1 INTRODUZIONE
1.1 Polimeri in agricoltura
Il presente lavoro di tesi riguarda lo studio delle relazioni proprietà-struttura di nanocompositi a matrice polietilenica, al fine di una ottimizzazione dei processi di produzione di film per agricoltura e, in particolare, per la copertura di serre.
I materiali polimerici vengono comunemente usati in agricoltura per molte applicazioni. Fra queste, le più importanti sono: film per copertura di serre, film per pacciamatura, tubi per irrigazioni, film barriera, etc.
I polimeri usati per film per copertura e per pacciamatura ed i film barriera devono presentare una serie di proprietà per renderli adatti a queste applicazioni.
Una serra, ad esempio, può essere definita come un sistema chiuso in cui deve essere trattenuta l’energia derivante dalle radiazioni IR emesse del terreno durante la notte in un determinato campo di lunghezze d’onda, al fine di ottimizzare il microclima, in termini di temperatura ed umidità. Ovviamente per ottenere ciò è necessario che la copertura mantenga nel tempo anche determinate proprietà meccaniche.
Le caratteristiche più importanti che devono avere i teli per uso agricolo sono quindi:
• proprietà meccaniche • proprietà ottiche
• resistenza alla fotoossidazione.
A queste caratteristiche vanno aggiunte quelle relative alla permeabilità ai gas nel caso dei film barriera.
Un’altra importante caratteristica che devono possedere è la riciclabilità; i teli da serra hanno un ciclo di vita relativamente breve (da 1 a 3 campagne agronomiche), perciò ne vengono prodotte quantità elevate, che a fine vita devono essere smaltite.
1.1.1 Proprietà dei polimeri per film di copertura di serre
- Proprietà meccaniche
Le proprietà meccaniche più importanti dei polimeri per film per agricoltura sono: • modulo elastico
• resistenza allo strappo • allungamento a rottura.
I film, soprattutto quelli per copertura di serre, devono avere un modulo elastico tale da consentire una certa rigidità in modo da evitare deformazioni eccessive se sottoposti a carichi improvvisi. Ad esempio, un film poco rigido si deforma facilmente quando piove creando tensioni tali sui punti in cui è fermato al telaio, da provocarne la rottura per strappo. Proprio per questo motivo, oltre che per l’azione del vento e della stessa messa in opera, è necessario che il film presenti anche una notevole resistenza allo strappo e una certa deformabilità. La rigidità e la deformabilità sono, in genere, caratteristiche opposte e polimeri che presentano elevati valori di rigidità sono, al contempo, fragili. In Fig. 1.1 sono riportati i valori del modulo elastico, E, della tensione a rottura, TR, e dell’allungamento a rottura, AR, di tre diversi film per copertura di serra prodotti dall’ Agriplast (Vittoria): un
tradizionale film di polietilene a bassa densità, un film di un copolimero EVA (VA ≈ 14%) ed un film prodotto da una miscela PE/EVA al 25% (VA ≈ 3,5%).
Fig. 1.1 - Modulo elastico, E, tensione a rottura, TR, e allungamento a rottura di tre diversi film per copertura di serra
I valori delle proprietà meccaniche riportati nel grafico sono stati misurati solo nella direzione longitudinale. E’ ben noto, però, che l’operazione di filmatura, con il processo dell’estrusione in bolla, dà luogo a proprietà meccaniche diverse nelle due direzioni.
Dai risultati riportati si può vedere che il modulo elastico diminuisce, mentre tensione ed allungamento a rottura aumentano con il contenuto di EVA. Ciò significa che quando questi polimeri vengono utilizzati per la copertura di serre, le proprietà meccaniche dei film in polietilene risultano conciliabili con quelle necessarie per quest’applicazione, mentre i film con elevato contenuto di EVA risultano poco rigidi.In questo caso la copertura spesso diviene convessa sotto il peso della pioggia o addirittura sotto il peso proprio. Inoltre, un aumento del modulo elastico può permettere una diminuzione dello spessore del film. Per i film molto ricchi in VA, utilizzati per le loro proprietà ottiche come descritto nel paragrafo successivo, invece risulta necessario aumentare lo spessore data la loro bassa rigidità.
- Proprietà ottiche
I film per copertura di serre devono permettere la trasmissione all’interno della serra, di quella parte della radiazione solare necessaria per il rapido accrescimento delle piante; mentre non devono essere permeabili alle lunghezze d’onda nocive alle colture. 10 100 1000 PE PE/EVA EVA AR, % TR, MPa E, MPa
Inoltre, questi film dovrebbero anche creare il così detto “effetto serra”; ovvero non devono farsi attraversare, durante le ore notturne, dalle emissioni termiche del terreno, più caldo dell’aria, verso l’esterno.
In particolare:
a) i raggi UV fra 200-315 nm sono pericolosi per l’uomo e per le colture: non devono attraversare il film;
b) i raggi UV fra 315-400 nm posseggono capacità battericida e conferiscono migliori qualità organolettiche: devono quindi attraversare il film;
c) i raggi UV visibili fra 400-700 nm sono necessari alla sintesi clorofilliana: il film deve essere permeabile a queste frequenze;
d) i raggi IR fra 700-2500 nm sono molto energetici e assolutamente necessari alla crescita delle colture: il film deve essere il più possibile permeabile a questi raggi;
e) i raggi IR fra 2.500-30.000 nm sono le emissioni del terreno quando, la notte ha temperatura più elevata dell’aria: il film non deve farli passare.
Occorre, in definitiva, che un film per la copertura di serre sia in grado di: a) bloccare i raggi UV fino a 315 nm,
b) far passare i raggi UV fra 315-400 nm (trasmittanza > 80%) c) far passare i raggi UV fra 400-700 nm (trasmittanza ≅ 92-98%) d) far passare i raggi IR fra 700-2.500 nm (trasmittanza > 90-92%) e) bloccare i raggi IR sopra 2.500 nm (trasmittanza < 20 %).
Fra parentesi sono riportati i valori tipici di film commerciali per copertura di serre. Un esempio tipico di spettri di polimeri usati per la produzione di questi film, nella zona delle lunghezze d’onda dell’ultravioletto, è riportato nella Fig. 1.2 per gli stessi tre campioni descritti precedentemente. Tutti i film presentano trasmittanza trascurabile al di sotto di 350 nm, mentre essa diventa elevata al di sopra di questa lunghezza d’onda.
Il copolimero EVA presenta la maggiore trasmittanza e quindi la migliore resa energetica nel campo delle lunghezze d’onda necessarie per la sintesi clorofilliana. La trasmittanza del film in LDPE cresce col crescere del contenuto di copolimero EVA.
Nella zona a più elevate lunghezze d’onda e in sostanza fino all’inizio della zona infrarossa la curva della trasmittanza si mantiene in sostanza piatta e costante.
Fig. 1.2 - Spettri UV di tre film per copertura 0 20 40 60 80 200 300 400 500 600 700 800 900 I, nm EVA PE PE/EVA
Le curve di trasmittanza nella zona dell’infrarosso fra 2.500 – 25.000 nm presentano caratteristiche molto diverse fra i vari campioni, Fig. 1.3. La zona più interessante, ed anche la più diversa fra i tre tipi di film, è quella nel campo delle lunghezze d’onda tra 7.000-13.000 nm, corrispondente all’intervallo 1400-700 cm-1, che, come detto precedentemente, è quella delle emissioni del terreno. A queste radiazioni il film dovrebbe essere essenzialmente impermeabile. Anche in questo caso il film presenta il miglior bilancio energetico al crescere del contenuto di copolimero EVA. Il così detto effetto serra può essere ottenuto anche aggiungendo al polietilene additivi capaci di assorbire nella stessa zona spettrale e che non modificano significativamente la traccia spettrale nelle altre zone. Nella stessa Fig. 1.3 è riportato lo spettro di un film di LDPE addittivato con caolino.
Fig. 1.3 - Spettri IR di film per copertura di serre
Anche se il risultato è peggiore che nel caso del copolimero EVA, la permeabilità diminuisce notevolmente. Risultati migliori si ottengono additivando con caolino film di EVA. Il valore dell’effetto serra, valutato quantitativamente dal rapporto fra l’area sottesa dalla curva nella zona fra 7.000-12.500 nm e l’area di trasmittanza 100%, è riportato in Fig. 1.4 per alcuni film.
0 20 40 60 80 100 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 Wave number, cm-1 EVA PE PE/EVA PE/Caolino
0 10 20 30 40 50
PE PE/EVA EVA PE/Caolino ES, %
Fig. 1.4 - Valore del coefficiente che misura l’effetto serra per alcuni film Il film in EVA (VA ≈ 14%) è quello che nella zona suddetta ha la minore trasmittanza, perciò presenta il valore più basso di ES% : è quindi il film col miglior effetto serra. Valori simili presenta il film di PE con caolino.
- Resistenza alla fotoossidazione.
