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THE LAST DANCE.
RIFLESSIONI A MARGINE DEL C.D. CASO CAPPATO
()di Maria Beatrice Magro
SOMMARIO: PARTE I. – 1. Lo statuto epistemologico della medicina tra prospettiva in prima persona e prospettiva in terza persona: l’affermazione dell’identità personale. – 2. L’avanzata dei diritti umani e il diritto a morire. – 3. L’autodeterminazione terapeutica comprende anche il diritto al suicidio o a morire? – 4. Il lato oscuro del diritto umano alla salute: l’evoluzione tecnologica e l’aspirazione alla longevità (o all’
immortalità). – 5. Centoventi anni da leoni? La morte e il rischio di “sopravvivenza” nelle società moderne iper-tecnologizzate. – 6. La “scomparsa” della morte come fenomeno culturale. – 7. La “sofferenza intollerabile” e la perdita del senso d’identità. – 8. Le near death experience e gli stati di coscienza alterata. – PARTE II. – 1. La “sofferenza insopportabile” di Fabiano Antoniani e l’attesa della morte senza coscienza. – 2.
Il principio di ragionevolezza e l’assimilazione tra interruzione di cure e aiuto al suicidio. – 3. Il suicidio e la partecipazione al suicidio nella prospettiva “in terza persona”. La “suicidal vulnerabily” secondo l’ordinanza della Corte cost. 23 ottobre 2018, n. 207. – 4. Il mistero della mente e l’ambivalenza del proposito suicida. Alla ricerca del fondamento logico-razionale della norma che punisce la partecipazione al suicidio. – 5. Suicidio terapeutico o “richiesta di una buona morte”? Ai confini della legittimazione terapeutica.
“Spero che quando la morte arrivi, mi trovi vivo”
D. W. Winnicott PARTE I
1. Lo statuto epistemologico della salute tra prospettiva in prima persona e prospettiva in terza persona: l’affermazione dell’identità personale.
La scienza medica, concepita per lungo tempo una scienza naturale, ha avviato un processo che la rende peculiare rispetto alle altre discipline. Essa, oltre a essere impregnata di orientamenti valoriali oggettivi (o meglio collettivi), è oggi dipendente da una nuova variabile, costituita dalla sfera dell’etica individuale. Nell’epoca moderna, infatti, alla scienza medica si riconosce lo status di scienza naturale (biologica, chimica e fisica) finalizzata alla promozione della salute umana che ingloba e una
() Il contributo costituisce il testo della relazione svolta al convegno “Istigazione e aiuto al suicidio e valori costituzionali”, organizzato da Accademia Aletheia, Dipartimento di Scienze giuridiche e politiche dell’Università G. Marconi, e Camera Penale di Roma, svoltosi a Roma, presso il Senato della Repubblica, il 15 marzo 2019.
2 dimensione di conoscenza sociale e psicologica, in quanto essa si occupa della percezione e della rappresentazione collettiva ed individuale della malattia, della salute e della cura1. Così, dall’innesto di elementi valoriali soggettivi su quelli di tipo oggettivo, ne discende il suo statuto epistemologico multidimensionale di scienza biologico-naturale, psicologica e sociale.
Questo processo di trasformazione ha preso l’avvio proprio dalla rivisitazione del tradizionale concetto tradizionale di malattia (e del suo converso: la salute), precedentemente incentrato esclusivamente su un paradigma organicista, ma che ora sposta l’attenzione sulla persona in tutta la sua dimensione psichica, dinamica, relazionale e socio-ambientale. Ormai da tempo le scienze mediche, anche se improntate a metodi positivisti, si sono aperte a prospettive non organiciste-positiviste, che abbracciano persino l’epigenetica, la medicina psicosociale, la medicina psicosomatica, la neurobiologia, la psicofisiologia, la neuroimmunologia, la medicina placebo e persino la psicoterapia, che pur non utilizzando i tradizionali strumenti della medicina (farmaci e bisturi), cura mente e corpo. Si assiste, in altri termini, al passaggio da una concezione oggettiva, che identifica la salute con l’integrità psico-fisica, ad una concezione personalistica e umanizzata che, seppur non prescinde dalle componenti bio-fisiche, impone di rileggerle alla luce del particolare vissuto personale, in quanto sensibili alle influenze emozionali e agli aspetti dinamico-relazionali con l’ambiente esterno. La scienza medica ci dice che non c’è un dato biologico statico, inerte, uguale a se stesso e che l’esperienza percettiva del mondo esterno, associata alla ripetizione dello stimolo, provocano cambiamenti nell’espressione genica e persino la guarigione2. Oggi il concetto di salute rivela una vitalità e modernità inaspettata, consentendo di riunire quel dualismo cartesiano tra anima e corpo che già Aristotele aveva ricomposto. Esso esige un’idea di Sé come unità di tutti gli aspetti non solo fisici, ma anche di pensiero. La salute, come complessivo stato di benessere fisico e psichico, si ammanta di proiezioni dell’idea che ciascuno ha del proprio Sé, si incentra sull’esperienza personale sul proprio corpo, ed è proiettata nell’ottica della protezione dell’integrità complessiva dell’essere umano; è cioè un frame esperienziale che
1 La medicina non è una scienza pura, ma neanche una scienza applicata alla stregua dell’ingegneria, non è neanche una tecnica, ma è una scienza operativa che si articola in tre momenti: quello clinico, quello patologico e quello antropologico. In proposito, Current Bibliography of the History of Science and its cultural influences, Isis, vol. 105, p. 1, in The History of Science Society, University Chicago Press, 2014. Cfr. Parere del Comitato Nazionale di Bioetica su Scopi, limiti e rischi della medicina (dicembre 2001). Sull’evoluzione medica e culturale dei concetti di malattia e salute, G.CORBELLINI, Breve storia delle idee di salute e malattia, Carocci, 2004; ID., EBM Medicina basata sull’evoluzione, Bari, 2007; M. CONFORTI – G. CORBELLINI – V.
GAZZANIGA, Dalla cura alla scienza. Malattia, salute e società nel mondo occidentale, Encyclomedia Publisherd, 2011; GUARINO, Sul limite. Malattia, società e decisioni di fine vita, Roma, 2011, p. 25 ss.
2 Per questo approccio, J.BRAID,The Power of the Mind over the Body: An Experimental Inquiry into the Nature and Cause of the Phenomena, in Kleim, J. A.- Jones, T. A., Principles of Experience-Dependent Neural Plasticity:
Implications for Rehabilitation After Brain Damage. Journal of Speech, Language, and Hearing Research, vol 51, 2008, Attributed by Baron Reichenbach and Others to a "New Imponderable", John Churchill, London, 184.
3 riconnette realtà oggettive, fenomeni sociali, ma anche sistemi valoriali soggettivi, orientamenti culturali individuali, all’insegna del fondamentale principio personalista3. Assumendo la prospettiva soggettiva, l’esperienza della salute e delle decisioni a lei connesse sono manifestazione della propria dignità, meglio declinata come manifestazione della propria identità personale. La latitudine del concetto di salute, così ampia e fortemente soggettivizzata, si associa quindi ad un’altra ancora più fondamentale esigenza: la tutela dell’identità personale nell’ottica della protezione della integrità complessiva del soggetto sempre più impegnato nell’aspirazione di una piena realizzazione e affermazione di Sé. Perciò, la salute può rappresentare una delle direttrici di ricerca del senso dell’esistenza umana, cui tutti quotidianamente aneliamo.
