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NUOVI SCENARI IN TEMA DI COLPA MEDICA: QUALCHE SPUNTO DI RIFLESSIONE

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Academic year: 2022

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NUOVI SCENARI IN TEMA DI COLPA MEDICA:

QUALCHE SPUNTO DI RIFLESSIONE

Dr. Piero Gaeta

Premessa: qualche cifra per capire

Un intervento sulla responsabilità del medico contenuto in poco spazio e che sia originale ma sistematico somiglia molto ad un'impresa disperata: più che alla sintesi, dovrebbe farsi ricorso ad una enunciazione di punti problematici, ponendo sul tavolo solo i problemi, senza pretesa

alcuna di approfondimento.

Sono pertanto costretto a fare una cernita ed a fornire, con l'arbitrarietà che ogni scelta di questo tipo comporta, una selezione di problematiche, in base ad un unico criterio: quello del

“nuovo” che compare nel titolo della mia relazione. L'ampiezza del tema, insomma, autorizza a tralasciare quel che, nell'ambito della responsabilità medica, pare in qualche modo acquisito ed incontroverso (condizione, peraltro, rara in questa materia), ed a focalizzare, piuttosto, qualche nuovo confine che, nella materia in questione, pare profilarsi.

Un dato –banale, magari, all'apparenza- pare allora ottimale per incanalare la riflessione:

quello relativo al vorticoso aumento, in Italia, della percentuale dei parti con taglio cesareo

rispetto a quelli spontanei o vaginali.

Questa percentuale – che nel 1980 era dell' 11, 2 %- è cresciuta preogressivamente fino ad assestarsi, nell'anno 2000 al 33 % e con una proiezione, per l'anno 2004, che supera

largamente il 40 %.

In Campania, tale percentuale era già oltre il 53 % nel 2000 e questa “meta” del 50 % sta per essere raggiunta, oggi, da Sicilia e Puglia: come dire, un bambino su due, nel meridione d'Italia, nasce con il cesareo. L'Italia, dopo gli Stati Uniti, è la nazione al mondo in cui maggiormente si ricorre al taglio cesareo; in Europa, dietro di noi, vi è la Germania, con una percentuale di appena il 15 %: quella, cioè, che da noi si registrava più di un ventennio addietro.(1)

Sono cifre - che, peraltro, hanno già attirato l'attenzione dell'OMS, la quale reputa anomala ogni percentuale di tagli cesarei superiore al 10, 15 % del totale dei parti- allarmanti, probabilmente indizi di un malessere preciso:il parto cesareo – nonostante presenti una percentuale di mortalità delle partorienti di quattro-cinque volte superiore rispetto a quella delle due-tre donne che decedono ogni centomila partorienti “naturali- è largamente preferito dagli ostetrici italiani perché, statisticamente, abbatte le possibili implicazioni di responsabilità professionali per danni permanenti al neonato, rispetto al parto naturale.

Come dire: ecco un termometro significativo del sistema della responsabilità professionale del medico nel nostro Paese. Talmente poco assestato che, nell'ambito del settore Ostetrico- ginecolocico - terzo, dopo Ortopedia e Chirurgia per numero di denunce di errori professionali

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medici (2)- si pratica con percentuali triple, se non quadruple, rispetto alla media europea, la tecnica “difensiva” del parto cesareo.

Siamo davvero alla medicina difensiva nel nostro Paese ?

Siamo cioè in quella fase nella quale “i medici prescrivono extra-test, trattamenti principalmente per ridurre l'accusa di malpratice o visite, ma, soprattutto, evitano pazienti o trattamenti ad alto rischio, allo scopo di ridurre la propria esposizione al rischio? ” (3)

Domanda impegnativa, cui è difficile rispondere esaustivamente: certo è che, quanto a normativa, elaborazione giurisprudenziale e garanzie sociali, grande è la confusione sotto il cielo del nostro Paese e che sconcerto non minore si prova nel registrare, ancora, qualche ulteriore dato statistico sul contenzioso in ambito medico.

Ogni anno sono circa 150.000 le denunce aventi ad oggetto responsabilità mediche, nei vari ambiti giurisdizionali; attualmente, come ogni anno, sono in corso circa 12.000 processi – in sede civile e penale- con una complessiva richiesta risarcitoria che supera i due miliardi e mezzo di euro, circa 5.000 miliardi delle vecchie lire. Questo ha indotto le compagnie di assicurazione a triplicare l'entità dei premi ed, in generale, una dismissione dell'assunzione del rischio professionale da parte delle medesime compagnie.

Come dire: è il paradosso di una scienza medica che, nel giro di poco più di un secolo, ha conseguito lo straordinario risultato di quasi raddoppiare la lunghezza media della vita umana e che, al contempo, vede accrescere in misura esponenziale il contenzioso contro i suoi protagonisti, cioè i medici.(4)

Il “terribile diritto”: saltano le categorie tradizionali?

