare era quello ad eteroporo. Sono stati fatti

esperimenti andando a misurare parametri come la GFR, la Kf (coefficiente di

ultrafiltrazione) e l’ERPF (flusso effettivo del plasma renale), l’espressione dei

quali ha confermato che il modello eteroporoso è quello ideale per la suddetta

nefropatia. Una cosa simile è stata verificata per le nefropatie Microalbuminuria

[34] e per la epidemica [35].

Nella seguente tabelle vengono riportati i dati delle varie nefropatie e le

(19)

Autori Patologie Osservazione

Myers et al.[33] nessuna isoporo

Myers et al.[33] nefropatia diabetica eteroporo

Marre et al. [34] microalbuminuria eteroporo

Ala-Houhala et al. [35] Nefropatia epidemica, Glomerulopatia membranosa

eteroporo

Tab.2 - Modelli a confronto delle relative patologie.

Dai dati esposti nella tabella si può concludere che il modello matematico ad

isoporo ritenuto valido da Deen e collaboratori [31] è valido solo nel caso in cui i

pazienti siano sani e nell’ipotesi che i pori glomerulari siano attraversati da una

serie di proteine normali e non varianti. Nel caso di patologie renali di varia natura,

il modello isoporoso perde la propria validità e il modello che rappresenta meglio le

(20)

4.

L’unità del riassorbimento renale: il tubulo

Il tubulo è la parte del nefrone che si diparte dal corpuscolo renale, nelle sue varie

porzioni, è costituito da un monostrato cellulare disposto su una membrana basale.

La parte tubulare del nefrone è costituita da una regione corticale più esterna e una

regione midollare più interna; parte tubulare importante per il riassorbimento di

acqua e soluti sono il tubulo prossimale e l’ansa di Henle.

Le caratteristiche istologiche ed immunocitochimiche di queste cellule variano da

segmento a segmento nell’ambito del tubulo. Una caratteristica comune è la

presenza di giunzioni “tight” tra cellule adiacenti, che permettono un legame fisico

delle cellule tra loro.

4.1 Caratteristiche strutturali e funzionali del tubulo

Una volta avvenuta la filtrazione glomerulare, l’ultrafiltrato passa nel sistema

tubulare dove viene modificato attraverso due processi, il riassorbimento e la

secrezione [4]. Il primo significa rimuovere (in parte o totalmente) una sostanza

che è stata filtrata; secrezione invece, significa aggiungere sostanza al filtrato. La

suddivisione in segmenti del nefrone è basata su differenti caratteristiche di

permeabilità e di trasporto che si traducono in importanti differenze funzionali. In

generale, il tubulo prossimale e l’ansa di Henle, come detto, riassorbono acqua e

soluti mentre i tubuli collettori variano la loro azione a seconda della dieta. Ci

possono essere anche significative differenze all’interno di ciascun segmento,

soprattutto nel tubulo prossimale e nel dotto collettore corticale.

Negli individui sani, la quota di proteine escrete nelle urine delle 24 ore varia da 40

(21)

norma. Le proteine che si trovano nelle urine sono un misto fra proteine

plasmatiche che superano la barriera di filtrazione e proteine non plasmatiche che

derivano dai tubuli e dalla parte terminale del tratto urinario.

4.2 Handling renale delle proteine

4.2.1 Proteine urinarie non di origine plasmatica

La principale proteina che si trova nelle urine di un individuo sano e che non è di

origine plasmatica è la uromodulina o proteina Tamm-Horsfall [36, 37]. Si tratta di

una grossa glicoproteina dal P.M. di 7000 KDa che viene escreta in quantità che va

da 20 a 100 mg /die [38, 39]. L’escrezione di questa proteina aumenta di poco nei

pazienti nefropatici [40]. Studi in vitro indicano che l’aggiunta di albumina alla

Tamm-Horsfall portano alla precipitazione di quest’ultima [40]; questo suggerisce

che l’aumento di escrezione dell’albumina potrebbe portare alla precipitazione della

proteina Tamm-Horsfall all’interno dei tubuli con la conseguente formazione dei

cilindri.

