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Il POCT dei marcatori cardiaci

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Il POCT dei marcatori cardiaci

M. Caputo

Laboratorio Analisi Chimico-Cliniche e Microbiologia, Azienda USL 22 del Veneto, Bussolengo (VR)

Corrispondenza a: Dott. Marco Caputo, Laboratorio Analisi Chimico-Cliniche e Microbiologia, Azienda USL 22 del Veneto, Via Ospedale 28, 37012 Bussolengo (VR). Tel. 045-6712175/4, fax 045-6712687, e-mail: mcaputo@ulss22.ven.it

Riassunto

La Diagnostica decentrata è destinata a giocare un ruolo fondamentale nella diagnostica di labo- ratorio, specialmente nel campo della Critical Care dove la tempestiva definizione dei casi sospetti per sindromi coronariche acute riveste un’impor- tanza preminente. Dai primi strumenti degli inizi degli anni 90, capaci di fornire informazioni gros- solane su indicatori poco specifici siamo oggi ar- rivati a disporre di analizzatori dedicati in grado di dosare quantitativamente marcatori altamente specifici. Le troponine cardiache sono oggi con- siderate la prima scelta per la diagnostica del dan- no ischemico. Nel caso della stratificazione del rischio è stata proposta una strategia multi-marker che comprende il dosaggio della proteina C reat- tiva ad alta sensibilità, il BNP e la mioglobina. Il prossimo futuro sarà in grado di indicare con maggiore affidabilità se l’abbinamento di ridotti tempi di risposta con prestazioni analitiche di qualità eccellente è la strategia vincente.

Summary

Point of care testing for cardiac markers

Point of care testing is going to have a major impact on patient care, so much so in critical areas such as cardiac diseases. The introduction of the first devices to help bedside diagnosis of cardiac disease dates back to early 1990s; fully quantitative dedicated analyzers, equally usable in the main lab and when a stat capabili- ty is required are more recent. Cardiac troponins are the first choice for the detection of ischemic injury; a multi-marker strategy, including high sensitivity C-re- active protein, Brain Natriuretic Peptide and myoglo- bin is proposed to better define risk stratification. Time will tell if this approach, coupling faster TATs with excellent analytical performances is doomed to be the best practice in this pivotal healthcare segment.

La diagnostica decentrata (POCT, Bedside Diagno- stics) è stata definita “la rivoluzione silenziosa”1. Entra- ta ormai stabilmente nel panorama della Medicina di Laboratorio, sta conoscendo una straordinaria popo- larità che, come quasi sempre avviene nei fenomeni che riscuotono grande risonanza in tempi relativamen- te brevi, è alimentata da molti meriti certi ma anche da qualche equivoco potenzialmente in grado di alimen- tare alcuni rischi. P.F. Drucker, parlando di argomenti apparentemente molto diversi dal nostro, ammonisce che “la Storia ci insegna in continuazione, spesso ina- scoltata, che concetti e strumenti si influenzano e si condizionano reciprocamente”. Nel caso del POCT la necessità di ridurre al minimo i tempi di risposta di un esame ritenuto indispensabile per una definizione dia- gnostica in contesti e situazioni in cui il laboratorio tradizionale o è assente o è gravemente ostacolato nel- la produzione e trasmissione tempestiva di quelle in- formazioni si è miracolosamente incontrata con una tecnologia in grado di produrre strumentazione mi-

niaturizzata ad elevatissima affidabilità analitica e a ri- dotta manualità specializzata. Il “concetto” di avere più informazioni utili in meno tempo ha favorito l’intro- duzione e la rapida diffusione degli “strumenti” che a loro volta hanno spinto a rivedere procedure e orga- nizzazioni assistenziali. Per tale motivo si sta rapida- mente realizzando lo scenario - previsto da molte con- cordi opinioni- che entro il 2008 il 45% degli esami verrà eseguito al di fuori delle pareti del laboratorio centrale. L’impatto di questa “rivoluzione silenziosa”

non è dello stesso livello in tutti i campi: sicuramente nella diagnostica cardiologica il mutamento di pro- spettiva non avrebbe potuto essere più drammatico. Il più volte ricordato position paper congiunto dell’Ameri- can College of Cardiologists e della European Society of Cardiology2 ha cambiato la definizione di infarto del miocardio, con evidenti conseguenze sull’epidemio- logia di questa patologia. Come è ben noto, la nuova definizione include obbligatoriamente la determinazio- ne del miglior marcatore di lesione miocardica dispo-