I film usati in agricoltura devono rimanere, anche per lunghi tempi, esposti ai raggi ultravioletti del sole, oltre che alle variazioni termiche, alle variazioni dell’umidità, etc. Questi fattori hanno influenza sulla degradazione dei polimeri e tra questi certamente le radiazioni ultraviolette sono le più pericolose. E’ quindi necessario che i polimeri usati abbiano un’elevata resistenza alla fotoossidazione o che vengano additivati con opportuni stabilizzanti.
In Fig. 1.5 sono riportati i valori del tempo durante il quale l’allungamento a rottura conserva un valore maggiore o uguale alla metà di quello iniziale, come raccomandano le norme italiane. I risultati provengono da prove di invecchiamento accelerato.
Fig. 1.5 - Tempo necessario perché l’allungamento a rottura raggiunga un valore uguale alla metà di quello iniziale. Prove condotte in QUV a T = 60 °C, UVB 8 h,
condensa 4 h.
Il polietilene presenta una scarsissima resistenza alla fotoossidazione e, nelle condizioni di prova, perde rapidamente la sua resistenza meccanica. Questa resistenza cresce moderatamente al crescere del contenuto di copolimero EVA. Tuttavia, soltanto l’uso di significative quantità di agenti stabilizzanti permette un uso prolungato dei teli. In particolare, i campioni stabilizzati con HALS (Hindered Amine Light Stabilizer) conservano le proprie caratteristiche anche dopo tre estati in un clima come quello della Sicilia sud-orientale.
(Tutti i dati riportati sono stati forniti dall’azienda Agriplast (Vittoria (Rg))).
10 100 1000 10000 t (AR=1/2), h PE PE/EVA PE+Stab EVA+Stab
1.2 Nanocompositi
I nanocompositi sono una classe di materiali che negli ultimi anni ha risvegliato l’attenzione sia del mondo industriale che di quello accademico. Il loro primo utilizzo risale al 1990 quando, nei laboratori della Toyota, furono prodotti, ed impiegati per alcune applicazioni, i primi nanocompositi a base di Nylon-6 che, pur contenendo quantità molto piccole di argille, presentavano proprietà meccaniche nettamente superiori a quelle della matrice polimerica.
Da allora i nanocompositi rivestono un notevole interesse sia industriale come materiali tecnologici, sia accademico perché rappresentano un sistema conveniente per lo studio dei comportamenti dei polimeri confinati [1], in particolare per quello che riguarda lo studio delle interazioni interfacciali tra polimero organico e carica inorganica.
Oltre alle già citate maggiori proprietà meccaniche, i nanocompositi presentano anche proprietà termiche, ottiche e fisico-chimiche migliori di quelle dei polimeri stessi e dei compositi convenzionali.
Esistono tre tipi di nanocompositi [2] che si differenziano dal numero delle dimensioni della carica che sono nell’ordine del nanometro. Si hanno cariche con tre dimensioni nell’ordine del nanometro ovvero nanoparticelle isodimensionali (nanosfere di silice); cariche con due dimensioni dell’ordine del nanometro, quindi con una struttura allungata (nanotubi o whiskers); cariche con una sola dimensione dell’ordine del nanometro, la cui struttura è laminare (silicati lamellari).
Il tipo di carica utilizzata in questo lavoro di tesi appartiene all’ultimo tipo descritto.
1.2.1 Struttura della nanocarica
La nanocarica è costituita da fillosilicati stratificati, strutture cristalline a base di silicati di alluminio o magnesio, costituiti da uno strato ottaedrico di ossido di alluminio Al3+ contenuto tra due strati tetraedrici di composizione SiO44-, di
spessore complessivo intorno al nanometro. La struttura è rappresentata nella Fig. 1.6
Fig. 1.6 - Struttura dei fillosilicati stratificati [2]
Nel minerale naturale esistono poi dei “difetti” dovuti al fatto che alcuni ioni Al3+
nell’ottaedro sono sostituiti da altri ioni metallici a più bassa valenza (generalmente Mg2+ o Fe2+ ), generando un eccesso di carica negativa. Tale carica viene controbilanciata da cationi generalmente di sodio (Na+). La struttura complessiva di
un fillosilicato stratificato prevede quindi delle “pile” di ottaedri/tetraedri caricati negativamente; tali cariche negative sono controbilanciate da ioni Na+ che si posizionano in “gallerie” di interstrato. La spaziatura tra le lamelle è appunto di ca. 1 nm.
L’argilla sodica è idrofila (si rigonfia in acqua) e poco compatibile con i polimeri organici, sostanzialmente idrofobi. Tuttavia è possibile, ed anche relativamente facile, lo scambio dello ione Na+ con molecole di tensioattivo cationico, di natura organica, quale un sale di ammonio quaternario: l’argilla così “organomodificata” diviene decisamente idrofoba, riduce la sua energia superficiale e risulta più compatibile con la matrice polimerica, consentendo la nanostrutturazione del materiale.
I nanocompositi possono essere ottenuti, come vedremo più in dettaglio nel seguito, per intercalazione/esfoliazione di tali fillosilicati da parte delle catene polimeriche (o eventualmente del monomero, con successiva polimerizzazione) penetrate nelle “gallerie” interstiziali. Sono ormai disponibili commercialmente a basso costo una ampia gamma di argille organomodificate con diversi tipi di tensioattivo cationico.
I fillosilicati stratificati sono strutture lamellari, tenute assieme come “aggregati” da forze elettrostatiche e di Van der Waals piuttosto deboli, che pertanto possono abbastanza facilmente essere esfoliate o delaminate generando un grande numero di particelle submicroniche e nanometriche che offrono una grandissima superficie di interazione con la matrice ospite (il polimero nel nostro caso). La nanocarica di
partenza è in realtà costituita da aggregati argillosi delle dimensioni di 1-10 micron (10-6-10-5 m). Ciascuna di queste particelle contiene sino a un milione di lamine nanometriche, che devono essere correttamente disaggregate per ottenere il nanocomposito.
Proprio questa elevatissima superficie di interazione carica-polimero permette la modifica efficiente di una gran parte delle proprietà fisico-meccaniche del materiale anche con livelli limitati (in genere 3-6% in massa) di argilla. Ciò consente l’ottenimento di materiali compositi di superiori proprietà meccaniche, bassa densità, elevata trasparenza e buona riciclabilità.
1.2.2 Modificazione dell’argilla
Un metodo relativamente semplice di modificare la superficie dell'argilla, che la rende più compatibile con la matrice organica, è lo scambio ionico. I cationi sodici presenti negli spazi interlamellari dell'argilla, sono legati ad essa attraverso legami ionici e possono quindi essere facilmente scambiati con cationi organici.
Se i cationi che sostituiscono gli ioni sodio sono ioni di ammonio quaternario con lunghe catene alchiliche, questa argilla sarà più compatibile con la matrice organica. Attraverso l’uso di tipi diversi di cationi organici, l'argilla montmorillonite può essere compatibilizzata con un gran numero di matrici polimeriche. Allo stesso tempo, questa procedura permette di aumentare la distanza basale tra le lamelle di argilla in modo che sia più facilmente intercalabile ed esfoliabile.
Tra gli agenti modificanti più usati si annoverano gli amminoacidi, i silani e gli ioni alchilammonio. Dei tre, l’ultima categoria è la più diffusa.
Fig. 1.7 - Struttura generica dello ione di alchilammonio
Nella Fig. 1.7 i gruppi R possono essere atomi di idrogeno, gruppi alcolici e catene alchiliche sature o insature costituite da un numero di atomi di carbonio compreso tra 1 e 18.
Le catene del sale di alchilammonio si dispongono all’interno delle gallerie del silicato in vari modi a seconda della densità di carica dell’argilla e della natura del sale stesso. In generale, quanto più il radicale alchilico è lungo ed elevata è la densità di carica dell’argilla, tanto maggiore è la distanza alla quale le lamelle sono spinte, perché entrambi i parametri contribuiscono ad accrescere il volume occupato dal modificante organico. All’aumentare della densità di carica dell’argilla, le catene alchiliche del modificante possono disporsi in vario modo:
N+ R1
R2
R3 R4
• parallelamente alla superficie delle lamelle formando un monostrato o un bistrato;
• formando uno pseudo-tristrato;
• generando una struttura paraffinica inclinata;
In Fig. 1.8 sono riportate le varie disposizioni ipotizzate [3] per il modificante.
Fig. 1.8 - Disposizione del modificante organico nelle gallerie dell’argilla Studi più recenti [4] hanno tuttavia portato ad ipotizzare, come più probabile, una conformazione disordinata delle catene idrocarburiche del tensioattivo presente all’interno delle gallerie.
1.2.3 Struttura dei nanocompositi
In base alla compatibilità tra argilla e polimero si possono ottenere diverse morfologie dei nanocompositi.
Fig.1.9. - Morfologia dei nanocompositi [2] In Fig. 1.9 si possono vedere tre diverse morfologie:
a) Fase separata: caratteristica di un composito tradizionale nella quale non è presente nessuna interazione tra polimero ed argilla, la struttura è quella di un microcomposito.
b) Intercalato: le singole molecole di polimero si insinuano tra i piani cristallini dell’argilla modificata; questo porta ad un ulteriore allontanamento delle lamine del fillosilicato. La struttura finale è quella di un nanocomposito con lamelle più distanti ma che ancora mantengono una struttura stratificata ordinata.
c) Esfoliato: le molecole di polimero riescono ad entrare molto meglio nelle gallerie del fillosilicato tanto da portarle ad una distanza tale da alterarne completamente l’ordine spaziale. La struttura finale è quella di un nanocomposito che contiene, nella matrice polimerica, solo lamelle singole di argilla omogeneamente disperse.
