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Arbitro bancario finanziario - Judicium

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STEFANO DELLE MONACHE

ARBITRO BANCARIO FINANZIARIO (*)

Sommario: 1. Note generali. – 2. L’ABF in rapporto al sistema della mediazione in materia civile e commerciale ex d.lgs. n. 28/2010. – 3. Il campo di applicazione dell’ABF. – 4. Estraneità dell’ABF alla funzione giurisdizionale. – 5. Le decisioni dell’ABF come atti di natura amministrativa: conseguenze sul rapporto giuridico oggetto di controversia. – 6. L’adempimento dell’intermediario. – 7. L’Ombudsman- Giurì Bancario.

1. – Il sistema dell’ABF, di cui qui ci si occupa (1), trova il suo fondamento, per quanto riguarda la disciplina normativa di rango primario, nell’art. 128-bis d.lgs.

1.9.1993 n. 385 (t.u.b.), introdotto dalla l. 28.12.2005 n. 262 (c.d. legge sul risparmio) sulla scorta delle iniziative assunte dall’UE in materia di alternative dispute resolution (2).

Le linee fondamentali dell’istituto, come previsto in tale art. 128-bis, sono state tracciate dal CICR, il quale ha provveduto con delibera del 29.7.2008, a cui hanno fatto seguito, su delega del CICR stesso (3), le disposizioni di attuazione emanate da Banca d’Italia (in adempimento – essa ha precisato – dei propri «compiti di carattere normativo») (4), una prima volta in data 18.6.2009 e da ultimo con provvedimento del 12.12.2011 (G.U. 19.12.2011 n. 294), adottato al fine di coordinare la disciplina dell’ABF con il d.lgs. 4.3.2010 n. 28 sulla mediazione in materia civile e commerciale, ma anche per la necessità di risolvere alcune questioni emerse nella prima fase applicativa.

È già l’art. 128-bis t.u.b., peraltro, a stabilire che «i soggetti di cui all’art. 115 aderiscono a sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela».

Questi soggetti sono le banche e gli intermediari finanziari, verso i quali opera non già un invito, ma una norma con contenuto di comando, come le citate Disposizioni della Banca d’Italia, con specifico riferimento all’ABF, aiutano a chiarire (5), avuto

* Il testo rielabora la relazione presentata al Convegno “Gli strumenti alternativi di soluzione delle controversie”, Treviso, 22-23 giugno 2012.

1 Per una completa bibliografia, FINOCCHIARIO, L’arbitro bancario finanziario tra funzioni di tutela e di vigilanza, Milano, 2012, p. 1 nt. 1.

2 La disposizione è stata modificata, da ultimo, per effetto del d.lgs. 13 agosto 2010 n. 141.

3 Si veda l’art. 7, 1° comma: «La Banca d’Italia emana le disposizioni applicative della presente delibera». Per la legittimità di questa delega, GUCCIONE eRUSSO, L’arbitro bancario finanziario, in Nuove leggi civ. comm., 2010, p. 475 ss. ed ivi 480.

4 In generale, sul problema della potestà regolatoria delle autorità amministrative indipendenti, si vedano i rilievi, sia pure sintetici, di MERUSI, Il potere normativo delle autorità indipendenti, in L’autonomia privata e le autorità indipendenti a cura di G. Gitti, Bologna, 2006, p. 43 ss. Per la qualificazione della Banca d’Italia come autorità indipendente, COSTI, L’ordinamento bancario4, Bologna, 2007, p. 131 ss.

5 Si veda la Sezione II.

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riguardo all’ampia categoria degli «intermediari» lì definita (6). Tanto più che, in tale contesto, l’adesione all’ABF è indicata come una «condizione per lo svolgimento dell’attività bancaria e finanziaria», la cui sussistenza è demandato alla Banca d’Italia di verificare «nell’ambito della sua azione di controllo». E sono sempre le Disposizioni in parola a evidenziare che, in caso di mancata adesione, si applicherà, rispetto ai responsabili, «anche» la sanzione amministrativa prevista dall’art. 144, 4°

comma, t.u.b., mentre esse precisano, per altro verso, che non sono irricevibili i ricorsi presentati nei confronti dell’intermediario non aderente (7).

All’obbligo – ma non manca chi lo considera un onere (8) – degli intermediari fa da contrappunto il diritto dei loro clienti ad accedere al sistema dell’ABF. Tuttavia, non si tratta di due posizioni soggettive correlate all’interno di uno stesso rapporto giuridico, poiché l’obbligo di adesione grava sugli intermediari come tali, a prescindere dai singoli rapporti di cui essi siano parte con la propria clientela.

Piuttosto l’obbligo in questione è ciò che consente di desumere, sul piano interpretativo, la sussistenza del menzionato diritto: il quale sembra doversi intendere come un elemento di cui il rapporto contrattuale – o la relazione in essere (9) – si arricchisce in virtù di un fenomeno di integrazione ex lege, esso traducendosi nel potere, per il cliente che lamenti un inadempimento, di farne valere le conseguenze di fronte all’ABF (10). E occorre poi aggiungere che nelle Disposizioni della Banca d’Italia (11), sul presupposto che debba appunto riconoscersi esistente un tale «diritto del cliente di adire l’ABF», si stabilisce che, oltre a dover essere richiamato nella documentazione di trasparenza, questo diritto «non può formare oggetto di rinuncia da parte del cliente e deve essere espressamente previsto nel contratto se questo contiene clausole compromissorie o concernenti il ricorso ad altri meccanismi di risoluzione stragiudiziale delle controversie» (12).

Un ulteriore tratto costitutivo, poi, del sistema dell’ABF consiste nel fatto che, come si ricava dall’art. 128-bis, 3° comma, t.u.b., esso non può pregiudicare «per il cliente il ricorso a ogni altro mezzo di tutela previsto dall’ordinamento».

6 Sezione I, punto 3.

7 Sezione II, nt. 1.

8 RUPERTO, L’«Arbitro Bancario Finanziario», in Banca, borsa e tit. cred., 2010, I, p. 325 ss. ed ivi 330 s. In generale, per il rilievo che la normazione inerente all’ordinamento bancario si compone di «regole per gli operatori … in buona misura di tipo condizionale», AMOROSINO, voce «Banca (dir. amm.)», in Enc. dir., Agg. IV, Milano, 2000, p. 141 ss. ed ivi 147.

9 V. infra, § 3.

10 Per uno spunto nel senso del testo, GUCCIONE eRUSSO, L’arbitro bancario finanziario, cit., p. 480.

11 Sezione VII, punto 2.

12 In ordine al menzionato divieto di rinuncia, già previsto, per vero, dall’art. 2, 8° comma, della Deliberazione del CICR, si veda, tuttavia, RUPERTO, L’«Arbitro Bancario Finanziario», cit., p. 345 s., secondo cui, non potendosi parlare di nullità, ai sensi dell’art. 1418, 1° e 3° comma, c.c., se non in presenza di norme aventi forza di legge, la previsione succitata finirebbe con l’essere priva di valore precettivo, fermo che la rinuncia preventiva contenuta nel contratto concluso con l’intermediario dovrebbe considerarsi, se il cliente è un consumatore, vessatoria ai sensi dell’art. 33, 2° comma, lett. b), cod. del consumo.

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È riflesso qui un principio che connota l’intera categoria dei sistemi di adr: i quali non possono mai impedire l’accesso alla tutela giurisdizionale (13), che nel nostro ordinamento costituisce oggetto di un diritto incomprimibile, poiché di rango costituzionale (art. 24 Cost.).