Spesso questo significato è terreno, non trascendente, improntato ad un qui ed ora, ma non per questo meno profondo, significativo, benefico per l’individuo e per la collettività. L’uomo felice, l’uomo sano rende migliore se stesso e gli altri.
In tal modo, questa scienza medica ispirata ad un nuovo umanesimo annulla la dicotomia tra la prospettiva fenomenica soggettiva in "prima persona" e la prospettiva oggettiva in "terza persona". La prospettiva “in prima persona” si riferisce alla visione introspettiva dell'uomo, ossia al modo in cui l’uomo vede se stesso e le proprie esperienze. La prospettiva “in terza persona” è invece quella dell’osservatore esterno e riproduce il punto di vista dell’analisi scientifica. Nell’accezione “in terza persona” la realtà è osservata come una connessione di fenomeni oggettivi e quindi, a causa dell’astrazione dal soggetto conoscente, come esperienza mediata; nell’accezione soggettiva la realtà è osservata nella sua natura intuitiva, in relazione ai contenuti dell’esperienza del medesimo soggetto conoscente, quindi come esperienza immediata e originaria.
Molti ritengono che queste due separate aree di esperienza non siano compatibili tra loro e che, dal punto di vista scientifico (o neuro-scientifico) la prospettiva soggettiva in prima persona sia illusoria, falsa o comunque irrilevante4. Ma d’altra parte – si obietta – entrambe le forme di analisi scientifica si riferiscono, in modo parallelo, a un medesimo contenuto di esperienza che non implica derivazione o prevalenza, ma una semplice co-esistenza tra diverse componenti dell’esperienza. Sia l’esperienza oggettiva, sia l’esperienza soggettiva sono entrambe parti costitutive di un’unica esperienza che è considerata da punti di vista diversi, la quale ammette una doppia forma di accesso alle proprietà fenomeniche, sia di tipo ontologico – materialista che soggettivo-esperienziale5. L’equilibrio tra queste due prospettive – oggettiva o in
3 Su questi temi, in rapporto alle decisioni di fine vita, mi si consenta il rinvio a M.B.MAGRO, Sul limite.
Testamento biologico e decisioni di fine vita, Aracne, Roma, 2012.
4 All’esperienza mediata possono corrispondere componenti che appartengono all’esperienza immediata, senza che l’una debba essere ricondotta all’altra o da essa derivata o causata. Sul tema, F.CARUANA,Due problemi sull’utilizzo delle neuroscienze in giurisprudenza, in Sistemi intelligenti, 2010, p.337; D. SKOLNICK
WEISBERG,F.KEIL,J.GOODSTEIN,E.RAWSON,G.GRAY,The seductive Allure of neuroscience Explanantions, in Journal of Cognitive neuroscience, 2008, vol. 20, n. 3, p. 470; SINGER, Selbsterfahrung und neurobiologische Fremdbeschreibung. Zwei konfliktträchtige Erkenntnisquellen, in Schmidinger - Sedmak, Der Mensch – ein freies Wesen? Autonomie – Personalität – Verantwortung, 2005, p. 135 e p. 137.
5La scienza naturale e l’esperienza soggettiva consistono non in diversi contenuti di esperienza, ma in un
4 terza persona e soggettiva o in prima persona – oggi è il fulcro del dibattito, ove la questione della disponibilità della salute e persino degli ultimi attimi della propria vita, innanzi all’evoluzione tecnica e all’innovazione scientifica, assume rilevanza giuridica in un’ottica necessariamente relazionale che coinvolge l’apporto e le responsabilità di individui terzi e delle istituzioni sanitarie.
2. L’avanzata dei diritti umani e il diritto a morire.
L’avanzata dei diritti umani si manifesta come anelito all’universalità, ritagliando all’interno del genus, come riconoscimento a un maggior numero di soggetti portatori di proprie specifiche rivendicazioni, di specie di disciplina più dettagliate6. I diritti umani innescano un continuo processo di affermazione e di negazione, di tensione tra universalismo e particolarismo, di realizzazione dell’uguaglianza e delle sue eccezioni7. La richiesta di affermazione dei diritti umani crea attorno a sé conflitti e contrapposizioni che si giocano nei rapporti tra politica e giustizia, nella distribuzione tra potere legislativo e potere giudiziario, provocando una ibridazione della dimensione giuridica e del ragionamento giudiziale e, talora, una maggiore sovraesposizione del ruolo dell’organo giudiziario, a discapito della dimensione della negoziazione politica a livello legislativo, troppo spesso incapace di realizzare un consenso condiviso8.
medesimo contenuto affrontato da diversi punti di vista; Cfr. J.LIPPI,L.SAFINA,M.MAZZARA,Mind and matter: Why it all makes sense, in Advanced Research on Biologically Inspired Cognitive Architectures, 2017, pp.
63-82; J.KIM ,Mental Causation in Searle’s Biological Naturalism, in Philosophy and Phenomenological Research, 1995, n. 55, pp. 189–194. Dello stesso Autore, The Myth of Nonreductive Materialism, in Contemporary Materialism, a cura di P. K. Moser e J. D. Trout, 1995, New York, Routledge, pp.134-149; SINGER, Selbsterfahrung und neurobiologische Fremdbeschreibung. Zwei konfliktträchtige Erkenntnisquellen, in Schmidinger - Sedmak, Der Mensch – ein freies Wesen? Autonomie – Personalität – Verantwortung, 2005, p. 135 e p. 137.
6 P.COSTA,Dai diritti naturali ai diritti umani: episodi di retorica universalistica, in Il lato oscuro dei Diritti umani:
esigenze emancipatorie e logiche di dominio nella tutela giuridica dell’individuo, a cura di M. Meccarelli, P.
Palchetti, C. Sotis, 2014, p. 27 ss.
7 E.DICIOTTI,B.PASTORE,(a cura di), Il futuro dei diritti: proliferazione o minimalismo?, in Ragion pratica, n. 31, 2008, pp. 275-411.
8 Talora ne è persino scaturito un inconsueto conflitto di attribuzione. Esempio lampante di tale vicenda è il conflitto di attribuzione tra i rami del Parlamento sollevati contro la sentenza della cassazione sul caso Englaro, che la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile con la ordinanza n. 334 del 2008. Altro caso è il conflitto tra ordinanze emesse in sede cautelare da numerosi giudici del lavoro di tutta Italia e il decreto Balduzzi, per giungere alle recenti sentenze della Cassazione, che hanno, per il momento, sempre in via cautelare, imposto un self restraiment alla vicenda delle richieste – costosissime – di somministrazione del protocollo Stamina. Così,S.RODOTÀ,Il diritto di avere diritti, Laterza, 2013, pp. 94.