La struttura e la funzione di questa insolita glicoproteina è stata estensivamente

riconsiderata. Oltre questa, nelle urine sono presenti anche altre proteine di origine

non plasmatica [36]. Probabilmente queste proteine prendono origine dalla parte

terminale del tratto urinario e dalla prostata. L’endotelina, un vasocostrittore,

potrebbe essere utile come marker, non specifico, della compromissione renale

(22)

4.2.2 Proteine plasmatiche di grandi dimensioni

Proteine come le globulina (P.M. 160 KDa, raggio 55 Å) non possono oltrepassare

la membrana basale. Cambiamenti di flusso plasmatico non determinano una loro

presenza nello spazio urinario.

4.2.3 Proteine a basso peso molecolare

Le proteine a basso peso molecolare (<25 KDa o 23 Å) sono così piccole che la loro

carica non influenza molto la loro filtrazione. Sono estensivamente filtrate dai

glomeruli, riassorbite dai tubuli e successivamente degradate dal tubulo prossimale.

Proteine a basso peso molecolare biologicamente importanti e “trattate” dal rene

sono enzimi (lisozima e ribonucleasi), immunoglobuline (catene leggere e β-microglobulina), prodotti della degradazione del fibrin-fibrinogeno e ormoni

(insulina, GH, ormone paratiroideo). La concentrazione tubulare di queste proteine

va dal 50% al 90% della loro concentrazione plasmatica.

Nonostante la grande quantità di proteine a basso peso molecolare che vengono

filtrate, nelle urine ne compare solo una piccola quantità. Le proteine vengono

riassorbite nel tubulo prossimale e idrolizzate in aminoacidi dal sistema lisosomiale

vacuolare. Una piccola quantità di queste proteine viene riassorbita intatta [42, 43].

La capacità tubulare per alcune di queste proteine a basso peso molecolare è

significativamente più alta della quantità filtrata. Per esempio, quando ad un rene

isolato di ratto viene dato lisozima purificato, questo enzima non compare nelle

urine finché non si arriva ad una concentrazione pari a tre volte quella normale [43].

(23)

influisce tra il 30% e l’80% sulla clearance metabolica delle proteine a basso peso

molecolare [43].

Le catene leggere subiscono un trattamento simile. I monomeri (P.M. 22 KDa)

vengono liberamente filtrati e successivamente degradati dai tubuli e solo una

modesta quantità di queste proteine compare nelle urine. Invece, dei dimeri (P.M.

44 KDa, raggio 28 Å) ne viene filtrato circa il 10% . La perossidasi del rafano è una

molecola neutra e viene usata come tracciante; ha un peso molecolare simile a

quello delle catene leggere e subisce un trattamento simile ad esse [10, 44].

4.2.4 Albumina

L’albumina, con un peso molecolare di circa 66,4 KDa ed un raggio di 36 Å, merita

una considerazione a parte. A cose normali non può passare nello spazio urinario

per la selettività della barriera di filtrazione. In determinate condizioni, come un

ridotto flusso sanguigno, l’albumina può essere presente nelle urine dimostrando

che la selettività per dimensione, da sola, non è sufficiente ad impedirne la

filtrazione. Piuttosto, sembra che la carica negativa delle varie strutture della

barriera di filtrazione sia il determinante maggiore nell’impedirne la filtrazione.

Fra queste strutture, la più importante nell’impedire che l’albumina oltrepassi la

barriera di filtrazione è la carica negativa della membrana basale [ 8, 9, 44 - 46].

4.2.5 Proteinuria glomerulare

La proteinuria glomerulare è dovuta ad un aumento della permeoselettività della

barriera di filtrazione glomerulare alle proteine plasmatiche. Quindi, la caratteristica

(24)

metodi per rilevare la presenza di albumina nelle urine. L’albuminuria può essere

un fenomeno transitorio anche negli individui sani mentre un’albuminuria

persistente è indice di danno renale. Effettivamente l’albuminuria si riscontra nella

maggior parte delle malattie renali. Se il danno principale avviene a livello del

glomerulo o del compartimento tubulointerstiziale, l’albumina arriva ad essere il

60-90% delle proteine urinarie [47, 48]. Se si ha danno renale aumenta la filtrazione

dell’albumina e quindi la sua proteolisi lisosomiale alveolare a livello dei tubuli.

L’escrezione di proteine a basso peso molecolare rimane normalmente basso [49, 50].