Ma se questo è vero, non v’è ragione di dubitare che anche gli intermediari possano sempre accedere alla tutela giurisdizionale dei loro diritti, sebbene la disposizione sopra citata si preoccupi di far salvo il principio solo con riguardo al cliente. Il che ben si comprende, considerando che è il cliente soltanto, non l’intermediario, a poter presentare ricorso all’ABF (14). Del resto, le Disposizioni della Banca d’Italia, sulla scorta di quanto già stabilito dal CICR (15), chiariscono che

«resta ferma la facoltà per entrambe le parti di ricorrere all’autorità giudiziaria ovvero ad ogni altro mezzo previsto dall’ordinamento per la tutela dei propri diritti e interessi» (16).

Peraltro, deve subito aggiungersi che – com’è noto – l’art. 5, 1° comma, d.lgs.

4.3.2010 n. 28, prima di essere dichiarato incostituzionale il 24.10.2012, aveva reso obbligatorio, in materia di contratti bancari e finanziari, l’esperimento preliminare della mediazione o della procedura istituita ai sensi dell’art. 128-bis t.u.b. L’accesso all’ABF assumeva dunque i tratti, da questo punto di vista, di un onere (17), solo il cui assolvimento consentiva di avvalersi della tutela giurisdizionale.

2. – L’obbligatorietà del preventivo ricorso al sistema all’ABF (salvo l’esperimento, in alternativa, del procedimento di mediazione) si esprimeva nell’essere stato esso elevato, per le controversie in materia bancaria e finanziaria, a

«condizione di procedibilità della domanda giudiziale».

Venuto meno tutto ciò con la citata pronuncia di incostituzionalità, non può dirsi tramontato, peraltro, l’interesse ad operare un corretto inquadramento dell’ABF rispetto all’istituto della mediazione.

L’art. 1 d.lgs. n. 28/2010 definisce la mediazione come «l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa». Sempre ai sensi della medesima disposizione, poi, sono qualificate come mediatori le persone fisiche che svolgono l’attività di mediazione «rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti».

13 Si veda, in proposito, anche l’art. 5, 2° comma, della Direttiva 2008/52/CE in materia di mediazione sulle controversie transfrontaliere civili e commerciali.

14 GUCCIONE eRUSSO, L’arbitro bancario finanziario, cit., p. 479.

15 Si veda l’art. 6, 8° comma, della Deliberazione del 29 luglio 2008.

16 Sezione VI, punto 3. In dottrina, sulla salvezza anche per l’intermediario dell’accesso alla tutela giurisdizionale dei propri diritti, RUPERTO, L’«Arbitro Bancario Finanziario», cit., p. 327 ss.

17 CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile2, III, Torino, 2012, p. 32.

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La mediazione è funzionale, perciò, a facilitare la formazione di un accordo quale strumento compositivo della controversia in corso, essa trovando così il suo baricentro, da questo punto di vista, nella volontà degli interessati, mentre il mediatore resta privo di qualunque potere di natura autoritativa che possa essere esercitato nei loro confronti (18). Tuttavia, accanto alla mediazione puramente facilitativa, diretta a stimolare la ricerca di una soluzione concordata della controversia, il citato art. 1 d.lgs. n. 28/2010 fa testuale riferimento anche ad una mediazione c.d. valutativa o aggiudicativa, in cui il ruolo del mediatore assume connotazioni di tipo propositivo, dacché è egli stesso a individuare, in questo caso, un’ipotesi di accordo tra gli interessati (19).

La figura della mediazione c.d. valutativa o aggiudicativa, anzi, sta al centro della previsione dettata dall’art. 13, 1° comma, d.lgs. n. 28/2010, il quale pone le spese successive alla proposta proveniente dal mediatore a carico della parte vincitrice che l’abbia rifiutata, sempre che il provvedimento che definisce il giudizio corrisponda interamente al contenuto della proposta medesima.

Ebbene, svolte queste brevi osservazioni, si può concludere che l’attività rimessa all’ABF non consiste certo nell’assistere le parti nella ricerca di una composizione amichevole della controversia. Siamo del tutto al di fuori, cioè, dell’area propria della mediazione c.d. facilitativa.

Piuttosto, esiste una qualche vicinanza con la mediazione c.d. valutativa o aggiudicativa, nel senso che la decisione adottata dall’ABF – lo si vedrà meglio in seguito – potrebbe essere recepita come contenuto di un accordo diretto a definire la lite in corso.

Sennonché esiste un profilo di marcata specificità, a parte qualunque altro rilievo, che separa irrimediabilmente l’ABF dal sistema della mediazione. Il punto potrà meglio essere illuminato in esito all’analisi svolta nel prosieguo, ma fin d’ora si può anticipare come le decisioni dell’ABF sembrino dover essere riportate, quanto alla loro natura, alla categoria degli atti amministrativi, come vedremo. Queste decisioni sono pertanto dotate di forza vincolante verso l’intermediario: mentre il mediatore è privo, in ogni caso, «del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti».

3. – L’art. 128-bis t.u.b. prevede – come detto – che «i soggetti di cui all’art. 115 aderiscono a sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela».

18 Queste caratteristiche – va aggiunto – rispondono al modello delineato, per le controversie transfrontaliere in materia civile e commerciale, dalla Direttiva 2008/52/CE, in cui la mediazione è definita come «un procedimento strutturato, indipendentemente dalla denominazione, dove due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un mediatore» (art. 3 lett. a).

19 In generale, quanto ai diversi modelli di mediazione, FINOCCHIARIO, L’arbitro bancario finanziario tra funzioni di tutela e di vigilanza, cit., p. 293 ss.

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Le Disposizioni dettate dalla Banca d’Italia, a loro volta, precisano la sfera soggettiva di rilevanza dell’ABF, statuendo che sono da considerare «intermediari» le banche, gli intermediari finanziari iscritti nell’albo di cui all’art. 106 t.u.b., i confidi iscritti nell’elenco di cui all’art. 112 t.u.b., gli istituti di moneta elettronica, gli istituti di pagamento, Poste Italiane S.p.a. in relazione all’attività di bancoposta da essa svolta (20).

A proposito invece del termine «clientela», utilizzato nell’art. 128-bis, 1° comma, t.u.b., esso è il frutto di un intervento di modifica legislativa operato con d.lgs. n.

303/2006, laddove la previsione normativa si riferiva, precedentemente, alle controversie delle banche e degli intermediari finanziari insorte con i «consumatori».

La categoria è specificata nelle Disposizioni della Banca d’Italia nel senso che per cliente deve intendersi il soggetto che ha stretto un rapporto contrattuale o è entrato in relazione con un intermediario per la prestazione di servizi bancari e finanziari, esclusi coloro che svolgono in via professionale la loro attività nei settori bancario, finanziario, assicurativo, previdenziale e dei servizi di pagamento (21).

Per quanto concerne poi l’ambito oggettivo di applicazione dell’istituto, esso abbraccia le «controversie relative a operazioni e servizi bancari e finanziari», mentre sono escluse le «controversie attinenti ai servizi e alle attività di investimento» oppure riferibili alle altre operazioni non assoggettate al titolo VI del testo unico bancario (“Trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti”), ai sensi dell’art. 23, 4° comma, d.lgs. 24.2.1998, n. 58 (22): tutte materie, queste ultime, rispetto alle quali, oltre al funzionamento di specifiche procedure di conciliazione e arbitrato (d.lgs. 8.10.2007 n. 179 e Reg. Consob 18.7.2012 n. 18275) (23), è funzionante un apposito organismo, l’Ombudsman-Giurì Bancario, cui verrà dedicata qualche riflessione nella parte finale di questo scritto (24).