Fig. 1.10 - XRD di a) un microcomposito; b) un nanocomposito intercalato; c) un nanocomposito esfoliato [2]
Nella maggior parte dei casi non si ritrova una struttura perfettamente esfoliata o perfettamente intercalata; la struttura più comune è rappresentata da una struttura mista intercalata/esfoliata. Questa struttura alterna lamine di argilla perfettamente esfoliata a zone in cui le lamelle mantengono ordine stratificato; all’aumentare della concentrazione di argilla il rapporto tra la nanocarica intercalata e quella esfoliata cresce a favore dell’intercalazione. Si riportano le micrografie ottenute al TEM per nanocompositi intercalati ed esfoliati.
1.2.4 Metodi di preparazione dei nanocompositi
Esistono diverse metodologie di produzione dei nanocompositi; attualmente le tecniche più usate sono le seguenti:
a) Miscelazione nel polimero fuso b) Miscelazione in soluzione c) Polimerizzazione in situ
d) Fusione di una miscela delle polveri di polimero e argilla in assenza di flusso
a) Miscelazione nel polimero fuso
Questa tecnica consiste nella miscelazione sotto sforzo di polimero e argilla ad una temperatura superiore a quella di fusione, o di rammollimento, del polimero stesso. Questo sistema di produzione è quello economicamente più vantaggioso perché non fa uso di solventi ed è compatibile con i processi industriali comunemente utilizzati come lo stampaggio o l’estrusione.
b) Miscelazione in soluzione
Questa tecnica consiste nella dissoluzione di un polimero e dell’argilla in un solvente che li sciolga entrambi; il sistema è mantenuto sotto riscaldamento e sotto agitazione per alcune. Trascorso il tempo necessario si fa avvenire una precipitazione del nanocomposito con un non solvente adatto oppure evaporando il solvente sotto vuoto.
c) Polimerizzazione in situ
La polimerizzazione in situ prevede l’adsorbimento di una soluzione contenente il monomero o del monomero allo stato liquido, sulla superficie delle lamelle di argilla; una volta adsorbito il monomero, la polimerizzazione si fa avvenire direttamente tra le lamelle di argilla intercalate. La polimerizzazione è attivata mediante una fonte di calore, con un opportuno iniziatore organico o ad opera di un catalizzatore fissato sulle lamelle di argilla prima che venga adsorbito il monomero.
d) Fusione statica di miscele di polveri
Il polimero in polvere, ottenuto per macinazione meccanica o per dissoluzione in un solvente e successiva precipitazione, viene miscelato meccanicamente con la polvere di argilla organomodificata; la miscela di polveri polimero/argilla è compressa meccanicamente e portata a temperatura superiore al punto di fusione o di rammollimento del polimero.
1.2.5 Proprietà dei nanocompositi
• Proprietà meccaniche
Il modulo di Young [2] o modulo elastico esprime la rigidità del materiale e si può ottenere dalla pendenza iniziale di una curva di trazione tensile. In generale il modulo del materiale è fortemente aumentato in presenza di quantità anche limitate di argilla e continua ad aumentare con il contenuto di questa, l’aumento è
tanto più marcato quanto più l’argilla è delaminata. Questa caratteristica è generalmente indipendente dal metodo di preparazione.
Lo sforzo a rottura del materiale è variamente influenzato dalla presenza della nanocarica, in quanto dipende molto dalla natura delle interazioni tra matrice polimerica e argilla. In generale lo sforzo a rottura aumenta con il contenuto di argilla anche se in misura inferiore rispetto alla rigidità.
L’allungamento a rottura nei polimeri termoplastici tende sempre a diminuire con il contenuto di argilla. Un caso particolare è invece rappresentato dai nanocompositi a matrice elastomerica, per i quali si è osservato un aumento dell’allungamento a rottura, questa proprietà insieme all’aumento del modulo elastico e dello sforzo a rottura li rende quindi una interessante classe di materiali ad alte prestazioni. La resistenza all’impatto non mostra variazioni rilevanti dovute all’introduzione dell’argilla, al contrario di quanto avviene con cariche minerali convenzionali. Un’altra importante caratteristica meccanica che viene migliorata dalla formazione del nanocomposito è la resistenza allo strappo [5]. Questa proprietà è molto utile per la produzione di film per uso agricolo.
• Stabilità termica e resistenza alla fiamma
Numerosi studi basati essenzialmente su analisi termogravimetriche (TGA) hanno dimostrato un miglioramento della stabilità termica dei polimeri nanostrutturati con argille. Le cause di questo comportamento non sono del tutto chiare poiché i vari polimeri hanno meccanismi di degradazione termica spesso specifici e non generalizzabili. In genere tali cause possono ricondursi ad una combinazione di più fattori, tra cui una ridotta mobilità termica delle catene macromolecolari “confinate” negli spazi interlamellari ed una minore diffusione sia dell’ossigeno che dei prodotti di degradazione per l’effetto labirinto correlato all’esfoliazione delle nanocariche. Non sono infine da escludersi effetti catalitici, quindi chimici, di siti attivi dell’argilla. In alcuni casi la stabilizzazione termica ottimale è raggiunta a livelli di nanocarica del 2,5-5,0%. Al di sotto di questi valori non si osservano effetti di una qualche utilità, e per livelli superiori si può addirittura osservare una diminuzione di stabilità termica. Si può pensare che ciò corrisponda a differenze di morfologia del nanocomposito ottenuto. In particolare a più alti dosaggi di argilla l’equilibrio tra strutture esfoliate ed intercalate è spostato a favore di queste ultime che sono meno efficaci ai fini della stabilizzazione.
I fillosilicati stratificati sono anche stati studiati come possibili ritardanti di fiamma. Il meccanismo di stabilizzazione in questo caso è dovuto prevalentemente alla formazione di strutture intumescenti derivanti dal collasso delle fasi intercalate ed esfoliate, causato dall’azione del fuoco. Nonostante i promettenti sviluppi, a tutt’oggi non sembra comunque ancora possibile ottenere materiali nanocompositi in grado di superare i più severi test di resistenza alla fiamma, se non in combinazione con additivi ritardanti di fiamma convenzionali.
• Proprietà barriera
La morfologia lamellare a “labirinto” ottenibile per esfoliazione delle nanoargille permette una notevole riduzione della permeabilità ai gas in film nanocompositi. Tale proprietà può essere convenientemente sfruttata per la produzione di film per imballaggio o di serbatoi (ridotta permeabilità agli idrocarburi).
• Conducibilità ionica
Il nanocomposito migliora la stabilità della conducibilità ionica del materiale alle basse temperature, se confrontata con quella dei compositi convenzionali
• Coefficiente di espansione termica
Il coefficiente di espansione termica di nanocompositi esfoliati risulta fortemente ridotto
• Proprietà ottiche
In generale i nanocompositi mantengono la trasparenza ottica nel campo del visibile del polimero di partenza.
• Biodegradabilità
La biodegradabilità dei polimeri biodegradabili è risultata in alcuni casi addirittura migliorata a seguito dell’aggiunta di argilla.
1.2.6 Tecniche di caratterizzazione
La caratterizzazione dei nanocompositi dal punto di vista morfologico e strutturale si avvale praticamente di due tecniche principali: l’analisi ai raggi X sia a bassi che a grandi angoli (SAXS e WAXD) e la microscopia elettronica in trasmissione TEM. Queste tuttavia possono essere supportate da altre tecniche di caratterizzazione [5, 6].
L’analisi WAXD permette di determinare la struttura del nanocomposito sulla base della legge di Bragg: i raggi X incidono con un certo angolo sulla superficie del nanocomposito, a seconda della struttura del nanocomposito stesso, il raggio viene riflesso ed intercettato su uno schermo. Questo tipo di analisi permette di determinare la posizione del picco di diffrazione basale, la sua forma e la sua intensità. In generale l’intercalazione di un polimero nelle gallerie dell’argilla produce un aumento della distanza basale fra due lamelle di argilla e quindi uno spostamento del picco di diffrazione ad angoli più bassi. L’esfoliazione invece produce la scomparsa del picco di diffrazione.
Un aiuto per comprendere meglio la struttura del nanocomposito a bassi angoli è dato dall’analisi SAXS che mette meglio in evidenza se c’è una regolarità spaziale della struttura.
La tecnica XRD 2D può invece fornire informazioni sull’orientamento delle lamelle di argilla
La microscopia elettronica a trasmissione TEM permette di capire meglio la morfologia, l’arrangiamento atomico, la distribuzione spaziale delle varie fasi e la presenza di difetti strutturali.
É anche possibile caratterizzare i nanocompositi mediante l’analisi termogravimetrica TGA, che, oltre a dare informazioni sulla stabilità termica del materiale rispetto al polimero di partenza, dà informazioni utili sulla quantità di argilla presente.