Sembra, insomma, che le cifre indichino un progressivo “accerchiamento” del giuridico sull'arte medica; che, insomma, il controllo sociale sulla primaria tutela della salute non possa esprimersi che attraverso la giurisdizione e che il rischio “del processo” per il medico (ma soprattutto della scherno mediatico che spesso vi fa da sfondo) sia quasi ineluttabile: sia, insomma, un costo sociale della medicina, pagato al progressivo ampliamento della tutela del malato, al suo riconoscimento costituzionale quale “soggetto debole” ed alla conseguente facilitazione del suo ristoro in esito ad inconvenienti, di vario genere, nell'attività di cura.

Direi che la prima “novità” in tema di responsabilità del medico pare proprio questo diverso orizzonte nel qual si colloca la responsabilità stessa.

Se infatti, per un verso, sentenze come la “Francese” (5) mirano a recuperare il rigore dell'accertamento giudiziale, attraverso un più preciso disegno del nesso causale, il panorama generale che fa da sfondo a tale pronunzia si pone nel segno esattamente contrario.

La prima, decisiva erosione delle categorie tradizionali si è attuata con il progressivo superamento dell'abituale distinzione tra “obbligazioni di mezzi” ed obbligazione di risultati”.

E' noto come la distinzione in questione assuma rilevanza soprattutto con riferimento ai presupposti dell'adempimento e, quindi, agli estremi dell' inadempimento. Infatti, «nelle obbligazioni di mezzi il debitore si obbliga allo svolgimento della propria attività con la dovuta diligenza , che costituisce, di regola, il criterio valutativo dell'adempimento stesso;

nelle obbligazioni di risultato, invece, vi è adempimento e, quindi, liberazione del debitore, solo qualora sia realizzato il risultato».(6) Muta, ovviamente, anche l'onere della prova:

nell'obbligazione di mezzi, è il creditore che deve provare la negligenza del debitore; in quella di risultato spetterà invece al debitore provare, ex art. 1218 Cod.civ., che il mancato

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raggiungimento del risultato, dedotto dal creditore, è stato determinato da una causa estranea a

lui n on imputabile.

Orbene, la configurazione della responsabilità del professionista intellettuale non discende – per un consolidato indirizzo giurisprudenziale- dal mancato raggiungimento del risultato, quanto piuttosto dal mancato investimento, nell'attività svolta, della diligenza da essa richiesta.

Ciò ha costituito, da sempre, la principale garanzia – soprattutto psicologica- per il medico: e cioè concepire l'attività medico-chirurgica come un'attività socialmente adeguata al miglioramento della salute del paziente nella quale, tuttavia, non si può garantire un risultato

«sebbene il paziente spesso creda nella possibilità di ottenere sempre un esito favorevole dai

trattamenti terapeutici adoperati» (7).

Oggi tuttavia -come acutamente evidenzia Pasquale Stanzione (8) - siamo sempre meno disposti ad accettare una nozione ‘incerta' di “esito” e, paradossalmente, proprio lo sviluppo della tecnica ha messo in crisi la distinzione garantista di obbligazione di mezzo e non di risultato. Gli interventi ‘routinari', per un verso, attenuano il rigore delle stessa distinzione, ponendo il medico nella situazione del professionista che –fatti salvi forza maggiore o caso fortuito- fornisce negli interventi assolutamente ‘normali' e banali la garanzia del risultato. Ed è proprio sugli interventi di routine o di c.d. facile esecuzione che, fin dalla sentenza leading case del 1978 (9), sembrano saltare le tradizionali categorie: perché, nel caso di mancato raggiungimento del risultato sperato, si innesta, in relazione ad essi, una presunzione di negligenza o imperizia del sanitario. Insomma: il risultato è tutt'altro che indifferente ed il mancato raggiungimento di esso può essere assunto «quale circostanza che fa presumere, fino a prova contraria (art. 2727 Cod.civ.) la negligente esecuzione della prestazione» (10).Come dire: negli interventi di facile esecuzione il risultato è in qualche modo “dovuto” (11) ed il mutamento dell'onere probatorio, più che essere una causa di tale piccola rivoluzione, ne è –

forse- un effetto.

D'altra parte, nulla esclude che il medico – come ogni professionista- si impegni a fornire un risultato. Il problema è che, da eccezione, questo fenomeno sta assumendo i contorni della regola, in ragione sia di una spietata concorrenzialità degli interventi medici (e l'assunzione dell'impegno ad un risultato è una formidabile ‘pubblicità' per il proprio ‘prodotto'…), che di una rincorsa senza fine verso l'iperspecializzazione, che ha senso (per costi umani, risorse, metodiche impegnate ecc.) solo se, alla fine, garantisce il risultato, non la semplice cura. E' fin troppo noto che gli ambiti in cui tale fenomeno è nato e si è sviluppato sono rappresentati dalla chirurgia plastica, ma anche dall'ortodonzia ed, in ambito ginecologico,dalla garanzia dell'infertilità della donna. E' la stessa giurisprudenza della Cassazione che, ormai da qualche anno (12), sottolinea che se il medico si obbliga a garantire l'infertilità della paziente, allora assume una vera obbligazione di risultato: e d'altra parte, in tali casi, l'obbligo di informazione che grava sul medico si indirizza sul risultato, come autentica assunzione del rischio da parte del medico stesso che a tanto si obbliga. In altro ambito –quello della chirurgia estetica ‘pura'- la valutazione della prestazione medica è sempre più spinta verso la realizzazione dell'evento, sì da soddisfare l'interesse del paziente/creditore.In tali casi, «la pur corretta esecuzione tecnica della prestazione non è sufficiente ad escludere la responsabilità per inadempimento del medico qualora a tale esecuzione non segue la realizzazione del risultato concordato» (13).