Ciò posto, vale la pena di sottolineare, sempre avuto riguardo all’ambito oggettivo di applicazione dell’istituto, che esso si estende, come emerge dalla già ricordata definizione di coloro, la «clientela», cui spetta il potere di ricorso, non solo alle controversie scaturite da «un rapporto contrattuale» con l’intermediario, ma anche

20 Sezione I, punto 3.

21 Sezione I, punto 3.

22 Sezione I, punto IV.

23 Ai sensi dell’art. 4 Reg. n. 18275/2012, più precisamente, la Camera di conciliazione e arbitrato istituita presso la Consob «amministra i procedimenti di conciliazione e di arbitrato promossi per la risoluzione di controversie insorte tra gli investitori e gli intermediari per la violazione da parte di questi degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti nei rapporti contrattuali con gli investitori».

24 Ai sensi dell’art. 1 del relativo Reg., l’attività dell’Ombudsman è volta a «dirimere le controversie con la clientela aventi ad oggetto i servizi e le attività di investimento e le altre tipologie di operazioni non assoggettate – ai sensi dell’art. 23, comma 4 del Testo unico della finanza – al titolo VI del Testo unico bancario e quindi escluse dal sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie disciplinato ai sensi dell’art. 128-bis del medesimo Testo unico bancario, che ha iniziato la propria operatività il 15 ottobre 2009 con la denominazione di Arbitro Bancario Finanziario (ABF)».

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alle controversie di cui sia parte chi sia semplicemente entrato «in relazione» con costui. Questa specificazione non era contemplata nella disciplina originaria dettata dalla Banca d’Italia e costituisce una novità che, come si ricava testualmente dalle disposizioni di più recente fattura, porta a includere nella competenza dell’ABF le controversie derivanti da pretese fondate su fattispecie di responsabilità precontrattuale (25). Essa sembra poter assumere, tuttavia, un significato più ampio, conducendo a ritenere che l’ABF sia competente anche per altri titoli di responsabilità, aventi una più netta matrice extracontrattuale, fatti valere dal cliente contro l’intermediario (26).

Sul diverso piano, poi, del valore della controversia, mentre non vi sono limiti alla competenza dell’ABF se il ricorso ha per «oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà», il suo potere cognitivo risulta invece circoscritto alle pretese di importo non superiore a € 100.000, quando il cliente richieda «la corresponsione di una somma di denaro a qualunque titolo» (27). Entro il limite di valore appena precisato, dunque, il fondamento della richiesta del cliente potrà essere costituito tanto da un’obbligazione risarcitoria quanto da un’obbligazione restitutoria dell’intermediario.

Giunti a questo punto, preme più che altro riflettere, tuttavia, su alcune

“esclusioni” fissate dalla Banca d’Italia rispetto all’ambito oggettivo di applicazione dell’istituto.

L’ABF, anzitutto, non può conoscere delle «richieste di risarcimento dei danni che non siano conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento o della violazione dell’intermediario» (28).

Ora, è noto che, ai sensi dell’art. 1223 c.c., richiamato, per la responsabilità extracontrattuale, dall’art. 2056 c.c., il risarcimento comprende la perdita subita e il mancato guadagno, in quanto costituiscano una «conseguenza immediata e diretta»

dell’inadempimento o della condotta illecita causativa dell’evento di danno (29). Né questa regola può suonare estranea all’ABF, atteso che le sue decisioni debbono essere assunte «applicando le previsioni di legge e regolamentari in materia», oltre a

«eventuali codici di condotta ai quali l’intermediario aderisca» (30). Ma che cosa significa, allora, che esorbitano dai poteri di cognizione dell’ABF le richieste di

25 Sezione I, punto 3, nt. 2.

26 Per il tendenziale ampliamento della competenza dell’ABF ai casi in cui sia dedotta una responsabilità extracontrattuale dell’intermediario (come può accadere – e in concreto è accaduto – se il cliente lamenta di essere stato erroneamente segnalato ad una centrale rischi), FINOCCHIARIO, L’arbitro bancario finanziario tra funzioni di tutela e di vigilanza, cit., p. 69 ss.

27 Sezione I, punto 4.

28 Sezione I, punto 4.

29 In generale, sul rapporto di causalità nell’illecito civile, FRANZONI, L’illecito, in Trattato della resp.

civ. diretto da M. Franzoni, Milano, 2004, p. 55 ss., con analisi attenta ai due aspetti in cui il tema si scompone, la causalità presentandosi come nesso di derivazione dell’evento dannoso dalla condotta (causalità in fatto), nonché come criterio determinativo della rilevanza giuridica delle conseguenze patrimoniali sfavorevoli dipendenti dall’illecito (causalità giuridica).

30 Sezione VI, punto 3.

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risarcimento dei danni che non siano conseguenza immediata e diretta del comportamento dell’intermediario?

Si potrebbe ritenere, di primo acchito, che l’ABF sia tenuto a negare la propria competenza se riscontra che non sussiste un nesso causale rilevante tra l’inadempimento o l’illecito denunciati dal cliente e il danno che questi dimostri di aver subito. Tale prospettiva, però, condurrebbe a dover registrare l’anomalia di una declaratoria di incompetenza fondata sull’insussistenza del diritto di cui si domanda il riconoscimento.

In alternativa, la soluzione del problema potrebbe essere tentata, allora, movendo dall’interpretazione di chi ha sostenuto – secondo una linea di pensiero appartenente allo stesso alveo da cui origina la teoria della causalità adeguata – che occorra distinguere tra danni diretti e indiretti, concludendo poi che, nonostante il dettato dell’art. 1223 c.c., il risarcimento ben possa estendersi anche ai danni non costituenti una conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento o del fatto illecito, ma sempre che essi siano riconducibili all’uno o all’altro in base ad uno sviluppo causale regolare (31).

Su simili premesse la formula usata nelle Disposizioni della Banca d’Italia potrebbe essere intesa nel senso che la competenza dell’ABF sia da riferire soltanto ai danni che derivano immediatamente e direttamente dall’inadempimento o dall’illecito dell’intermediario, esclusi rimanendo invece i danni ulteriori (pur risarcibili, se qualificati dalla sussistenza di un nesso di causalità regolare). Tuttavia, al pari dell’altra sopra delineata, volta a tradurre in una ragione di incompetenza un deficit attinente al fatto costitutivo del diritto, neanche l’ipotesi ricostruttiva adesso in questione appare soddisfacente, se è vero che condurrebbe allo spezzamento della pretesa risarcitoria, impedendo che essa possa essere fatta valere davanti all’ABF per quella sua parte relativa ai danni che, sebbene indiretti, si siano prodotti secondo un criterio di normalità, in base ai dati dell’esperienza (32).

Vi sono buone ragioni per ritenere, in definitiva, che sia necessario svalutare il riferimento, contenuto nelle Disposizioni della Banca d’Italia, ai «danni che non siano conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento o della violazione dell’intermediario»: un riferimento in cui deve cogliersi un innocuo richiamo, in realtà, alla formula dettata dall’art. 1223 c.c., esso assumendo lo stesso significato che a questa viene comunemente attribuito, e senza che sia dato concludere, perciò, che il

31 DE CUPIS, Il danno. Teoria generale della responsabilità civile3, I, Milano, 1979, p. 230 ss.: « … il danno mediato e indiretto sembrerebbe, a fermarsi alla lettera della legge, sempre escluso dal risarcimento, ma in realtà corrisponde all’intenzione della legge stessa che tale esclusione si limiti al danno mediato e indiretto in quanto irregolare».