Un’altra tecnica utilizzata da molti studiosi, in particolare da Giannelis [7] e Okamoto [8, 9], per caratterizzare i nanocompositi è l’analisi termica DSC. Questa tecnica può evidenziare l’intercalazione dell’argilla in quanto il comportamento termico del nanocomposito risulta talvolta diverso da quello del polimero di
partenza. In particolare, per alcuni nanocompositi è stato trovato che la distanza interlamellare misurata mediante WAXD cresce con la temperatura di cristallizzazione Tc, indipendentemente dal contenuto di argilla; mentre a Tc
costante l’intercalazione aumenta con la diminuzione del contenuto di argilla. Inoltre l’analisi TEM ha mostrato che per basse Tc si ha una migliore dispersione
dell’argilla, mentre per alte Tc si ha un maggior numero di segregazioni.
L’analisi reologica [5] infine ci permette di conoscere la processabilità del materiale allo stato fuso, ed è inoltre utile per capire le relazioni che legano la struttura e le proprietà del nanocomposito.
1.3 Nanocompositi a matrice polietilenica
L’interesse emerso negli ultimi anni per i nanocompositi a matrice poliolefinica deriva dal fatto che i materiali ottenibili presentano promettenti proprietà per impieghi nel settore dei film per imballaggi e dei prodotti stampati ed estrusi.
Il polietilene è il polimero più prodotto al mondo nonostante sia stato sviluppato industrialmente in ritardo rispetto ad altri materiali polimerici. Il monomero del polietilene ha una struttura semplice ma la sua versatilità rispetto alle tecniche di polimerizzazione dà luogo a materiali con uno spettro di proprietà e di applicazioni piuttosto ampio.
I più importanti tipi di polietileni sono quello a bassa densità (LDPE), quello ad alta densità (HDPE) e quello a bassa densità lineare (LLDPE).
Le strutture delle tipologie di polietilene sopraccitate sono mostrate nella Fig. 1.12.
Fig.1.12 - Strutture dei diversi tipi di polietilene
Il primo tipo di polietilene comparso sul mercato è LDPE ed è ancora oggi quello a maggiore produzione annua; la produzione di questo polimero avviene per polimerizzazione radicalica ad alte pressioni (2000 atm). La sua struttura risulta ricca di ramificazioni originate dai trasferimenti di catena tipici dei processi radicalici. La tecnica di polimerizzazione radicalica si presta per la preparazione di copolimeri dell’etilene con monomeri polari quali l’acetato di vinile (VA), l’acido acrilico (AA) o metacrilico (MAA), gli esteri di questi acidi (acrilati o metacrilati),
EVA (copolimeri dell’etilene con il vinilacetato), EAA e EMAA (copolimeri etilene-acido acrilico o etilene-etilene-acido metacrilico) che presentano un’architettura molecolare simile a quella dell’LDPE. La presenza delle ramificazioni nella struttura dell’LDPE e nei copolimeri sopra citati è responsabile del basso grado di cristallinità (40-60%) e della loro bassa densità.
Il polietilene ad alta densità è stato prodotto nella seconda metà del Novecento ad opera di Ziegler e Natta che misero a punto dei catalizzatori stereospecifici per la polimerizzazione delle olefine; in particolare per la polimerizzazione dell’etilene a basse temperature. Con questa tecnica di polimerizzazione si ottengono catene praticamente prive di ramificazioni che possono raggiungere gradi di cristallinità anche del 95% con corrispondenti densità (> 940 Kg/m3). Questa tecnica non si presta alla produzione di copolimeri dell’etilene con i monomeri polari citati sopra perché questi reagirebbero con i siti attivi del catalizzatore disattivandoli mentre si presta bene per la copolimerizzazione dell’etilene con le altre olefine. L’HDPE è un materiale più rigido rispetto all’LDPE proprio per la sua elevata cristallinità; è prodotto in quantità circa pari all’LDPE ed è utilizzato per la produzione di oggetti stampati ottenuti per blow molding, injection molding o estrusi.
La tecnica di polimerizzazione stereospecifica utilizzata da Ziegler e Natta ha permesso la produzione di copolimeri dell’etilene con le altre olefine; l’aggiunta di propilene o 1-butene ma anche esene e ottene, alle catene del polietilene permette la formazione di ramificazioni corte sulle catene lineari del polietilene. La formazione di queste ramificazioni comporta un abbassamento del grado di cristallinità e della densità in funzione della concentrazione di monomero utilizzato. In questo modo viene prodotto l’LLDPE che ha caratteristiche simili a quelle dell’LDPE con densità che cadono nello stesso intervallo (910-930 Kg/m3) ma con
la possibilità di abbassarla ulteriormente; sono noti infatti anche i polietileni a densità molto bassa (VLDPE) o ultra bassa (ULDPE).
Tutti i tipi di polietilene hanno bassa polarità e risultano poco compatibili con sostanze polari come le argille che potrebbero essere prese in considerazione come agenti rinforzanti per la produzione di compositi a matrice polietilenica. Anche le più comuni argille organofile presenti sul mercato non subiscono intercalazione apprezzabile da parte del polietilene; questa incompatibilità può essere fatta risalire alla concentrazione insufficiente di ioni di alchilammonio nelle gallerie dell’argilla ed alla presenza di gruppi ossidrilici sui bordi delle lamelle che conferiscono ulteriore polarità superficiale. Il risultato è che per miscelazione di una poliolefina con un’argilla organofila si ottiene un microcomposito che ha proprietà molto simili ai normali compositi.
Molte argille organofile sono oggi disponibili commercialmente e sono vendute in tutte le parti del mondo. Le industrie produttrici più importanti sono la Southern Clay Products Inc., negli USA, che ha recentemente iglobato l’europea Süd Chemie, la Laviosa in Italia. Alcune industrie, inoltre, come ad es. la PolyOne, USA, commercializzano master concentrati, col 35-40% in peso di argilla da miscelare direttamente con diversi polimeri. La maggior parte delle argille organofile commercialmente disponibili sono prodotte mediante scambio cationico, realizzato in sospensione acquosa o in soluzioni alcool-acqua, con tensioattivi costituiti da alogenuri di ammonio.
La struttura e le caratteristiche di alcune delle più comuni argille organofile commercialmente disponibili sono riportate nella Tab.1.1. La struttura dello ione ammonio impiegato per la modifica mediante scambio degli ioni Na+ dell’argilla
sodica è indicata schematicamente nella Tabella, con riferimento alla formula generica del tensioattivo riportata in Fig.1.13
N
R
1
R
4
R
2
R
3
Cl
Fig. 1.13 - Struttura di un generico ione di alchilammonio
con sigle nelle quali H rappresenta un atomo di idrogeno, M rappresenta un gruppo metilico, T un gruppo alchilico parzialmente insaturo derivato dal lardo (con composizione approssimata 65% C18; 30% C16; 5% C14), HT un gruppo T saturato
per idrogenazione, HE un gruppo 2-idrossietilico. Ad esempio, nel tensioattivo usato per la preparazione della Cloisite® 6A, i gruppi R1-R4 sono rappresentati da
due gruppi metilici e due gruppi alchilici di lardo idrogenato.
Nome commerciale (Produttore) Struttura del tensioattivo (meq/g) MER Contenuto di organico (%)
d001
(nm) Cloisite® 6A (South. Clay Prod.) M
2(HT)2 1.40 45.2 3.48
Cloisite® 15A (South. Clay Prod.) M2(HT)2 1.25 42.4 3.24
Cloisite® 20A (South. Clay Prod.) M2(HT)2 0.95 38.5 2.42
Cloisite® 93A (South. Clay Prod.) MH(HT)
2 0.90 36.0 2.47
Cloisite® 30B (South. Clay Prod.) M(HE)2T 0.90 30.0 1.87
Nanofil® SE3000 (Süd Chemie) - - 54.5 3.60
Nanofil® 848 (Süd Chemie) H3C18 - 25.4 1.84
Tab.1.1 - Esempi di argille organofile commerciali
Il MER indica la quantità di tensioattivo impiegato per la modifica dell’argilla sodica ed è espresso in milliequivalenti per grammo. Dato che tutte le Cloisiti indicate nella Tabella sono state preparate a partire dalla Cloisite® Na+ che ha un contenuto
di ioni sodio (CEC) pari a 0,926 meq/g, si deduce che le Cloisiti 20A, 93A e 30B sono state modificate usando quantità praticamente stechiometriche di tensioattivo, mentre le Cloisiti 6A e 15A sono state trattate con un eccesso di tensioattivo che resta adsorbito nelle gallerie dell’argilla, col risultato che l’altezza di tali gallerie,
rappresentata dalla spaziatura d001 misurabile mediante diffrazione dei raggi-X,
risulta tanto maggiore quanto più alto è l’eccesso di tensioattivo impiegato.