Questa parabola, lungi dall'essere completata, è ancor più accentuata dalla stessa odierna fenomenologia dell'intervento medico. Quest'ultimo, oggi, è ben raramente intervento isolato e scisso da ‘contorni' sempre più essenziali: è, invece, sempre più frequente che la cura consti di una serie di partecipazioni sanitarie inserite in una serie teleologica, all'interno della quale ogni risultato intermedio diviene mezzo del successivo. In tale contesto, «non è infondato sostenere che l'obbligazione del medico è, al tempo stesso, di mezzo e risultato» (14).

L'erosione della distinzione tra obbligazione di mezzi e risultato è completata da quella giurisprudenza che, sempre più frequentemente, ricorre al meccanismo della c.d res ipsa loquitur , secondo un approccio di causalità probabile o sospetta che «sembra trasformare

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quella medica- almeno per gli interventi di non difficile esecuzione- in una sorta di responsabilità oggettiva» sia pure «per esigenze di tutela del danneggiato» attraverso il ricorso ad un «criterio di causalità probabile o sospetta» (15).

Come dire: sembra fondato il grido d'allarme secondo cui «si intravede all'orizzonte che si va sempre più diffondendo in Europa, e prossimamente si ha motivo di ritenere anche in Italia, il principio della responsabilità presunta per legge, e cioè, in via generalizzata, del medico in

ogni caso di esito infausto» (16).

Traccia di ciò si rinviene in una proposta di direttiva del Consiglio delle Comunità Europee del 9 novembre 1990 sulle responsabilità prestatore di servizi che si era ispirata a principi analoghi a quelli contenuti nella direttiva n. 85/374 in tema di responsabilità del produttore per danni da prodotti difettosi, recepita, quest'ultima, con il d.P.R. n. 224 del 1988.

Il medico come il fabbricante di prodotti difettosi ? Ciò significherebbe che la persona danneggiata da un atto sanitario dovrebbe provare solo l'esistenza del danno e la prestazione sanitaria indicata come antecedente causale e che, per contro, ricadrebbe sul medico l'onere di dimostrare l'assenza della colpa nella sua attività:ogni danno lamentato potrebbe trovare il suo supporto probatorio nella presunzione legale di responsabilità del medico.

Gli effetti e gli scenari: a) la responsabilità da “contatto sociale”

La presunzione legale “generalizzata” di responsabilità del medico è solo un futuribile.

Conviene, invece, esaminare subito alcuni scenari che sono – come dire- il frutto di quella filosofia della “protezione” del paziente e che, in qualche modo, incidono sugli equilibri

complessivi della responsabilità medica.

Naturalmente, a causa del tempo, non è possibile che un affresco a grandi pennellate, senza sfumature.

Il primo di questi scenari è quello che attiene alla natura (e, quindi, al fondamento) della responsabilità del medico dipendente da un ente di cura pubblico per i danni arrecati al paziente. Qui,il “nuovo” è rappresentato da quel che è seguito alla svolta nella giurisprudenza della Suprema Corte, che, con la nota sentenza n. 589 del 1999 (17) –autentico leading case in materia- ha virato rispetto al passato. La svolta non riguarda soltanto la natura della responsabilità del sanitario dipendente da una struttura pubblica rispetto al paziente che si sottopone alle sue cure – che diviene una responsabilità di tipo contrattuale o da inadempimento -, quanto le motivazioni che sorreggono questa nuova configurazione.

Infatti, anche in passato non erano mancate configurazioni della responsabilità del medico dipendente da struttura sanitaria pubblica come responsabilità di tipo contrattuale; ma a ciò si era pervenuto percorrendo sentieri in qualche modo già battuti. Si era infatti affermato che, dovendo l'ente ospedaliero rispondere a titolo contrattuale ed essendo identica la radice della responsabilità tra ente e dipendente (negligente svolgimento dell'attività diagnostica), anche quest'ultimo avrebbe dovuto rispondere a titolo contrattuale. In alternativa, ci si era ormeggiati alla particolare ed ellittica figura del c.d. contratto con effetti protettivi a favore di terzo , secondo cui –configurandosi esigibile, accanto al diritto alla prestazione principale, anche un diritto a che non siano arrecati danni a terzi - in caso di inadempimento di tale prestazione accessoria, anche l'utente della struttura pubblica sarebbe legittimato ad agire ex contractu , per vedersi risarcito di una prestazione accessoria di protezione non adempiuta.