Quanto sopra esposto al riguardo dell’insorgere della proteinuria, viene

rappresentato

Fig. 7 - Handling renale delle proteine. Normale: una piccola porzione di albumina viene filtrata, gran parte viene riassorbita ed una piccola parte viene escreta. Patologico: una grande porzione di albumina viene filtrata, nella fase di riassorbimento tubulare le molecole deformi vengono proteolizzate ed una parte viene escreta.

(25)

4.2.6 Ruolo dell’Handling tubulare delle proteine

Nonostante che la barriera capillare glomerulare sia relativamente impermeabile

all’albumina, traccianti isotopici e studi di micropuntura dimostrano chiaramente

che una piccola quantità di albumina passa attraverso il glomerulo [51-54]. La

concentrazione media dell’albumina nel tubulo prossimale è 0,6 mg /dl con valori

che in molti campioni sono inferiori a 0,1 mg /dl [53, 55, 56]. Studi sugli umani

danno risultati simili. L’infusione di lisina in soggetti sani inibisce completamente il

riassorbimento di albumina e questo comporta l’escrezione di 500-600 mg /die di

albumina [40]. Questa quantità corrisponde ad un filtrato di 0,3 mg /dl. Il

riassorbimento di albumina filtrata sembra essere limitato al tubulo prossimale [41,

57- 59], ma una piccola quantità di albumina riassorbita dai tubuli torna in circolo

integra [41, 60]. Il sistema vacuolare lisosomiale è responsabile del suo

riassorbimento e della sua degradazione [42]. Dopo somministrazione intravenosa o

iniezione intratubulare di albumina marcata, i vacuoli delle cellule che si trovano

sulla superficie apicale del tubulo prossimale contengono la forma isotopica [41,

59, 60].

Questi vacuoli si muovono all’interno delle cellule e si fondono con i lisosomi che

contengono enzimi proteolitici [60-62]. Questi enzimi che si trovano all’interno

(26)

5.

Albumina serica umana (HSA)

L’albumina è una proteina plasmatica presente in assoluto in quantità maggiore

rispetto alle altre ed è quella anche che detiene il primato per quanto riguarda gli

studi su di essa e sulle numerose funzioni che svolge nel siero e a livello renale.

L’HSA viene sintetizzata a livello epatico in quantità che varia da 9 a 12 g al giorno

come prealbumina. A livello del lume del reticolo endoplasmatico la prealbumina

subisce una prima modifica in quanto viene tagliato il peptide segnale composto da

18 residui aminoacidici. La seconda modifica della molecola avviene a livello

dell’apparato del Golgi, con la rimozione del propeptide all’estremità N-terminale,

costituito da 6 residui: precisamente la sequenza del propeptide è

Arg-Gly-Val-Phe-Arg-Arg. Il risultato finale di queste due modifiche che avengono in due

compartimenti distinti della cellula è quello di una molecola matura e pronta a

passare nel circolo sanguigno, costituita da 585 residui aminoacidici. La vita media

dell’albumina matura è di circa 19 giorni. L’insulina, la tiroxina e il cortisolo

interagendo con le cellule epatiche possono influenzare la sua sintesi. La forma

proteica di proalbumina è caratterizzata da una mobilità elettroforetica minore a

causa della dimensione che è maggiore e della minor capacità di legare lo ione Ni2+

(27)

5.1 Struttura dell’ albumina

5.1.1 Struttura primaria e secondaria

Il gene che codifica per questa proteina si trova sul cromosoma 4q11-22, si estende

per circa 17000 nucleotidi ed è diviso in 15 esoni, l’ultimo dei quali non viene

tradotto e 14 introni tra un esone e l’altro [63]. Il suo peso molecolare teorico è

circa 66,5 KDa. La composizione aminoacidica dell’albumina umana è la seguente:

essa è composta da 36 Asp, 60 Glu, per un totale di 96 residui strettamente acidi,

che danno alla molecola, ciascuno, una carica netta negativa a pH fisiologico. Gli

aminoacidi basici, che conferiscono a pH fisiologico una carica netta positiva sono

solo la Lys (58) e l’Arg (24), per un totale di 82 residui strettamente basici [64],

mentre l’His, pur essendo considerato un aminoacido basico, ha il pK della sua

catena laterale inferiore al pH fisiologico che giustificaca la carica netta media

dell’albumina, che varia da -12 a -18. Un unico residuo di Trp compare in posizione

214.

