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La fase pre-analitica nella diagnostica patologica per l oncologia di precisione: criticità e soluzioni.

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Academic year: 2022

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La fase pre-analitica nella diagnostica patologica per l’oncologia di precisione:

criticità e soluzioni.

Antonio Marchetti

a

, Alessia Di Lorito

b

, Fiamma Buttitta

c

a. Dipartimento di Scienze Mediche, Orali e Biotecnologiche; b. “Center for Advanced Studies and Technology”, Università di Chieti-Pescara;

c. Ospedale Clinicizzato SS. Annunziata, Chieti

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Indice

1. Introduzione

2. Le diverse tipologie di campioni biologici

2.a Prelievi bioptici e resecati chirurgici 2.b I Campioni citologici

2.c Sangue e derivati

5. Variabili pre-analitiche nella gestione del campione tessutale

5.a Ischemia tessutale 5.b Tipologie di fissazione

5.c Velocità di diffusione della formalina e tempo ottimale di fissazione 5.d Rapporto volume fissativo/volume campione biologico

5.e Tessuto sottoposto a decalcificazione

6. Effetti deleteri di una non corretta fissazione

6.a Eccessivo tempo di ischemia fredda

6.b Eccessivo tempo di fissazione in formalina (overfixation) 6.c Insufficiente tempo di fissazione in formalina (underfixation) 6.d Conseguenze di una decalcificazione non idonea

3. Campionamento del pezzo operatorio

4. Un campionamento dedicato a specifici test molecolari

7. La gestione delle piccole biopsie per la caratterizzazione tumorale e la diagnostica tumorale in funzione della scelta terapeutica

8. Allestimento dei preparati citologici in funzione delle analisi molecolari 9. Il campione tessutale inviato a fresco

10. La conservazione del materiale biologico in paraffina 11. L’introduzione dei TMA nella fase pre-analitica

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In questi ultimi anni, da quando le analisi molecolari sono entrate nella pratica clinica anatomo patologica perché indispensabili per la migliore scelta terapeutica nei pazienti oncologici, si è compreso quanto sia importante una corretta gestione del materiale biologico sia per poter disporre di campioni di buona qualità che per riuscire a garantire una quantità di cellule/tessuto idonea per l’esecuzione di tutte le analisi necessarie.

Diverse variabili, infatti, interferiscono con la qualità e quantità del campione biologico, dalle quali dipendono l’accuratezza delle analisi morfologiche e molecolari1.

Il trattamento dei campioni biologici per le analisi anatomopatologiche comporta una serie di passaggi procedurali al fine di ottenere sezioni tessutali o preparati citologici da destinare alle opportune analisi per la definizione della patologia e, quando necessario, alla caratterizzazione molecolare. Tutte queste fasi procedurali comportano delle variabili (dette pre-analitiche) in grado di condizionare i risultati delle analisi al punto tale da risultare, se non correttamente espletate, detrimentali per una terapia farmacologica personalizzata. Infatti, qualora non siano tenute in considerazione le criticità dei fattori preanalitici, le alterazioni artefattuali conseguenti ad errori procedurali determinano una grave compromissione della qualità dei campioni con possibilità di errori nella caratterizzazione tumorale e nella determinazione dello stato mutazionale dalla quale dipende la scelta terapeutica. In caso di alterazioni marcate, si arriva talora alla impossibilità di valutare i biomarcatori predittivi di risposta al trattamento, togliendo così al paziente una possibilità di cura appropriata.

Pertanto, è necessaria, molto più che in passato, una particolare attenzione alle procedure di acquisizione, trasporto, stabilizzazione, processazione e conservazione dei materiali biologici. Tali procedure devono essere standardizzate in tutte le anatomie patologiche per salvaguardare l’integrità dei prelievi tessutali o cellulari a breve e lungo termine1. Questi aspetti tecnici e relative criticità saranno descritti nelle sezioni che seguono.

1. Introduzione

Le analisi molecolari sono entrate nella pratica clinica anatomo patologica

perché indispensabili per la migliore scelta terapeutica nei pazienti

oncologici.

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I campioni biologici vengono ottenuti da pazienti oncologici, secondo varie procedure, in ambulatori medici, reparti chirurgici o di radiologia interventistica e successivamente inviati al reparto di anatomia patologica dove vengono esaminati e processati. Nella pratica clinica, campioni tessutali e citologici consentono una analisi morfologica del preparato, una caratterizzazione della patologia neoplastica sia immunofenotipica che molecolare, quest’ultima indispensabile per orientare verso una terapia specifica. Il prelievo di tessuti richiede procedure chirurgiche, procedure meno invasive consentono di ottenere campioni citologici.

2.a Prelievi bioptici e resecati chirurgici

Il materiale da destinare ad esame istologico è rappresentato da prelievi bioptici, costituiti da frustoli o frammenti di tessuti, oppure da campioni ottenuti dal patologo all’analisi di organi o porzioni di organi prelevati con atto operatorio (resezioni chirurgiche). Le biopsie vengono indicate come incisionali, quando si riferiscono ad asportazioni parziali di lesioni patologiche con l’unico obiettivo di affettuare una diagnosi o escissionali quando si asporta una lesione nella sua interezza (ad esempio un polipo intestinale) a fini sia diagnostici che terapeutici; inoltre le biopsie possono essere distinte, a seconda della sede cui è effettuato il prelievo, in:

a) biopsie su organi parenchimatosi, in genere ottenute mediante agoaspirazione (core biopsy) eventualmente anche sotto guida radiologica o ecografica;

b) biopsie endoscopiche, condotte su lesioni presenti in organi cavi (stomaco, colon, vascica, vie aeree).

da lesioni nodulari palpabili, per agoaspirazione mediante procedura eco-guidata, in sede tiroidea, mammaria, linfonodale o sottocutanea, oppure mediante Endobronchial ultrasound-guided transbronchial needle aspiration (EBUS) o TC nel caso di lesioni patologiche in organi profondi (quali lesioni toraciche o addominali)2.

2.b I Campioni citologici

Il materiale da destinare ad esame citologico può essere ottenuto da procedure esfoliative, quali brushing su lesioni del cavo orale o dei genitali, oppure da espettorati o ancora da liquidi prelevati da versamenti patologici o rappresentati dalle urine per la raccolta del sedimento urinario. Una ulteriore possibilità consiste nel recupero di cellule a partire

2.c Sangue e derivati

Nel corso degli ultimi anni, l’utilizzo del plasma si è diffuso per la ricerca di alterazioni genomiche eventualmente presenti nel DNA tumorale libero circolante (ctDNA) quando il paziente non dispone di tessuto alla diagnosi o alla progressione di malattia. Nei casi in cui, per motivi vari, non sia possibile ottenere campioni bioptici o citologici, il plasma può rappresentare l’unica possibilità per la caratterizzazione molecolare del paziente in funzione di terapie mirate. Tuttavia, alla data attuale la diagnostica su plasma è codificata dall’AIFA solo per le mutazioni del gene EGFR. Non è escluso che a breve sia possibile ricorrere ad un prelievo di sangue anche per la ricerca di altre mutazioni e traslocazioni geniche. Inoltre, i progressi tecnologici hanno portato a strategie di rilevamento sempre più accurate degli alleli associati al cancro nel sangue, con elevati livelli di sensibilità e specificità, tanto da fornire informazioni sul panorama genetico dei tumori e consentire di valutare precocemente lo sviluppo di mutazioni geniche associate alla resistenza e alla progressione di malattia3.