Il fenomeno si ripropone a proposito della “incostituzionalità differita” dell’art. 580 c.p., a seguito dell’ordinanza n. 207 del 2018 della Corte costituzionale in commento nel presente lavoro, che ha sospeso e rinviato l’udienza in attesa di un intervento legislativo. Per questi profili, soprattutto, L.EUSEBI,Regole di fine vita e poteri dello Stato: sulla ordinanza n. 207/2018 della Corte costituzionale, in questa Rivista, 27 marzo 2019, anche in Il caso Cappato a margine dell’ordinanza della Corte Costituzionale n. 207 del 2018, a cura di F. S.
Marini e C. Cupelli, ESI, Napoli, 2019. Per un’analisi delle ragioni del rinvio, R.BARTOLI,L’ordinanza della
5 In questa dinamica, è assai complicato individuare la base legale della domanda sociale di ampliamento o emersione di nuovi diritti umani: talora la Carta costituzionale può non essere così esplicita. L’affermazione di diritti umani, come una coperta troppo corta, scopre lacune e discriminazioni e traccia un continuo percorso di attuazione che conduce ad un maggiore ampliamento della portata originaria di un diritto già riconosciuto o alla creazione di nuove figure; la loro definizione e, addirittura, la loro esistenza dipende più dalle emozioni che dalla ragione9.
La salute proclama ormai ufficialmente la sua dimensione di fondamentale diritto umano (ed anche un interesse giuridico tutelato penalmente) che si declina come manifestazione della dignità e autonomia decisionale del paziente nella relazione con il medico e ciò anche nelle fasi finali della nostra esistenza, quando si è prossimi alla morte, connessa com’è con la dimensione relazionale e intersoggettiva innanzitutto con il medico e inoltre, in quanto diritto sociale, con i poteri pubblici. Il diritto umano fondamentale della salute gode di un’espressa tutela costituzionale e legislativa che discende dalla tradizione di tutte le democrazie liberali dei diritti di habeas corpus, di cui l’interesse superiore all’intangibilità della propria sfera corporea ne costituisce il prius logico.
Invero, la storia del diritto all’autodeterminazione terapeutica è antica e assai stratificata, perché a iniziali timide affermazioni di principio si sono accavallate concrete applicazioni finalizzate a valorizzarne la immediata portata precettiva. La tendenza evolutiva che si trae da una osservazione ormai spassionata del sistema normativo indirizza verso una esaltazione ed applicazione immediata del fondamentale diritto di libertà della salute, sia nei contenuti positivi che in quelli negativi: curarsi e non curarsi. Il sistema normativo ha del tutto abbandonato quei precedenti in cui, pur riconoscendo il diritto del paziente a richiedere l’interruzione delle cure, lo si era ritenuto non eseguibile né tutelabile in via immediata. Questo diritto fondamentale – inizialmente grazie all’evoluzione giurisprudenziale e in ultimo per effetto della legge n. 219/2018- nel nostro ordinamento non trova limite in un frainteso bilanciamento di diritti altrettanto fondamentali, compreso la vita, e si pone con una portata immediatamente precettiva che vincola il medico all’astensione terapeutica senza alcuna riserva di coscienza, in presenza di una stabile, ferma e anche
consulta sull’aiuto al suicidio; quali scenari futuri?, in questa Rivista, 8 aprile 2019, contributo pubblicato in Il caso Cappato a margine dell’ordinanza della Corte Costituzionale n. 207 del 2018, cit. Per un’analisi delle prospettive di riforma, C.CUPELLI, Il cammino parlamentare di riforma dell’aiuto al suicidio, spunti e prospettive dal caso Cappato, fra Corte costituzionale e ritrosia legislativa, ivi. Nella letteratura costituzionalistica, Il “caso Cappato” davanti alla Corte costituzionale, a cura di A. Morrone, Forum di Quaderni costituzionali, 2018; M.
BIGNAMI,Il caso Cappato alla Corte costituzionale: un’ordinanza ad incostituzionalità differita, in Quest. giust., 19 novembre 2018; A.PUGIOTTO, Variazioni processuali sul “caso Cappato”, in Il “Caso Cappato” davanti alla Corte Costituzionale, a cura di A. Morrone, Bologna, atti del Seminario tenutosi a Bologna il 12 ottobre 2018.
9 L'affermazione dei diritti umani si fonda, in ultima istanza, su un richiamo emotivo: è convincente se fa risuonare qualcosa in ogni persona, se la sua violazione ci fa inorridire. Per un resoconto culturale e intellettuale sulle radici dei diritti umani, L.HUNT, La forza dell’empatia. Una storia dei diritti dell’uomo, Laterza, 2018.
6 pregressa manifestazione di volontà10. Il diritto di libertà all’autodeterminazione terapeutica include solo indirettamente l’accettazione della morte, senza che questo diritto entri in competizione con altri diritti, come quello inviolabile alla vita o con il diritto a morire, perché vita e morte non sono guardati come diritti di libertà, ma come puro essere o non essere, come condizioni biologiche presupposte dai diritti di libertà.
Da tutti i leading cases italiani sulla materia, nonché dalla normativa vigente, emerge il riconoscimento di diritto fondamentale dell’uomo all’autodeterminazione rispetto a trattamenti terapeutici (che comprende il rifiuto di cure, l’accoglimento e la comprensione delle esigenze del paziente anche durante il processo di morte, anche nella fase ultima della propria vicina, quando si è ormai prossimi alla morte, l’elaborazione di una strategia terapeutica condivisa, la cura psicologica e farmacologica del dolore) nella ricerca di un percorso anzitutto “esistenziale”, prima ancor che curativo, che abbia il suo fulcro e fine nel rispetto dell’identità del malato.
Anche le scelte di fine -vita sono la più genuina espressione dei nostri modelli mentali, e cioè della biografia e biologia di ciascuno di noi e si correlano ad una dimensione di significati che attengono al dominio e al controllo del proprio Sé11.
La coscienza sociale e il sistema giuridico, con la legge n. 219/2017 hanno preso consapevolezza che il processo di cura non può e non deve mai essere volto soltanto alla terapia della malattia o del sintomo, quanto alla presa in carico globale della persona. La cura della patologia è utile finché procura alla persona un giovamento nel suo stesso interesse; quando la terapia – soprattutto se invasiva e intensiva – eccede questo limite, nei malati con problemi di salute cronici e ingravescenti, affetti da condizioni degenerative del sistema neuro – muscolare, terminali o potenzialmente terminali, destinati a una morte lenta, il processo di cura (che deve continuare) deve essere indirizzato verso altri obiettivi: l’assistenza durante il processo di morte12.