I compositi di PE con argille erano stati studiati per la prima volta da Gaylord circa 25 anni fa [10-12]. Tuttavia, è stato solo dopo la scoperta che l'aggiunta di piccole quantità di argilla può portare a miglioramenti molto forti delle caratteristiche dei polimeri, purché sia possibile ottenere livelli di esfoliazione o, almeno, di intercalazione sufficientemente elevati, che i tentativi di preparare nanocompositi a matrice poliolefinica e, in particolare, polietilenica sono stati ripresi in tutte le parti del mondo. Tuttavia, come già accennato in precedenza, nella maggior parte dei lavori reperibili nella letteratura scientifica è stato dimostrato che la semplice miscelazione nel fuso di PE con una delle normali argille organofile commerciali consente di ottenere soltanto un convenzionale microcomposito, anziché ad un nanocomposito esfoliato o intercalato. Un lavoro nel quale sono descritti nanocompositi intercalati preparati per miscelazione nel fuso di LLPDE di diverso peso molecolare con la Cloisite® 20A è quello di Wang e coll. [13]. Gli spettri di diffrazione r-X dei compositi LLDPE/20A registrati da questi autori, riportati in Fig. 1.14, mostrano un riflesso a 2θ=2,2-2,3°, corrispondente ad una distanza interlamellare pari a d001=3,8-4,0 nm; l'intercalazione avrebbe dunque portato ad
una espansione piuttosto forte (circa 1,5 nm) dei pacchetti di lamine di alluminosilicato.
Fig. 1.14 - XRD di nanocompositi di LLDPE puro e Cloisite® 20A con diversi pesi molecolari: a) 15.000, b) 53.000, c) 103.000, d) 129.000, e) 180.000. L’intercalazione invece non si verifica con l'argilla modificata con esadecilammina (H3C16) e si verifica solo in parte con quella modificata con ottadecilammina
(H3C18): nel primo caso, il picco dell'argilla, corrispondente a d001=1,8 nm, non
subisce spostamenti per miscelazione con LLDPE; nel secondo, si ha un doppio picco (d001=1,85 e 2,10 nm) a fronte di quello singolo dell'argilla a d001=1,85 nm. Il
diverso comportamento di queste argille, rispetto a quello della Cloisite® 20A, è
interpretato da Wang e coll. come il risultato della minore distanza interlamellare dell'argilla. La presenza di un eccesso di tensioattivo nell'argilla H3C18 porta ad un
forte aumento della spaziatura dell'argilla (d001=3,27 nm), ma dopo miscelazione
con LLDPE la spaziatura diminuisce leggermente anziché aumentare (d001=3,0
nm), pur rimanendo nettamente maggiore di quella (bimodale) che si aveva con l'argilla modificata con la quantità stechiometrica di tensioattivo. Questo comportamento è spiegato ammettendo che il tensioattivo non chimicamente legato fuoriesca in parte dalle gallerie dell'argilla durante la miscelazione con LLDPE.
Gli studi di Wang sembrano dunque dimostrare che l'intercalazione di argille organofile, in particolare quella modificata con ioni M2(HT)2, come la Cloisite® 20A,
possa effettivamente avvenire per semplice miscelazione nel fuso con LLDPE. Tuttavia, altri autori [14], pur lavorando anch'essi con LLDPE e Cloisite® 20A, non
hanno potuto confermare tali risultati ed hanno tratto la conclusione che i prodotti ottenibili per semplice miscelazione di LLDPE con argille organofile, in assenza di compatibilizzanti, sono dei microcompositi convenzionali.
In un articolo recente di Zhai e coll. [15] è descritta la preparazione, mediante miscelazione nel fuso, di nanocompositi a partire sia da HDPE puro che da un copolimero HDPE-g-MA appositamente sintetizzato, con un’argilla modificata con ioni ammonio quaternari del tipo M3C18. Gli spettri r-X dei compositi HDPE/M3C18
con 1, 3 e 5% di argilla sono mostrati in Fig. 1.15, insieme con quello della argilla organofila usata e della montmorillonite sodica, e le spaziature corrispondenti sono riportate nella Tab. 1.2.
Fig.1.15 - Spettri XRD della montmorillonite sodica (e), dell’argilla M3C18 (d) e dei
Campione (gradi) 2θ d001 (nm) Differenza M3C18 HDPE/ M3C18 1% HDPE/ M3C18 3% HDPE/ M3C18 5% 2,36 1,58 2,22 2,20 3,74 5,59 3,98 4,01 - 1,85 0,24 0,27 Tab. 1.2 - Dati XRD per i compositi HDPE/ M3C18.
La spaziatura piuttosto grande dell’argilla organofila (3,74 nm) sembra indicare che la modifica sia stata eseguita con un eccesso di tensioattivo M3C18. Infatti, i valori
riportati in letteratura per argille con questo modificante organico variano tra circa 2 e circa 4 nm, ma i valori più bassi sono quelli certamente più verosimili per una argilla contenente la quantità stechiometrica di modificante. La spaziatura rilevata per il composito con l’1% di argilla sembra un po’ dubbia, considerando la scarsa risoluzione dello spettro. Inoltre essa implicherebbe una forte variazione di spaziatura al variare della concentrazione di argilla, mentre dalla maggior parte dei lavori reperibili in letteratura si ricava che la spaziatura dei nanocompositi intercalati non dipende dalla concentrazione. Infine, le differenze di altezza delle gallerie ricavate per i compositi col 3 e 5% di argilla sembrano troppo piccole per essere attribuite ad intercalazione. La micrografia TEM del composito col 3% di argilla mostrata in Fig. 1.16 sembra confermare che si tratta in realtà di un microcomposito.
Nel tentativo di migliorare la compatibilità tra la matrice polietilenica e l’argilla organofila sono state attuate una o più delle seguenti procedure:
• Miscelazione in soluzione • Polimerizzazione in situ
• Modificazione non convenzionale dell’argilla • Impiego di compatibilizzanti
1.3.1 Preparazione di nanocompositi PE/argilla in soluzione
In uno dei primi lavori relativi ad un nanocomposito HDPE/argilla [16] la preparazione è stata fatta miscelando l'HDPE con un'argilla modificata con ottadecilammina (H3C18), nel rapporto 4:1, in una soluzione di xilene e benzonitrile
(80/20) a 130°C, e precipitando il composito in THF. L'analisi r-X e TEM di campioni essiccati e stampati per fusione ha mostrato che la spaziatura dell'argilla è aumentata di circa 0,1 nm (da d001=1,65 a d001=1,77) e che le lamelle cristalline
dell'HDPE sono parallele ai pacchetti di lamine di silicato e mostrano piegature piuttosto acute allorché si allontanano da essi. Tuttavia, a parte quest’ultima osservazione circa l'orientazione delle lamelle di HDPE rispetto alle particelle di argilla, l'espansione di solo 0,12 nm dei pacchetti di argilla è certamente troppo piccola perché si possa parlare di morfologia intercalata. Probabilmente, come suggerito da Dubois e coll. [17], tale modesto aumento di spaziatura può essere piuttosto spiegato attraverso una riorganizzazione dell'impacchettamento delle lamine di silicato a seguito dei trattamenti termici subiti.
La preparazione di nanocompositi LLDPE/argilla mediante la tecnica di intercalazione in soluzione è stata anche descritta in un lavoro recente di Qiu e coll. [18]. La quantità desiderata di una argilla organofila, preparata per scambio ionico da una montmorillonite sodica ed esadeciltrimetilammonio bromuro (M3C16),
è stata dapprima sciolta in xilene a riflusso per 12 h; alla sospensione sono stati quindi aggiunti 2 g di LLDPE e, dopo ulteriore riflusso sotto agitazione per 6 h, la miscela è stata versata in 300 ml di etanolo. Il precipitato è stato filtrato e seccato sotto vuoto a 100°C per 2 giorni. Come mostrato nella Fig. 1.17, l’analisi r-X del nanocomposito contenente il 10% di argilla organofila (MMTNC10) presenta un riflesso nettamente spostato verso i bassi angoli, rispetto a quello dell’argilla organofila (OMT), con una espansione dello spazio interlamellare di quasi 1 nm. Per concentrazioni di argilla minori, il riflesso si sposta ulteriormente verso angoli minori e diventa più debole ed allargato. Ciò è stato interpretato dagli autori come indice di una morfologia mista esfoliato/intercalata, con prevalenza della esfoliazione quando il contenuto di argilla è basso.
Fig. 1.17 - XRD di nanocompositi di LLDPE puro con concentrazioni diverse (2,5, 5 e 10%) di argilla organofila M3C16 (OMT), preparati in soluzione.
L’analisi delle micrografie TEM del nanocomposito LLDPE/OMT col 10% di OMT, mostrate nella Figura 1.18 per due diversi ingrandimenti, dimostra, secondo questi autori, che sono presenti pacchetti di 10-50 lamine di silicato approssimativamente parallele tra loro, con spaziatura interlamellare di circa 5-10 nm. Secondo gli autori, sono anche visibili lamine singole esfoliate, in vicinanza dei bordi dei tattoidi, delle quali sono stati anche misurati lo spessore (circa 1 nm) e le dimensioni laterali (150-300 nm).
Fig. 1.18 - TEM a basso (a) e ad alto (b) ingrandimento del nanocomposito di LLDPE col 10% di OMT.
