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333... Tecniche di studioTTeeccnniicchheeddiissttuuddiioo

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Academic year: 2021

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Secondo la corrente definizione di minerale adottata dall’IMA, “a mineral is an element or chemical compound that is normally crystalline and that has been formed as a result of geological processes” (Nickel, 1995). Il loro studio pertanto non può prescindere da indagini chimiche e diffrattometriche, atte a verificarne la composizione chimica e la cristallinità.

I campioni studiati sono stati prelevati dalla collezione del Museum National d’Histoire Naturelle di Parigi.

Il diagramma di fig. 4 mostra sinteticamente le varie fasi di studio. Dopo una attenta osservazione al microscopio binoculare, finalizzata alla individuazione delle diverse fasi presenti, sono stati selezionati dei frammenti cristallini da sottoporre a preliminari indagini diffrattometriche, mediante camera Gandolfi da 114.6 mm e radiazione CuKα, e chimiche, attraverso un microscopio elettronico a scansione con accoppiato un dispositivo per l’analisi in dispersione di energia. I cristalli appartenenti al gruppo dei disilicati di Zr-Ti-Nb-REE sono stati quindi studiati con metodi di cristallo singolo, consentendo la definizione della geometria della cella. Utilizzando i medesimi cristalli si è

proceduto alla raccolta di dati di intensità, al fine di poter risolvere e/o raffinare la loro struttura cristallina. Nei casi più problematici, non risolvibili con la strumentazione in dotazione presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, in particolare quando i riflessi o parte di essi fossero troppo deboli, abbiamo utilizzato la radiazione di sincrotrone per effettuare la raccolta

Osservazione dei campioni al microscopio binoculare e selezione dei

frammenti cristallini

Identificazione delle fasi attraverso diffrattogrammi di polvere con camera Gandolfi e analisi chimiche qualitative e

semiquantitative in modalità EDS.

Determinazione geometria della cella per le fasi dei gruppi della cuspidina e

della rinkite.

Determinazione del contenuto della cella attraverso la raccoltà delle intensità dei riflessi e analisi chimiche

quantitative in modalità WDS.

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dei dati di intensità. Infine, i cristalli sono stati inglobati in resina epossilica ed opportunamente lucidati in modo da poter essere sottoposti ad analisi chimiche quantitative in microsonda elettronica.

Nelle prossime pagine descriveremo brevemente i vari metodi analitici utilizzati nel corso di questa tesi.

3.1 Analisi chimiche

Abbiamo visto che un minerale è un elemento o un composto chimico cristallino formatosi per processi geologici (Nickel, 1995). Pertanto una delle informazioni necessarie per la caratterizzazione di ogni singolo campione risiede nella conoscenza della sua composizione chimica; tuttavia è bene ricordare che tale dato da solo spesso non risulta risolutivo ai fini della corretta identificazione di una specie, come avviene nel caso dei disilicati di Zr-Ti-Nb-REE oggetto di questo lavoro di tesi.

3.1.1 SEM-EDS

La caratterizzazione chimica qualitativa dei campioni è stata eseguita attraverso il sistema SEM-EDS del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa; questo strumento è formato dall’unione di un microscopio elettronico a scansione (SEM, Scanning Electron Microscope) con un dispositivo per la microanalisi in dispersione di energia (EDS, Energy Dispersive System), Il campione, preventivamente reso conduttivo mediante grafitizzazione, viene bombardato mediante un fascio elettronico sottoposto ad una differenza di potenziale di 20 KV. L’interazione elettroni incidenti – campione è all’origine di vari fenomeni che possono essere utilizzati per ottenere informazioni sulla chimica del campione e per raccogliere immagini dettagliate della morfologia superficiale dell’oggetto.