Una trattazione degli aspetti pre-analitici relativi ai test mutazionali sul ctDNA esula dallo scopo del presente documento dedicato specificamente ai processi pre-analitici di allestimento di tessuti e cellule in funzione delle analisi molecolari per la medicina di precisione.

2. Le diverse tipologie

di campioni biologici

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Occorre introdurre nel campionamento nuove procedure frutto dell’esperienza maturata nella diagnostica immunoistochimica relativa

alla espressione di biomarcatori eterogenei

come PD-L1.

Possono pervenire al patologo resezioni totali di un organo, parziali, o eventualmente anche allargate ad altri organi. Nel caso delle resezioni chirurgiche di ampie dimensioni, il patologo deve individuare le aree più significative ai fini della diagnosi e prelevarle, ottenendo dei campioni rappresentativi della lesione, per l’esame successivo al microscopio.

Il campionamento dei tessuti deve essere condotto secondo protocolli basati su linee guida aggiornate, prodotte per le diverse patologie, che permettano una accurata caratterizzazione della patologia neoplastica in esame e della sua eventuale diffusione utile per la stadiazione del processo oncologico in atto e per valutare l’adeguatezza dell’intevento chirurgico effettuato. Al fine di ottenere il massimo delle informazioni è necessario che il pezzo operatorio, una volta rimosso dal paziente, sia conservato opportunamente durante il trasporto in modo da pervenire inalterato e che sia corredato di tutte le notizie cliniche utili per l’interpretazione delle lesioni osservate4.

Generalmente da un resecato chirurgico di dimensioni medio/grandi vengono prelevati vari campioni di dimensione ridotta che possono variare in numero e tipologia, in base alle caratteristiche del materiale asportato e dei quesiti clinici, ognuno dei quali viene inserito in una biocassetta dedicata e contrassegnata da codice a barre. Durante l’esame macroscopico del pezzo operatorio il patologo può avvalersi di vari strumenti di misura e può documentare le fasi critiche del campionamento con immagini o filmati digitali. Dopo il campionamento, le biopsie e i prelievi da tessuto resecato devono procedere in maniera differenziata, sulla base di criteri dimensionali con un cut-off di circa 1 cm, in protocolli laboratoristici di allestimento dedicati con specifici tempi di “processazione” che, attraverso passaggi in vari reagenti, consentano di predisporre il campione alla impregnazione da parte della paraffina per la costituzione di blocchi solidi dai quali ottenere sezioni di tessuto di 4-5utili per esami morfologici, immunofenotipici e molecolari4.

Unitamente a quanto sopra detto e che è parte integrante dell’attività routinaria del patologo, occorre introdurre nel campionamento nuove procedure frutto dell’esperienza maturata nella diagnostica immunoistochimica relativa alla espressione di biomarcatori eterogenei come PD-L1. Nel caso di neoplasie di cospicue dimensioni (superiori a 3 cm nel massimo diametro), al fine di valutare meglio i biomarcatori con espressione eterogenea è preferibile, al posto del classico campionamento di aree tumorali, effettuare prelievi multipli e di minori dimensioni da posizionare in una unica o poche biocassette in modo da ottenere un campionamento maggiormente rappresentativo della intera lesione neoplastica. Questa modalità di campionamento è suggerita da studi che hanno dimostrato come l’espressione di PD-L1 valutata su più di un’area tumorale dello stesso paziente dia un risultato più affidabile5.

3. Campionamento del pezzo operatorio

4. Un campionamento dedicato

a specifici test molecolari

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Questa sezione è dedicata specificamente alla gestione del materiale bioptico in quanto questo, a differenza del materiale citologico, richiede un percorso laboratoristico più lungo e complesso sotto molti aspetti. Infatti, la gestione del materiale tessutale comporta un maggior numero di step critici (variabili pre-analitiche) che possono alterare la qualità del tessuto utile a fini diagnostici se ignorati. I campioni biologici subito dopo il prelievo da un paziente devono essere stabilizzati mediante fissazione, nel più breve tempo possibile, al fine di evitare la decomposizione post-mortem del tessuto ad opera di batteri o funghi ed ottenere l’inibizione degli enzimi proteasi e DNasi, responsabili dell’autolisi. La qualità di un campione è principalmente influenzata dal tempo di ischemia che precede la fissazione, dal tipo di fissativo utilizzato e dal tempo di fissazione6.

5. Variabili preanalitiche

nella gestione del campione tessutale

5.a Ischemia tessutale

L’ischemia comporta l’attivazione di processi biologici complessi che si integrano con gli effetti dell’ipossia, dell’acidosi, e dell’alterazione elettrolitica che iniziano immediatamente dopo l’asportazione del materiale biologico. Vari studi hanno dimostrato che un intervallo di tempo di 30 minuti comporta già un rialzo dei livelli di proteine legate all’ipossia e all’apoptosi senza possibilità di ritornare ai livelli basali. Il tempo di ischemia che precede la fissazione è una variabile preanalitica che incide profondamente sulla qualità del tessuto. Per ottenere il massimo in termini di preservazione del tessuto e delle sue caratteristiche biologiche, il tempo che intercorre tra l’escissione e la fissazione dovrebbe essere ridotto al minimo per bloccare i processi ischemici e di autolisi. Tuttavia, in realtà la fissazione non può sempre iniziare in tempi rapidi. Questo è possibile solo per le biopsie che possono essere immerse nel fissativo subito dopo il prelievo, mentre per i resecati chirurgici, in particolare se di grandi dimensioni, il tempo che precede la fissazione è generalmente lungo per i motivi di seguito descritti dipendenti dai tempi di ischemia calda e ischemia fredda4,7.

√ Il tempo di ischemia calda è un intervallo di tempo variabile, anche di varie ore, che inizia durante l’intervento chirurgico con la legatura dei vasi che

irrorano il tessuto da esaminare e termina con la rimozione definitiva del campione stesso dal paziente.

Non abbiamo la possibilità di intervenire su questa finestra temporale in quanto l’intervallo di tempo ischemico dipende dal tipo di intervento chirurgico e dalla sua complessità.

√ Si indica come “tempo di ischemia fredda” il lasso di tempo che intercorre fra la rimozione del tessuto e l’inizio

“effettivo” della fissazione. Su questo intervallo temporale abbiamo il dovere di intervenire come anatomopatologi con una organizzazione delle attività atte a iniziare quanto prima il processo di stabilizzazione del tessuto, mediante:

a) pre-fissazione in formalina prima della riduzione (campionamento) del pezzo operatorio o conservazione sottovuoto a 4°C (descritta di seguito);

b) riduzione del tempo di consegna dei pezzi chirurgici in anatomia patologica;

c) riduzione del tempo che precede il campionamento al fine di una più rapida ed appropriata fissazione.

Situazioni difficili si realizzano per alcune strutture ospedaliere in cui l’anatomia patologica è distante rispetto alle sale chirurgiche o è dislocata addirittura in altri presidi ospedalieri. In questi contesti si deve tener conto per il trasferimento dei campioni anche del tipo di contenitore e della temperatura che nei periodi estivi può essere molto alta.