32 In ordine alle regole sulla causalità giuridica che l’interpretazione corrente trae dall’art. 1223 c.c., FRANZONI, Il danno risarcibile, in Trattato della resp. civ. diretto da M. Franzoni, Milano, 2004, p. 15 ss., ma con la precisazione che segue: «Se la sequela del fattore causativo sia regolare e normale … solo in apparenza il danno è mediato e indiretto, dato che solo al termine del giudizio sul rapporto causale il danno può apparire quale conseguenza immediata e diretta».

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risarcimento possa essere riconosciuto al ricorrente solo rispetto ai danni che si siano sviluppati in connessione immediata e diretta con il fatto imputabile all’intermediario.

Altrettanto ambiguo, peraltro, è il passaggio delle Disposizioni della Banca d’Italia in cui si stabilisce che «non possono essere sottoposte all’ABF le controversie per le quali sia intervenuta la prescrizione ai sensi della disciplina generale» (33).

Siccome l’avvenuto decorso del termine prescrizionale, ex art. 2938 c.c., non può essere rilevato d’ufficio, il citato disposto normativo parrebbe dover essere inteso nel senso che, se l’intermediario eccepisce la prescrizione rispetto alla pretesa fatta valere dal cliente, il procedimento sia destinato a concludersi, anziché con il rigetto nel merito della richiesta, con una pronuncia in rito dell’organo decidente, il quale dichiari la propria incompetenza. Ma ci si troverebbe allora al cospetto, nuovamente, di una vistosa anomalia rappresentata dal possibile intervento di una declinatoria di competenza in una situazione in cui si rivela insussistente il diritto di cui è stata promossa la tutela davanti all’ABF.

Meglio dunque optare, anche in questo caso, per un’interpretazione tesa sostanzialmente a svilire – per ragioni di coerenza sistematica – il passaggio in esame delle Disposizioni della Banca d’Italia, ammettendo che il riconoscimento della fondatezza dell’eccezione di prescrizione opposta dall’intermediario debba condurre ad una pronuncia di merito tesa a respingere la richiesta avanzata dal cliente.

4. – Nelle Disposizioni della Banca d’Italia dettate a disciplina dell’istituto si legge che «l’ABF svolge in autonomia le proprie funzioni, delle quali ha la piena ed esclusiva titolarità» (34).

Quali sono queste funzioni e qual è la loro natura?

Prima di tentare una risposta al quesito, tuttavia, alcuni dati ancora debbono essere posti in evidenza.

Anzitutto, l’accesso all’ABF dev’essere preceduto da un preventivo reclamo inoltrato dal cliente all’intermediario. Il cliente che non abbia ottenuto soddisfazione mediante il reclamo (anche nel caso in cui questo sia rimasto senza esito per i successivi trenta giorni) può, entro dodici mesi dalla sua presentazione, proporre ricorso all’ABF, purché il ricorso verta sulla stessa questione esposta nel reclamo. Il procedimento davanti all’ABF costituisce una fase di gravame, in certo senso, rispetto alla decisione (negativa) assunta sul reclamo: tanto che, secondo le Disposizioni della Banca d’Italia, i reclami debbono essere trattati dagli intermediari anche alla luce degli orientamenti formatisi in seno all’ABF (35).

33 Sezione I, punto 4, nt. 3.

34 Sezione I, punto 1.

35 Sezione VI, punto 1.

(9)

L’intermediario, ricevuta comunicazione del ricorso proposto dal cliente, presenta le proprie controdeduzioni ed è tenuto a cooperare allo svolgimento della procedura, rendendo possibile una pronuncia sul merito della controversia (36).

L’istruttoria è soltanto documentale e la decisione dell’ABF è presa – come già accennato – applicando le previsioni di leggi e regolamentari in materia, nonché gli eventuali codici di condotta a cui l’intermediario aderisca (37).

Se il ricorso è accolto, l’ABF fissa il termine entro il quale l’intermediario deve adempiere. L’inadempimento dell’intermediario o il fatto che questi non abbia cooperato al funzionamento della procedura (in particolare, omettendo l’invio della documentazione richiesta, con conseguente impossibilità di una pronuncia sul merito) sono resi pubblici «sul sito internet dell’ABF e, a cura e spese dell’intermediario, in due quotidiani ad ampia diffusione nazionale» (38).

Questi dunque i tratti che connotano il procedimento in parola, avuto riguardo, segnatamente, al suo avvio e alla sua conclusione. Dopo di che bisogna aggiungere, per venire al problema delle funzioni assolte dall’ABF, che la disciplina ad esso riferibile e il lessico con cui è formulata parrebbero suggerire che l’istituto debba essere collocato in un luogo prossimo alla giurisdizione.

Già nell’art. 128-bis t.u.b. si usano espressioni, come «organo decidente» e

«effettività della tutela», le quali confermano la lontananza esistente tra l’ABF e i comuni sistemi di mediazione e conciliazione: dove non si assumono decisioni né le parti mirano, propriamente, a ottenere tutela in ordine ai propri diritti, essendo solo facilitata la ricerca dei possibili spazi per una composizione amichevole della controversia in corso (39).

Le Disposizioni dettate dalla Banca d’Italia, poi, accentuano questa spinta centrifuga rispetto al consueto modello dei sistemi di adr, rendendo più marcate, al contempo, le affinità dell’ABF rispetto alla struttura dei procedimenti improntati ad una funzione giurisdizionale.

Così, non solo è stabilito che la procedura davanti all’ABF si concluda con una decisione sul ricorso, la quale dev’essere corredata da apposita motivazione, ma si usano espressioni come «cognizione dell’organo decidente», «accertamento di diritti, obblighi e facoltà», «pronuncia sul merito della controversia», «cessazione della materia del contendere», «dispositivo» (40).

36 Sezione VI, punto 1.

37 Sezione VI, punti 2 e 3.

38 Sezione VI, punti 3 e 4.

39 La tutela assicurata dall’ABF ai diritti del cliente, peraltro, è soltanto indiretta (FINOCCHIARIO, L’arbitro bancario finanziario tra funzioni di tutela e di vigilanza, cit., p. 8), come emergerà nel seguito del discorso.

40 Sezione I, punto 4; Sezione VI, punti 1, 2 e 3.

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È istituito, ancora, un Collegio di coordinamento al quale sono rimesse le questioni di particolare importanza o su cui si sono manifestati orientamenti non uniformi tra i singoli Collegi territoriali. E le decisioni del Collegio di coordinamento assumono il valore di precedenti che, sebbene non dichiarati vincolanti, esprimono una sicura rilevanza sulle pronunce successive dei singoli Collegi territoriali, tanto che questi dovranno eventualmente esplicitare, nella parte motiva della decisione, le ragioni per cui ritengono che il caso concreto abbia specificità tali da rendere necessaria una soluzione diversa rispetto a quella già adottata dal Collegio di coordinamento (41).

È prevista persino una sospensione dei termini relativi al procedimento durante il mese di agosto e nel periodo dal 23 dicembre al 6 gennaio (42).