Un primo tipo di segnale è costituito dagli elettroni secondari (SE, Secondary Electrons); si tratta di elettroni con energia inferiore ai 50 eV, emessi dalla porzione superficiale del campione. Pertanto essi sono il segnale usato per lo studio della morfologia del campione. Un altro tipo di segnale è rappresentato dagli elettroni retrodiffusi (BSE, Back-Scattered Electrons), ossia quella porzione del fascio incidente che viene riflessa dal campione. Hanno energie comprese fra 50 eV sino a quella di incidenza. La quantità di BSE emessi dipende, oltre che dalla morfologia della superficie del campione, anche dal numero atomico medio degli atomi costituenti il campione stesso. Questo fatto consente di individuare eventuali disomogeneità composizionali all’interno del campione studiato. Infine un ulteriore segnale che si origina per l’interazione fra il fascio elettronico e gli atomi del

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campione è rappresentato da raggi X caratteristici che, raccolti mediante un cristallo di Si drogato con Li, consentono di conoscere la composizione chimica della porzione di campione bombardata dagli elettroni. Lo spettrometro opera, come detto sopra, in modalità EDS e riceve simultaneamente tutti i fotoni della radiazione X, separarandoli successivamente in funzione delle loro energie. L’utilizzo di questo particolare strumento consente dunque di ottenere dettagliate immagini del campione ed analisi chimiche qualitative e semi-quantitative. Per poter ottenere dati chimici sufficientemente accurati è necessario utilizzare un campione piano nel quale il volume incognito di cui vogliamo conoscere la composizione chimica sia maggiore del volume di interazione del fascio elettronico con il campione.

3.1.2 Microsonda elettronica

La caratterizzazione chimica quantitativa dei disilicati di Zr-Ti-Nb-REE delle Iles de Los è stata eseguita presso il Laboratoire de Minéralogie del Museum National d’Histoire Naturelle di Parigi utilizzando una microsonda elettronica. I fenomeni di interazione fra il fascio elettronico ed il campione sono i medesimi già descritti per il sistema SEM-EDS. La differenza consiste nel fatto che la microsonda effettua una spettroscopia in dispersione di lunghezza d’onda (sistema WDS, Wavelength Dispersive System) anziché in dispersione di energia. Lo spettroscopio contiene una serie di cristalli analizzatori curvi che si muovono lungo il cerchio di focalizzazione (o cerchio di Rowland) secondo differenti angoli e riflettono i raggi X emessi dal campione secondo la nota equazione di Bragg, focalizzandoli in un contatore. In questo modo si ha un’alta risoluzione nella separazione delle varie lunghezze d’onda, consentendo analisi chimiche quantitative accurate. Passo essenziale nella raccolta di dati chimici è la scelta di appropriati standard, quanto più possibili simili al campione da investigare, con i quali il campione stesso possa essere confrontato.

3.2 Analisi diffrattometriche

Un cristallo è caratterizzato dalla ripetizione, secondo le traslazioni reticolari, di un aggregato di atomi o ioni; la determinazione della struttura del cristallo, quindi, implica la definizione sia del periodo di ripetizione, ossia del reticolo, sia della disposizione spaziale degli atomi o ioni che costituiscono il motivo associato a ciascun punto reticolare. La diffrazione di raggi X è un utilissimo strumento per la definizione dei due aspetti ora ricordati, secondo due passi successivi:

• determinazione delle direzioni di diffrazione. Tali direzioni sono funzione degli aspetti geometrici della cella elementare e pertanto la conoscenza delle direzioni di diffrazione consente di ottenere informazioni sul tipo di cella e sulle sue dimensioni. A tale scopo si

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raccolgono diffrattogrammi con il metodo delle polveri, il metodo del cristallo oscillante ed il metodo Weissenberg;

• determinazione delle intensità delle onde diffratte. L’intensità dipende dalla distribuzione spaziale degli elettroni (che sono le entità fisiche che diffondono i raggi X) e pertanto la misura delle intensità dei singoli riflessi fornisce informazioni sulla distribuzione degli atomi (o ioni) all’interno della cella elementare. I dati di intensità sono stati raccolti con un diffrattometro automatico a quattro cerchi.