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nibile, che oggi è essenzialmente costituito dalle tropo- nine cardiache, I o T (TnI e TnT), e solo in mancanza di queste dalla determinazione in concentrazione di massa dell’isoenzima MB della CK. Sono trascorsi quasi 20 anni dalla pubblicazione dell’articolo che propone- va per la prima volta l’utilizzo del dosaggio della tro- ponina I per la diagnosi di infarto del miocardio3 e da allora sia la troponina I che la T si sono dimostrate marcatori di necrosi miocardica specifici e sensibili4-7. Oggi esistono oltre 10 differenti formulazioni di do- saggio per la TnI mentre soltanto una azienda produ- ce il kit per il dosaggio della TnT. Gli sforzi per rag- giungere la produzione di uno standard primario di TnI stanno producendo gli effetti sperati per arrivare alla disponibilità di un materiale di riferimento in gra- do di normalizzare la situazione8. Nonostante la diffu- sione mondiale di questi dosaggi, esistono ancora dubbi sulla natura molecolare delle troponine cardiache in cir- colo. Si sa che la TnI subisce una serie di modificazioni già nel tessuto miocardio sia prima del rilascio in circo- lo sia dopo. La maggior parte della cTnI si ritrova complessata con le altre troponine (specialmente la C ma anche la T). Per un utilizzo ottimale, il metodo ado- perato deve essere in grado di riconoscere tutte le for- me circolanti pur conservando una estrema sensibilità analitica9. Esistono poi fattori circolanti che possono interferire negativamente con il dosaggio delle tropo- nine10. E’ stato recentemente dimostrato che queste sostanze sono auto-anticorpi anti-troponina rivolti sia contro la singola molecola che contro i complessi11. Questi sono in grado di bloccare i siti di legame degli anticorpi utilizzati per la rivelazione diagnostica rivolti verso la regione mediana della molecola (la più stabi- le). Evidentemente il vasto interesse suscitato dalla uti- lità clinica di questa proteina e la sua esplosiva diffusio- ne nella diagnostica clinica hanno alimentato alcuni equi- voci interpretativi12. E’ bene ricordare che questo è un marcatore di necrosi miocardia in grado di svelare le- sioni di entità anche modesta, ma non ne indica il mec- canismo. Per questo il riscontro di una troponinemia aumentata deve sempre essere accompagnato dalla evidenza clinica della ischemia. In caso contrario van- no accuratamente ricercate altre possibili cause di dan- no miocardio (e sono numerose) in grado di liberare troponina in circolo13. Anche nel bel mezzo “dell’epo- ca della Troponina” la diagnosi definitiva di infarto acuto del miocardio resta una diagnosi clinica e, come sempre in Medicina di Laboratorio, la determinazione biochimica trova la sua piena realizzazione soltanto se utilizzata in stretta connessione logica con il ragiona- mento clinico e tutte le sue fonti di alimentazione14. Più di recente, altri marcatori hanno evidenziato un poten- ziale informativo aggiuntivo riguardo la prognosi e la gestione del rischio di pazienti che si presentano con segni e sintomi riconducibili a sindromi coronariche acute15,16: la proteina C reattiva (CRP) e il peptide na- triuretico atriale di tipo B (BNP). Di tutte queste mole- cole è oggi disponibile il dosaggio su strumentazione

per POCT, per la quale sono stati proposti dei proto- tipi in grado di effettuare ulteriori determinazioni per marker futuribili come la proteina legante gli acidi gras- si17,18. In realtà si tratta di strumenti che possono essere utilizzati indifferentemente al letto del paziente o nel laboratorio di urgenza, piuttosto che in un laboratorio satellite con carichi di lavoro ridotti che non consenta- no l’acquisizione di grandi piattaforme o ancora in la- boratori centrali dove i requisiti di urgenza siano me- glio soddisfatti con tali opzioni19-23. Passando ad una rapida disamina degli strumenti che sono comparsi sul mercato negli ultimi anni potremmo fare rientrare i sistemi analitici in quattro categorie:

1. Sistemi che misurano un’attività enzimatica (CK) in chimica secca. Sono stati proposti a partire dai primi anni Novanta e rivestono oramai interesse storico per la diagnostica cardiologica. Queste soluzioni sono una filiazione diretta dei sistemi per la valutazione estemporanea della glicemia. La tecnologia di base è costituita da un multi-strato contenente i reagenti sec- chi stabilizzati che vengono ricostituiti direttamente dall’aggiunta di siero o plasma: al termine di una se- rie di reazioni (end-point) il risultato viene valutato da lettura ottica. Si tratta del primo esempio di dia- gnostica decentrata applicata ai marcatori cardiaci.

2. Strumenti qualitativi dedicati. Questi sistemi rap- presentano la prima applicazione della immuno-cro- matografia alla diagnostica dei marcatori cardiaci. La tecnologia è comune a tutti i sistemi e utilizza tre pro- cessi: una separazione iniziale delle cellule dal plasma, una reazione immunologica e una fase di rilevazione.

3. Strumenti quantitativi. Usano la stessa tecnologia di base dei precedenti ma incorporano un sistema di misurazione quantitativa. Due esempi: il Cardiac rea- der (Roche Diagnostics) è in grado di determinare quantitativamente troponina T e mioglobina; la let- tura quantitativa si estende nel range 0 – 2 µg/L ed esistono evidenze di buona correlazione con il corri- spondente metodo elettro-chemi-luminescente (ECLIA su ELECSYS). Il Triage (Biosite/Biomedi- cal Service) è leggermente differente: l’area di rea- zione contiene un coniugato fluorescente e può esse- re utilizzato per misurare contemporaneamente un pannello intero di marcatori (troponina I, mioglobi- na, CKMB) o il BNP.

4. Sistemi analitici rapidi su sangue intero. Sono stru- menti quantitativi dedicati che utilizzano sangue inte- ro eparinizzato come matrice del campione. Lo Stra- tus CS (Dade Behring) incorpora un rotore da cen- trifuga in cui il sangue viene automaticamente trasfe- rito: il plasma viene separato mediante centrifuga- zione attraverso una barriera di materiale inerte. I campioni sono stabili per 2 ore a temperatura am- biente. I reagenti vengono caricati a bordo dopo aver inserito il campione: sono possibili più dosaggi sullo stesso campione, ma è possibile l’inserimento di un campione alla volta. Il limite di rilevazione del test è 0.01 – 0.02 µg/L con una sensibilità funzionale di

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0.03 µg/L e un limite di riferimento superiore di 0.08 µg/L. L’ Innotrac Aio (De Mori) utilizza come matrice sangue intero o plasma direttamente da tubo primario. Il sistema utilizza anticorpi di cattura bioti- nilati e preimmobilizzati mediante legame con strep- tavidina ad una fase solida e anticorpi di rivelazione marcati con europio. I reagenti sono prevaricati sul- lo strumento in forma di “penne” che contengono in forma liofila tutti i reagenti. Il sistema analizza tro- ponina I (sensibilità analitica = 0.05 µg/L, CV%: 6.4- 7.6), mioglobina e CKMB massa.

Nella scelta di un sistema POCT è essenziale accer- tarsi che i risultati prodotti siano sovrapponibili a quelli ottenuti nel laboratorio centrale24,25. La accurata defini- zione delle soglie decisionali è un passaggio essenziale per l’utilizzo pratico di questa risorsa26. Esistono evi- denze cliniche incontestabili che nessuna concentrazio- ne dosabile di troponina in circolo, per quanto bassa, è innocua e scevra di implicazioni prognostiche negati- ve. Come è noto, il consenso internazionale stabilisce che la soglia oltre la quale si parla di necrosi miocardia corrisponde al 99° percentile di una popolazione di riferimento. Sfortunatamente però oggi nessuno dei sistemi diagnostici proposti in laboratorio o per POCT è in grado di discriminare a concentrazioni così basse il rumore analitico dalla presenza di danno minore27. Si spiega così la necessità di porre la soglia ad un valore corrispondente ad un coefficiente di variazione del 10%.