1.3.2 Preparazione di nanocompositi PE/argilla per polimerizzazione in situ
La tecnica di preparazione di nanocompositi basata sulla impregnazione dell'argilla con un monomero e sulla successiva polimerizzazione di quest'ultimo è stata largamente applicata, ad esempio per la produzione di nanocompositi a matrice poliammidica. Questa tecnica è stata applicata per la prima volta alla preparazione di compositi con PE da parte di Bergman et al. [19]. Questi autori trattarono dapprima con un complesso del Pd una fluoroectorite modificata con ioni tetradecilammonio ed osservarono ai r-X un aumento della spaziatura basale, a conferma della penetrazione del complesso catalitico nelle gallerie dell'argilla; successivamente esposero l'argilla ad etilene in fase gas e seguirono mediante diffrattometria r-X le variazioni di spaziatura causate dalla polimerizzazione dell'etilene tra le lamine di silicato, fino alla scomparsa completa del riflesso dopo 24 h.
Anche Mülhaupt e coll. [20] hanno preparato nanocompositi esfoliati per polimerizzazione in situ di etilene usando una ectorite sintetica ed una bentonite organicamente modificate contenenti un catalizzatore. Tuttavia un confronto delle proprietà meccaniche di questi nanocompositi con quelle dei compositi preparati per miscelazione nel fuso non ha portato ai risultati che si sarebbero potuti attendere sulla base della differenze di morfologia.
Jin et al. [21] hanno ottenuto nanocompositi esfoliati per polimerizzazione di etilene su argille organofile trattate con catalizzatori Ziegler-Natta a base di Ti. Essi hanno tuttavia dimostrato che un successivo trattamento di fusione porta alla formazione di pacchetti di argilla piuttosto spessi. Anche Dubois e coll. [22] hanno prodotto nanocompositi per polimerizzazione in situ di etilene su argilla non organicamente modificata contenente un catalizzatore a base di Ti ed hanno confermato che la loro morfologia non è termodinamicamente stabile.
Altri studi relativi alla caratterizzazione di nanocompositi ottenuti mediante polimerizzazione in situ sono stati condotti da Kuo et al. [23] e da Xu e coll. [24].
1.3.3 Modificazione non convenzionale dell’argilla
Come è già stato precedentemente illustrato, la modifica delle argille naturali, in particolare le montmorilloniti, per diminuirne la polarità e renderle compatibili con i polimeri organici, viene fatta mediante reazione di scambio ionico tra l’argilla sodica ed adatti tensioattivi, rappresentati, nel caso più generale, da alogenuri di ammonio quaternario. Alcuni di questi sali di ammonio sono commercialmente disponibili, e con essi si producono le argille organofile presenti sul mercato, alcune delle quali sono indicate nella Tab. 1.1.
Una tecnica non convenzionale di produzione di nanocompositi a matrice polietilenica è quella descritta nel lavoro di S. Wang et al. [25], realizzata mediante le diretta addizione di quantità variabili di un sale di ammonio quaternario (M3C16)
alla miscela fusa di HDPE e montmorillonite sodica. Questa procedura era stata precedentemente proposta da Alexandre et al. [26] per la preparazione di nanocompositi a base di copolimero etilene-vinilacetato (EVA). Nella Fig. 1.19 sono riportati gli spettri XRD di diffrazione dei diversi compositi ottenibili per aggiunta di diverse quantità di M3C16, e, per confronto, per aggiunta di un diverso
Fig. 1.19 - Spettri XRD dei compositi preparati per miscelazione diretta di HDPE col 5% di MMT sodica e: 1(a) 0%; 1(b) 2%; 1(c) 5% di M3C16; e, 1(e) 2% di
bromuro di tetrabutilammonio.
Si nota che, in assenza di tensioattivi, la miscelazione di HDPE con l’argilla sodica fornisce un composito convenzionale, mentre già con l’1% di M3C16 si ha una forte
riduzione del contenuto di argilla non intercalata, la quale scompare poi quasi del tutto nel composito col 2% di tensioattivo. L’intercalazione di HDPE sembra dimostrata dalla presenza dell’intenso riflesso a 2θ≅2,2°, corrispondente ad una spaziatura d001≅4 nm. Un aumento della quantità di tensioattivo fino al 5% non
porta ad ulteriore aumento della spaziatura, indicando che esiste un limite alla intercalazione. L’aggiunta di un tensioattivo privo di lunghe code alchiliche comporta un’intercalazione dell’argilla da parte del tensioattivo stesso, ma non l’intercalazione di catene di HDPE.
Con l’eccezione degli esempi riportati sopra, dalla maggior parte dei lavori scientifici pubblicati fino ad oggi si deduce che le argille organofile convenzionali hanno ancora una compatibilità troppo bassa nei confronti delle poliolefine, in particolare del PE. La ragione di ciò può essere duplice. In primo luogo, è possibile che i gruppi organici contenuti nell’agente modificante impiegato per lo scambio ionico non siano abbastanza voluminosi da provocare un’espansione delle gallerie dell’argilla sufficiente ai fini della penetrazione delle macromolecole del polimero, e/o che, per la loro struttura chimica, non abbiano essi stessi una sufficiente compatibilità con la matrice polimerica. La strategia impiegata per ovviare a tale eventualità è quella di ricorrere ad agenti modificanti non convenzionali, sintetizzati ad hoc.
La seconda possibile causa di inefficienza della convenzionale modifica mediante scambio ionico è che essa, pur riducendo la polarità della superficie degli strati di alluminosilicato, lascia inalterati i gruppi –OH presenti sui bordi delle lamine, col risultato che la superficie esterna dei tattoidi dell’argilla modificata conserva una polarità abbastanza elevata da ostacolare l’avvicinamento delle catene polimeriche e la loro successiva penetrazione negli spazi interlamellari. La strategia attuata da alcuni ricercatori per eliminare questo problema consiste nel trattare l’argilla, prima o dopo la consueta modifica per scambio ionico, con reagenti capaci di legarsi ai gruppi ossidrilici neutralizzandone la polarità.
Gli esempi di modifiche non convenzionali dell’argilla eseguite per scambio ionico con tensioattivi di sintesi sono assai numerosi nella letteratura scientifica. In particolare, in una serie di lavori di Wilkie e coll. [27-34], è descritta la preparazione di argille contenenti modificanti oligomerici con strutture chimiche diverse, le quali si prestano alla preparazione di nanocompositi con polimeri organici come polistirene, polipropilene e polietilene per diretta miscelazione nel fuso, in assenza di compatibilizzanti. Tuttavia, questi metodi di preparazione di nanocompositi non sembrano avere interesse industriale in quanto prevedono operazioni piuttosto sofisticate per la sintesi dei nuovi sali di ammonio oligomerici.
Anche l’altra strategia, basata sulla neutralizzazione dei gruppi ossidrilici presenti sui bordi delle lamine è stata usata da diversi autori. Ad esempio, Zhao et al. [35] hanno mostrato che la riduzione della concentrazione dei gruppi ossidrilici sui bordi delle lamine di silicato migliora l’intercalazione delle catene di PE nelle gallerie e permette di realizzare l’intercalazione mediante miscelazione nel fuso con argille intercalate con i comuni sali di alchilammonio se si esegue il loro pretrattamento con clorosilani. Tuttavia, questo trattamento richiede tempi piuttosto lunghi e richiede l’uso di solventi che complicano il processo. Pertanto, gli stessi autori hanno proposto l’uso di un nuovo agente modificante che permette di realizzare in un solo stadio la neutralizzazione dei gruppi ossidrilici sui bordi delle lamelle e lo scambio ionico negli interspazi [36]. Il composto utilizzato per la modifica dell’argilla sodica è il cloruro di N-γ-trimetossilsilanopropil)ottadecilmetilammonio Fig. 1.20; la modifica è stata fatta in etanolo anidro con la consueta procedura. Per confronto è stata preparata anche un’argilla modificata con il cloruro di diottadecildimetilammonio (M2(C18)2).
N
CH
3CH
3C
18H
37(CH
3O)
3Si(CH
2)
3Cl
Fig. 1.20 – Struttura del cloruro di N-γ-trimetossilsilanopropil)ottadecilmetilammonio I nanocompositi erano preparati per miscelazione nel fuso usando un estrusore bivite alla temperatura di 180°C ed i campioni per l’analisi XRD erano prodotti per stampaggio ad iniezione. Nella Fig. 1.21 sono mostrati gli spettri delle due argille
organofile (JS è modificata con il composto indicato sopra e DM è modificata con M2(C18)2) e quelli dei due compositi con HDPE ed il 5% di argilla.
Fig. 1.21 - Spettri XRD delle argille e dei relativi compositi con HDPE.
Si nota che il composito HDPE/DM presenta praticamente gli stessi riflessi dell’argilla, mentre quello con JS non mostra riflessi, indicando un elevato grado di esfoliazione, confermato poi mediante TEM.