E’ necessario in ogni caso, porre attenzione ai resecati chirurgici di grandi dimensioni che, per necessità logistiche o scelte organizzative delle sale operatorie, vengono talora prelevati e immersi in recipienti colmi di formalina, accumulati e trasferiti in anatomia patologica dopo molte ore. L’immersione dell’intero campione in formalina impedisce la raccolta di campioni “a fresco”

da conservare nelle biobanche a -80°C e facilita la permanenza del pezzo chirurgico integro nel fissativo per molte ore prima del campionamento. Ciò favorisce un prolungamento del tempo di ischemia fredda delle parti più profonde del tessuto che subiscono un ritardo nella impregnazione da parte del fissativo.

5.b Tipologie di fissazione

La fissazione è una procedura di stabilizzazione del materiale biologico che ha il fine di preservare nel tempo la morfologia cellulare e le caratteristiche molecolari

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del campione biologico prelevato a fini diagnostici.

La fissazione può essere ottenuta con modalità varie:

congelamento e conservazione a bassa temperatura (-80°C in congelatore o in azoto liquido), esposizione a reattivi di tipologia differente che interagiscono chimicamente con i componenti tessutali o trattamento con microonde.

√ Il congelamento a bassa temperatura consente di ottenere una elevata qualità di acidi nucleici e proteine ed è ancora considerato lo standard ottimale per la maggior parte delle analisi molecolari. Tuttavia, il congelamento non preserva i minimi dettagli morfologici dei tessuti e vari anticorpi, utili nella pratica diagnostica e ottimizzati su tessuto fissato in formalina non danno risultati analoghi su sezioni criostatate.

Inoltre, la conservazione dei campioni congelati richiede, all’interno della anatomia patologica, la presenza di una biobanca dotata di sistemi di controllo e infrastrutture costose. Va comunque ricordata l’importanza di poter archiviare campioni di tessuto a bassa temperatura in quanto questi potrebbero rappresentare per i pazienti oncologici, nell’ambito della medicina di precisione, una importantissima fonte di materiale biologico per analisi di futuri biomarcatori che eventualmente potrebbero richiedere solo tessuto congelato.

√ La fissazione mediante sostanze chimiche prevede in genere il trattamento del materiale biologico con prodotti a base alcolica od aldeidica. I fissativi a base alcolica sono utilizzati soprattutto per preparati citologici. Questi fissativi rendono i campioni citologici idonei sul piano qualitativo per i test molecolari basati sull’analisi del DNA ed hanno il vantaggio di essere meno tossici. Tuttavia, non sono consigliabili per prelievi tessutali in quanto mostrano una penetrazione e diffusione lenta all’interno del tessuto e provocano coartazione cellulare con un impatto negativo sulle caratteristiche morfologiche della neoplasia in esame.

Inoltre, i fissativi alcolici risultano non idonei per test immunoistochimici validati e commercializzati per tessuto fissato in formalina.

√ La formaldeide (o aldeide formica) è la più semplice delle aldeidi ed è il fissativo più comunemente utilizzato nelle anatomie patologiche per preservare la morfologia dei tessuti dalle alterazioni dovute ai processi autolitici post-mortem e dalla decomposizione esercitata dai

microrganismi. Ottenuta per la prima volta in forma polimerica nel 1859 da Buterlow e successivamente perfezionata da Blum nel 1886, era inizialmente utilizzata quale antisettico per le ferite. Alla temperatura e pressione ordinaria, l’aldeide formica è un gas irritante per le mucose oro-faringee e caratterizzato da un particolare odore pungente. La molecola evaporata nell’aria ha un’emivita breve in quanto è rapidamente degradata da processi fotochimici. Tuttavia, in considerazione del suo potere oncogeno, l’utilizzo della formalina richiede comunque la messa a norma dei laboratori secondo le attuali norme di sicurezza e l’utilizzo di cappe aspiranti chimiche. La formaldeide viene commercializzata comunemente sotto forma di soluzione acquosa con il nome di formalina ed usata come fissativo in anatomia patologica alla concentrazione del 4% in soluzione tampone fosfato a pH neutro 7.2. L’introduzione di una soluzione tamponata di formalina al posto di quella acquosa, utilizzata in precedenza, si deve alla necessità di impedire l’ossidazione della formalina ad acido formico, con conseguente abbassamento del pH, responsabile poi di artefatti tessutali e di una marcata frammentazione del DNA. Per tale motivo, è opportuno controllare nel tempo il pH della formalina in uso ed è necessario aderire strettamente alle raccomandazioni della ditta produttrice per la conservazione della stessa. Un altro parametro importante è il tempo di fissazione che è stato oggetto di molti studi8,10. Questo lasso di tempo dipende molto dal tipo di campione in esame. Infatti, alcuni tessuti, soprattutto quelli con molto grasso come mammella e cute, possono necessitare anche di 48 ore per una corretta fissazione. In termini generici, i tempi adeguati riportati in letteratura sono non meno di 8 ore per le piccole biopsie e non più di 36-48 ore anche per le biopsie di maggiori dimensioni. Per motivi pratici, un buon compromesso nella maggior parte dei casi può essere rappresentato da un tempo medio di fissazione di 12-24 ore. Ponendo attenzione ai valori di pH del fissativo e standardizzando i tempi di fissazione è possibile ottenere, dai tessuti inclusi in paraffina, una qualità e quantità di acidi nucleici idonea alle analisi geniche, incluso il sequenziamento parallelo massivo.

Per quanto concerne i processi biochimici alla base della fissazione con formalina, sappiamo che quest’ultima è in grado di legarsi attraverso legami

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covalenti con numerosi gruppi chimici contenenti un atomo di idrogeno reattivo. In particolare, si ritiene che il processo di fissazione crei una reticolazione a seguito della formazione di legami crociati intra ed intermolecolari fra formalina e gruppi carbossilici di catene peptidiche, glicoproteine, acidi nucleici e altre molecole del tessuto così come all’interno degli stessi acidi nucleici. Questi legami crociati schermano gli epitopi tessutali rendendoli non disponibili alle reazioni chimiche utili per la caratterizzazione immunofenotipica. Procedure basate sull’azione del calore e su opportune reazioni enzimatiche, a base di proteinasi o pepsina, consentono lo smascheramento antigenico in quanto le proteine vengono riportate alla loro conformazione nativa, gli epitopi ritornato ad essere liberi e il recupero della antigenicità tessutale consente le analisi immunoistochimiche per la caratterizzazione tumorale11.

Alla data attuale, nonostante la formalina sia stata riconosciuta quale sostanza cancerogena ed inserita secondo il regolamento (CE) n.1272/2008 del Parlamento Europeo fra le molecole di categoria 1B, questo tipo di fissativo non è stato sostituito da altri tipi di fissativo perché non esiste sul mercato un prodotto assolutamente analogo per caratteristiche e non cancerogeno con particolare riferimento alle aspetti morfologici del tessuto dopo la fissazione e al fatto che la maggior parte degli reagenti diagnostici disponibili in commercio per indagini immunoisto-citochimiche e molecolari sono stati messi a punto per riconoscere specificamente biomarcatori su materiale biologico fissato in formalina ed incluso in paraffina.