Se l’obiettivo che ci si propone non è la diagnosi ma la stratificazione del rischio, è possibile porre soglie deci- sionali diverse, tenendo conto che il contesto clinico è diverso. Nella formulazione di protocolli diagnostici efficaci trova posto la strategia che si basa sulla combi- nazione del dosaggio di due marcatori, con l’abbina- mento alla troponina di un “marker precoce”. Oggi la mioglobina risponde a questa esigenza meglio degli altri; tuttavia non è esente da difetti legati soprattutto alla sua scarsa specificità miocardica e questo spiega perché in questo campo la ricerca è ancora attiva.

Il principale vantaggio che ci si aspetta dall’adozione di un sistema per POCT è la riduzione netta del Turn Around Time (TAT)28. Per quanto possa sembrare stra- no, c’è ancora bisogno di acquisire su questo dato evi- denze oggettive29. La definizione del TAT ottimale oggi non è basata sull’evidenza, ma sull’affermazione che

“faster is better”. In realtà non abbiamo elementi ogget- tivi per quantificare il vantaggio clinico ottenuto in ter- mini di permanenza nella struttura (Lenght Of Stay, LOS), riduzione di mortalità e/o morbilità e ritardo di trattamento efficace. Una significativa accelerazione dei tempi di produzione del dato analitico può essere fru- strata se non si riduce anche il tempo trascorso dal momento in cui il risultato è disponibile a quello in cui si intraprende una azione clinica. Il concetto è riassunto efficacemente dall’espressione “dalla vena al cervello”

(“vein to brain time”). Le linee guida della National Aca- demy of Clinical Biochemistry (NACB) includono la raccomandazione che le strutture di laboratorio che

non sono in grado di garantire per i marcatori cardiaci dei TAT di 60 minuti o inferiori (idealmente 30 minu- ti) devono mettere a disposizione dei loro utilizzatori una strumentazione per POCT. Esiste uno studio che dimostra la riduzione del LOS per i pazienti con dia- gnosi di IMA ma sorprendentemente non per i pa- zienti “sani” da dimettere. Probabilmente ci si è foca- lizzati troppo sul solo TAT senza tener conto dell’inte- ro processo assistenziale. Un esempio è fornito da uno studio che valuta l’impatto dell’istituzione di un Centro per il Dolore toracico (“Chest Pain Unit ”) in cui si di- mostra che le significative riduzioni dei tempi di attesa per la diagnosi e il trattamento sono state ottenute sen- za l’utilizzo di strumenti POCT30. Il prossimo futuro dirà l’impatto reale che questa tecnologia è destinata ad avere. E’ verosimile aspettarsi un impatto diverso a seconda dell’organizzazione sanitaria in cui il POCT viene installato: in un punto di primo intervento o in un Ospedale di Comunità rispetto al Pronto Soccorso di un grande ospedale multispecialistico dove magari si può praticare una cateterizzazione rapida ed adotta- re strategie aggressive precocemente in tutti i casi con- clamati31,32. Nella stessa valutazione del TAT va consi- derato che lo strumento POCT di norma processa un campione alla volta, e prima dei 15-20 minuti canonici non è disponibile per processare il campione successi- vo. Senza contare, nel caso di adozione di protocolli con due o più marcatori gli ulteriori tempi richiesti:

questo, in un Pronto Soccorso affollato, crea un collo di bottiglia evitabile ricorrendo al laboratorio centrale che, a fronte di un tempo prolungato per fornire il primo risultato, può completare i successivi ad inter- valli di 10 minuti. Per quanto riguarda i benefici attesi in termini di Therapeutic Turn Around Time questi fattori spesso sottovalutati vanno presi in considerazione pri- ma di scegliere un sistema POCT. In termini numerici, gli esempi della letteratura sono concordanti: da 71 minuti (laboratorio centrale) a 24 minuti (POCT Tria- ge), da 79 minuti (laboratorio centrale) a 20 minuti (Car- diac reader).