3.2.1 Camera Gandolfi

Diffrattogrammi con camera Gandolfi, eseguiti presso il laboratorio Raggi X del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, presso il laboratorio Raggi X della sezione di mineralogia del Museo di Storia Naturale della medesima università e presso il Laboratoire de Minéralogie del Museum National d’Histoire Naturelle di Parigi, hanno rappresentato un utile mezzo diagnostico per l’identificazione delle fasi mineralogiche presenti nelle sieniti agpaitiche delle Iles de Los.

Mediante la camera Gandolfi è possibile applicare il metodo delle polveri anche ad un cristallo singolo attraverso la rotazione attorno a due assi posti a 45° l’uno dall’altro. La registrazione degli effetti di diffrazione avviene su pellicola; su di essa compaiono archi di circonferenza, simmetrici rispetto ai fori di entrata e di uscita dei raggi X, rappresentanti i coni di diffrazione dei vari piani reticolari. Misurando la distanza, sulla “mezzeria” della pellicola, fra gli archi simmetrici e conoscendo il diametro della camera utilizzata, si risale al valore dell’angolo di diffrazione θ; applicando l’equazione di Bragg si calcola infine il valore della corrispondente distanza dhkl.

I diffrattogrammi Gandolfi raccolti presso i laboratori Raggi X del Dipartimento di Scienze della Terra e del Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa sono stati ottenuti tramite esposizione di 48 ore alla radiazione CuKα (λ = 1.54178 ) con camera Gandolfi di diametro pari a 114.6 mm. Ogni pellicola così ottenuta è stata sottoposta a scansione a 300 dpi (dots per inch; risoluzione pari a circa 0.05 mm) ed elaborata con il programma X-RAY (O’Neill et al., 1993) al fine di ottenere un set di dati “I-2θ”. Attraverso una successiva elaborazione con il programma WINFIT (Krumm, 1997) abbiamo ottenuto un diagramma “I-dhkl” che ci ha consentito, nella maggior parte dei casi, di

identificare la fase esaminata. Una volta identificata la specie, ne abbiamo raffinato i parametri di cella con il programma CELREF (Laugier & Bochu, 1999).

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3.2.2 Metodo del cristallo oscillante

L’esecuzione di questa tecnica sperimentale prevede di disporre una direzione razionale del cristallo (ad es. uno degli assi di cella) ortogonalmente al fascio di raggi X incidente e di collocare attorno al cristallo una pellicola fotografica montata all’interno di una camera cilindrica, di raggio pari a 28.65 mm, sul cui asse è posto il cristallo, oscillante attorno alla direzione razionale prescelta. Normalmente al vettore diretto giacciono piani del reticolo reciproco che tagliano la sfera di Ewald secondo circonferenze; la costruzione di Ewald ci assicura che quando un nodo di reticolo reciproco taglia la sfera in un punto P, si ha un raggio diffratto lungo la direzione individuata dal centro della sfera (in cui per costruzione si assume sia collocato il cristallo) ed il punto P. Le direzioni di diffrazione si disporranno secondo superfici coniche (coni di Laue) aventi vertice sul cristallo. Esse tagliano la superficie cilindrica della pellicola fotografica secondo circonferenza sulle quali si disporranno le macchie di diffrazione. Una volta che la pellicola venga svolta, le macchie di diffrazione appariranno disposte su diverse linee parallele (strato-linee) corrispondenti ai diversi coni di Laue.

Tale metodo ci consente di risalire agevolmente al periodo di ripetizione lungo l’asse di rotazione; inoltre, attraverso una oscillazione di 10-12°, è possibile verificare la presenza di un piano di simmetria normale all’asse di oscillazione nella classe di Laue del cristallo esaminato. Difatti la distribuzione delle macchie di diffrazione sulla pellicola fotografica presenterà simmetria m esclusivamente nel caso in cui, perpendicolarmente all’asse di oscillazione, sia presente un piano di riflessione.