Al fine di ottimizzare la stabilizzazione del materiale biologico dopo il prelievo e ridurre l’esposizione ambientale alla formalina è stata introdotta la procedura del sottovuoto che si è diffusa in alcuni centri sul territorio nazionale e in vari paesi europei.

Tale procedura può risultare utile sia nelle sale operatorie, per eliminare l’immissione della formalina nei contenitori destinati alla conservazione e trasporto dei campioni chirurgici, sia nei reparti di anatomia patologica durante le varie fasi di trattamento del tessuto. In condizioni di rarefazione di ossigeno si riduce la crescita batterica degli aerobi favorendo la conservazione del tessuto per tempi più lunghi alle stesse condizioni di temperatura. Sono attualmente

disponibili sistemi per la conservazione sottovuoto in diverse tipologie di contenitori, rigidi o non rigidi (buste di materiale plastico) all’interno dei quali il tessuto viene conservato per brevi periodi e trasportato a temperatura di 4° C. Numerosi dati bibliografici indicano che alla temperatura di 4°C sottovuoto il tessuto può essere conservato anche per 24-48 ore senza perdite significative in termini morfologici e di caratteristiche immunofenotipiche e molecolare.

√ Fissazione mediante microonde: si tratta di una fissazione, destinata in genere alle piccole biopsie, che sfrutta l’irradiazione a microonde. Questa procedura riduce notevolmente il tempo necessario per la fissazione, la decalcificazione, la colorazione con reagenti chimici e l’incubazione con anticorpi o sonde molecolari. Il sistema prevede una dispersione delle microonde uniforme e la possibilità di selezionare la potenza della irradiazione. I risultati ottenuti su campioni trattati a microonde sono considerati di buona qualità sia per la colorazione di routine, sia per colorazioni istochimiche, immunoistochimiche e molecolari in situ (ISH).

5.c Velocità di diffusione della formalina e tempo ottimale di fissazione

A partire dal momento in cui il campione tessutale viene messo in presenza del fissativo il processo di fissazione non si realizza rapidamente. Il fissativo deve prima penetrare nel tessuto e interagire chimicamente con i vari componenti tessutali. Si riporta generalmente che la diffusione della formaldeide nel tessuto procede ad una velocità di circa 1 mm/ora. Questo dato può risultare utile per applicazioni pratiche, ma in termini scientifici rappresenta solo una grossolana approssimazione di quanto in realtà è stato osservato in studi quantitativi.

In termini teorici la velocità di diffusione (d) segue l’equazione d=k√t dove k è la costante di diffusione e t il tempo. Mediamente, in un organo parenchimatoso k=3,6. Utilizzando questo valore per k nella precedente formula, il primo strato di cellule è penetrato ad una velocità apparentemente molto elevata superiore a 90 mm per ora. Tuttavia, a seguito delle modificazioni del tessuto da parte del fissativo, la fissazione procede poi ad una velocità progressivamente più lenta. Dopo un’ora la formalina ha penetrato il tessuto per uno spessore di

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3,6 mm, dopo quattro ore per uno spessore doppio (7,2 mm) che si raddoppia dopo 16 ore (14,4 mm) e così via. Questo tempo dipende anche dal tipo di tessuto, compatto piuttosto che spugnoso, ed è influenzato dalla temperatura e dalla quantità di fissativo utilizzato.

Al tempo di penetrazione del tessuto si deve aggiungere il tempo necessario per la fissazione. Il processo avviene pertanto in tempi molto lunghi e risulta inutile per pezzi di grandi dimensioni immersi integri nel fissativo.

Per tale motivo, al contrario di quanto si realizza per le piccole biopsie, i campioni di grandi dimensioni necessitano di una fissazione adeguata, tale da garantire una stabilizzazione omogenea in tutte le aree del pezzo resecato, anche quelle profonde. Nel caso di un resecato chirurgico di grandi dimensioni, l’esame macroscopico con relativo campionamento dovrebbe essere effettuato nel tempo più breve possibile per minimizzare le alterazioni da ritardo della fissazione e impedire una fissazione eterogenea (ovvero ottimale alla periferia e scadente verso la profondità). Quando il campionamento non può essere effettuato in tempi rapidi, in attesa dell’analisi macroscopica e di poter effettuare i prelievi tessutali, possono essere attuate procedure semplici quali incisioni profonde nel contesto dell’organo (coerenti con l’anatomia e la patologia in atto), in grado di favorire la penetrazione del fissativo nei tempi utili e garantire la permeazione del pezzo operatorio in tutte le sue parti per una fissazione omogenea anche dei tessuti profondi. Questi accorgimenti sono molto importanti in quanto, ad esempio nel caso di un resecato chirurgico di grandi dimensioni non aperto e con un nodulo neoplastico localizzato ad una distanza di 1,5 cm dalla superficie, in considerazione della velocità di penetrazione e diffusione della formalina, la lesione patologica verrebbe raggiunta dal fissativo dopo circa 16 ore se non venissero adottate delle accortezze.

Il tempo ottimale di permanenza del campione tessutale nel fissativo varia molto a seconda delle dimensioni e quindi del tipo di prelievo. Per i resecati chirurgici, la fissazione ottimale (con il rispetto delle procedure sopra ricordate per una fissazione omogenea) richiede 24-48 ore. Le piccole biopsie, anche se penetrate in tempi molto brevi, richiedono non meno di 8 ore affinché il fissativo abbia il tempo di agire. Tempi inferiori o superiori sono per motivi diversi detrimentali (vedi paragrafo 4) non

tanto per la valutazione della morfologia con tecniche di routine, quanto piuttosto per la caratterizzazione immunofenotipica e per le analisi molecolari che risentono negativamente delle procedure preanalitiche non eseguite correttamente12,13.

5.d Rapporto volume fissativo/volume campione biologico

Ai fini di una fissazione ottimale, un altro fattore importante è il rapporto fra volume di fissativo utilizzato e volume del resecato chirurgico, particolarmente importante se quest’ultimo è di grandi dimensioni.

Un adeguato volume di formalina è necessario per una adeguata fissazione. E’ stato dimostrato che la fissazione di piccoli campioni (biopsie del diametro di 1-2 mm) richiede un rapporto volume fissativo/

volume tessutale pari a 10:1. Per i resecati chirurgici, in generale, si raccomanda un rapporto di almeno 4:1 che rappresenta un buon compromesso e permette anche ai campioni più grandi di essere completamente coperti di formalina. Va comunque tenuto presente che i resecati chirurgici per il loro contenuto di liquidi (incluso il sangue) apportano una diluizione al fissativo che, qualora importante, potrebbe determinare una ridotta fissazione del tessuto con una progressiva perdita di acidi nucleici nel tempo. Pertanto, in questi casi è opportuno dopo poche ore effettuare la sostituzione totale del fissativo con formalina tamponata fresca8. 5.e Tessuto sottoposto a decalcificazione

In caso di biopsie ossee, è raccomandabile che il reparto inviante il materiale da analizzare o il personale che accetta il campione in laboratorio avverta il patologo perché possa valutare se sia davvero necessaria la procedura di decalcificazione. In alcuni casi infatti tramite dissezione a fresco è possibile separare la componente ossea dai restanti tessuti molli.