La valutazione dei costi del POCT è complicata dal- la difficoltà di confrontare situazioni omogenee. Spes- so vengono messi a confronto i costi totali del labora- torio centrale con i costi marginali del POCT arrivan- do a concludere per un miglior rapporto costo /be- neficio di quest’ultimo. In realtà bisogna tenere conto di tutti i costi, da quelli dello strumento a quelli per l’addestramento del personale non qualificato ai con- trolli e consumabili. I costi dell’implementazione del sistema, in particolare quelli legati all’addestramento e alla formazione continua, come pure quelli da sostene- re per le procedure del controllo di qualità possono rivelarsi molto elevati. Un approccio corretto si otter- rebbe utilizzando i costi variabili e quelli semi-fissi (tem- po - lavoro del personale, costi di addestramento e CQ). Quando l’analisi dei costi è eseguita così il POCT è sempre più costoso (il tecnico di laboratorio costa meno di un infermiere professionale specializzato per

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le cure intensive). I costi dei consumabili sono signifi- cativamente inferiori nel laboratorio centrale grazie alle economie di scala. In definitiva, considerando soltanto i costi analitici, non si arriva a giustificare l’adozione di POCT. Più pragmaticamente vanno presi in conside- razione i costi dell’intero processo assistenziale. E’ noto che la spesa più rilevante in questo caso è legata al rico- vero ospedaliero e al trattamento praticato. L’esempio delle chest pain units è significativo. I costi medi di un giorno in Unità Coronarica si aggirano sui 3000$ e quelli di una degenza in letti normali intorno ai 1000$.

Se si riuscisse a ridurre la degenza da 4 a 2 giorni, con- siderando che frequentemente si trascorrono 1,5 gior- ni in UC e 2,5 in reparto (spendendo 7000$) la contra- zione di 0.5 e 1 giorno rispettivamente porterebbe a risparmiare per ogni singolo paziente 3000$. I costi di una diagnostica POCT tipo (2 dosaggi di mioglobina e Tn) sono di 80$ rispetto ai 20$ che costerebbero al laboratorio centrale. Per quanto riguarda i possibili ri- sparmi conseguibili nell’uso della terapia, il costo di un trattamento con eparine a basso peso molecolare (LMWH) per 24 ore è circa 30$. E’ stato dimostrato che nei pazienti con troponina negativa questo tratta- mento non fornisce alcun beneficio, per cui annullan- do la somministrazione a 12 ore dopo un dato di Tro- ponina negativa si può avere un risparmio significati- vo. Lo scarto è ancora maggiore con trattamenti più costosi come gli antagonisti della GP IIb/IIIa.

Concludendo, la tecnologia per POCT è oggi una realtà operativa33. Sappiamo che la sua adozione può portare a significative riduzioni del TAT come pre- messa ragionevole per riduzioni del LOS e migliora- mento degli outcome clinici. Ci sono anche le premesse per convertire questi elementi in un miglioramento si- gnificativo del rapporto costo/beneficio del processo assistenziale complessivo34. In ogni caso però, valutare soltanto l’accorciamento del TAT non è sufficiente e potrebbe essere anzi sostanzialmente rischioso35. L’esi- genza di disporre di strumenti di ridotte dimensioni che richiedano una operatività largamente semplificata non può prevalere sulla necessità assoluta di ottenere un dato analiticamente perfetto e in linea con quanto ottenibile nel laboratorio di riferimento, pena il rischio di errori diagnostici potenzialmente gravi: in questa deprecabile situazione una scelta erronea in termini eco- nomici si trasforma rapidamente in malpractice che pre- giudica l’efficacia dell’intervento, rende insicuri e ner- vosi gli operatori sanitari coinvolti nell’assistenza e, so- prattutto, mette a repentaglio la sicurezza e la salute del malato già psicologicamente provato dal dolore e dal- la paura.

La strategia vincente consiste nell’inserire la diagno- stica biochimica all’interno di un processo decisionale complessivo che realizzi un effettivo miglioramento di tutto l’iter assistenziale, che è poi la via maestra che porta all’unico taglio possibile della spesa sanitaria, quel- lo dei soldi spesi male e delle risorse strumentali ed umane sperperate.

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