In questo nuovo contesto di riferimento, si evidenzia una nuova dimensione di tutela della salute che si caratterizza per la sua originalità rispetto al passato: la sua protezione si orienta anche durante quella fase della vita che sta per spegnersi,
10 Tra i commenti alla legge n. 219/2017, si rinvia innanzitutto a S. CANESTRARI, Una buona legge buona (DDL recante «Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento»), in Riv. it. med. Leg., 2017, p.975 ss.; ID. La legge n. 219 del 2017 in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, in Leg. pen., dicembre 2018, p. 11. Si segnalano inoltre, nella letteratura giuspenalistica, O. DI
GIOVINE, Procreazione assistita, aiuto al suicidio e biodiritto in generale: dagli schemi astratti alle valutazioni in concreto, in Dir. pen. proc., 2018, p. 917 ss.; G.M. FLICK, Dignità del vivere e dignità del morire. Un (cauto) passo avanti, in Cass. Pen., 2018, p. 2302 ss.; L. EUSEBI, Decisioni su trattamenti sanitari o «diritto di morire»? I problemi interpretativi che investono la legge n. 219/2017 e la lettura del suo testo nell’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale dell’art. 580 c.p., in Riv. it. med. Leg., 2018, p. 15 ss.; C. CUPELLI, Consenso informato, autodeterminazione terapeutica e disposizioni anticipate di trattamento, in disCrimen, 2018, 1 ss. Nell’ambito di lavori monografici cfr. M.FOGLIA, Consenso e cura. La solidarietà nel rapporto terapeutico, Torino, 2018, pp. 10 ss.; U.ADAMO, Costituzione e fine vita. Disposizioni anticipate di trattamento ed eutanasia, Milano, 2018 e le riflessioni di A. NAPPI, Principio personalistico e binomi ‘indissolubili’. Il primato dell’essere nell’incessante divenire della tutela penale, Napoli, 2018, p. 188 ss.; A. SESSA, Le giustificazioni procedurali nella teoria del reato.
Profili dommatici e di politica criminale, Napoli, 2018, p. 55 ss.
11 R.DWORKIN,Il dominio della vita. Aborto, eutanasia, e libertà individuale, Edizioni di Comunità, Milano 1994.
12 L.S.DUGDALE,Therapeutic Dying, in The Hastings Center Report, vol. 44, n. 6, 2014, pp. 5-6.
7 ampliandosi nei suoi contenuti fino ad abbracciare di bisogni dei morenti di una morte dignitosa, cioè di avere una morte che sia coerente con la propria esperienza esistenziale.
3. L’autodeterminazione terapeutica comprende anche il diritto al suicidio o a morire?
L’evoluzione normativa in attuazione del dettato costituzionale non ha portato al riconoscimento di un diritto ad autodeterminarsi in ordine alla fine della propria esistenza, ossia all’equiparazione tra diritto al rifiuto/rinuncia ai trattamenti sanitario necessari alla propria sopravvivenza e diritto al suicidio. La differenza tra le due situazioni è sempre stata tratteggiata, nella prospettiva “in terza persona”, come assai netta: nell’esercizio all’autodeterminazione terapeutica la morte è causata dalla malattia che fa il suo corso non contrastata da trattamenti sanitari; con l’esercizio di un preteso diritto a morire o al suicidio la morte è l’esito finale della somministrazione di farmaci. L’una situazione è manifestazione di libertà fondamentale, l’altra è un reato.
Questa penalizzazione è partorita da un legislatore poco ragionevole ed arretrato? Se così è fosse, allora occorrerebbe individuare una norma costituzionale che espressamente sancisca un autonomo diritto ad anticipare la propria morte o i principi generali e costituzionali sono sufficienti per affermarne l’esistenza implicita in una figura giuridica preesistente?
In verità, nel testo della Costituzione italiana non si legge il diritto di anticipare la propria morte ed è assai arduo riconoscere un autonomo diritto a morire o ad anticipare la propria morte. Dal diritto alla vita - riconosciuto implicitamente dalla nostra Costituzione ed esplicitamente dalla Cedu - discende al contrario «il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo», non anche «il diritto di rinunciare a vivere» o «a morire»13. Dunque, sebbene il tema sia stato molto dibattuto, si nega che dalla Carta costituzionale e dalla giurisprudenza della CEDU si possa rinvenire un diritto alla morte o a morire, specie in assenza di una esplicita previsione normativa e, ancora di più, difficilmente si riconosce un diritto a cagionare la propria morte, perché la morte e il morire (come la vita) appartengono all’esperienza umana esprimendo innanzitutto le condizioni biologiche del diritto, ancor prima di configurarsi come interessi giuridici o come diritti umani14. Ciò non è però sufficiente per concludere che non sussista alcuna libertà in tal senso e che si debba accettare l’esistenza di un dovere di vivere. Al contrario. Il morire (senza interferenze da parte d’altri) è una dimensione
13 C.TRIPODINA, Quale morte per gli “immersi in una notte senza fine”? Sulla legittimità costituzionale dell’aiuto al suicidio e sul “diritto a morire per mano di altri, in BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 3, 2018, p. 140.
14 In senso contrario, nella letteratura anglosassone, a favore del riconoscimento di un diritto costituzionale a morire, M.SPINDELMAN,Death, Dying, and Domination, in Michigan Law Review, vol. 106, n. 8, Symposium on Glucksberg and Quill at Ten: Death, Dying, and the Constitution, giugno 2008, pp. 1641-1667. Nella letteratura italiana G.MANIACI,Perché abbiamo un diritto costituzionalmente garantito all’eutanasia e al suicidio assistito, in Riv. AIC 2019, n. 1, p.36.
8 fattuale che non coincide affatto con il diritto di morire (come pretesa esigibile nei confronti di terzi). La vita, l’integrità fisica, l’esistenza biologica, sono innanzitutto il presupposto fondamentale per l’esercizio di diritti umani fondamentali15. Una cosa è il diritto alla vita, altra è la dimensione biologica preesistente al diritto stesso. Anche la morte, prima di configurare un’eventuale posizione soggettiva di libertà o di diritto umano fondamentale, attiene a quella dimensione fattuale- biologica. Il punto è se nel diritto alla salute, così come descritto, converga anche il diritto ad essere aiutato, assistito e accompagnato alla morte. In questa prospettiva, il suicidio e l’assistenza al suicidio potrebbero essere anche strumenti fattuali, estensioni e manifestazioni dell’esercizio dell’autodeterminazione terapeutica.
4. Il lato oscuro del diritto umano alla salute: l’evoluzione tecnologica e l’aspirazione alla longevità (o all’immortalità).
La salute, nella sua dimensione di diritto umano, presenta un carattere chiaroscurale che scaturisce dal fatto che, più di ogni altro diritto, espandendosi sempre più verso orizzonti nuovi, presenta delle forti ricadute sul piano dei doveri dell’amministrazione pubblica. Il diritto alla salute dà diritto ad una prestazione positiva da parte dell’Amministrazione, il cui contenuto sostanziale si amplia straordinariamente con l’evolversi delle tecnologie mediche. Perciò l’affermazione del diritto alla salute, nella sua dimensione di diritto umano, manifesta una natura
“insaziabile”: essa consente di dare accesso a qualsiasi richiesta di giuridicizzazione e di soddisfazione di qualunque “bisogno” o aspettativa nel quale è “cura” tutto ciò che rispecchia la prospettiva in prima persona del malato16.
L’espandersi della salute umana è fortemente connesso con l’evoluzione scientifica e delle nuove abilità tecnologiche dell’uomo. Nelle società tecnologiche aumenta vertiginosamente ciò che è nelle mani dell’uomo e la tecnica è in grado di incidere sul corso naturalistico di molti avvenimenti fondamentali della nostra vita.