Se una componente ossea è necessariamente presente in un campione tessutale, questa deve essere sottoposta a decalcificazione prima dell’inclusione in paraffina per consentire la preparazione di sezioni sottili di 4-5 micron al microtomo. Le procedure per la decalcificazione sono atte alla conservazione della componente organica e alla

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rimozione della componente minerale. Il frammento di osso da esaminare viene prima fissato, subito dopo il prelievo, al fine di preservare la morfologia cellulare e successivamente decalcificato per la rimozione della componente minerale. E’ di fondamentale importanza la scelta della tipologia di decalcificante al fine di ottenere i migliori risultati da indagini immunoistochimiche, molecolari e di ibridazione in situ (vedi sezione 4)14. In assoluto è preferibile ricorrere all’azione decacificante dell’EDTA (acido etilendiamminotetraacetico) che avviene per chelazione degli ioni calcio dalla superficie dei cristalli di idrossiapatite che formano l’osso. Non ci sono evidenze di tossicita’ per EDTA se maneggiato in modo opportuno.

6. Effetti deleteri di una non corretta fissazione

6.a Eccessivo tempo di ischemia fredda

Notevole attenzione va posta al tempo di ischemia fredda che necessariamente va sommato al tempo di ischemia calda per un computo del tempo totale di ischemia durante il quale il tessuto inizia il processo di autolisi e degradazione degli acidi nucleici.

A differenza di quanto si verifica per il tempo di ischemia calda che non può in nessun modo essere modificato essendo dipendente dalle esigenze chirurgiche, il tempo di ischemia fredda dovrebbe essere il più breve possibile. Infatti, dal momento in cui il pezzo chirurgico viene espiantato iniziano già i cambiamenti citologici e strutturali dipendenti dalla mancanza di ossigeno e nutrienti. Quanto più lungo è il tempo di ischemia tanto maggiore sarà il decremento della antigenicità tessutale e la frammentazione con associata diffusa deaminazione del DNA. Pertanto, le indagini di caratterizzazione dell’immunofenotipo tumorale, mediante reazioni fra antigeni tessutali e specifici anticorpi, potrebbero dare un esito fuorviante ai fini diagnostici. Un esempio paradigmatico potrebbe essere quello di un carcinoma mammario, caratterizzato da alta espressione dei recettori ormonali e quindi classificabile come luminale A, che si presenta al test immunoistochimico come un carcinoma con bassa espressione o addirittura

privo dell’espressione recettoriale a causa della perdita dell’antigenicità tumorale con un impatto deleterio sulla scelta terapeutica da parte dell’oncologo15.

6.b Eccessivo tempo di fissazione in formalina (overfixation)

Come già sottolineato nel paragrafo precedente, la caratterizzazione immunofenotipica di un campione tumorale, mediante metodiche basate su legami specifici antigene-anticorpo, è fondamentale per un corretto inquadramento di ogni paziente neoplastico e per la corretta scelta terapeutica successiva. Affinché tali legami antigene-anticorpo possano realizzarsi occorre che gli antigeni proteici tessutali siano riconoscibili da parte degli anticorpi e disponibili al legame. Tuttavia, la fissazione mediante formalina comporta una reticolazione, per la formazione di legami covalenti fra gruppi carbossilici di proteine tessutali differenti, che porta ad un mascheramento degli epitopi con conseguente indisponibilità degli stessi alle reazioni chimiche. Questi legami sono in parte reversibili con il calore o il ricorso a incubazioni enzimatiche (smascheramento), procedure che consentono il recupero della immunoreattività delle sezioni tessutali.

Tali procedure sono oggi automatizzate per consentire una maggiore processività delle attività laboratoristiche.

Tuttavia, va tenuto presente che con l’aumento del tempo di permanenza del tessuto in formalina è richiesto un incremento del tempo di smascheramento poiché si riduce la possibilità di recupero della antigenicità. La mancata standardizzazione delle procedure di fissazione fra le varie anatomie patologiche rende difficile l’esecuzione di una procedura di smascheramento antigenico che sia ottimale per tutti i campioni se provenienti da sedi diverse. Quando il tempo di smascheramento risulta insufficiente, a seguito di una protratta fissazione, si ottiene talora un risultato ambiguo o non valutabile e il test deve essere ripetuto con un conseguente spreco di risorse e/o ritardo diagnostico. Tutto ciò sottolinea anche quanto sia importante che le schede di accompagnamento dei campioni biologici riportino il dato temporale di fissazione.

La prolungata permanenza del tessuto in formalina ha effetti importanti anche sul DNA in quanto provoca

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La necessità di fornire una diagnosi in tempi brevi può talora indurre a una

riduzione dei tempi di fissazione.

rotture casuali che possono interessare entrambe le eliche. Il danno che la formalina arreca agli acidi nucleici è molto variabile ma è tanto più grave quanto maggiore è il tempo di fissazione. La permanenza del tessuto in formalina per un periodo più lungo di una settimana può essere causa di alterazione irreversibile degli acidi nucleici e conseguentemente causa di un mancato risultato dei test molecolari predittivi8,16.

6.c Insufficiente tempo di fissazione in formalina (underfixation)

La necessità di fornire una diagnosi in tempi brevi, particolarmente con le piccole biopsie, può talora indurre a una riduzione dei tempi di fissazione per procedere rapidamente con la processazione ed inclusione del tessuto. Si può essere indotti erroneamente a questa decisione sulla base della velocità di penetrazione della formalina nel tessuto che, per piccoli frammenti, può richiedere tempi brevi, bisogna considerare tuttavia che un conto è il tempo di penetrazione, un conto il tempo di fissazione minimo richiesto. Si raccomanda pertanto di attenersi ai tempi suggeriti precedentemente. In caso di insufficiente tempo di fissazione si assiste a una riduzione fino alla perdita della antigenicità tessutale e ad una degradazione degli acidi nucleici fino alla perdita totale di questi; entrambe le situazioni sono irreversibili a differenza di quanto si verifica per un eccesso di fissazione. La ridotta fissazione può essere di vario grado ed anche se lieve può essere causa di una ridotta conservazione a lungo periodo degli acidi nucleici, riducendo la quantità di DNA che è possibile estrarre da campioni archiviati per vari anni.

La degradazione molecolare nei tessuti conservati, può anche essere dovuta a processazione inadeguata, soprattutto nella fase di deidratazione, prima dell’inclusione in paraffina8.

6.d Conseguenze di una decalcificazione non idonea

In molte anatomie patologiche sono preferite metodiche di decalcificazione basate su incubazione del tessuto in soluzione acida (es acido cloridrico, acido nitrico). Tali procedure oltre a determinare

alterazioni della componente organica ed artefatti, sono responsabili di danni al DNA tali da vanificare le analisi molecolari necessarie per la migliore scelta terapeutica, incluso il sequenziamento. Per evitare ciò è assolutamente necessario ricorrere a decalcificanti più blandi quali i chelanti del calcio (es. acido etilendiamminotetraacetico, EDTA) in grado di allontanare la componente inorganica (minerale) senza produrre eccessive alterazioni alla componente organica. Il tempo di decalcificazione dipende dalla costituzione e dalle dimensioni del tessuto. Per tempi di decalcificazione più rapidi, la fissazione/decalcificazione con EDTA si effettua al meglio in presenza di un pH pari a 7,2-7,4. Si sottolinea l’importanza di indicare sempre nel referto istopatologico se il campione è stato sottoposto a processi di decalcificazione e la procedura adottata; questa informazione risulta importante per il centro che riceve il campione tumorale per la interpretazione dell’immunofenotipo e/o del profilo mutazionale14.