Con tale metodo sperimentale non è tuttavia possibile indicizzare agevolmente i singoli riflessi e ricostruire, quindi, la geometria del reticolo reciproco, poiché vettori di reticolo reciproco aventi modulo simile ed appartenenti allo stesso strato di reticolo reciproco incontreranno la sfera di Ewald in posizioni assai vicine fra loro, dando luogo ad effetti di diffrazione più o meno sovrapposti.

3.2.3 Metodo Weissenberg

Questa tecnica diffrattometrica utilizza la stessa camera e la stessa disposizione sperimentale utilizzate per ottenere fotogrammi di cristallo oscillante. Tuttavia in questo caso si registrano soltanto i riflessi relativi ad un piano di reticolo reciproco, corrispondenti ad una determinata strato-linea nel fotogramma di cristallo oscillante. A tal fine si inserisce fra il cristallo e la camera cilindrica uno schermo che presenta una fessura solo in corrispondenza del cono di diffrazione che ci interessa. Le macchie di diffrazione di questa strato-linea sono sparpagliate sulla pellicola fotografica in virtù del moto traslatorio della camera cilindrica accoppiata ad oscillazioni del cristallo di 180°.

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La tecnica Weissenberg consente pertanto di ottenere immagini distorte dei vari piani di reticolo reciproco, immagini distorte dalle quali è agevole ottenere il reticolo reciproco “indistorto”; attraverso l’indicizzazione delle macchie di diffrazione e valutando la loro intensità, si ottengono informazioni sulla geometria del reticolo reciproco (e quindi anche i parametri reciproci, necessari per risalire ai parametri diretti), sulla simmetria, sulle assenze sistematiche e, quindi, sulla simmetria di gruppo spaziale del cristallo esaminato.

3.2.4 Raccolta di dati di intensità con diffrattometro automatico a quattro cerchi

I dati di intensità sono stati raccolti mediante un diffrattometro automatico a quattro cerchi Siemens P4 utilizzando radiazione MoKα(λ = 0.71073 Ǻ) con monocromatore in grafite. I cerchi consentono al cristallo, montato su una testina goniometrica senza particolari orientazioni, di assumere qualsivoglia posizione; il cerchio goniometrico 2θ è analogo a quello di un normale diffrattometro per polveri e sul suo bordo è montato il rivelatore a scintillazione il quale fornisce una maggiore accuratezza e rapidità nella raccolta dei dati di intensità rispetto alle pellicole fotografiche. Il cerchio ω, parallelo e coassiale al precedente, è il supporto di un sistema di altri due cerchi, il cerchio χ ed il cerchio φ; su quest’ultimo è montata la testina goniometrica che sorregge il cristallo.

Il complesso di cerchi ha lo scopo di portare ogni vettore di reticolo reciproco, prima nel piano orizzontale definito dalla direzione dei raggi X incidenti e del rivelatore (per mezzo dei cerchi φ e χ), poi con la sua estremità sulla superficie della sfera di riflessione (cerchio ω). Il cerchio 2θ porta il contatore in posizione appropriata.

Una normale operazione di raccolta di dati di intensità prevede di fissare dei valori angolari entro i quali sono costretti a ruotare i cerchi; in tal modo il diffrattometro esplora tale regione e ricava i valori angolari dei riflessi e quindi le coordinate di un certo numero di nodi di reticolo reciproco. Una volta che ne siano state ricavate un certo numero (ad esempio 10-15), il programma calcola i tre vettori più corti a*, b* e c* ed i rispettivi angoli α∗, β∗ e γ∗. Dai parametri reciproci il calcolatore risale a quelli diretti e, partendo da questi dati, è ora possibile determinare quali angoli di rotazione imprimere al cristallo per portarlo in condizioni di diffrazione per ogni singolo piano hkl. I dati raccolti, ossia l’insieme delle intensità delle diffrazioni all’interno dei limiti prefissati, vengono successivamente corretti per l’assorbimento e per il fattore “Lorentz-polarizzazione” ed infine ridotti a |F|2, dove F è il fattore di struttura.