Nell'ambito della teoria del “contatto sociale” –come sostenuto, invece, nella innovativa pronuncia citata-, pur non essendovi alcun contratto che vincoli il sanitario al paziente, la responsabilità del primo per i danni cagionati al secondo ha natura contrattuale , in quanto essa si fonda sul contatto sociale che fra loro si instaura in seguito all' affidamento del paziente

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alle cure del medico.

La Corte,in breve,valorizza il fenomeno sociale – la “realtà materiale”, viene definita in sentenza- che fonda il sorgere dell'obbligazione, più che sulla tradizionale categoria del contratto, sull'affidamento che un soggetto ripone in un altro a seguito di un contatto che fra loro si è creato ed in forza del quale una parte – a seguito di atti e/o iniziative di un'altra – è indotta a ritenere sussistenti doveri e pretese di comportamento. (18) In pratica, viene espressamente riconosciuta dal Giudice della legittimità, la possibilità di una vera e propria dissociazione tra la fonte e l'obbligazione che ne scaturisce: pur non essendovi contratto, sorge un'obbligazione - indipendentemente da esso o di un illecito aquiliano- e si innesta un

principio di responsabilità contrattuale.

Cosa significa questo passaggio dalla responsabilità aquiliana o extracontrattuale a quella

contrattuale ?

Significa molto, per i giuristi : ma anche per i medici è tutt'altro che indifferente.

Conviene spiegare perché, soprattutto per i non giuristi, cui questo corso è destinato. Per rimanere all'essenziale: la responsabilità aquiliana o extracontrattuale prescinde dall'esistenza di vincoli particolari e presuppone, invece, un atto illecito posto in essere in violazione del principio del neminem ledere ; la responsabilità contrattuale, per contro, non è soltanto quella che consegue alla violazione di un contratto, ma, più in generale, quella che deriva dalla violazione di una qualsiasi preesistente obbligazione . Notevoli sono le differenze di regime con riferimento all'onere della prova, alla costituzione in mora, all'entità del danno risarcibile

ed al termine di prescrizione.

In sintesi – e per quel che in questa sede è indispensabile- il regime della responsabilità contrattuale agevola notevolmente il paziente, in ambito processuale. Infatti, per ciò che attiene all'onere della prova, ad esempio, nel settore della responsabilità aquiliana l'attore (e cioè il paziente che agisca per ottenere il risarcimento del danno) deve provare il fatto illecito, il danno ingiusto ed il nesso di causalità fra il primo ed il secondo, laddove, nell'ambito della responsabilità contrattuale, all'attore (cioè, al solito, il malato che agisce) è sufficiente provare il preesistente rapporto obbligatorio da cui deriva il suo diritto di credito, mentre spetterà al convenuto (e cioè al medico che si ‘difende' in giudizio) provare che l'inadempimento (art.

1218 cc) o il ritardo nell'adempimento “è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. Inoltre, nell'ambito della prima ‘forma' di responsabilità l'azione risarcitoria si prescrive nel termine quinquennale, laddove, in quella

contrattuale, il termine è decennale.

Si può affermare che la svolta della Cassazione (prontamente seguita dalla magistratura di merito) sia stata determinata da un desiderio di ‘favorire', nel contenzioso medico, la parte che agisce (il paziente), piuttosto che chi resiste, cioè il medico ? Sembra una conclusione eccessiva. L'effetto è, oggettivamente, questo; ma non è un azzardo sostenere che, probabilmente, in questo passaggio la Suprema Corte è stata ispirata, piuttosto, da motivi di nobiltà teorica: afferma la Corte che considerare il medico “che si presenta al paziente come apprestatore di cure all'uopo designato dalla struttura sanitaria” come autore di un qualsiasi fatto illecito, come un quisque , «sembra cozzare contro l'esigenza che la forma giuridica sia il più possibile aderente alla realtà materiale». Insomma, una ragione teorica, accanto ad uno sforzo di un forte ancoraggio alla realtà: perché limitare la responsabilità del medico a quella aquiliana vorrebbe dire ritenerlo responsabile solo per il caso in cui, per effetto del suo colposo intervento, il paziente si venga a trovare in una posizione peggiore rispetto a quella precedente. Ora è indubbio che non è (solo) questo lo scopo dell'intervento medico: ed è indubitabile che, al di là dei casi in cui è il medico stesso ad obbligarsi al conseguimento di un certo risultato, la tutela del bene costituzionale della salute non possa solo risolversi ad uno stentato noli ledere .

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Gli effetti e gli scenari: b) la responsabilità per scelta della struttura e nell' equipe

Un secondo scenario meritevole di interesse riguarda, per un verso, la modulazione della responsabilità per la scelta della struttura e, per altro verso, quella della responsabilità

nell'ambito della equipe medica.

Si tratta di profili in ordine ai quali si evade dalle categorie tradizionali della responsabilità, intesa come assunzione del rischio e delle conseguenze di un operato individualmente circoscritto e rispetto ai quali l'elaborazione giurisprudenziale ha, ancora una volta,

profondamente innovato rispetto al passato.

Il punto di partenza di tale percorso evolutivo è probabilmente rappresentato dalla trasformazione della stessa nozione di diligenza del medico.