Questo orizzonte di potenzialità acuisce le tensioni connesse alla rivendicazione del
15 J.HERSCH,I diritti umani da un punto di vista filosofico, 2008, Mondadori, p. 90. La teoria ontologica dei diritti umani desume l’esistenza dei diritti umani dal dato biologico dell’essere umano, dotato di dignità e quindi oggetto di rispetto e riconoscimento dall’altro essere umano. Sul tema, D.PULITANÒ,Diritti umani e diritto penale, in Il lato oscuro dei Diritti umani: esigenze emancipatorie e logiche di dominio nella tutela giuridica dell’individuo, cit., p. 103.
16 La tecnologia ha ampliato enormemente gli orizzonti della bio-medicina, dando concretezza alla possibilità dell’inserimento nel corpo umano di impianti e innesti bionici, a fenomeni di ibridazione uomo- macchina. In proposito, J.HABERMAS, The future of Human Nature, Polity Press, Cambridge, 2003. Mi si consenta il rinvio, M.B.MAGRO, Enhancement cognitivo, biases e principio di precauzione, in Diritto penale e neuroetica, a cura di O. Di Giovine, Cedam, Padova, 2013, 139-174;O.ERONIA, Potenziamento umano ediritto penale, Milano, 2013; A.CARONIA,Il cyborg. Saggio sull’uomo artificiale, Milano, 2008, 12; C.SALAZAR,Umano, troppo umano...o no? Robot, androidi e cyborg nel “mondo del diritto” (prime notazioni), in BioLaw Juornal – Rivista di BioDiritto, n. 1, 2014, 255; P. BENANTI, The Cyborg: corpo e corporeità nell’epoca del post-umano, Assisi, 2012.
9 diritto alla salute rispetto le effettive disponibilità finanziarie17. La salute è uno status di benessere complessivo della persona che non consiste solo nell’assenza di malattie e di infermità, ma rappresenta un diritto sociale alla cui tutela e promozione devono contribuire le istituzioni sociali in termini di diritti di cura e doveri di prestazioni sanitarie a carico dell’amministrazione pubblica. Questo piano della gestione delle risorse e delle politiche pubbliche rischia di ampliare a dismisura i compiti dello Stato, affinché siano assicurate le condizioni materiali per l’esercizio effettivo dei diritti e il soddisfacimento del sottostante bisogno.
Le nuove pretese di tutela della salute si traducono in precise richieste di prestazioni nei confronti delle istituzioni pubbliche che implicano un ampliamento del tradizionale ambito di intervento della medicina convenzionale che talora va ben oltre la legittimazione terapeutica. Il lessico dei diritti umani può manifestare la tendenza a ricondurre nell’ambito della sua portata tutto ciò che può essere desiderabile, che è possibile fare ben oltre il ripristino di una funzionalità biologica compromessa, e questa rivendicazione può esplicarsi in una dimensione ultraterritoriale che non incontra limiti geografici18. L’interazione tra uomo e tecnologie avanzate può spingersi sino a una forma di ibridazione tra l’uno e l’altra che alimenta nuove e fluide correnti di pensiero (il c.d. postumanesimo e transumanesimo) il cui tratto comune dominante è costituito da una forma di scientismo che esalta le potenzialità della tecnologia quale via maestra per avviare un nuovo stato evolutivo degli esseri umani ove l’enhancement e l’empowerment delle capacità umane appaiono come la concretizzazione del sogno, da sempre coltivato dall’umanità, di allungamento della vita, di immortalità, di felicità, di aumento delle capacità intellettuali e fisiche, ben oltre la direzione della cura e prevenzione delle malattie19. In alcune declinazioni, queste visioni sembrano volersi collocare nel quadro di una teoria evoluzionista che ci consegna un uomo in divenire, un “programma aperto” connotato da una costante plasticità e disponibilità all’ibridazione e alla contaminazione con l’alterità (la macchina) che condurrebbe alla radicale trasformazione del genere umano in Homo Deus, un uomo che aspira all’immortalità, certamente molto longevo e che tende sempre più ad estromettere dalla sua quotidiana percezione dell’essenza umana i suoi limiti naturali20.
17 N.VETTORI, Il diritto alla salute alla fine della vita: obblighi e responsabilità dell’amministrazione sanitaria, in Riv. Med. 2016, p. 1124.
18 Si pensi al diritto alla fecondazione artificiale, nato e riconosciuto nei ristrettissimi ambiti della legge n.
204, ed espanso sempre più a colpi di sentenze della corte costituzionale, delle sentenze dei giudici di merito, così, O.DI GIOVINE, Brevi note a proposito della recente legislazione in materia di consenso informato e DAT, della legittimità del suicidio assistito e biodiritto in generale, in Dir. pen. proc., 2018, p. 917 s.; EAD., Procreazione assistita, aiuto al suicidio e biodiritto in generale: dagli schemi in astratto alle valutazioni in concreto, in Dir. pen. proc., 2018, p. 913 ss.
19 Per una visione cristiana del transumanesimo,G.STILE,Rivoluzione scientifica e rivoluzione cristiana: alle origini del transumanesimo, in Teoria e prassi dei futures studies, 2019, n. 11, p. 163; R.PAURA, L’anima nell’epoca della sua riproducibilità tecnica: quale dialogo tra transumanesimo e antropologia cristiana?, ibidem, p.
181.
20 N.BONIFATI,G.LONGO, Homo immortalis. Una vita (quasi) finita, Springer, 2012, che ci fornisce spiegazioni su come e perché ci trasformeremo in esseri superiori, potenti, quasi immortali, telepatici, con l’aiuto di
10 5. Centoventi anni da leoni? La morte e il rischio di “sopravvivenza” nelle società moderne iper-tecnologizzate.
L’evoluzione tecnologica e scientifica, come un’arma a doppio taglio, sostiene i nostri più inconfessabili desideri ma d’altra parte minaccia l’espandersi della salute umana, consentendo condizioni di “sopravvivenza” innaturali, e ciò anche quando il processo di morte sia avviato e ormai prossimo. L’introduzione di nuove sofisticatissime tecnologie nel campo della medicina ha determinato la capacità di manipolare in profondità le diverse fasi dell’esistenza umana tanto da consentirne la sopravvivenza in condizioni di gravissima compromissione della coscienza o, viceversa, in condizioni di totale paralisi del corpo pur in presenza di funzionalità cerebrale integra. Ma molti degli interventi salvavita della medicina, dopo un evento traumatico o una malattia grave, assicurano – nell’eloquente gergo utilizzato dai medici - solo la sopravvivenza dopo l’evento traumatico, non la vita.