Ora, nonostante queste affinità strutturali, evidenziate da indicazioni terminologiche cui altre se ne accompagnano, tuttavia, di segno diverso – il ricorrente, così, non propone una domanda, ma presenta una semplice «richiesta», se del caso relativa alla «corresponsione di una somma di denaro», non già alla condanna dell’intermediario (43) –, non può esservi dubbio che l’attività dell’ABF non partecipa in alcun modo della funzione giurisdizionale, mentre essa sembra rientrare, come può fin d’ora anticiparsi, nello svolgimento di compiti di natura amministrativa (44).

Dal primo punto di vista, non si tratta tanto di escludere che, mediante l’ABF, sia stato costituito un giudice speciale, nel senso in cui questa espressione ricorre nell’art.

102, 2° comma, Cost.: piuttosto, occorre mettere in evidenza che, a dispetto del fraseggiare delle fonti, deve aversi per sicuro che la decisione assunta dall’ABF non produce alcuna efficacia sul rapporto sostanziale oggetto della controversia a cui il ricorso si riferisce.

A proposito di questa decisione, dunque, non potrebbe ripetersi quanto l’art. 824- bis c.p.c. dispone in ordine al lodo con cui si conclude l’arbitrato rituale, e cioè che essa abbia «gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria».

Anche se affermare, come stiamo facendo, l’estraneità dell’ABF alla funzione giurisdizionale, sul rilievo che le sue decisioni, differentemente da quelle degli arbitri rituali, non incidono sul rapporto oggetto di controversia, sicché non è neanche ipotizzabile che possano produrre effetti equiparabili a quelli di una sentenza di merito, significa muovere da un orizzonte di riferimento, quanto alle relazioni tra giurisdizione e arbitrato, che sembra doversi considerare non più attuale. Sulla scorta

41 Sezione III, punto 5.

42 Sezione VII, punto 3.

43 Sezione I, punto 4.

44 Sulla giurisdizione come «oggettivo concretarsi dell’ordinamento», inteso nella sua universalità, MONTESANO, La tutela giurisdizionale dei diritti, in Trattato di dir. civ. it. fondato da F. Vassalli, Torino, 1985, p. 4.

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di un dibattito sviluppatosi in maniera ampia e con ricchezza di spunti significativi (45), la giurisprudenza ha finito con l’accogliere l’idea, infatti, che l’attività degli arbitri rituali non parteciperebbe in alcun modo della funzione giurisdizionale, come si ripete con una certa costanza almeno da un paio di lustri (46), anche dopo l’intervento riformatore del 2006 (47), secondo un indirizzo interpretativo che la dottrina maggioritaria pare propensa a condividere, a volte con toni di assoluta nettezza (48).

Sembra giustificato ritenere, peraltro, che l’equiparazione quoad effectum del lodo alla sentenza, sancita dalla più recente riforma in tema di arbitrato (49), specie se la si consideri alla luce di altre disposizioni assai significative che hanno fatto la loro comparsa nel codice di rito, come l’art. 819-ter, ma ancor prima nel codice di diritto sostanziale, come gli artt. 2652, 2° comma, 2943, 4° comma, 2945, 4° comma (50), non possa significare il semplice riconoscimento dell’idoneità del lodo, come atto di natura privata, ad incidere sul rapporto controverso nella stessa misura in cui, a sua volta, può farlo la sentenza, non vedendosi la ragione, oltre tutto, per cui il legislatore si sarebbe dovuto far carico di precisare un qualcosa di tanto scontato (51).

Piuttosto, l’art. 824-bis c.p.c. – nonostante l’ampia presa di posizione contraria cui s’è fatto cenno – testimonia di una prossimità difficilmente negabile, secondo noi,

45 Il cuore del problema, quasi trent’anni orsono, veniva lucidamente individuato da MONTESANO, La tutela giurisdizionale dei diritti, cit., p. 42, il quale, richiamandosi all’art. 825, 5° comma, c.p.c. di allora, secondo cui con il decreto del pretore il lodo era destinato ad acquistare «efficacia di sentenza», impostava il ragionamento nei seguenti termini: «se questa efficacia fosse la medesima delle sentenze pronunciate dalle pubbliche magistrature, agli arbitri non verrebbe affidato nulla di meno della funzione giurisdizionale decisoria sulla tutela dei diritti».

46 Il nuovo corso è stato avviato da Cass., sez. un., 3 agosto 2000, n. 527, la quale, abiurando il più antico orientamento in base a cui all’attività degli arbitri si riconosceva «natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario», ha affermato la «natura privata dell’arbitrato rituale e del dictum che lo definisce», conseguentemente concludendo che il processo arbitrale non può configurarsi «come affidamento agli arbitri di una frazione di quello stesso potere giurisdizionale che la legge attribuisce al giudice dello Stato e come forma sostitutiva della giurisdizione degli organi dello Stato».

47 Nel senso che «sia l’arbitrato rituale che quello irrituale hanno natura privata», Cass. 12 ottobre 2009, n. 21585.

48 Si veda, così, LUISO, Diritto processuale civile4, IV, Milano, 2007, p. 369 s., secondo cui «chiedersi se l’arbitrato rituale sia giurisdizione non ha significato, in quanto esso non è ovviamente giurisdizione».

49 Ma già anteriormente alla novella del 1994 l’art. 825, 5° comma, c.p.c. così stabiliva: «Il decreto del pretore conferisce al lodo efficacia di sentenza». Nel senso che «anche all’“efficacia di sentenza” (art.

825 cit. comma 5°) si possono attribuire contenuto e funzione in tutto privatistici», MONTESANO, La tutela giurisdizionale dei diritti, cit., p. 45.

50 Si confronti il contenuto di tali disposizioni con i corollari che si riteneva di poter desumere, in epoca precedente alla novella del 1994, dall’affermata natura «rigorosamente privatistica» dell’arbitrato rituale (MONTESANO, La tutela giurisdizionale dei diritti, cit., p. 45 ss.).

51 Invece, secondo LUISO, Diritto processuale civile, cit., p. 368 ss. e 425 s., l’identità di effetti tra lodo rituale e sentenza andrebbe spiegata muovendo dal più generale problema del rapporto tra giurisdizione e diritto sostanziale, problema da risolvere nel senso che, obbedendo l’intervento del giudice ad una logica surrogatoria là dove «il diritto sostanziale non abbia correttamente funzionato», ecco che

«l’effetto del negozio stipulato direttamente dalle parti, l’effetto del lodo e quello della sentenza possono essere e sono identici».

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dell’arbitrato alla funzione giurisdizionale (52), mentre non è questo un esito da ritenere in contrasto con il principio dettato dall’art. 102, 1° comma, Cost. (53).

Dopo di che deve tornarsi a sottolineare che le decisioni assunte dall’ABF sono prive di effetti sul rapporto oggetto di controversia tra l’intermediario ed il suo cliente, laddove la sentenza che chiude il processo civile (al pari del lodo arbitrale) interferisce sempre, se di merito, con il rapporto giuridico su cui interviene.

Può anzi precisarsi, a questo proposito, che essa, anche quando si limiti ad accogliere una domanda di mero accertamento, fa sì che il rapporto viva secondo la fonte e il contenuto che il giudice gli riconosce, in base ad un’indagine governata, oltre tutto, dal sistema delle preclusioni e dal principio di disponibilità delle prove (54). Con la conseguenza che parlare di accertamento, in ultima analisi, suona nei termini di una finzione (55). Tant’è vero che con il formarsi del giudicato non vi sarà più spazio – salvo i mezzi di impugnazione straordinari – per far valere il possibile scarto rintracciabile tra il rapporto come sussistente secondo le regole del diritto sostanziale e come dichiarato dal giudice in esito allo svolgimento del processo (56), essendo perciò «la situazione giuridica accertata insensibile, sotto il profilo della validità, ad una eventuale divergenza con la situazione giuridica anteriore» (57).