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La medicina di precisione si è particolarmente imposta

grazie all’incremento delle conoscenze sui driver

oncogenici e grazie al disegno di farmaci

7. La gestione delle piccole biopsie per la caratterizzazione

tumorale e la diagnostica molecolare in funzione della scelta terapeutica: il modello del tumore polmonare.

In alcuni settori della patologia, quale il cancro polmonare, la medicina di precisione si è particolarmente imposta grazie all’incremento delle conoscenze sui driver oncogenici e grazie al disegno di farmaci, mirati su tipologie diverse di mutazioni, che hanno dimostrato in trials clinici una spiccata efficacia con un prolungamento significativo della sopravvivenza libera da progressione (Progression- Free Survival; PFS) e della sopravvivenza globale (Overall Survival; OS).

La biopsia polmonare viene di regola effettuata nei pazienti con sospetto carcinoma polmonare se le condizioni cliniche lo consentono. Spesso il frustolo bioptico è appena sufficiente per la caratterizzazione tumorale morfologica e immunofenotipica, quest’ultima indispensabile nelle forme di carcinoma scarsamente differenziato. In considerazione della esiguità del materiale biologico è fondamentale attuare dei percorsi che ci consentano di salvaguardare il più possibile il tessuto per poterlo utilizzare anche per test diagnostici molecolari.

Poiché la maggior parte del materiale viene perso durante il taglio del blocco di paraffina, soprattutto se effettuato a più riprese, si suggerisce di operare realizzando fin dall’inizio un numero congruo di sezioni seriate di 4-5µm che vengano numerate in progressione per valutare sulla prima e sull’ultima la quota di cellule neoplastiche. Sulla base delle caratteristiche cliniche (sesso, età e istotipo) si decide quindi come integrare le indagini di caratterizzazione tumorale con le indagini molecolari in vitro e su tessuto per ottimizzare il percorso diagnostico- terapeutico. In tal modo si riesce nella maggior parte dei casi ad ottenere una quantità di acidi nucleici sufficiente sia per test molecolari singoli che per il sequenziamento parallelo massivo.

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Come già riportato nel capitolo 2, nella pratica clinica i campioni citologici si ottengono prevalentemente mediante agoaspirazione, brushing, lavaggio di lesioni raggiungibili strumentalmente (ad esempio nell’albero bronchiale) o per raccolta di elementi cellulari esfoliati in liquidi biologici (come avviene per le urine) o di accumuli patologici di liquidi cellulati in cavità (come nel caso dei versamenti pleurici o peritoneali).

Negli ultimi decenni, l’introduzione delle tecniche di imaging per guidare l’agoaspirazione hanno aumentato non solo la diffusione nella pratica clinica dell’aspirazione con ago sottile (Fine Needle Aspiration, FNA) ma anche la sensibilità e la specificità degli esami citologici, soprattutto se affiancati a tecnologie di prelievo più recentemente introdotte come l’EndoBronchial UltraSound TransBronchial Needle Aspiration (EBUS-TBNA) nella patologia pleuro-polmonare. I campioni possono essere direttamente posti su vetro, fissati e processati oppure posti in fissativi a base alcolica, come il preserv-cyte, o aldeidica prima di ulteriori processazioni17.

Nel caso dell’allestimento del campione citologico direttamente su vetro, il materiale ottenuto viene processato per l’allestimento di strisci convenzionali, centrifugato su vetro (cytospin) oppure trattato secondo la metodica dello strato sottile (Thin Prep). Le ultime due strategie consentono una concentrazione del campione in “spot” che favoriscono la lettura del preparato e sono in genere considerate metodiche complementari allo striscio convenzionale. I preparati citologici direttamente su vetro hanno il vantaggio di essere facilmente e rapidamente allestibili e di risultare efficaci per la diagnosi morfologica. Di fatto, la citologia diagnostica è basata principalmente su questa tipologia di preparato. Tuttavia, frequentemente i preparati citologici su vetro possono essere non idonei per le indagini immunofenotipiche e molecolari18. Tra i principali ostacoli agli esami immuno-molecolari su striscio o spot, ricordiamo:

a) la presenza di microfrustoli di tessuto o aggregati cellulari che impediscono il riconoscimento morfologico dei singoli elementi che vengono persi ai fini della diagnosi;

8. Allestimento dei preparati citologici in funzione delle analisi molecolari

b) la maggiore difficoltà alla dissezione delle cellule tumorali dal preparato;

c) la fissazione, in genere su base alcoolica che inficia alcune determinazioni immunocitochimiche che prevedono la fissazione in formalina. Queste criticità limitano l’approccio del preparato direttamente su vetro, soprattutto per quegli approfondimenti molecolari indispensabili per la fine caratterizzazione delle patologie neoplastiche in funzione della prognosi o della predittività di risposta ai trattamenti. Pertanto, una volta ottenuto un campione citologico, si incoraggia anche la citoinclusione mediante cell block che consente di trattare il materiale citologico come se fosse un campione di tessuto fissato in formalina e incluso in paraffina, da cui ottenere sezioni sottili.

Negli anni, per ovviare ai limiti della citologia tradizionale, sono state introdotte varie strategie di citoinclusione che, per alcune tipologie di analisi, hanno fornito risultati migliori in termini di sensibilità e specificità rispetto alla citologia tradizionale. Vari dati in letteratura hanno dimostrato che l’utilizzo della strategia cell block, insieme allo striscio o alla citologia su strato sottile, aumenta il tasso di diagnosi nella patologia tumorale anche del 67% rispetto al singolo approccio convenzionale. Inoltre, da numerosi studi pubblicati e dalla pratica clinica è emerso che il materiale citoincluso è ottimale per l’applicazione di tecniche immunocitochimiche per la dimostrazione di biomarcatori immunofenotipici e predittivi di risposta alla terapia. Infine, su preparati da citoinclusione, possono essere applicate tecniche molecolari sia in situ (quali l’ibridazione in situ, ISH), sia non-in situ come la RT-PCR o il sequenziamento parallelo massivo (in casi in cui la quantità e la qualità di cellule neoplastiche lo consentono). E’ di fondamentale importanza, tuttavia, la validazione sia del tipo di fissativo sia del tempo di fissazione in quanto queste variabili possono alterare i risultati della analisi immunocitochimiche e molecolari.

Sono state descritte varie metodiche per ottenere citoinclusi nella pratica clinica e la citoinclusione può essere anche effettuaa a partire dal materiale residuo, ad esempio conservato in preserv-cyte19. Per ottenere un citoincluso, a seconda del tipo di

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campione (da agoaspirazione o da versamento), si possono adottare differenti strategie. Una procedura comunemente utilizzata prevede la fissazione del sedimento: il materiale viene fissato in alcol e/o formalina tamponata e centrifugato. Il supernatante viene tolto e il sedimento viene posto su un supporto (ad esempio un filtro di carta). Questo materiale è di seguito posto in biocassette e processato per ottenere un blocco citoincluso. Si possono, in alternativa, utilizzare come supporti l’agar oppure il plasma- trombina per formare un coagulo che viene poi posto in biocassette e sottoposto a processazione.