Il tema dell’evoluzione tecnologica e scientifica si intreccia in modo imponente con quello dei diritti dei malati morenti, particolarmente fragili, dipendenti e vulnerabili. Si prevede che la maggior parte di noi non avrà il privilegio di una morte naturale, immediata e inarrestabile, ma che il processo di morte si svolgerà all’interno di un lungo percorso medico. Queste previsioni pongono in modo pregnante la questione della “rimodulazione delle cure” nel fine-vita, della rinuncia anticipata di trattamenti salvavita, della richiesta anticipata di interruzione di queste, ed anche della questione dell’aiuto a morire o di richieste di una buona morte, ben oltre l’originario raggio di azione circoscritto a situazioni eccezionali per coinvolgere la maggior parte degli individui molto anziani in condizioni degenerative inarrestabili, in cui il processo di morte è inesorabilmente in corso, ma sempre più lungo, rallentato, continuamente ostacolato. In questi anni il miglioramento delle condizioni di vita e dell’assistenza sanitaria ha comportato un progressivo allungamento della vita media dei malati affetti da inarrestabile processo degenerativo e da cronica insufficienza cardiaca, respiratoria, neurologica, renale ed epatica, soggetti a riacutizzazioni intercorrenti, ma anche un inevitabile, globale, progressivo scadimento della qualità della loro vita.
Nella traiettoria della malattia di questi malati è possibile individuare un punto in cui aumenta il numero dei ricoveri ospedalieri e della degenza, mentre sono per contro sempre più rare le remissioni (è la c.d. fase end stage di malati affetti da croniche insufficienze d’organo)21.
scienza e tecnologia; V.LORRIMAR,Mind Uploading and embodied cognition: a theological response, in Zygon 2019, vol. 54 n.1. p.191-206.
21 Vi è ormai una comprovata evidenza che la sofferenza globale dei malati cronici terminali non affetti da cancro è equiparabile a quella dei malati neoplastici per i quali si attiva il protocollo di cure palliative end- of-life al termine delle terapie antineoplastiche). Di conseguenza, anche i malati affetti da malattie cronico- degenerative end stage debbono beneficiare di un approccio palliativo di simultaneous care (erogazione di cure palliative contemporanee alle cure specialistiche praticate contro la malattia) atto a garantire il
11 6. La “scomparsa” della morte dalla riflessione culturale occidentale.
Per contro, a questa stupefacente evoluzione tecnologica non fa pendant una riflessione culturale sulla morte. Vita, morte, sofferenza, dolore, evocano significati permanenti all’umanità e rappresentano argomenti di riflessione non solo filosofica e etica, sotto il profilo culturale o psicologico, ma anche di analisi scientifica, nel tentativo di restituire loro un significato comprensibile sia dal punto di vista individuale che oggettivo, sociale e collettivo.
Fin dalle società premoderne, la morte è stata interpretata come un evento a carattere eminentemente collettivo e di rilevanza sociale, e sebbene nelle società contemporanee questa componente simbolico-culturale sia divenuta più flebile, essendo diffusa una cultura etica che privilegia la dimensione individuale ed autonoma, tuttavia l’evento continua a configurare un accadimento carico di significati simbolici.
La religione ha attribuito alla morte un significato di limite, di passaggio e trasformazione e la medicina, nelle sue radici culturali, ha ereditato e recepito totalmente questa cultura religiosa (i guaritori un tempo erano sacerdoti) che attribuisce alla morte il significato di evento che segna una transizione verso l’ignoto.
La paura della morte appartiene quindi anche all’operatore sanitario, esposto alle morti continue dei suoi pazienti e al rischio di sentirsi colpevole o responsabile di quella morte. Si comprende, allora, la grandissima frustrazione del medico che non riesce a salvare il paziente e la sua ritrosia ad accettarne la morte, che si inserisce in un contesto culturale restio a riflettere sull’esperienza del morire e pesino, a monte, sul senso della vita22. Per cui domande del tipo: “Cosa mi accade durante il processo di morte e come affronto l’idea della morte?” oppure “come affrontare la solitudine del dolore e della morte?”
spesso non hanno né senso né voce. A queste domande la moderna società del benessere non sa fornire risposte23. Sembra paradossale come proprio la psicoanalisi,
controllo della sofferenza, il miglioramento della qualità dell’ultima parte della loro vita e della qualità della loro morte. Le cure palliative di fine vita (end-of-life palliative care) sono costituite da una serie di interventi terapeutici e assistenziali finalizzati alla cura attiva, totale di malati la cui malattia di base non risponde più a trattamenti specifici, quando la malattia inguaribile è in fase avanzata ma non ancora terminale. Fondamentale è il controllo del dolore e degli altri sintomi e in generale dei problemi psicologici, sociali e spirituali. Così Siaarti, Grandi insufficienze d’organo “end-stage”: cure intensive o cure palliative? Documento condiviso per una pianificazione delle scelte di cura, Documento approvato il 22 aprile 2013.
22 V.DI MARCO,Il divieto di morire. La scomparsa della morte nella società del rischio, La Cassandra, 2011.
23 Questa considerazione si legge in H.FEIFEL,Existential Psychology, 1961, Random House Inc., New York.
In un noto intervento, dal titolo “Noi e la morte”, esposto ad una conferenza che si tenne tra i membri di un’associazione umanistica austro-israelita il 15 febbraio del 1915, Freud si chiede quale sia il nostro atteggiamento verso la morte; egli osserva che il nostro atteggiamento è quello di “eliminare la morte dalla vita seppellendola sotto una coltre di silenzio”. Quando poi capita che muoia una persona a noi vicina, ne celebriamo il funerale in segno di lutto e ciascuno di noi diventa più consapevole che si è ancora “debitori verso la natura della propria morte”. “Si ammette certamente che alla fin fine si deve pur morire, ma questo «alla fin
12 che ha dedicato immense energie allo studio dell’angoscia e della rimozione, ha finito per rimuovere o negare la massima e più antica angoscia umana: l’angoscia della morte con le sue micidiali elaborazioni sociali e culturali attraverso i millenni. La morte e il morire, quali esperienze dell’esistenza umana, attirano poca attenzione in un orizzonte culturale antropologico incentrato sull’affermazione di valori consumistici e sull’affermazione di un’identità conflittuale e frammentata.
Se guardiamo la morte come fenomeno scientifico, oltre che come fenomeno culturale, ci rendiamo conto che l’esperienza biologica del morire è continua e costante ed appartiene alla vita, perché a partire da una certa età, le nostre ossa, il sangue, la cute, milioni di cellule muoiono in ogni istante della nostra vita e la loro morte è essenziale per la nostra vita su questa terra. La morte cellulare ci consegna una forma umana che è quella che si è evoluta nell’ambiente in cui viviamo. Siamo organismi viventi che esperiscono quotidianamente la morte di milioni di cellule, alcune di queste persino programmate alla morte24. Mentre leggiamo queste pagine o parliamo, centinaia di cellule del nostro corpo muoiono. La scienza ci dice che il processo di morte è in atto finché e mentre viviamo poiché la vita e la morte non sono eventi, ma processi. Non ci sono passaggi traumatici, salti, ma transizioni da una soglia all’altra.
Non siamo né completamente vivi né completamente morti25.