Il medico è, secondo tradizione giurisprudenziale, un debitore qualificato ai fini del giudizio di adempimento e, quindi, di responsabilità: il termine di valutazione è rappresentato dal capoverso dell' art. 1176 cod.civ. e, dunque, dalla necessità che, secondo il criterio di diligenza in esso formalizzato, il medico è tenuto a «conoscere le regole del mestiere» e ad operare con perizia e con prudenza. Secondo una recente pronunzia del Supremo Collegio (19) la diligenza medica “ implica scrupolosa attenzione ed adeguata preparazione professionale…nella diligenza è compresa anche la perizia, da intendersi come conoscenza ed attuazione delle regole tecniche proprie di una determinata arte o professione ”. Insomma: il grado di diligenza richiesto non è semplicemente quello “del buon padre di famiglia”, ma – ben più intensamente- quella che comporta il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che, nel loro insieme, costituiscono la conoscenza della professione medica. Nella diligenza è, insomma, compresa anche la perizia intesa come attuazione delle regole tecniche proprie di una

determinata professione o arte.

Nell'ambito di questa articolata nozione di diligenza, si sviluppa la c.d. responsabilità medica da struttura. Il Giudice di legittimità fa risaltare, insomma, una nozione di diligenza non astratta, «oracolare, senza contenuto e in definitiva mistica» (20), ma, al contrario, apprezzabile in relazione alle circostanze concrete. La valutazione circa l'idoneità della struttura – intesa, globalmente, come insieme delle risorse umane e tecniche ritenute più favorevoli per affrontare la patologia all'esame del medico- è espressione di un giudizio di opportunità da parte del medico, nel quale sono investite, da parte di quest'ultimo, valutazioni e competenza:

quindi, soprattutto, diligenza e perizia. Scegliere una struttura a preferenza di un'altra in ragione delle apparecchiature tecniche, delle metodiche cliniche e chirurgiche praticate, implica un giudizio di adeguatezza rapportato ad una considerazione del rischio medico ed alla natura e difficoltà della patologia: e non par dubbio che, proprio in forza della nozione specifica di diligenza sopra vista, la scelta della struttura da parte del medico si configuri come antefatto della sua responsabilità. Così, il medico «può essere ritenuto responsabile del danno subito dal paziente qualora tale pregiudizio si sia verificato in conseguenza della scarsa dotazione della struttura ospedaliera nella quale il medico ha scelto di effettuare l'intervento»

(21).

Dunque: la struttura non è altro dal medico e viceversa: il medico ha un obbligo di conoscenza del limiti della struttura in relazione alle necessità dell'intervento medico e, quindi, il giudizio circa l'idoneità del luogo comporta, anch'essa, l'assunzione di un rischio, perché foriera di una responsabilità. D'altronde, a ben riflettere, la funzionalità del luogo dell'intervento medico pertiene direttamente a quest'ultimo, fino ad esserne, per molti aspetti, il prodromo organizzativo. Il primo intervento medico è la scelta dell'intervento stesso e, dunque, il luogo congeniale ad essa:il best first medico, il miglior inizio possibile è la scelta del miglior luogo possibile – tutto considerato- nel quale espletare l'intervento.

(7)

E', insomma, una radice comune quella che lega la responsabilità del primario – chiamato, nella sua peculiare posizione di garanzia, all'organizzazione interna del servizio a lui affidato ed all'attività di controllo e verifica sull'operato degli ausiliari- con la responsabilità -pure essa,in qualche modo,organizzativa- del medico in relazione all'opportunità di un ricovero in una struttura, anziché in un'altra. E, fatta salva l'interruzione eziologia con sequenze impreviste ed assolutamente imprevedibili, l'indirizzo verso una struttura sanitaria vale, in qualche modo, come garanzia di fattibilità dell'intervento medico: dell'idoneità delle apparecchiature per realizzarlo e della sufficienza qualitativa dell'organizzazione in relazione

al suo contenuto (22).

Ma è proprio nella disfunzione della struttura che si registra il problema forse più annoso dell'intero registro della responsabilità medica: quello dell'intreccio di responsabilità individuali che, in un avvitamento spesso inestricabile, oppone alla certezza del danno l'inaccettabile approssimazione dell'individuazione della sua origine.

Ciò che significa affrontare il non semplice problema della responsabilità all'interno dell' equipe medica, sia pure con una serie di avvertenze preliminari. Innanzitutto, che l'equipe rappresenta il massimo della cooperazione e specializzazione sanitaria, dove, cioè, si attinge il meglio delle sinergie individuali e dove, com'è stato detto, il risultato dell'intervento medico “a monte” spesso rappresenta il presupposto da cui muove il successivo intervento. E' stato correttamente affermato (23) che la prestazione sanitaria di squadra postula una «responsabilità che si potrebbe definire in border line , perché i confini di ciascuna prestazione medica risultano, evidentemente, confusi con quelli delle antecedenti o delle susseguenti». Non sempre, cioè, lo strumento della cooperazione colposa espresso nell'art. 113 codice penale è idoneo a dipanare questa attività plurisoggettiva, soprattutto con riferimento alla ricostruzione dell'elemento soggettivo. E la precarietà teorica delle ricostruzioni sistematiche proposte per la spiegazione di tale fenomeno ne è una dimostrazione. Infatti, la responsabilità d' equipe è stata ricondotta, secondo un prevalente orientamento, ad una responsabilità di gruppo per fatto altrui: opinione che, come risulta evidente, ha spiccate matrici civilistiche ma è «accolta anche sul versante giuspenalistico al fine di garantire al paziente leso dall'attività sanitaria un equo

risarcimento per i danni subiti» (24).