È in tal senso che l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato «fa stato» ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, secondo la formula, indubbiamente suggestiva, adottata nell’art. 2909 c.c., la quale ha il merito di mettere in luce il punto di intersezione esistente tra diritto sostanziale e processo. Ed è questa una conclusione, poi, che può ripetersi con riguardo all’arbitrato rituale, atteso il principio sancito dall’art. 824-bis c.p.c.

52 Incisivamente, al riguardo, CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile2, II, Torino, 2012, p.

157, secondo cui «dopo gli interventi sul c.p.c. della legge n. 25/1994, il lodo arbitrale rituale può considerarsi decisione (oggettivamente) giurisdizionale fin dalla sua sottoscrizione per quanto proveniente da soggetti privati».

53 Il problema dell’interferenza sull’arbitrato rituale dell’art. 102 Cost. è stato a lungo dibattuto.

Afferma che la disposizione citata «attiene all’organizzazione interna della giurisdizione statale, ma non si espande all’esterno, per postularne il monopolio», PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, I, Padova, 2000, p. 29. Più in generale, sul rapporto tra arbitrato rituale e Costituzione, CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, cit., p. 171: «Il lodo attualmente riceve dall’ordinamento … una immediata efficacia analoga a quella della sentenza, pur promanando da privati; né ciò lede gli artt.

25, 101 e 102 Cost.».

54 Sulla rilevanza, in ordine ai problemi considerati nel testo, degli oneri processuali e delle regole in materia di prove legali, CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, IV, Padova, 1926, p. 422.

55 Riferimenti alla teoria della finzione in CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 419 ss. 56 Nel senso che ai fatti di accertamento, il cui esempio più eminente è da rinvenirsi nel giudicato, debba essere negato un effetto meramente dichiarativo, FALZEA, voce «Efficacia giuridica», in Enc. dir., XIV, Milano, 1965, p. 432 ss. ed ivi 498 ss., il quale li riconduce piuttosto all’area della efficacia preclusiva, questa distinguendosi dall’efficacia sia costitutiva sia dichiarativa per la natura “ambivalente” delle trasformazioni che produce, essendo destinata a rimuovere una situazione di incertezza, senza presupporre «di necessità né la conservazione né la innovazione dello stato giuridico anteriore».

57 FALZEA, voce «Efficacia giuridica», cit., p. 507.

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Tutto ciò induce a ritenere, in definitiva, che la sentenza di merito e il lodo rituale siano espressione di un potere che può assumere valenza conformativa del rapporto giuridico su cui l’una o l’altro incidono: donde la conseguenza che, quando essi abbiano un contenuto di condanna, il fondamento ultimo dell’obbligo che si statuisce essere a carico del soccombente sarà sempre da riportare a quel medesimo rapporto (58), salva l’efficacia esecutiva appartenente, in modo esclusivo, al provvedimento giudiziale o arbitrale, in quest’ultimo caso sempre che sia intervenuta la dichiarazione di cui all’art. 825 c.p.c. (59).

Niente di tutto questo, invece, può ripetersi a proposito delle decisioni dell’ABF, le quali certamente non si sovrappongono al rapporto giuridico cui la controversia si riferisce, determinandone la conformazione a quanto stabilito dall’organo decidente (60). Le statuizioni contenute nell’atto con cui il procedimento si conclude, piuttosto, corrono parallele rispetto al rapporto esaminato, senza interferire con il suo modo d’essere secondo il diritto sostanziale: tanto che – come già si è precisato – «resta ferma la facoltà per entrambe le parti di ricorrere all’autorità giudiziaria ovvero ad ogni altro mezzo previsto dall’ordinamento per la tutela dei propri diritti e interessi»

(61).

Pertanto, se autorevolmente si è potuto dire, circa la sentenza, che «non risolve una questione, ma decide una lite» (62), i compiti dell’ABF, da questo punto di vista, appaiono essere di segno esattamente contrario. Il che non significa, tuttavia, dover negare qualsiasi efficacia sul piano giuridico agli atti (le “decisioni”) che esso emana.

Occorre solo aggiungere, a questo punto, che altro problema, tutt’affatto diverso, è ovviamente quello dell’incidenza che alla decisione dell’ABF potrebbe riconoscersi

58 A questa conclusione parrebbe opporsi l’art. 2953 c.c.: ma per l’opinione secondo cui esso dimostra, piuttosto, che l’accertamento inerente alla sentenza di condanna è «un accertamento costitutivo, nel senso che il credito subisce una modificazione rafforzativa», MONTESANO, La tutela giurisdizionale dei diritti, cit., p. 152 s.

59 È quasi inutile sottolineare come il tema della rilevanza giuridica dell’accertamento giudiziale sia di straordinario impegno dogmatico, unitamente a quello degli effetti derivanti dalla cosa giudicata, che gli è strettamente connesso: sicché, non solo non può immaginarsi di dedicare agli stessi, qui, un adeguato approfondimento, ma neanche sembra opportuno tentare l’indicazione di un’esaustiva bibliografia. Basti il rinvio, dunque, al quadro di riferimento offerto da BONSIGNORI, Della tutela giurisdizionale dei diritti, Art. 2907-2909, in Commentario del Cod. Civ. Scialoja-Branca a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 1999, p. 49 ss.

60 Nel linguaggio di CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 419, l’accertamento giudiziale «integra la norma di legge trasformandola in comando concreto; il comando è dopo la sentenza qualcosa di diverso da ciò che era prima».

61 Si veda, sul punto, RUPERTO, L’«Arbitro Bancario Finanziario», cit., p. 332: «La pronuncia dell’organo decidente … non porta a definizione la lite tra banca e cliente, che, come tale, resta inalterata e può in qualsiasi momento esser sottoposta alla cognizione di un giudice o di un arbitro, e del pari può essere risolta con una transazione, un negozio di accertamento o una conciliazione stragiudiziale».

62 Così, anche se mettendo a confronto la sentenza con la legge, CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, cit., p. 431, il quale precisa che, naturalmente, la prima «per decidere la lite, risolve le questioni, che quella presenta; ma questa risoluzione è mezzo, non fine».

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rispetto alla condanna alle spese disposta dal giudice con la sentenza che chiude il processo che sia stato davanti a lui avviato (art. 13, 1° comma, d.lgs. n. 28/2010).

5. – Una volta escluso che l’ABF svolga funzioni in qualche modo riconducibili all’ambito della giurisdizione civile (63), sembra piuttosto che la natura dei suoi compiti possa essere chiarita riportando gli stessi al quadro dell’azione di vigilanza svolta dalla Banca d’Italia.

Se si tiene conto di quel che l’art. 5 t.u.b. dispone quanto ai destinatari della vigilanza, ma ancor prima a proposito degli scopi che per suo tramite devono realizzarsi (sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, stabilità complessiva, efficienza e competitività del sistema finanziario, osservanza delle disposizioni in materia creditizia), se si considerano, altresì, gli enunciati con cui, nella versione più recente delle Disposizioni della Banca d’Italia, questa si riferisce all’attività e alle decisioni dell’ABF, dichiarando la prima rilevante (con formula che riecheggia, in parte, il citato art. 5 t.u.b.) «per il conseguimento di obiettivi di efficienza e competitività del sistema finanziario» e qualificando le seconde come elementi di un

«più ampio quadro informativo» da utilizzare «nello svolgimento della propria funzione regolatrice e di controllo» (64), ebbene, quando appunto si valuti tutto ciò, riesce difficile negare, nonostante l’espunzione del riferimento alla «attività di vigilanza» contenuto nella prima versione della disciplina dedicata al nostro istituto (65), che proprio entro tale ambito esso trovi la sua collocazione naturale (66).