L’albumina si organizza in una struttura secondaria fatta di un totale di 28 α-eliche tenute insieme da loops, in motivi ripetuti loop-link-loop e dalla presenza di 17

ponti disolfuro che essa fa grazie alla presenza di 34 residui di Cys ossidati tra loro

in coppie di cistina; inoltre l’albumina possiede un residuo di Cys libero ridotto in

posizione 34, che non fa nessun ponte disolfuro; i ponti disolfuro rendono la

molecola stabile nella sua struttura nativa sotto diverse condizioni di pH, forza

(28)

Fig. 8. Rappresentazione schematica classica del motivo loop-link-loop dei domini II e III dell’HSA. In questa figura viene messo in evidenza il motivo loop-link-loop che si ripete in tutta la struttura dell’albumina, mostrando come le eliche sono tenute insieme dai ponti disolfuro. Questo schema di organizzazione vale per un classico dominio dell’albumina ma non per il primo per l’assenza del ponte disolfuro tra h1 e h3.

Nella figura precedente è mostrato solamente lo schema di come le eliche

dell’albumina sono organizzate, evidenziando i motivi loop-link-loop e la posizione

dei ponti disolfuro, tenendo presente che all’interno del dominio 1 non c’è la

presenza del ponte disolfuro tra le α-eliche h1 e h3, a causa della presenza del residuo di Cys 34 che è l’unico residuo di Cys nella forma ridotta. La figura

seguente, invece dà solo un’idea della struttura primaria (sequenza aminoacidica) e

secondaria dell’albumina e fa vedere la posizione di tutti i ponti disolfuro ma la

figura non rende molto bene l’idea delle eliche e dei motivi ad esse connesse,

(29)

Fig. 9. Sequenza aminoacidica, organizzazione dei ponti disolfuro nell’HSA. In questa figura è possibile osservare l’interazione tra le varie cisterne (in verde) che si trovano lungo la sequenza.

Tutti i ponti disolfuro sono posizionati in una serie ripetuta di 9 Loop-Link-Loop. I

9 doppi loop formati dai ponti disolfuro possono essere raggruppati in tre domini

omologhi, ognuno dei quali ha tre loop, di cui due più lunghi e uno più corto [65].

5.1.2 Struttura terziaria

L’albumina possiede un livello massimo di organizzazione di struttura terziaria in

quanto è costituita da un’unica catena polipeptidica. Essa è convenzionalmente

suddivisa in 3 domini, ciascuno dei quali è, a sua volta, suddiviso in 2 sotto-domini.

La numerazione dei tre domini omologhi è I, II e III per i domini 1, 2 e 3

rispettivamente: l’I è quello N-terminale e il III è quello C-terminale. All’interno di

ogni dominio i primi due loop (1-2, 4-5, 7-8) appartengono ai sotto-domini IA, IIA

(30)

I B, II B e III B. In totale, l’albumina è costituita da 28 α-eliche con un numero di residui che varia da 5 a 31 aminoacidi. Ciascun dominio è formato da 10 α-eliche principali, di cui 6 eliche antiparallele appartengono al sotto-dominio A e 4 eliche

antiparallele appartengono al sotto-dominio B. Le eliche sono nominate e

contraddistinte con la lettera “h”, per cui le eliche h1-h6 appartengono al

sotto-dominio A e le eliche h7-h10 appartengono al sotto-sotto-dominio B.

I ponti disolfuro per dominio sono 6 (4 nel sotto-dominio A e 2 nel sotto-dominio

B), ad eccezione del dominio I, in cui la Cys 34 che appartiene al sotto-dominio I A

non fa ponte S-S ed è l’unico residuo di Cys delle totali 35 che non fa ponte S-S.

Come evidenziato nella la figura 8, la serie classica dei ponti S-S è la seguente: un

ponte tra h1 e h3, un altro tra h3 e h4, un altro tra h4 e h5 e infine, nel

sotto-dominio A, uno tra h5 e h6; mentre nel sotto-sotto-dominio B i 2 ponti disolfuro sono

situati tra h7 e h9 e tra h9 e h10. Tra il sotto-dominio A e quello B relativo ai 3

domini c’è una sequenza aminoacidica più o meno lunga dello stesso numero di

residui che separa i domini: la sequenza Lys 106→Glu 119 separa i

sotto-domini I A-I B; la sequenza Glu 292→Val 315 separa i sotto-sotto-domini II A-II B ed