Il secondo filone dottrinale, invece, evidenzia soprattutto l'importanza della funzione di controllo del capo– equipe : sul soggetto dotato di conoscenze superiori rispetto a quelle degli altri colleghi grava un obbligo di controllo su collaboratori ed assistenti, al punto da affermare il c.d. principio del non affidamento valido come principio generale. In breve: non esiste, tra i vari partecipanti al lavoro di equipe , un principio di “affidamento” sull'abilità contigua altrui.

L'ultima prospettiva è quella esattamente antitetica a quest'ultima: nel lavoro di equipe la regola è che ciascuno «risponda solamente dell'inottemperanza delle norme riguardanti la propria disciplina medica» e la valutazione della capacità dei singoli partecipanti è svolta secondo principi strettamente individuali, ma con un conseguente contemperamento: l'obbligo di controllo e di sorveglianza che pure sorge in determinati casi. Precisamente- com'è stato detto (25)- grava su tutti i componenti dell'equipe segnalare al capo- equipe quanto eventualmente riscontrato che attenga «a circostanze di fatto concrete che facciano prefigurare contegni scorretti ed inadeguati o di cogliere veri e propri errori di condotta in cui taluno sia incorso». Come dire: ciascuno può rispondere neilimiti dell'inottemperanza ai canoni attinenti alla propria disciplina medica soltanto se è stato in grado di segnalare l'altrui scorrettezza, inadeguatezza o, peggio, gli autentici errori di condotta degli altri appartenenti all'equipe .

Gli effetti e gli scenari: c) l'assicurazione obbligatoria e l' accident médical della legge francese n. 3003 del 2002

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Chiudo questa rapidissima carrellata sugli scenari della responsabilità medica con alcuni futuribili. Essi ricompongono un quadro di alternative più o meno imminenti dalle quali, in futuro, sarà ben difficile evadere: è facile pronosticare, insomma, che l'evoluzione della responsabilità medica, in Italia, con ogni probabilità si dovrà indirizzare verso l'uno o verso l'altro o, per meglio dire, verso l'uno e verso l'altro di tali trame.

Mi riferisco a quelle forme più o meno striscianti di responsabilità oggettiva del medico che, ad esempio, in Francia hanno assunto la forma della c.d. obbligation de sécuritè e che

‘viaggiano' parallelamente ai progetti legislativi di assicurazione obbligatoria.

Qui il compito del giurista appare delicatissimo: l'applicazione di una regola di responsabilità oggettiva, magari accompagnata da forme assicurative obbligatorie, «può funzionare sotto il profilo del risarcimento, ma rivela precisi limiti d'azione per ciò che riguarda l'azione di deterrenza» (26) e, direi, la stessa qualità della prestazione medica.

Responsabilità oggettiva (ammesso che sia completamente ipotizzabile) ed assicurazioni obbligatorie – che pure soddisfano pienamente l'esigenza risarcitoria del paziente- risultano in contrasto con un principio di responsabilizzazione del medico:ed, anzi, lo inducono a praticare una medicina sospesa tra istanza difensiva e pratica routinaria .

Cosa si prospetta ? Secondo la proposta di Legge Tomassini (disegno di legge n. 108 del 6 giugno 2001) -che

continua a consegnare, di legislatura in legislatura, ad un Parlamento distratto in altro, otto articoli pure destinati a mutare il volto della responsabilità medica in Italia - il futuro è nell'assicurazione obbligatoria del medico. Quindi: generale responsabilità di tutte le strutture sanitarie ospedaliere, pubbliche e private, per i danni alla persona cagionati dal personale medico e non medico operante presso le medesime; introduzione dell'obbligo, per tutte le strutture, dell'obbligo di assicurazione per la responsabilità civile nei confronti degli assicurati;

azione diretta del danneggiato nei confronti dell'assicuratore, entro i limiti del massimale assicurato; esclusione di un'azione diretta nei confronti dei singoli operatori, passibili, soltanto, di un'azione disciplinare, qualora il fatto sia stato commesso con dolo o colpa grave e la relativa sentenza sia passata in giudicato; azione di rivalsa prevista solo per il caso di dolo;

previsione di termini perentori per la conclusione delle vertenze (offerte e diniego da parte dell'assicuratore entro 90 giorni dalla richiesta; conclusione dell'eventuale giudizio arbitrale

entro 90 giorni dalla designazione arbitrale).

Ma non è difficile individuare qualche punto debole. L'assicurazione obbligatoria RC auto di cui alla legge n. 990 del 1969 o quella per l'esercizio della caccia (legge 11 febbraio 1992, n.