Alternativamente, soprattutto nella citologia da versamento o quando il materiale è molto esiguo, un altro metodo è il Shandon™ Cytoblock™. Si tratta di una tecnica di preparazione manuale che utilizza il Thermo Scientific™ Shandon™ Cytoblock™ per concentrare le cellule. La miscela viene posta in una cassetta e processata come un campione di tessuto incluso in paraffina. La tecnica, tuttavia, richiede fissativi privi di fosfati o formalina tamponata. Ci sono, poi, metodiche automatizzate come il sistema Cellient che aspira il materiale dal vial contenente Preserv-cyte (metanolo), dopo una deidratazione in alcohol isopropilico e dopo un passaggio in xilene, il campione viene incluso in paraffina.

Il citoincluso ha diversi vantaggi quali:

a) la possibilità di concentrare le cellule;

b) preservare l’architettura e permettere l’analisi degli aggregati cellulari, fornendo dettagli nucleari e citoplasmatici;

c) ottenere sezioni multiple che consentono di effettuare analisi ancillari per una migliore caratterizzazione delle cellule neoplastiche e lo studio di alterazioni molecolari. La citoinclusione, tuttavia, presenta anche una serie di criticità: a) può risultare più costosa per la necessità di acquisire strumenti e/o materiali di consumo dedicati; b) è necessario disporre di una quantità di materiale biologico aggiuntivo; c) si può perdere materiale durante la processazione e il taglio; ciò può rendere critico processare piccoli campioni18.

Per venire incontro ad alcune di queste

Fig. 1 Cassetta da inclusione contenente blocchi di matrice polimerica (Cytomatrix) per l’inclusione di campioni citologici (A). Esempio di citoincluso in Cytomatrix dopo colorazione standard con ematossilina-eosina (B) e immunoreazione citochimica per P40 di un carcinoma

A

B

C

(15)

problematiche, recentemente è stato proposto un approccio alternativo per la citoinclusione commercializzato come “Cytomatrix”. Si tratta di una matrice tridimensionale sintetica che permette di trattenere le cellule provenienti da un prelievo citologico (Fig. 1). La matrice è costituita da una base di chitosano che in ambiente acido e con l’aggiunta di un agente reticolante a base aldeidica, porta alla polimerizzazione formando una struttura tridimensionale. Caratteristica fondamentale della matrice è di avere una carica negativa intrinseca che funge da supporto per le cellule e serve a trattenere il materiale biologico al momento della deposizione sulla matrice stessa. Il complesso matrice-tessuto viene direttamente posto in formalina per la fissazione. La reazione chimica tra la formalina- tessuto/cellule-matrice porta alla formazione di legami tra i gruppi aminici delle proteine, i gruppi aminici della matrice ed il gruppo reattivo -CHO (che caratterizza le aldeidi) con formazione di link tra di essi. Il risultato è un reticolo di legami che determina un blocco unico: il complesso matrice- tessuto/cellule. Una biocassetta contenente il polimero CytoMatrix con il campione biologico viene direttamente posta nel processatore, inclusa, tagliata, e colorata20.

La commercializzazione di questa matrice sintetica ha permesso nuovi approcci alla citoinclusione nella pratica clinica. La metodica è di facile utilizzo e non richiede l’inserimento nel laboratorio di nuovi strumenti o di nuovi reagenti dal momento che utilizza le metodiche classiche di processazione, inclusione, taglio e colorazione dei laboratori di Anatomia Patologica17. Studi preliminari su diversi preparati citologici hanno fornito risultati qualitativamente validi sia ai fini della diagnosi morfologica che della caratterizzazione immunofenotipica e molecolare. Ulteriori studi di validazione della matrice sono in corso.

La commercializzazione di Cytomatrix ha permesso

nuovi approcci alla citoinclusione

nella pratica clinica

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Fig. 2 Preparazione al microtomo congelatore di sezioni di tessuto (A) da destinare all’estrazione di acidi nucleici dopo dissezione; una sezione viene raccolta su un vetrino raffreddato a -25°C (B); l’area individuata su una sezione colorata con ematossilina-eosina viene poi selezionata su una sezione contigua mediante un puntale sterile (B); la sezione viene introdotta in un tubo Eppendorf raffreddato per

La modalità di invio “a fresco” di un campione biologico è utilizzata nella pratica clinica per la diagnosi anatomopatologica intraoperatoria al fine di orientare le strategie chirurgiche. L’invio a fresco del campione di tessuto in Anatomia Patologica è una procedura ideale e assolutamente da adottare in ogni caso se le condizioni logistiche e organizzative lo consentono. Infatti, ciò permette di ottimizzare la fissazione dei pezzi resecati di maggiori dimensioni impedendo un ritardo nella stabilizzazione delle porzioni più profonde ed evitando così gli artefatti da fissazione detrimentali per le analisi basate su reazioni antigene-anticorpo, ibridazione in situ o molecolari in vitro, incluso il sequenziamento genico.

Inoltre, la ricezione di campioni a fresco in tempi rapidi rende possibile il congelamento di tessuti e la loro archiviazione in biobanche a -80-85°C o in azoto liquido. Questa procedura è di particolare importanza oggi in funzione di analisi molecolari da effettuare nell’ambito di una medicina di precisione che si avvale di un numero crescente di farmaci mirati e richiede analisi mutazionali su un numero progressivamente più alto di biomarcatori predittivi. Pertanto, soprattutto qualora si siano realizzate problematiche di varia natura nelle fasi preanalitiche a carico del tessuto fissato in formalina, la possibilità di estrarre acidi nucleici da corrispondente tessuto congelato consente di ottenere DNA/RNA di ottima qualità ed effettuare analisi molecolari anche mediante sequenziamento parallelo massivo con ottimi risultati. A questo fine, l’estrazione di acidi nucleici da congelato potrebbe essere programmata in corso di diagnostica intraoperatoria anche effettuando dissezioni, se necessario: partendo dalla sezione criostatata e colorata con ematossillina-eosina si visualizza la sede e distribuzione della componente neoplastica che, per confronto, verrà individuata su sezioni adiacenti criostatate non colorate e su queste ultime dissezionata con un puntale sterile, prelevata poi con la punta di un bisturi e destinata

9. Il campione tessutale inviato a “fresco”

all’estrazione del DNA/RNA (Fig. 2).

Infine, come già sottolineato in precedenza, disporre di tessuto congelato nelle biobanche consente di poter espletare analisi molecolari che in un prossimo futuro potrebbero richiedere esclusivamente acidi nucleici estratti da tessuto congelato, come già si prevede possa realizzarsi per alcune analisi molecolari relative ai geni BRCA1 e 221.

A

B

C

(17)

Fig. 3 Tissue microarray (TMA) ottenuti da blocchi di tessuto (core da 2 mm di dimetro per paziente) per applicazioni diagnotiche (A).

Immunoistochimica multiplex su core di TMA per la dimostrazione contemporanea di fusioni genomiche diverse in tumori diversi: NTRK in tumore stromale gastrointestinale (B) ; ALK1 in adenocarcinoma polmonare (C).