infine la sequenza Glu 492→Ala 511 separa i sotto-domini III A-III B. Anche i 3

domini hanno più o meno tutti la stessa lunghezza a livello di sequenza

aminoacidica: i residui 1-199 sono nel dominio 1, i residui 200-391 sono nel

secondo dominio e i rimanenti appartengono al terzo dominio. La seguente figura

mette in risalto la struttura tridimensionale dell’albumina, tramite un modello

molecolare che rappresenta la molecola secondo “Homology modeling”, ovvero

viene raffigurata la proteina sapendo la sequenza aminoacidica la quale, essendo

(31)

modello che possa, con buona probabilità, assomigliare alla vera forma

dell’albumina stessa, allo stato nativo. Come si può notare, a colore diverso

corrisponde un sotto-dominio diverso e non solo, ma i colori di intensità simili

stanno a significare l’appartenenza dei residui allo stesso dominio.

Fig. 10. Rappresentazione schematica della struttura tridimensionale dell’albumina. A colore diverso corrisponde sotto-dominio diverso: con il blu, in basso, è rappresentato il sotto-dominio IA, il celeste, subito al di sopra, rappresenta il sotto-dominio IB, il verde rappresenta il sotto-dominio IIA, il giallo rappresenta il sotto-dominio IIB, l’arancione rappresenta il sotto-dominio IIIA ed infine con il rosso viene rappresentato il sotto-dominio IIIB. E’ da notare il loop molto lungo di colore verdastro che unisce i sotto-domini IIA e IIB, come quello arancione, in alto, che è il loop che unisce sotto-domini IIIA e IIIB.

5.2 Funzioni, proprietà di legame e stress ossidativi

5.2.1 Funzioni

L’HSA svolge una miriade di funzioni che sicuramente dimenticarne qualcuna sarà

quasi normale. Essa è un trasportatore di acidi grassi, mantiene la pressione

(32)

detossifica i tessuti legando metaboliti pericolosi come la bilirubina, un catabolita

dell’eme; inoltre l’albumina fa da serbatoio del NO (monossido di azoto), un

importante e potente vasodilatatore, trasporta gli ormoni steroidei e l’ormone

tiroideo, interagisce con alcuni farmaci tra cui le penicilline, lega alcuni ioni come

Cu2+, Ni2+, Zn2+e Ca2+, quest’ultimo fondamentale nel controllo della contrazione

muscolare; l’HSA è una riserva e un trasportatore di aminoacidi, ha un potere

anticoagulante, mantiene la permeabilità delle membrane ed è il più grande sistema

antiossidante a disposizione dell’organismo. Molto probabilmente le funzioni che

svolge questa proteina così fondamentale non sono tutte e le altre saranno definite

da studi ancora più profondi e sofisticati su tale proteina.

5.2.2 Proprietà di legame e di trasporto

La molteplicità delle funzioni svolte dall’albumina risiedono nella sua grande

plasticità che le conferisce la possibilità dei cambiamenti conformazionali in

relazione ai valori di pH e alle variazioni dei valori di pK dei gruppi ionizzati. La

sua struttura terziaria è mantenuta grazie ai 17 ponti disolfuro dati

dall’accoppiamento delle 34 Cys che permettono anche il tipico ripiegamento di

tale proteina. Dei 3 domini che costituiscono l’albumina, il II e il III sono quelli

maggiormente coinvolti nei legami tra l’albumina e le varie sostanze coinvolte

nell’interazione con essa. Esempi sono gli acidi grassi, la bilirubina, i farmaci; i

composti che reagiscono a livello del primo dominio sono veramente pochi: un

esempio chiave è la reazione alternativa, del NO con il residuo libero di cisteina

(Cys 34), all’interazione degli ioni Ca2+ e Cu2+ con residui istidinici. Per rendere

(33)

sia inorganici come il NO, Au+, Ag2+, Cu2+, Ni2+, Co2+, che organici come

l’aspirina, il colesterolo, altri steroidi in generale in un sito, la walfarina, la

bilirubina, le prostaglandine in un altro sito, la cosa migliore da fare è rappresentarli

in due figure distinte. Una figura mette in risalto i principali siti di legame

dell’albumina (fig. 11), l’altra mette in risalto i principali siti di legame degli acidi

grassi con l’albumina, mostrando le differenti conformazioni a confronto tra

l’albumina libera e legata agli acidi grassi.