157)– cui la proposta di legge Tomassini pare ispirarsi- risultano più coraggiose su almeno un punto: il fondo di garanzia in essa previsto (per gli incidenti dei veicoli non assicurati; per i veicoli anonimi o assicurati con compagnie poste in liquidazione coatta amministrativa) è un esempio purtroppo non seguito nell'ambito della responsabilità medica, dove pure sarebbe di fondamentale importanza. Tutte le ipotesi di danno senza colpa, perché senza errore, o di danno per il quale non sia stato possibile individuare una specifica colpa individuale –perché, ad esempio, origina da “un intreccio di colpe”- rischiano, paradossalmente, di restar fuori dal sistema. Come dire: l'assicurazione non funziona proprio là dove maggiormente serve.

Ed ancora: se i medici dipendenti da struttura sanitaria (pubblica e/o privata) passano repentinamente «da un sistema di responsabilità ad ogni costo ad un sistema di pressoché totale irresponsabilità degli operatori», nulla viene stabilito per i medici liberi professionisti, che operano, cioè, senza struttura alle spalle. Si dirà: non è più tempo di missionari ed i medici liberi professionisti “puri”, di fatto, non esistono più nella realtà. Ma è agevole obiettare: una legge non può essere un incentivo per strutturare necessariamente i medici liberi professionisti e mi inquieta – ed inquieta soprattutto l'art. 3 della Costituzione- che questi ultimi siano fuori dall'ombrello assicurativo, mentre gli altri sono soggetti ad azione disciplinare solo in caso di dolo e colpa grave: cioè, praticamente, mai.

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Infine, ultimissimo scenario possibile, sul modello francese della legge Kouchner, ovvero della legge 3003 del 2002. Qui la novità è rappresentata non soltanto dalla circostanza che l'assicurazione diviene requisito obbligatorio per l'esercizio della professione medica, ma che, appunto, per alcune ipotesi in cui si versa nella c.d. alea medica – e precisamente: l'infezione nosocomiale, l'affezione iatrogena ed il c.d. accident médical - è previsto comunque, il ristoro del pregiudizio del paziente “au titre de solidarieté nationale” .Come dire: il sistema francese, dopo un lunghissimo braccio di ferro tra la giurisprudenza del Consiglio di stato e quella della Corte di Cassazione, ha conservato, con la legge 303 del 2002, il principio della responsabilità per colpa di tipo contrattuale, nel solco inaugurato – e mai abbandonato- della famosa sentenza M ercier del 20 maggio 1936. Ma si è inteso temperare questo principio con tre “categorie” di responsabilità sans faute , che garantiscono, con un equilibrio forse invidiabile, la sicurezza sociale del risarcimento, con la gestione del rischio clinico da parte del medico.

Forse questa - assieme ad una forte intensificazione dei sistemi di monitoraggio e di controllo preventivo dei rischi (la strada del c.d. risk management )- è la strada che percorrerà anche il legislatore italiano. A condizione che la medicina ritorni ad essere -molto più del calcio malato o della tv ‘deficiente' di questo strano Paese- un autentico impegno di politica sociale: non certo l'ennesima “area liberista”, rispetto alla quale si attende –ipocritamente- che il ‘mercato' provveda ad autodisciplinarsi.

NOTE

1) Fonti: A. Fortino , L. Lispi , F. D'Ippolito , G. Ascone , L'eccessivo ricorso al taglio cesareo: analisi dei dati italiani , in Rivista di Diritto delle Professioni Sanitarie , 2002, p.

287; P. Zangani, La responsabilità professionale in campo ostetrico.Aspetti particolari , in Giust. pen. , 1998, I, p. 223.

2) E che precede, nell'ordine, Oncologia, Medicina Generale, Oculistica, Malattie Cardiovascolari (Fonte: Rivista italiana di Medicina Legale , 2001, p. 1125)

3) A. Fiori , La medicina difensiva , in Riv.it. med.leg. ,1996, p. 899.

4) F. Introna , Un paradosso: con il progresso della medicina aumentano i processi contro i medici , in Riv. med. leg., 2001, p. 879.

5) Ci si riferisce alla notissima Cass. sez. Un., 10 luglio 2002 (dep. 11 settembre 2002) n.30328, Francese, pubblicata, tra l'altro, in Cass. pen. , 2002, p. 3643, con nota di T. Massa, L e Sezioni unite davanti a “ nuvole e orologi”:osservazioni sparse sul principio di causalità .

6) Così, per tutti, E. Guerinoni , «Vecchio» e «nuovo» nella responsabilità del medico: un campionario di questioni e soluzioni , in Resp. civ. e prev. , 2001, p. 598, spec. 600.

7) C. Colombo - M. Parisi , Profili penalistici del rapporto medico-paziente, in Riv.pen. , 2001, II, p. 877

8) P. Stanzione, Attività sanitaria e responsabilità civile , in Danno e resp. , 2003, 7, p. 693.