7. La “sofferenza insopportabile” della perdita dell’identità.
Per lungo tempo il processo di morte, come esperienza umana, è stato ignorato anche dalla professione medica. Ma proprio partendo dall’esperienza del rapporto medico-paziente, oggi si riconosce che uno degli obiettivi certamente non meno importanti della medicina è anche quello di alleviare la “sofferenza intollerabile” dei pazienti durante la fase conclusiva della loro vita. Il vitalismo, come concezione secondo cui la vita è sempre bene e la morte sempre male, si arresta di fronte ad un mutamento della mentalità medica, che non vede più la morte come il fallimento della medicina, ma come il necessario ed inevitabile punto di arrivo delle cure mediche.
Alcuni studi, diffusi soprattutto nei paesi anglosassoni, hanno esplorato le condizioni che determinano la “sofferenza insopportabile” di pazienti terminali o
fine» lo intendiamo come situato in lontananze imprevedibili. Noi non crediamo in fondo alla nostra propria morte” , S.FREUD,Noi e la morte, 1993, Bari.
24 D.CALLAHAN, The Trouble Dream of life: in search of peaceful death, New York, 1993, p. 13, a favore di un atteggiamento di accettazione della morte: “per ogni malattia seria dobbiamo porre la questione se a questa malattia deve essere consentito di procedere e di diventare la causa della morte”.
25 Per una ricostruzione antropologica e anche attuale sulla morte e il morire, A.LYNNE,DE SPELDER,A.L.
STRICKLAND, The last dance. L’incontro con la morte e il morire, 2005, Clueb; S.LEONE,Il confine e l'orizzonte.
Indagine sulla morte e le sue rappresentazioni, EDB, Collana Persona e psiche, 2014. Fondamentale è il richiamo alle opere diE.KUEBLER ROSS, Impara a vivere e impara a morire. Riflessioni sul senso della vita e importanza della morte, 1995, Milano; ID., On Death and Dying (1969), trad. it. La morte e il morire, 13° ed., Cittadella, 2013, p. 56 ss., la quale ha suddiviso le fasi psicologiche che caratterizza il processo di morte 1.
Iniziale rifiuto e isolamento; 2. la collera; 3. venire a patti; 4. la depressione; 5. l’accettazione.
13 incurabili che avevano chiesto esplicitamente un aiuto al suicidio o che avevano rifiutato le cure consapevoli del processo di morte in atto. Scopo delle interviste è comprendere cosa s’intende per “sofferenza insopportabile”, cosa la determina, di quali elementi si compone, e quali sono le possibilità di farvi fronte26.
Cosa emerge da questi dialoghi e da questo ascolto? Il medico e l'operatore sanitario osservano nel quotidiano i segni esteriori di quel processo patologico emotivamente estenuante che condurrà il paziente alla morte27. Percepire la soglia del dolore attraverso la conoscenza medica è quasi impossibile e occorre affidarsi alle mutevoli percezioni umane28. Il dolore è una minaccia terribile al senso d’identità29. Esso induce ad una parziale rinuncia del Se e dell’atteggiamento che si assume nelle normali relazioni sociali, si autorizza atti (smorfie, pianti etc.) parole che rompono incoerenti con i comportamenti abituali, oppure si ritrae in se in una solitudine estrema. Quando si sa che un dolore è passeggero che prima o poi finirà, esso potrà non intralciare il senso d’identità dell’individuo. La sofferenza diviene terrore quando il dolore minaccia di entrare nella carne in via definitiva, quando diviene cronico, e diviene una “malattia nella malattia”. Allora diviene un pensoso ostacolo all’esistenza.
Il dolore è un’esperienza forzata che inaugura un modo di vita, un imprigionarsi dentro di sé che non lascia scampo perché tutto il mondo rigurgita dolore e depressione, lasciando solo la coscienza residuale30.
26 M.K. DEES, M.J. VERNOOIJ-DASSEN, W.J. DEKKERS, K.C. VISSERS, C.VAN WEEL, Unbearable sufferin': a qualitative study on the perspectives of patients who requestassistance in dying, in Journal of Medical Ethics, vol.
37, n. 12, 2011, pp.727- 734; C.P.GERMAIN, Nursing the Dying: Implications of Kübler-Ross' Staging Theory, in The Annals of the American Academy of Political and Social Science, vol. 447, The Social Meaning of Death 1980, pp. 46-58; S.NATOLI, L’esperienza del dolore. Le forme del patire nella cultura occidentale 1986, Feltrinelli, 2010.
In particolare, si rinvia a D.LE BRETON,Antropologia del dolore, 2012, che tratteggia la differenza tra dolore, conetto medico, e sofferenza, concetto esperenziale e che indaga sulla intensità e misura soggettiva del dolore, e che si identifica con la sofferenza, che non è solo una serie di meccanismi fisiologici, ma colpisce l’uomo nella sua complessità e non un frammento del corpo, colpisce l’identità, cancella ogni dualità e coscienza.
27 Per un’indagine sulla qualità della vita del paziente morente, S.BARRIE, QALYs, euthanasia and the puzzle of death, in Journal of Medical Ethics, vol. 41, n. 8, 2015, pp. 635-638; J.E.SEYMOUR, J.FRENCH,E.RICHARDSON, Dying matters: let's talk about it, in British Medical Journal, vol. 341, n. 7774, 2010, pp. 646-648.
28 Il dolore sempre un fenomeno duplice: una spiacevole sensazione fisica si associa ad una reazione emozionale e sottolineare la complessità del dolore si ricorre all’espressione “dolore totale” cioè alla sorgente somatica dello stimolo causa si associano gli aspetti psicologici, sociali spirituali etici che sappiamo accompagnare gli ultimi mesi della vita del malato. È il paziente l’unico giudice del proprio dolore e solo lui ha il diritto di valutarne l’intensità ed il disagio da esso provocato.
29 I fattori che possono provocare dolore sono diversi (nevralgie, dolore articolare, dolore post-traumatico, dolore da patologia oncologica ecc.) ma secondo l’International Association for the Study of Pain (IASP), il dolore è definibile come la “sensazione spiacevole associata ad un danno tessutale reale o potenziale, o comunque percepito come tale”. Il dolore ha sempre rappresentato per l’uomo una sorta di campanello d’allarme necessario ad attivare la nostra risposta di “fuga” da uno stimolo nocivo. Ciò può essere valido se consideriamo solo il dolore acuto. Quando però il dolore diviene cronico e quindi si protrae e dura nel tempo perde la funzione di sintomo utile e diviene una vera e propria malattia nella malattia.
30 S.BONINO,Mille fili mi legano qui, Laterza, Bari 2008, narra come il degente di un reparto ospedaliero, anche per motivi di organizzazione del sistema sanitario, perda la propria personalità, la propria individualità e la propria libertà. Non è più un individuo che può disporre del suo tempo (magari ad una
14 Ma anche senza dolore fisico, quando è in atto un processo che condurrà alla morte, la sofferenza del paziente può essere intollerabile. Il processo del morire mette a fuoco passato, presente e il futuro. In un lasso di tempo molto breve, il passato deve essere riconciliato, il presente deve essere realizzato e il futuro deve essere pianificato.