Fig. 11. Principali siti di legame dell’albumina. In questa figura viene rappresentata la struttura terziaria tridimensionale dell’albumina con i relativi principali siti di legame di essa, tenendo presente che il blu è il sotto-dominio ammino-terminale, IA e il colore rosso, a sinistra, rappresenta il sotto-dominio carbossi-terminale, IIIB.

La figura 12, invece, rappresenta la struttura tridimensionale dell’HSA,

focalizzando esclusivamente i siti specifici per gli acidi grassi, importanti metaboliti

(34)

dell’albumina libera confrontata con quella di essa quando sono legate le molecole

di un particolare acido grasso, il miristato.

72 Å 90 Å

Fig. 12. Legame dell’albumina con gli acidi grassi. Conformazioni dell’albumina a confronto: a sinistra l’albumina è in una conformazione nativa quando non è impegnata nel legame con gli acidi grassi; inoltre i vari domini e sotto-domini sono tutti numerati e colorati diversamente. A destra, viene rappresentata la conformazione dell’albumina legata a sei molecole (numerate da 1 a 6) di miristato: si nota la netta diversità di conformazione dell’HSA quando essa è libera e quando, invece, è impegnata nel legame con gli acidi grassi.

E’ stato visto che l’HSA è in grado di legare con affinità piuttosto alte sia molecole

organiche che ioni o molecole inorganiche: questa sua grande capacità di legame la

rende fondamentale dal punto di vista fisiologico, in quanto essa risulta una grande

trasportatrice di sostanze verso il loro sito d’azione o escrezione e inoltre ne modula

l’attività. Attualmente sono stati compiuti numerosi studi sui possibili legami

dell’albumina con coloranti, farmaci, acidi grassi, bilirubina, ormoni (figg. 11 e 12)

e si è confermato il significato fisiologico dell’albumina come molecola

trasportatrice, modulatrice di metaboliti e di farmaci oltre ad una funzione

(35)

cattura e la relativa eliminazione dei radicali come ●OH e ●NO2 . Analizzando la

struttura dal punto di vista dei siti di legami specifici per ciascuna molecola

possiamo dire che il sito per l’anticoagulante walfarina è nel dominio 2

sotto-dominio A (II A), quello per la diazepamina è nel sotto-dominio 3, sotto-sotto-dominio A (III

A). Questi due sotto-domini si interfacciano e quando interagiscono con un ligando

si osserva una perturbazione reciproca. Esiste una selettività di tipo enantiomerica

per quanto riguarda la walfarina e sembra che l’albumina abbia una netta affinità

maggiore per l’enantiomero S piuttosto che per l’R. Il sito III A interagisce con

l’ibuprofene, digitossina, triptofano (Trp, W) e con derivati steroidei ed è quindi di

particolare interesse farmacologico poiché ha un’alta affinità anche per piccole

molecole anioniche aromatiche che spesso rappresentano agenti farmacologici. Trp

214, Lys 199 e Tyr 411 sono coinvolti nel legame e sono localizzati all’interno

delle tasche idrofobiche dei sotto-domini II A e III A.

La principale funzione dell’albumina è però quella di trasportare gli acidi grassi:

l’HSA cristallizzata col miristato rivela la presenza di 6 siti di legame per gli acidi

grassi e che in seguito al loro legame subisce un significativo cambiamento

conformazionale. Studi più recenti hanno dimostrato che i siti disponibili per gli

acidi grassi sono 7: tali siti sono specifici sia per acidi grassi saturi di media

lunghezza che per quelli a lunga catena (da C10 a C18). L’albumina però può

legare anche acidi grassi insaturi come l’acido oleico (C18:1), l’acido linoleico

Figura

Fig. 2 - Struttura del glomerulo. Immagini al microscopio elettronico della struttura del  glomerulo
Tab. 1     Peso molecolare e raggio effettivo d’inulina e di alcune proteine
Fig. 3 – Clearance frazionata dei destrani neutri e solfati. La clearance  frazionata dei destrani è da considerare in rapporto a quella dell’inulina, che è  massima, per cui in ordinate abbiamo numeri cardinali e non “misure”
Fig. 4. Struttura base del destrano. I legami rappresentati dalle frecce rosse sono quelli  comuni a tutti i tipi di destrani e quelli maggiormente presenti
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