Infine, in un recente lavoro di Chaiko e Leyva [37], l’argilla sodica (Cloisite® Na) era
dispersa in acqua deionizzata ad una concentrazione di 2,5% in massa. I bordi delle lamelle erano resi idrofobi per reazione col sale d’ammonio del 1-idrossidodecano-1,1-difosfonato, che era aggiunto in misura del 3% in peso rispetto al peso di argilla secca. La dispersione era quindi scaldata a 70°C e si procedeva a realizzare lo scambio ionico sulle superfici delle lamelle con M2(HT)2
(110 meq/100 g di argilla). Con l’ausilio dell’aggiunta di 4 g di polipropilenglicol per 100 g di argilla che migliora la compatibilità della superficie dell’argilla nei confronti della poliolefina, l’argilla consentiva una facile interazione con l’HDPE.
1.3.4 Impiego di compatibilizzanti
Il metodo di gran lunga più impiegato per migliorare la compatibilità tra le argille organofile ed i diversi gradi di PE è quello di ricorrere all’impiego di agenti compatibilizzanti da aggiungere alla matrice ed al filler, come terzo componente, all’atto della miscelazione. I compatibilizzanti più usati sono i polietileni funzionalizzati con gruppi polari, come i copolimeri etilene-vinilacetato (EVA), i
polietileni aggraffati con anidride maleica (PE-g-MA), i polietileni aggraffati con glicidilmetacrilato (PE-g-GMA), i polietileni aggraffati con acido acrilico (PE-g-AA), i copolimeri statistici dell’etilene con acido acrilico (EAA) ocon acido metacrilico (EMAA) ed i relativi ionomeri. I primi due tipi di polietileni funzionalizzati (EVA e PE-g-MA) sono quelli di gran lunga più utilizzati, mentre quelli funzionalizzati con acido acrilico e con glicidilmetacrilato hanno ricevuto fino ad oggi scarsa attenzione.
L’uso dei compatibilizzanti sopraindicati rappresenta certamente il metodo più versatile ed economico per la preparazione di nanocompositi a matrice polietilenica, purché le quantità di compatibilizzante necessarie non siano troppo elevate. Esso consente, infatti, di realizzare la preparazione in un solo stadio senza richiedere alcuna sostanziale variazione delle tecniche di trasformazione usate per la lavorazione del polimero puro. Per questo motivo, gli studi effettuati sulla preparazione e caratterizzazione di compositi con matrici rappresentate sia da polietileni funzionalizzati puri, sia dalle loro miscele con PE, sono molto numerosi. Per la verità, tuttavia, i risultati sono stati in qualche caso deludenti e talvolta anche contraddittori.
Di seguito sono riportati alcuni dei dati più interessanti, presenti in letteratura, per i diversi tipi di compatibilizzanti.
Compatibilizzanti a base di copolimeri etilene-vinilacetato, EVA.
Per quanto riguarda i copolimeri EVA, la maggior parte degli studi mostrano che essi possono dar luogo a nanocompositi intercalati con le argille organofile commerciali, anche se usati come matrici pure. Pertanto, il loro impiego come compatibilizzanti può, al più, portare a compositi intercalati. Duquesne et al. [38] hanno studiato l’effetto della natura dell’argilla (Cloisite® Na+ e Cloisite® 30B, Southern Clay Products) e della sua concentrazione sulle proprietà di resistenza al fuoco dei rispettivi compositi a matrice etilene-vinilacetato, ed hanno dimostrato che, quando l’argilla è organicamente modificata, è possibile ottenere un nanocomposito che ha una buona resistenza al fuoco. Tale miglioramento di proprietà, registrato anche da altri autori per nanocompositi di composizione analoga, è possibile grazie all’effetto barriera esercitato dalle lamelle dell’argilla disperse nella matrice che ostacolano la permeabilità all’ossigeno e contemporaneamente riducono la diffusione dei prodotti volatili di decomposizione dalla massa polimerica alla fase gas.
In Fig. 1.22 sono confrontate le curve termogravimetriche ottenute da Duquesne [38] del copolimero EVA puro ed in presenza del 5 e 10% di Cloisite® 30B. Si osserva che in presenza dell’argilla il primo stadio di degradazione, che corrisponde alla emissione di acido acetico, avviene a temperature più basse rispetto al polimero puro, mentre il secondo stadio di degradazione, che corrisponde alla decomposizione della frazione polietilenica, ha luogo a temperature decisamente maggiori.
Fig. 1.22 - Curve termogravimetriche di EVA puro e dei rispettivi nanocompositi con il 5 ed il 10% in peso di Closite® 30B
Alexandre et al. [39] hanno utilizzato copolimeri etilene-vinilacetato con diversa percentuale di VA e tipi diversi di argille organicamente modificate sia commerciali che ottenute direttamente in laboratorio. Le argille che hanno come modificante organico un sale di ammonio quaternario contenente due gruppi metilici e due lunghe catene alchiliche idrogenate, miscelate con i diversi tipi di EVA, permettono di ottenere nanocompositi intercalati, indipendentemente dalla percentuale di VA presente nella matrice, mentre, l’argilla sodica e le argille modificate con sali di ammonio quaternario contenenti sostituenti con funzionalità carbossiliche, non consentono di ottenere dei nanocompositi. La spaziatura basale di questo secondo gruppo di argille non viene infatti modificata in modo apprezzabile dopo miscelazione con nessuno dei copolimeri EVA e si hanno quindi dei microcompositi tradizionali.
Pochissimi sono i lavori in cui, utilizzando un copolimero EVA come matrice, si ottiene un nanocomposito esfoliato. A titolo di esempio, riportiamo il lavoro di Riva et al. [40] i quali hanno ottenuto nanocompositi esfoliati miscelando nel fuso un copolimero EVA contenente il 19% in peso di VA e una fluoroectorite sintetica (Somasif® ME100 prodotta dalla Co-Op Chemical Co.) scambiata con ioni octadecilammonio.
Per quanto riguarda l’utilizzo di copolimeri EVA come compatibilizzanti possiamo citare il lavoro di Zanetti et al. [41] nel quale è stato utilizzato un copolimero etilene-vinilacetato, contenente il 19% in peso di VA, come compatibilizzante di miscele LDPE/Nanofil® 848 (Süd-Chemie). Gli autori hanno evidenziato che si ottiene un nanocomposito intercalato anche introducendo nella miscela LDPE/Nanofil® 848
solo l’1% in peso di EVA (curva c di Fig. 1.23); all’aumentare della concentrazione di compatibilizzante il grado di intercalazione migliora (curve d-g di Fig. 1.23) e l’analisi WAXD indica che diminuisce notevolmente la coerenza tra le lamelle di argilla intercalata dal momento che i picchi di diffrazione diventano molto più allargati e l’intensità diminuisce. Per questi nanocompositi si registra inoltre una sensibile diminuzione della velocità di combustione rispetto a LDPE puro.
Fig. 1.23 - Spettri XRD dell’argilla Nanofil® 848 (a) e dei compositi EVA/Nanofil® 848 contenenti rispettivamente 0% (b), 1% (c), 5% (d), 10% (e), 20% (f) ed 50% (g)
di silicato.
Anche Chuang et al. [42] hanno utilizzato un copolimero EVA (contenente però il 28% in peso di VA) come compatibilizzante di miscele LLDPE con un’argilla organicamente modificata (MMT-ALEt2), ottenuta, per scambio ionico, da un’argilla
sodica trattata con un sale di ammonio quaternario contenente una gruppo allilico, un gruppo laurilico e due sostituenti 2-idrossietilici. I nanocompositi ottenuti presentano una struttura mista intercalata-esfoliata come evidenziato dall’analisi TEM (Fig. 1.24), hanno buone proprietà meccaniche e una migliore resistenza verso l’ossidazione termica.
Fig. 1.24 - Micrografia TEM del nanocomposito EVA + 5% MMT-ALEt2.
Mainil et al. [17] hanno infine utilizzato un copolimero etilene-vinilacetato, contentente il 12% di VA, come compatibilizzante di miscele HDPE/Cloisite® 20A
(Southern Clay Products). Gli autori preparano le miscele di HDPE con 3phr di Cloisite® 20A (rispetto alla frazione inorganica presente nell’argilla) compatibilizzate con l’8% in peso di EVA sia direttamente, miscelando nel fuso i tre componenti, sia attraverso una preparazione in due stadi che prevede prima la miscelazione nel fuso di EVA e Cloisite® 20A per l’ottenimento di un concentrato di
opportuna composizione e, successivamente, la diluizione di questo concentrato con HDPE in modo da ottenere la stessa composizione della miscela diretta. L’analisi WAXD e TEM evidenzia che i nanocompositi ottenuti sono intercalati ma è interessante sottolineare che si osserva un miglior grado di delaminazione quando il nanocomposito è preparato utilizzando il processo in due stadi, ovvero diluendo con HDPE il concentrato EVA/20A.
Compatibilizzanti a base di copolimeri etilene-glicidilmetacrilato, EGMA.