Tutte le emozioni si intensificano quando la fine è prossima31. Un paziente morente è totalmente dipendente dalla famiglia e dagli amici e ne percepisce più acutamente ansia, dolore, incomprensione e assai spesso anche rabbia. Gran parte della depressione clinica nei pazienti morenti e nelle loro famiglie sembra avere le sue radici in una sensazione di impotenza. Questa reazione depressiva talvolta può aumentare progressivamente fino a diventare di intensità patologica con preoccupazioni suicide, poiché non è tanto la morte quanto il tempo necessario per morire e la qualità di quella vita residua che può promuovere l'ideazione suicidaria e persino l'azione32.
L’esperienza mostra che la timidezza nel curare il dolore o nell’anticiparne la venuta sono fonte di ansia acuta che avvelena gli ultimi momenti della propria esistenza. Iniezioni di morfina spesso non sincronizzate con le ondate di dolore lasciano il paziente nell’attesa penosa del prossimo momento di sollievo. Quando il dolore è troppo forte, si consente di “barattare” una morte precoce con il fatto di soffrire di meno.
Tutta questa gamma di emozioni, dall'ansia, alla paura, persino l’impazienza di fronte alla morte sono espressione di come si è, in precedenza, strutturata la personalità di ciascuno di noi, e come abbiamo messo in atto strategie di sopravvivenza e difesa di un Ego spesso troppo fragile e posticcio. Il concetto di identità personale, nella nostra cultura occidentale, non rinvia ad un Se indipendente dalla biografia, ma descrive un processo di “identificazione” a sua volta con desideri, bisogni, stati e modelli mentali di ciascuno di noi appartenenti alla nostra storia
certa ora si viene svegliati dal personale infermieristico) del suo spazio (deve condividere la propria stanza con altri pazienti) del suo corpo (altri decidono quando e come sottoporre il paziente ad esami clinici) e della sua intimità (le porte delle stanze ospedaliere devono rimanere sempre aperte).
31 M.K.DEES,M.J.VERNOOIJ-DASSEN,W.J.DEKKERS,K.C.VISSERS,C.VAN WEEL,Unbearable sufferin, cit., Dalle interviste merge che i pazienti vicini alla morte sembrano essere equamente divisi tra quelli che credono in qualche forma di vita dopo la morte e quelli che credono nell'oblio permanente. Quelli che credono in una forma di vita dopo la morte sono più propensi ad accettarla e apparentemente meno sofferenti. Quelli che non credono in forme di esistenza dell’anima spesso si rammaricano del fatto che non saranno disponibili a sostenere e completare l'educazione dei propri figli, di ciò che avrebbero potuto fare, ma sembrano singolarmente indifferenti a ciò che accadrà a se stessi. Tuttavia per entrambi di gruppi, la paura del processo di morte è molto reale e acuta. Questa paura include la paura del dolore, o di non essere in grado di affrontare il dolore; la paura di non avere abbastanza coraggio se quelle condizioni si protrarranno troppo a lungo; a volte a ciò si associa la paura di impazzire, la paura di essere dipendenti e di essere di peso, la paura della perdita, non solo della vita stessa ma dell’abbandono da parte delle persone più importanti. C'è una preoccupazione e una tristezza per gli affari non finiti, specialmente in quelli che hanno meno di 50 anni. Molti degli obiettivi e degli obiettivi della vita non saranno stati raggiunti, così che l'abbandono di questi obiettivi personali porterà a difficoltà.
32 W.A.CRAMOND,Psychotherapy Of The Dying Patient, in The British Medical Journal, Vol. 3, n. 5719, 1970, pp.
389-393; E.EARNSHAW-SMITH, Dealing With Dying Patients And Their Relatives, in British Medical Journal (Clinical Research Edition), vol. 282, n. 6278, 1981, p. 1779.
15 biografica33. Ecco perché modificare questi modelli significa perdere la propria identità, perdere se stesso e abbandonare questa identità provoca una “sofferenza insopportabile”, persino maggiore del dolore fisico, talora maggiore dell’idea della morte stessa: negare quella storia biografica o quei modelli mentali equivale già a morire o a essere morto.
La nostra società ci rende molto più longevi, il tasso di mortalità è molto ridotto, aspiriamo quasi all’immortalità e al potenziamento delle nostre abilità psichiche e fisiche, abbiamo in mano tecnologie strepitose che ci consentono di realizzare molti dei nostri desideri, ma siamo più fragili dal punto di vista esistenziale perché stressati, competitivi, materialisti, meno autonomi psicologicamente e sempre più dipendenti dal contesto esterno. La moderna società del benessere mira ad affermare un’identità bellica, fondata sul potere e sulla potenza, in conflitto con diverse parti di un Sé frammentato in mille ruoli, sedimentato in mille circuiti neurologici orami automatici, piuttosto che a trovare un autentico centro interiore.
Nella nostra lotta ad essere "buoni" familiari, amici, medici, nel fare tutto ciò che è possibile, immobilizziamo i nostri pazienti e li rendiamo più indifesi e fragili psichicamente perché meno autonomi e, ormai prossimi alla morte, incapaci di conquistare quell’identità e quella centratura interiore magari mai esperite durante la fase ascendente della vita. È in questa fase che si manifesta in modo più dirompente il bisogno di ricostruire un’identità personale forse mai esperita prima.
8. Le near death experience e gli stati di coscienza alterata.
L’introduzione di nuove sofisticatissime tecnologie nel campo della medicina ha determinato la capacità di manipolare in profondità le diverse fasi dell’esistenza umana, tanto da consentire anche la sopravvivenza in condizioni di gravissima compromissione della coscienza, o di totale paralisi del corpo pur in presenza di funzionalità cerebrale, ma il medesimo progresso tecno-scientifico dimostra l’esistenza di una attività cerebrale e quindi di una “vita” mentale che va oltre la coscienza34.
33Melanie Klein afferma che la capacità di affrontare la prospettiva della propria morte dipende dallo stato del mondo interno personale. In altre parole, quanto più una persona è dotata di un mondo interno bonificato, tanto più il pensiero della morte personale può essere vissuto con rammarico e con tristezza, e non con angoscia del caos o come agonia e terrore senza fine, M. Klein, Sull’identificazione, 1966, in Nuove vie della psicoanalisi, a cura di Klein M, Heimann D, Money-Kryl, Milano, 1955. Il tema dell’identità personale si trova al centro di un crocevia sul quale convergono gli interessi di diversi settori della riflessione scientifica odierna (sociologia, antropologia, filosofia, psicologia, informatica, scienza delle comunicazioni, genetica, medicina, biologia, sessuologia). La sfida è comprendere il modo in cui l’individuo considera e costruisce se stesso come parte di determinati gruppi sociali: nazione, classe sociale, livello culturale, etnia, genere, professione, e così via. Assumendo una prospettiva giuridica, possiamo definire l’identità personale come “l’immagine” che la società ha dell’individuo, la proiezione sociale della sua personalità, ovvero nella estrinsecazione degli aspetti sociali e relazionali, che tuttavia mantiene un nucleo di individuazione personalissima, attinente al rapporto ontologico con se stesso e con il proprio corpo.
34 C. UMILTÀ,Consciousness and control of action, in P.D. Zelazo, M. Moscovitch, E. Thompson (a cura di), The Cambridge handbook of consciousness, Cambridge, Cambridge University Press, 2007, pp. 327-352; BLOCK,