Dopo di che è da chiedersi, tenuto conto che l’esercizio della vigilanza, al di là dei

«poteri formalizzati» di cui, in particolare, all’art. 53, 3° comma, t.u.b., conosce una prassi di «interventi di moral suasion … che sempre più vanno strutturando … un quadro di controllo consulenziale continuo» (67), se in questa luce debbano essere riguardate anche le decisioni dell’ABF.

Una simile prospettiva non sembra tuttavia convincente. E per rendersene conto occorre tornare all’obbligo di adesione all’ABF da parte delle banche e degli intermediari che si ricava dal dettato dell’art. 128-bis, 1° comma, t.u.b.

63 In questo senso, del resto, si è espressa anche la Corte Cost. (ord. 21.7.2011, n. 218), conseguentemente negando la legittimazione dell’ABF a sollevare questioni di legittimità costituzionale.

64 Si veda la Sezione I, al punto 1.

65 Cfr. la Sezione VI, punto 4, delle Disposizioni della Banca d’Italia, secondo il testo originario del 18 giugno 2009: «Gli esiti dei ricorsi sono valutati dalla Banca d’Italia per i profili di rilievo che essi possono avere per l’attività di vigilanza».

66 Parla di «una piena integrazione funzionale dell’attività del nuovo organismo nell’attività di vigilanza», ANTONUCCI, Diritto delle banche4, Milano, 2012, p. 380. Ampiamente, a questo riguardo, FINOCCHIARIO, L’arbitro bancario finanziario tra funzioni di tutela e di vigilanza, cit., p. 20, 30, 33 s. e 355 ss., ma giungendo poi ad affermare, in base all’evoluzione del dato normativo, l’indipendenza dell’ABF dalla funzione di vigilanza, esso dovendosi qualificare come un «organo di supervisione … distinto e separato rispetto alla Banca d’Italia».

67 ANTONUCCI, Diritto delle banche, cit., p. 257.

(15)

Se si considera che l’istituzione dell’ABF è stata realizzata sul modello dell’Ombudsman-Giurì Bancario, ben presente al legislatore, poiché in funzione sin dal 1993 (68), un modello che si imperniava e ancora si regge – come meglio diremo – sul principio della vincolatività delle decisioni per i partecipanti al sistema, quale conseguenza della loro spontanea adesione al medesimo (69), ecco che il requisito dell’obbligatorietà dell’adesione, ricavabile invece dal citato art. 128-bis, 1° comma, t.u.b., rende scoperta una ratio – a noi sembra – intesa a far sì che le pronunce dell’ABF possano a loro volta assumere valore vincolante nei confronti di tutti i

«soggetti di cui all’art. 115» (70).

Sennonché questa vincolatività voluta dal legislatore, nel contesto pubblicistico in cui si trova ad operare, essendo associata ad atti, le decisioni dell’ABF, che attengono allo svolgimento della funzione di vigilanza rimessa alla Banca d’Italia (71), è un effetto giuridico che finisce, in realtà, col non essere per nulla dipendente dall’adesione dell’intermediario al sistema. Quest’ultima è obbligatoria e tale suo carattere – come dicevamo – evidenzia la ratio sottesa all’art. 128-bis, 1° comma, t.u.b., quale disposizione volta a far sì che le decisioni dell’ABF assumano valore vincolante nei confronti degli intermediari: sennonché codesto valore deve poi intendersi attribuito alle decisioni stesse per diretta volontà di legge (72).

Ma se questo è vero, bisogna desumerne che l’ABF costituisca un’articolazione della Banca d’Italia (73) operante mediante decisioni che, in ultima analisi, debbono essere considerate alla stregua di atti amministrativi destinati a produrre la loro efficacia, appunto, in direzione degli intermediari (74).

68 ANTONUCCI, Diritto delle banche, cit., p. 378.

69 Sul valore cogente, per l’intermediario, delle decisioni dell’Ombudsman, SANGIORGIO, Un esempio di giustizia “domestica” alternativa a quella dell’a.g.o.: l’ombudsman - giurì bancario, in Banca, borsa e tit. cred., 2009, I, p. 344 ss. ed ivi 349 e 351.

70 Afferma che le decisioni dell’ABF di accoglimento del ricorso sono vincolanti per l’intermediario, CAPRIGLIONE, La giustizia nei rapporti bancari e finanziari. La prospettiva dell’adr, in Banca, borsa e tit. cred., 2010, I, p. 261 ss. ed ivi 269 s.

71 Nel senso che l’art. 128-bis t.u.b. e la conseguente delibera del CICR «inquadrano il sistema nell’ambito della vigilanza regolamentare», ANTONUCCI, Diritto delle banche, cit., p. 380.

72 Si veda, ancora, CAPRIGLIONE, La giustizia nei rapporti bancari e finanziari, cit., p. 270, secondo cui

«si riscontra quivi l’abbandono di un fondamento volontaristico a fronte di una posizione di preminente rilievo assunta dall’Organo di vigilanza con riguardo alla definizione dei rapporti banca-controparti negoziali».

73 Così anche FINOCCHIARIO, L’arbitro bancario finanziario tra funzioni di tutela e di vigilanza, cit., p.

8, 338, 345, 363 e 372 s., salvo poi dubitarne, tuttavia, alla luce della più recente versione della disciplina dell’istituto, che ha accentuato i profili di autonomia dell’ABF.

74 Questo inquadramento risponde a una logica che, mutatis mutandis, è vicina a quella descritta da MERUSI, Il potere normativo delle autorità indipendenti, cit., p. 46, per spiegare l’interferenza sull’autonomia privata dell’esercizio della potestà regolatoria delle autorità indipendenti: «La pubblica amministrazione, sub specie di autorità amministrativa indipendente, fa quello che i privati non fanno o non vogliono fare, sostituendo a negozi privati decisioni amministrative».

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Soccorrono, a sostegno di questa tesi, le indicazioni che provengono dai contributi, ancora fortemente suggestivi (75), della dottrina cui si deve, sulla base di premesse fin troppo note (76), l’elaborazione della teorica che vede nell’ordinamento bancario un

“ordinamento giuridico sezionale” (77), in quanto organizzazione stabile di una pluralità di soggetti legittimati a svolgere un’attività economica, ma nel quadro di un rapporto di sottoposizione ad un organismo di vertice dotato di poteri regolatori (78).

Soccorrono, ancora, gli studi dedicati all’attività amministrativa di carattere contenzioso, intesa come quell’attività della pubblica amministrazione volta a risolvere conflitti di interessi, intercorrenti anche solo tra amministrati, mediante l’emanazione di provvedimenti di natura particolare, quali sono le decisioni amministrative (79).