9) Si tratta di Cass. sez. III, 21 dicembre 1978, n. 6141, rv 395967,Rainone :« La responsabilità di un ente ospedaliero per i danni causati a un paziente dalle prestazioni

(10)

mediche dei sanitari dipendenti è di natura contrattuale, poiché l'ente, obbligandosi ad eseguire le prestazioni, ha concluso col paziente un contratto d'opera intellettuale. Pertanto, nel settore chirurgico , quando l'intervento operatorio non sia di difficile esecuzione ed il risultato conseguitone sia peggiorativo delle condizioni finali del paziente,il paziente adempie l'onere a suo carico provando che l'intervento operatorio era di facile esecuzione e che ne è conseguito un risultato peggiorativo, dovendosi presumere l'inadeguata o non diligente esecuzione della prestazione professionale del chirurgo;spetta poi all'ente ospedaliero fornire la prova contraria, cioè che la prestazione professionale era stata eseguita idoneamente e l'esito peggiorativo era stato causato dal sopravvenire di un evento imprevisto ed imprevedibile oppure dall'esistenza di una particolare condizione fisica del paziente non accertabile con il criterio della ordinaria diligenza professionale »

10) E. Guerinoni , «Vecchio» e «nuovo» , cit. p. 604 e nt. 22, in cui si cita, sul punto, da ultimo, Cass. civ. 22 febbraio 2000, n. 20 44 , in Giur.it. , 2000, p. 2015, con nota di R. Zuccaro , Responsabilità del medico e regime probatorio .

11) Cfr. E. Quadri ,La responsabilità medica tra obbligazioni di mezzi e di risultato , in Danno e resp. , 1999, p. 1173.

12) Cfr. , ad es., Cass. 10 settembre 1999, n. 9167.

13) E. Guerinoni , « Vecchio» e «nuovo» , cit., p. 602.

14) P. Stanzione, Attività sanitaria e responsabilità civile , cit., p. 694.

15) «…che dovrebbe alleggerire la posizione del paziente al quale incomberebbe solo l'onere di individuare, nell'area dei danni patitit, quelli che siano ex art. 1223 cc.,conseguenza immediata e diretta dell'evento lesivo»: così, lucidamente, P. S tanzione , loc.ult.cit. .

16) M. B ilancetti , La responsabilità civile e penale del medico , Padova, 2001, p. 1089.

17) Edita, con note di commento, in molte tra le principali riviste di settore : ad es., in Giust.civ.

,1999,I,p.999, con nota di G. Giacalone , La responsabilità del medico dipendente dal servizio sanitario nazionale:contrattuale, extracontrattuale o «transatipica»? ; in Corr.giur.

,1999,p.441,con nota di A. Di Majo, L'obbligazione senza prestazione approda in Cassazione

; in I contratti , 1999, p. 999, con nota di E. Guerinoni , Obbligazione da «contatto sociale» e responsabilità contrattuale nei confronti del terzo ; in Danno e resp. , 1999, p. 294, con nota di V. Carbone , La responsabilità del medico ospedaliero come responsabilità da contatto ; in Resp. civ. e prev. , 1999, p. 661, con nota di M. Forziati , La responsabilità contrattuale del medico dipendente:il «contatto sociale» conquista la Cassazione . Per successive pronunzie dei giudici di merito nel medesimo senso, cfr. Trib. Monza, 26 ottobre 2000, in Resp. Civ. e prev. , 2001, p. 580, con nota di E. Guerinoni , «Vecchio » e «nuovo» nella responsabilità del medico , cit., e Corte d'Appello di Milano, sez. I, 6 febbraio 2002, in I contratti, 2003, 1, p. 23, con nota di E. Guerinoni , «Contatto sociale» e nesso causale nella responsabilità del medico dipendente .

18) E. Guerinoni , «Contatto sociale» e nesso causale, cit., p. 31.

19) Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2001, n. 2335l. c. Gesione liquidatoria USSL 72 Magenta e al., in Resp. civ. e prev. , 2001, p. 580, con nota di E. Guerinoni , cit. .

(11)

20)Aggettivazioni efficaci, utilizzate in altro contesto da P. Cendon , Anche se gli amanti si perdono, l'amore non si perderà. Impressione di lettura su Cass. 8828/2003 , in Resp.civ.prev.

, 2003, p. 689.

21) E. Guerinoni , «Vecchio» e «nuovo» nella responsabilità del medico , cit. p. 599.

22) Sul punto, Cass. civ. 16 maggio 2000, n. 6318, in Resp. civ. prev. , 2000, p.940, con nota di M. Gorgoni , L'incidenza delle disfunzioni della struttura ospedaliera sulla responsabilità

«sanitaria» .

23) C. Colombo – M. Parisi , Profili penalistici del rapporto medico-paziente , cit., p. 880.

24 ) C. Colombo – M. Parisi, loc.ult.cit. .

25) G. Iadecola Il medico e la legge penale , Padova, 1993, p. 73 ss.

26) La citazione è in G. Ponzanelli , La responsabilità medica ad un bivio: assicurazione obbligatoria, sistema residuale no-fault o risk-management in Danno e resp. , 2003, 4, p. 429.

* Magistrato della Suprema Corte di Cassazione f.r., Assistente di Studio presso la Corte Costituzionale, Roma

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