Fig. 4 Tissue slice array (TSA) ottenuto, su vetrino preparato in laboratorio, da 8 blocchi di tessuto corrispondenti ad altreattanti pazienti a confronto con preparati singoli (A). Vetrini per la deposizione di TSA commercialmente disponibili (6 posizioni) (B).

Le linee guida del College of American Pathologist (CAP), Laboratory Accreditation Manual 2013 Edition, indicano la necessità di dover conservare le inclusioni per 10 anni, a decorrere dalla data della validazione del referto diagnostico. La conservazione del materiale deve essere attuata con garanzia della tracciabilità, in ambienti a temperatura controllata

<27°C e umidità controllata (>30% e <70%), con sistemi di controllo per l’infestazione da parassiti.

Questo consente di mantenere integri gli acidi nucleici anche a distanza di molti anni22.

Le analisi molecolari ad alta processività, come il sequenziamento parallelo massivo, hanno rivoluzionato l’approccio allo studio e alla diagnosi delle patologie neoplastiche. Tuttavia, queste tecnologie non sono ancora così diffuse da poter essere applicate in diagnostica per la caratterizzazione genomica di tutte le forme tumorali.

Le tecnologie diagnostiche convenzionali, largamente utilizzate nei reparti di anatomia patologica, come i test immunoistochimici e l’ibridazione molecolare in situ, possono permettere di ottenere informazioni complementari utili per il trattamento dei pazienti. Purtroppo, queste metodiche sono caratterizzate da una bassa processività, permettendo l’analisi di uno o pochi parametri per singolo paziente. Ciò rende le tempistiche d’analisi e i costi proibitivi, soprattutto nel caso di test per la dimostrazione di rare alterazioni molecolari23. La recente introduzione di strategie diagnostiche e di tecnologie automatizzate per la preparazione di supporti con campioni multipli provenienti da diversi tessuti tumorali su un singolo blocco di paraffina/vetro, distribuiti in ordine definito e riconoscibile (Tissue Micro Array, TMA o Tissue Slice Array, TSA) può permettere la valutazione contemporanea (screening) di numerosi pazienti, riducendo considerevolmente i

10.La conservazione del materiale biologico in paraffina

11.L’introduzione di strategie ad alta processività TMA nella fase pre-analitica

A

B C

A

B

(18)

pilota condotto su un’ampia casistica, abbiamo recentemente deciso di adottare la strategia preanalitica dei TMA diagnostici nella pratica clinica. L’approccio è risultato facilmente adattabile al flusso di lavoro di routine del nostro reparto di Anatomia Patologica. La strategia diagnostica descritta può consentire un notevole risparmio in termini di costi e tempi di analisi e rendere attuabile un’attività diagnostica altrimenti difficile da gestire.

L’utilizzo di reazioni immunoistochimiche multiple (Multiplex ImmunoHistoChemistry, M-IHC), per evidenziare contemporaneamente sulla stessa sezione diversi biomarcatori, può aumentare ulteriormente il rendimento della strategia. A solo scopo esemplificativo, riportiamo in Fig. 3 la possibilità di identificare simultaneamente 2 biomarcatori tumorali differenti in diverse forme tumorali sulla stessa sezione di un TMA.

Considerando l’attuale progresso delle tecnologie M-IHC è possibile ipotizzare un’analisi multicolore di vari marker sullo stesso TMA.

In un prossimo futuro si può prospettare che analisi molecolari multiparametriche, come il sequenziamento parallelo massivo, saranno utilizzate per un’accurata caratterizzazione genomica di tutti i tumori maligni al fine di trattare i pazienti con terapie specifiche26. Un approccio basato su uno screening IHC di più campioni su TMA può sin d’ora essere attivato per alcuni biomarcatori al fine di implementare queste nuove strategie terapeutiche. I test immunoistochimici su TMA hanno il vantaggio, rispetto alle tecnologie genomiche, di identificare direttamente i bersagli farmacologici, cioè le proteine alterate, che possono essere la conseguenza di alterazioni genomiche ma anche di regolazioni post-trascrizionali che non possono essere valutate con l’esame degli acidi nucleici. Pertanto, la strategia diagnostica descritta può rappresentare un test complementare al sequenziamento parallelo massivo al fine di non perdere pazienti per i trattamenti a bersaglio molecolare.

costi e tempi di analisi24 (Fig. 3, Fig. 4).

La tecnologia dei TMA è stata introdotta per la prima volta nel 1998 da J. Kononen e collaboratori e da allora sono stati utilizzati a scopo di ricerca per studiare o convalidare i biomarcatori tumorali in varie coorti di pazienti25. Il nostro gruppo ha recentemente sviluppato una strategia d’analisi per la diagnosi di mutazioni rare suscettibili di trattamenti a bersaglio molecolare mediante test immunoistochimici su TMA/TSA ed è stato implementato un workflow, progettato per essere facilmente trasferibile nella diagnostica di routine, come riportato nella Fig. 5.

Per ulteriori dettagli si rimanda alla pubblicazione originale24.

I principali limiti nell’applicazione immediata di questa nuova strategia diagnostica nei reparti di Anatomia Patologica sono rappresentati dalla scarsa diffusione della tecnologia TMA nei centri diagnostici al momento attuale e la necessità di personale tecnico con competenze specifiche.

Tuttavia, la tecnologia non è particolarmente costosa e i tempi di apprendimento sono brevi. I flussi di lavoro specifici che devono essere implementati per questa nuova attività possono essere facilmente affrontati nella maggior parte dei reparti di Anatomia Patologica. La selezione dei casi e delle aree di tessuto può essere condotta direttamente dal Patologo al momento della refertazione, la preparazione dei TMA e le reazioni di screening IHC ad intervalli quindicinali, richiedono il lavoro di un tecnico di laboratorio biomedico per circa 2-3 giorni/mese se si utilizza un produttore di TMA automatico. La lettura dei risultati IHC su campioni TMA da parte di un patologo esperto non richiede più di 2-3 ore/mese. I dati ottenuti possono essere gestiti dal personale amministrativo all’interno del software gestionale di un reparto di Anatomia Patologica, adattando leggermente il software.

Si consiglia una conservazione indipendente dei TMA in un archivio a temperatura adeguata (18- 25 °C). Una banca di TMA diagnostici all’interno di un’Anatomia Patologica può avere così tante potenziali applicazioni che il tempo e l’impegno economico necessari per la sua realizzazione sono ampiamente ripagati. Sulla base dello studio

(19)

Fig. 5 Workflow diagnostico per la dimostrazione di mutazioni rare in funzione di trattamenti agnostici (Modificato da Marchetti e Coll., Durante la diagnosi

istopatologica, il patologo divide i campioni di neoplasie maligne invasive in base a dimensioni e qualità

e seleziona il materiale

Costruzione di TMA e TSA per effettuare uno screening di alterazioni genetiche rare

con tecnologie in situ (IHC, FISH) Campione

inadeguato Campione

adeguato per TSA

Conferma con test ortogonali (FISH, RT-PCR, NGS) Impossibilità

di procedere con ulteriori esami

(<5% dei casi)

Referto delle alterazioni genomiche evidenziate.

Conservazione dei campioni in archivio indipendente Campione adeguato per TMA

POSITIVO

POSITIVO NEGATIVO

NEGATIVO

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