Per quanto riguarda i copolimeri etilene-glicidilmetacrilato sono presenti in letteratura pochissimi risultati. Huang et al. [43] sono gli unici, a nostro avviso, che hanno pubblicato un lavoro specifico su nanocompositi ottenuti per miscelazione nel fuso di un copolimero EGMA con diverse concentrazioni di argilla (1-5% in peso). I nanocompositi ottenuti sono di tipo intercalato e mediante studi di cristallizzazione isoterma viene messo in evidenza che l’argilla, se presente in basse concentrazioni, agisce da agente nucleante eterogeneo facilitando il processo di cristallizzazione della matrice. Quando la concentrazione dell’argilla è troppo elevata, l’ingombro fisico delle lamelle di silicato disperse nella matrice
sembra invece ostacolare il movimento delle macromolecole del copolimero ed il processo di cristallizzazione risulta così rallentato.
Compatibilizzanti a base di polietilene funzionalizzato con anidride maleica, PE-g-MA
I compatibilizzanti più efficienti ed ampiamente studiati in letteratura, sia come matrice [13-15, 44-50] che come compatibilizzanti veri e propri [13, 14, 17, 27, 48, 50-53], sono quelli contenenti gruppi funzionali anidridici (PE-g-MA) perché permettono in molti casi di ottenere strutture esfoliate (Fig. 1.25).
Fig.1.25 - Micrografia TEM di un nanocomposito esfoliato LLDPE/PE-g-MA/Cloisite® 20A [14].
L’efficienza di questo tipo di copolimeri è probabilmente dovuta al fatto che i gruppi succinici aggraffati sulla catena polietilenica, specialmente alle alte temperature adoperate per le operazioni di trasformazione, sono capaci, oltreché di interagire con le superfici basali delle lamine dell’alluminosilicato, anche di reagire con i gruppi ossidrilici sui bordi delle lamelle stesse, con conseguente neutralizzazione
dell’idrofilicità dell’argilla [17]. Tuttavia, nonostante l’elevato numero di articoli pubblicati in letteratura, esistono ancora molte questioni aperte. Ad esempio, esistono ancora grosse incertezze circa la concentrazione minima di gruppi anidridici necessaria per provocare l’esfoliazione delle argille, quando il copolimero innestato PE-g-MA sia usato da solo come matrice, e circa la quantità minima di PE-g-MA da impiegare in miscela col PE per garantire la formazione di un vero nanocomposito (esfoliato o intercalato). Ad esempio, Wang et al. [13] affermano che, miscelando nel fuso LLDPE e Cloisite® 20A oppure LLDPE ed una MMT modificata con octadecilammina, è possibile ottenere nanocompositi esfoliati solo se la concentrazione di anidride maleica, MA, è superiore allo 0.1% in peso, indipendentemente che questa concentrazione sia ottenuta per miscelazione di un PE-g-MA commerciale con LLDPE oppure aggraffando direttamente MA sul polietilene per estrusione reattiva (Fig. 1.26).
Fig. 1.26 - Spettri XRD di compositi PE-g-MA/Cloisite 20A 95/5 contenenti concentrazioni diverse di MA: a) 0.29%, b) 0.22%, c) 0.11%, d) 0.07%, e) Cloisite
20A.
Al contrario, Hotta e Paul [14] sostengono che la stessa Cloisite 20A subisce semplice intercalazione se si utilizza una quantità di PE-g-MA, con lo 0.9% di MA, inferiore al 33% in peso (Fig. 1.27).
Fig. 1.27 - Spettri XRD di compositi LLDPE/LLDPE-g-MA/Cloisite® 20A con concentrazione fissata di argilla (4.4-4.9% in peso) e rapporto α =
LLDPE-g-MA/Cloisite® 20A variabile
Bafna et al. [51] ottengono invece nanocompositi intercalati miscelando HDPE con il 12% in peso di PE-g-MA avente il 2% di MA. Queste conclusioni apparentemente discordanti possono essere giustificate se si considera che i fattori che influenzano lo sviluppo di una determinata morfologia nei nanocompositi sono moltissimi quali, ad esempio, la quantità di silicato aggiunto, la natura del modificante organico, la quantità di compatibilizzante, il metodo di preparazione. Anche la struttura molecolare del polietilene e/o dei copolimeri PE-g-MA può essere determinante. Infatti, poiché per ottenere un nanocomposito è necessario che le catene polimeriche penetrino all’interno delle gallerie del silicato, potremmo pensare che sistemi lineari come HDPE o HDPE-g-MA possano essere più indicati rispetto a sistemi altamente ramificati come LDPE o LDPE-g-MA. Al contrario, gli stessi sistemi ramificati, proprio grazie al maggior ingombro sterico, potrebbero essere più efficienti, una volta penetrati all’interno delle gallerie del silicato, nel riuscire ad aumentare significativamente la spaziatura consentendo così di ottenere un elevato livello di intercalazione o addirittura l’esfoliazione. L’effetto della struttura del polimero, tuttavia, non è stata ancora adeguatamente studiata ed in letteratura è presente solo un lavoro di Xu et al. [55] dove si confrontano nanocompositi preparati in condizioni simili a partire da HDPE e LDPE con un PE-g-MA preparato in laboratorio e di struttura non nota ed una MMT modificata con trimetil-exadecilammonio. I nanocompositi ottenuti, di composizione PE/PE-g-MA/argilla 91/6/3, 88/9/3, 82/15/3 e 76/21/3, sono intercalati e la spaziatura finale dell’argilla
risulta maggiore per la serie di nanocompositi che hanno come matrice polietilenica HDPE.
Ancora meno esplorato è l’effetto del grado di miscibilità del compatibilizzante con la matrice polietilenica, anche se si suppone che la compatibilizzazione tra argilla e PE possa effettivamente manifestarsi solo se il polietilene funzionalizzato è miscibile con il PE usato come matrice. In alcuni lavori [50, 53] sono stati ottenuti nanocompositi PE/PE-g-MA mediante un processo in due stadi: nel primo stadio l’argilla viene miscelata al PE-g-MA per ottenere un concentrato, mentre nel secondo stadio il concentrato è diluito con PE. Ovviamente, ci dovremmo aspettare che la dispersione omogenea delle lamelle di argilla all’interno della matrice del nanocomposito finale possa essere ostacolata o addirittura impedita se i due polimeri fossero immiscibili. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, i nanocompositi sono preparati per miscelazione diretta nel fuso dei tre componenti. In questo caso, la miscibilità o immiscibilità della matrice con il compatibilizzante potrebbe influenzare, almeno cineticamente, le interazioni tra le lamelle di silicato ed il copolimero PE-g-MA. La mancanza di dati su questo argomento è sicuramente legata al fatto che la segregazione di fase e la miscibilità di polietileni con diverse strutture molecolari, sebbene oggetto di numerosissime pubblicazioni, è una questione ancora aperta.
Compatibilizzanti a base di copolimeri etilene-acido acrilico EAA, copolimeri etilene-acido metacrilico EMAA e relativi ionomeri.
Le informazioni reperibili in letteratura sull’uso di matrici a base di copolimeri etilene-acido acrilico, sia statistici che ad innesto, e dei rispettivi monomeri, per la produzione di nanocompositi, sono scarsissime [52, 54-56], sebbene questo tipo di materiali siano stati ampiamente utilizzati come compatibilizzanti di miscele polimeriche oppure come additivi per migliorare le proprietà di adesione. Preston et al. [52] hanno descritto la sintesi di nanocompositi a partire da tre diversi copolimeri etilenici ed una bentonite organicamente modificata (B34) ed hanno osservato, utilizzando l’analisi WAXD, che il terpolimero poli(etilene-co-metilacrilato-co-acido acrilico), EMAAA, permette di ottenere il miglior grado di intercalazione rispetto agli altri due copolimeri, EVA e poli(etilene-co-metilacrilato), EMA (Fig. 1.28).
Fig. 1.28 - Spettri XRD di nanocompositi con diversa matrice polimerica contenti il 5% in peso di Bentonite B34.
La spaziatura della bentonite B34 passa da 2.8 nm nell’argilla tal quale e nel microcomposito con LDPE, a 4.5 nm nel nanocomposito EMAAA/B34 95/5. Questi autori concludono che le unità AA interagiscono efficacemente con la superficie dell’argilla.
In un recente lavoro, Fang et al. [55] hanno descritto la sintesi di un copolimero HDPE-g-AA contenente l’8.4% in peso di acido acrilico mediante la funzionalizzazione nel fuso di HDPE con 10 phr di AA e 0.2 phr di dicumilperossido. Gli autori hanno poi utilizzato questo HDPE-g-AA per produrre nanocompositi contenenti 2, 3 e 4 phr di una bentonite modificata con ioni trimetiloctadecilammonio. L’assenza del picco di diffrazione (001) negli spettri WAXD e le micrografie TEM indicano che per questi sistemi si ha buona esfoliazione o intercalazione, dovuta, secondo gli autori, alla funzionalizzazione di HDPE con acido acrilico. I risultati dell’analisi FTIR dei residui dopo estrazione con solvente dei nanocompositi, dimostrerebbero anche che avviene una vera e propria reazione chimica tra i gruppi carbossilici della matrice polimerica e l’argilla. Infine, Chrissopoulou et al. [56] hanno sintetizzato un copolimero a due blocchi dell’etilene e dell’acido metacrilico, PE-b-PMMA, e lo hanno utilizzato come