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3.2.5 Raccolta di dati di intensità con luce di sincrotrone

Utilizzando sorgenti di radiazioni X convenzionali soltanto alcune righe caratteristiche (ad esempio CuKα, MoKα) sono sufficientemente intense e di lunghezza d’onda appropriata per trovare impiego nella risoluzione di problemi di cristallografia strutturale. La radiazione di sincrotrone, prodotta quando elettroni in movimento a velocità prossime a quella della luce sono deflessi da campi magnetici, ha invece uno spettro molto più ampio e consente di scegliere la lunghezza d’onda più opportuna per minimizzare l’assorbimento ed i danni da radiazione; comunque la proprietà più importante di questa radiazione è la sua alta brillanza, intesa come il numero di fotoni al secondo, per unità di area della sorgente, per angolo solido unitario e per larghezza di banda relativa dello 0.1% (ossia, ad esempio, per fotoni di energia pari a 10 KeV si considerano quelli aventi energia fra 9095 e 10005 KeV).

La raccolta di dati di intensità con luce di sincrotrone è stata eseguita presso il laboratorio Elettra, a Basovizza (Trieste). Gli elettroni sono generati all’interno di un LINAC (Linear Accelerator), lungo 66 metri, prima di essere inseriti all’interno di un anello di accumulazione di terza generazione, di circa 40 metri di raggio. L’energia degli elettroni circolanti all’interno dell’anello può raggiungere i 2.4 GeV. La brillanza della “luce di sincrotrone” ottenuta nel laboratorio Elettra è dell’ordine di 1019 fotoni/s/mm2/mrad2/0.1% bw; si tratta di una radiazione 1012 volte più intensa di quella ottenibile attraverso sorgenti convenzionali. La “linea di luce” XRD1, utilizzata per raccogliere i dati di intensità sui cristalli studiati in questa tesi, è stata disegnata appositamente per studi cristallografici sulle macro-molecole. La stazione sperimentale è equipaggiata con un rivelatore CCD da 165 mm di diametro, oltre ad un sistema di raffreddamento per effettuare studi a bassa temperatura (solitamente 100 K). La lunghezza d’onda può essere variata in funzione delle esigenze sperimentali.

Le peculiari caratteristiche della radiazione di sincrotrone consentono di effettuare raccolte su cristallo singolo in tempi molto brevi (da mezz’ora ad un’ora) anche da cristalli di dimensioni estremamente minute o di scarsa qualità. Inoltre è possibile utilizzare anche le informazioni contenute nei riflessi deboli e debolissimi che non sono misurabili con sufficiente accuratezza con radiazione generata da sorgenti convenzionali. Questo fatto si è rivelato di estrema utilità nello studio di alcuni cristalli di disilicati di Zr-Ti-Nb-REE delle Iles de Los la cui struttura non sarebbe altrimenti risultato possibile risolvere o raffinare. Durante la raccolta dei dati, il cristallo, posto su una testina goniometrica senza particolare orientazioni, viene ruotato di un angolo φ definibile dall’operatore; per ogni valore di Δφ viene raccolta dal rivelatore areale una immagine nella quale compaiono i riflessi presenti in quella regione di reticolo reciproco. Raccolto il numero di frame

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stabilito all’inizio dell’esperimento (generalmente in numero tale da coprire un intervallo angolare di almeno 180°), le immagini vengono processate con opportuni programmi che consentono di ricavare i parametri reciproci (e quindi quelli diretti) della fase studiata, andando così ad indicizzare tutti i riflessi raccolti e a misurarne l’intensità.

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