Né appare convincente, in senso contrario, la tesi sostenuta già all’indomani del varo del nostro istituto (80) e recentemente ripresa nel più ampio studio sulla materia (81), secondo cui la decisione dell’ABF si ridurrebbe «a una sorta di parere pro veritate» sul caso sottoposto al suo esame, così traducendosi in un mero suggerimento o in una raccomandazione rivolta alle parti (o, per meglio dire, a quella che abbia visto accolte le ragioni dell’altra) (82). È questa una prospettiva – va sottolineato – cui nondimeno si accompagna il riconoscimento, tanto oggi (83) come ieri (84), della natura di provvedimento amministrativo dell’atto con cui è irrogata la sanzione reputazionale a carico dell’intermediario che non abbia cooperato allo svolgimento della procedura o, ciò che più interessa, che non si sia conformato alla decisione dell’ABF. Sennonché, anche considerando la stretta consequenzialità della sanzione e dunque l’automatismo, in una certa misura, con cui essa è applicata (85), riesce oltremodo difficile comprendere come il suo presupposto possa essere individuato in una condotta che sarebbe soltanto il segno, secondo l’ordine di idee

75 Nonostante la critica di cui sono stati fatti oggetto: si veda, in particolare, COSTI, L’ordinamento bancario, cit., p. 242 ss.

76 S.ROMANO, L’ordinamento giuridico, Milano, 1918.

77 Così, ancora dopo l’emanazione del t.u.b., GIANNINI, Il nuovo t.u. delle leggi bancarie e l’ordinamento sezionale del credito, in Le banche: regole e mercato a cura di S. Amorosino, Milano, 1995, p. 7 ss.

78 GIANNINI, Gli ordinamenti sezionali rivisitati (traendo spunto dall’ordinamento creditizio), in La ristrutturazione delle banche pubbliche a cura di S. Amorosino, Milano, 1991, p. 7 ss. Si veda, inoltre, AMOROSINO, voce «Banca (dir. amm.)», cit., p. 147 s.

79 Si rimanda, in proposito, alla puntuale, anche se non recente, sintesi di NIGRO, voce «Decisione amministrativa», in Enc. dir., XI, Milano, 1962, p. 810 ss., secondo cui «le decisioni sono il prodotto di un procedimento costruito in modo da dar rilievo ad un conflitto d’interessi o d’opinioni, che essi atti si applicano a risolvere», consentendo così che si realizzi uno «specifico interesse dell’amministrazione, l’interesse alla giusta soluzione del conflitto».

80 RUPERTO, L’«Arbitro Bancario Finanziario», cit., p. 335.

81 FINOCCHIARIO, L’arbitro bancario finanziario tra funzioni di tutela e di vigilanza, cit., p. 263, 296, 313 e 353.

82 FINOCCHIARIO, L’arbitro bancario finanziario tra funzioni di tutela e di vigilanza, cit., p. 263.

83 FINOCCHIARIO, L’arbitro bancario finanziario tra funzioni di tutela e di vigilanza, cit., p. 353 s.

84 RUPERTO, L’«Arbitro Bancario Finanziario», cit., p. 335.

85 Si veda il Comunicato della Banca d’Italia del 26.10.2010 con il quale, sia pure avuto riguardo al testo originario delle Disposizioni attuative, che rimetteva alle segreterie tecniche il compito di provvedere direttamente, salvo i casi dubbi, a rendere pubblici gli inadempimenti degli intermediari, si precisava che «la pubblicità costituisce … effetto automatico dell’inadempimento e non presuppone alcuna valutazione discrezionale da parte delle segreterie tecniche».

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qui esaminato, della non condivisione da parte dell’intermediario delle valutazioni espresse nel (semplice) parere pro veritate (che si assume) reso dall’ABF.

Sembra esservi, in altre parole, una contraddizione nell’intendere le decisioni dell’ABF in guisa di meri “responsi”, soltanto dotati di capacità persuasiva (86), ovvero quale pura fonte di suggerimenti – poiché tali, non affatto vincolanti – rivolti alle parti (87), al contempo però riconoscendo, com’è necessario, che (non già un atteggiamento sistematico e protratto di insensibilità rispetto a codesti suggerimenti, ma) anche solo il puntuale episodio di una singola inottemperanza ad una determinata decisione, non condivisa dall’intermediario, lo esponga al sicuro intervento della sanzione reputazionale.

Occorre dunque risalire “a monte” per individuare nella decisione stessa dell’ABF, prima e a prescindere dall’eventuale provvedimento sanzionatorio, un atto di natura amministrativa: ciò che ben si coniuga con il riconoscimento all’ABF, correttamente operato in seno alla medesima dottrina qui criticata, del ruolo di organo della pubblica amministrazione, operante mediante l’esercizio di una potere connotato in termini di discrezionalità, sebbene sia questa una discrezionalità di tipo meramente tecnico (88). Né il risultato qui proposto può dirsi smentito dalla sicura inidoneità delle decisioni dell’ABF a incidere sul rapporto di diritto sostanziale su cui è sorta controversia, poiché questa inefficacia non esclude affatto che la decisione favorevole al cliente possa esprimere la sua portata vincolante sul diverso piano delle relazioni – “verticali”, diciamo così – intercorrenti tra l’intermediario e gli organi posti a presidio del settore creditizio (89).

Su queste basi sembra potersi ritenere che la decisione di accoglimento della richiesta del cliente vada intesa e qualificata come un atto con cui l’ABF, agendo nell’ambito del rapporto di natura pubblicistica che lega Banca d’Italia ai soggetti su cui questa svolge la sua funzione di vigilanza, emana un ordine nei confronti dell’intermediario verso il quale il ricorso è stato proposto (90). Un tale atto, se dunque non è destinato ad incidere – lo si ripete – sul rapporto giuridico (privatistico) oggetto di controversia, nondimeno determina, in virtù dei poteri autoritativi che fanno capo alla Banca d’Italia, l’imposizione all’intermediario di un comportamento e

86 FINOCCHIARIO, L’arbitro bancario finanziario tra funzioni di tutela e di vigilanza, cit., p. 254 e 297.

87 FINOCCHIARIO, L’arbitro bancario finanziario tra funzioni di tutela e di vigilanza, cit., p. 263 s. e 353.

88 FINOCCHIARIO, L’arbitro bancario finanziario tra funzioni di tutela e di vigilanza, cit., p. 343 ss.

89 Si veda ancora, del resto, FINOCCHIARIO, L’arbitro bancario finanziario tra funzioni di tutela e di vigilanza, cit., p. 362 ss., il quale, dopo aver sostenuto che le decisioni dell’ABF costituirebbe atti simili ad un parere pro veritate, privi di qualunque effetto incidente sulla sfera giuridica delle parti, afferma che il fondamentale scopo dell’istituzione dell’ABF consisteva, almeno in origine, «nell’aver l’Autorità creditizia sostanzialmente delegato a questo lo svolgimento della funzione di vigilanza sugli intermediari nell’amplissimo settore della trasparenza delle condizioni contrattuali e di correttezza nei rapporti con la clientela», concludendo infine che «alla luce del particolare rapporto da cui sono legati Autorità creditizia e intermediari» sarebbe dato comprendere la vasta serie di «obblighi» su questi gravanti in relazione al sistema dell’ABF, tra cui l’obbligo di «adempiere alla decisione di accoglimento del ricorso del cliente».

90 Perciò, mentre è vero che la pronuncia dell’ABF non produce «alcun effetto giuridico tra le parti della controversia», non sembra si possa anche dire che da essa non scaturirebbe «alcun’altra conseguenza classificabile come effetto giuridico» (così, invece, RUPERTO, L’«Arbitro Bancario Finanziario», cit., p.

332 ss.; ma si veda anche Corte Cost., ord. 21.7.2011, n. 218, secondo cui la decisione «non assume, in realtà, alcun valore cogente per nessuna delle parti “in causa”»).

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